VENTURI, Marcello
– Figlio di Ugolino e di Adele Della Nina, nacque il 21 aprile 1925 nella stazione ferroviaria di Querceta-Seravezza-Forte dei Marmi (Comune di Seravezza), nella casa riservata al padre capostazione.
In quella stessa casa, con il mare della Versilia da un lato e le Alpi Apuane dall’altro, trascorse la sua infanzia, prima di andare a vivere – sempre a seguito dei trasferimenti lavorativi del padre – a Pistoia, dove rimase dal 1936 al 1943. In questa città conseguì il diploma all’istituto magistrale e iniziò a scrivere, pubblicando tre brevi racconti, dai contorni surreali e fantastici.
Il primo, intitolato Il racconto, uscì su Rivendicazione, periodico mensile dei gruppi indipendentisti corsi, nel marzo del 1942; gli altri due (Sotto la luna e Morte della speranza) vennero pubblicati su Il Ferruccio, settimanale della Federazione fascista di Pistoia, il 15 marzo e il 28 giugno 1943, firmati con il cognome materno Della Nina: solo al compimento del diciottesimo anno, infatti, Venturi poté assumere il cognome del padre che, dopo un primo matrimonio, era andato a convivere con la madre dello scrittore.
Còlto dall’8 settembre 1943 a Fornovo, dove il padre, mazziniano e antifascista, era stato trasferito, e costretto a entrare nell’esercito della Repubblica sociale italiana, riuscì a scappare dalla caserma di Parma prendendo un treno verso Pistoia, dove iniziò la sua resistenza disarmata nascondendosi dai tedeschi.
Il vero esordio letterario avvenne subito dopo la guerra sul Politecnico di Elio Vittorini – cui Venturi rimase legato per tutta la vita, e che accolse poi nella collana I gettoni di Einaudi Il treno degli Appennini (Torino 1956) – dove il 5 gennaio 1946 e il 16 marzo dello stesso anno apparvero i racconti Una notte che non avrò sonno ed Estate che mai dimenticheremo.
Dei due racconti il primo è dedicato alla miseria che caratterizzava le esistenze contadine a Porcari, la città dove Venturi si era trasferito per alcuni mesi dopo il diploma magistrale, e dove aveva potuto osservare il mondo circostante dal bancone di un negozio degli zii; il secondo è di argomento resistenziale e descrive la rivolta di un contadino, nell’estate del 1944, contro i tedeschi che occupano la sua casa. Questi due temi (la miseria del secondo dopoguerra e la lotta partigiana, descritta senza accenti eroici e portata avanti da personaggi lontani da convinzioni ideologiche, in lotta per la libertà e – in genere – destinati a soccombere) caratterizzarono i numerosi racconti che Venturi scrisse tra il 1946 e il 1952, destinandoli alle terze pagine dei giornali e, in particolare, dell’Unità.
Subito dopo la guerra, Venturi si iscrisse al Partito comunista italiano, iniziando anche la sua attività di giornalista, dapprima (dal 1947, per cinque mesi), nella redazione dell’Eco del lavoro di Parma, quindi nella redazione milanese dell’Unità, dove rimase per un decennio (1948-58), che si rivelò poi fondamentale per la sua vita di scrittore e di militante. Continuò a dedicarsi alla letteratura (ottenendo anche significativi riconoscimenti: nel gennaio del 1946 vinse ex aequo con Italo Calvino il premio bandito dall’Unità di Genova per un racconto partigiano; nel 1952 fu insignito con il premio Viareggio opera prima con i due racconti riuniti nel volume Dalla Sirte a casa mia); iniziò a dirigere dal 1952 la pagina culturale dell’Unità di Milano stringendo amicizia con Gianni Rodari e Salvatore Quasimodo e iniziando una relazione sentimentale con Anna Maria Ortese, che ebbe modo di ricordare poi il giornalista dagli occhi azzurri nei romanzi Poveri e semplici e Il cappello piumato; mise in discussione l’adesione al partito dopo la repressione della rivolta ungherese nel 1956, lasciando la redazione dell’Unità nel 1958, in seguito all’uccisione di Imre Nagy.
Abbandonato il quotidiano comunista, Venturi iniziò a lavorare nella casa editrice di Giangiacomo Feltrinelli, dirigendo dal 1958 la serie Scrittori d’oggi dell’Universale economica, della quale si era occupato, prima di lui, Luciano Bianciardi. Alla ricerca di autori esordienti da pubblicare, lesse il racconto La padrona giovane di Camilla Salvago Raggi, uscito su Paragone nell’ottobre del 1958. Quel racconto, insieme ad altri della scrittrice ligure-piemontese discendente da una famiglia aristocratica e nipote di Giuseppe Salvago Raggi (senatore del Regno e insigne diplomatico), è all’origine della raccolta La notte dei mascheri (Milano 1960); ma l’incontro letterario divenne anche l’inizio di una lunga storia d’amore, durata tutta la vita. Venturi e Camilla Salvago Raggi si sposarono nel 1960 e, dopo il matrimonio, lo scrittore abbandonò Milano per trasferirsi in Monferrato, nella villa di Campale, in provincia di Alessandria.
Tra il 1962 e il 1963 (mentre iniziava una delle più significative collaborazioni giornalistiche dopo il lavoro all’Unità, quella con la Gazzetta del popolo) Venturi pubblicò due romanzi centrali nel suo percorso letterario: L’ultimo veliero (edito da Einaudi, nella collana I coralli) e Bandiera bianca a Cefalonia (stampato da Feltrinelli).
Il primo (riedito da Sellerio, Palermo 2007) è ambientato in Versilia e racconta la storia di alcuni vecchi marinai che decidono di lasciare l’ospizio nel quale sono ricoverati per riprendere le vie infinite del mare dopo aver accomodato un veliero destinato a essere demolito per farne legna da ardere; il secondo ricostruisce la strage avvenuta a Cefalonia nel settembre del 1943, quando migliaia di soldati italiani vennero uccisi dall’esercito tedesco. L’idea di dedicare un libro ai fatti di Cefalonia, tragici e dimenticati, venne a Venturi leggendo, all’altezza del 1960, la testimonianza di un reduce, il capitano Amos Pampaloni, pubblicata nel 1954 su Il Ponte. Raccogliendo altre testimonianze, scritte e orali, e facendo un viaggio nell’isola nell’ottobre del 1962, Venturi scrisse il suo libro più famoso, nel quale si alternano due piani narrativi: quello del passato, che ha per protagonista il capitano Aldo Puglisi, e che racconta, giorno per giorno e ora per ora, l’avvicinamento alla strage e il compimento dell’eccidio; e quello del presente, che narra la storia del figlio di Puglisi che si reca a Cefalonia, per ripercorrere le orme di un padre che non ha conosciuto. Così facendo, Venturi riuscì a coniugare le informazioni storiche e documentarie raccolte con le emozioni vissute personalmente durante il viaggio a Cefalonia.
Il romanzo ebbe una significativa fortuna in Italia e fuori d’Italia. Uscì in quattordici lingue diverse (sebbene non in tedesco) e in Unione Sovietica venne pubblicato nella versione di Julia Dobrovolskaja, incontrata da Venturi a Mosca nel 1967 e divenuta poi (con la sua storia di dissidente) protagonista del romanzo Via Gorkij 8 interno 106 (Torino 1996). In Germania portò all’apertura di un’istruttoria per indagare su coloro che ordinarono la strage (l’istruttoria venne però chiusa, senza risultati, nel 1969). In Italia ebbe il merito di attirare l’attenzione su un fatto rimosso, che Venturi raccontò come il primo momento di una Resistenza senza ideologie, portata avanti da militari che desideravano tornare a casa e non si fidavano dell’ex alleato tedesco che chiedeva la resa. Il presidente della Repubblica Sandro Pertini, autore della prefazione a una ristampa del romanzo-testimonianza, scrisse: «Forse in poche circostanze come in questa, la poesia ha veramente servito la storia e la verità» (Bandiera bianca a Cefalonia, Milano 1976, p. 4).
La memoria dei fatti di Cefalonia rappresentò per Venturi un impegno anche negli anni successivi, testimoniato tra l’altro dalla fondazione del premio Acqui Storia, dedicato alla memoria della Divisione Acqui massacrata sull’isola, e dal romanzo Il nemico ritrovato (Torino 2005), edito da Aragno, che consentì allo scrittore di ripercorrere ciò che, intorno ai fatti di Cefalonia, era accaduto dal 1963 all’inizio del nuovo millennio, attraverso la storia dell’incontro tra un giovane studente tedesco che vuole scrivere una tesi su Bandiera bianca e l’ormai anziano autore.
Il 1965 vide l’uscita (dopo Bandiera bianca e il precedente Vacanza tedesca, del 1959) del terzo libro di Venturi con Feltrinelli: Gli anni e gli inganni, che – raccogliendo molti racconti già editi – tracciò un primo bilancio dell’esperienza di scrittura ancora in corso, ma coincise con la fine dei rapporti con la casa editrice di via Andegari, con la quale Venturi non condivise né l’avvicinamento alla neoavanguardia e al Gruppo 63, né la svolta rivoluzionaria e castrista del suo fondatore. Gli anni dell’impegno politico e civile lasciarono il posto a una stagione di delusione e di vuoto, testimoniata anche dai romanzi L’appuntamento e Più lontane stazioni (rispettivamente Milano 1967 e 1970), che hanno per protagonisti due intellettuali in crisi.
I due romanzi furono editi entrambi da Rizzoli, con cui Venturi pubblicò successivamente Terra di nessuno (1975), che torna al tema – mai abbandonato – della guerra, ma che vuole riflettere soprattutto sul deserto di ideali e di valori del presente, e le due storie ambientate nel Monferrato, che rappresentano un altro capitolo centrale nel percorso dello scrittore: Il padrone dell’agricola (1979) e Sconfitti sul campo (1982), in cui Venturi scelse di raccontare il tramonto della civiltà contadina, conosciuta a partire dal 1960 amministrando l’impresa agricola della moglie e destinata a soccombere sotto l’assedio della modernità. I due romanzi (che ottennero, rispettivamente, il premio Napoli e il premio Stresa), caratterizzati dalla sperimentazione di una nuova lingua (intercalata da parole del dialetto piemontese, ma anche dall’italiano storpiato dai «manenti»), fecero arrivare nella tenuta di Campale le telecamere della RAI, che (nelle trasmissioni Agricoltura domani e Linea verde, del 1° luglio 1979 e del 16 maggio 1982) si occuparono di riprendere i protagonisti di quel mondo di «poveri cristi».
Un «povero cristo» (l’espressione venne più volte adoperata da Venturi per i protagonisti delle sue storie) è anche il Nani, la cui tragicomica vicenda, in camicia nera sia prima sia dopo l’8 settembre 1943, venne raccontata in Dalla parte sbagliata (Novara 1985), che precede di sei anni l’autobiografico Sdraiati sulla linea. Come si viveva nel PCI di Togliatti, pubblicato da Mondadori (Milano 1991). Inizialmente intitolato L’accento del Caucaso. Un comunista dice addio, il volume ripercorre le vicende (letterarie, politiche e umane) di Venturi fino all’abbandono di Milano: è una galleria di ritratti, talvolta violentemente polemici verso i burocrati di partito, ma più spesso affettuosi nel ricordo di amici incontrati sulla propria strada. Questo libro contribuì a sancire l’isolamento dell’autore (antifascista e, dal 1958, anticomunista) nella vita culturale italiana.
Dopo il 1991, Venturi proseguì l’attività di scrittura, sempre più appartata, lontana da marchi editoriali di primo piano e incentrata sulla rievocazione del passato, come dimostra Tempo supplementare, edito da Aragno (Torino 2000): un memoriale che si apre con la descrizione dello Zenith, orologio del padre capostazione (simbolo del tempo che scorre e già presente in Il giorno e l’ora, Novara 1987), incentrato su storie che riguardano non un passato remoto o prossimo, ma un passato-presente, che non esiste (come tempo verbale) nelle grammatiche, ma al quale diventa fondamentale aggrapparsi per continuare a vivere.
Anche in Il nemico ritrovato l’anziano scrittore viene definito «un uomo che vive nel passato», «un prigioniero dei ricordi» (Il nemico ritrovato, cit., pp. 83 e 119), ma non per questo privo del bisogno di confrontarsi con il mondo circostante. «Io vivo in questo mondo, ne faccio parte», si legge nel racconto che apre All’altezza del cuore, uscito pochi giorni prima della scomparsa dello scrittore (Torino 2008, p. 33). In questo racconto intitolato Il servo e il padrone, Venturi decise di far raccontare la sua storia a un gatto (animale immensamente amato da lui e dalla moglie), che osserva e descrive le giornate del protagonista: un professore in pensione, «scrittore neorealista dal dopoguerra ad oggi» (p. 49).
Morì, nella sua casa di Campale, il 21 aprile 2008, giorno del suo ottantatreesimo compleanno.
Opere. Fra le ultime ristampe dei volumi citati nel testo si segnalano: Bandiera bianca a Cefalonia, con prefazione di S. Pertini, introduzione di F. De Nicola e postfazione di G. Capecchi, Milano 2013; Via Gorkij 8 interno 106, con postfazione di G. Capecchi, Torino 2016; Il padrone dell’agricola, con postfazione di G. Capecchi, Torino 2018; Dalla Sirte a casa mia, con prefazione e cura di F. De Nicola, Sestri Levante 2018.
Fonti e Bibl.: G. Grassano, La narrativa di M. V., in Otto/Novecento, XI (1987), 3-4 (maggio-agosto), pp. 89-134; A. Scurani, M. V. e il sentimento del tempo, in Letture, XLV (1990), quaderno 469 (agosto-settembre), pp. 583-598; Omaggio a M. V., in Resine, n.s., 1997, n. 71; G. Capecchi, Lo scrittore come cartografo. Saggio su M. V., Firenze 2007 (con approfondita bibliografia, con articoli su e di Venturi); M. V. Gli anni e gli inganni, Atti del Convegno di studi, Ovada-Molare..., a cura di G. Capecchi, Novara 2009; Autografo 62, 2019, a cura di C. Martignoni, monografico: M. V. tra letteratura e storia.