PAGLIERO, Marcello
PAGLIERO, Marcello. – Nacque a Londra il 15 gennaio 1907 da Luigi, di origine genovese, e da Clara (Claude) Renaud, francese.
Di nazionalità italo-francese, nel 1914 si trasferì con i genitori a Roma, dove frequentò il Collegio Nazareno insieme a Roberto Rossellini, con il quale nel dopoguerra si ritrovò più volte a collaborare. Terminato il liceo, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza.
Dopo la laurea iniziò il praticantato in uno studio romano di avvocati ma smise presto, per dedicarsi prima al giornalismo, in qualità di critico d’arte e letterario, e poi al cinema, con un impiego iniziale da traduttore. Grazie soprattutto alla conoscenza della lingua inglese, infatti, gli vennero affidati soggetti e copioni di film americani e britannici da trasporre nella versione doppiata italiana.
In seguito ricoprì ruoli diversi – curatore di soggetti, di trattamenti e sceneggiature prodotte tra il 1941 e il 1943 – come nelle pellicole Anime in tumulto di Giulio Del Torre, Confessione di Flavio Calzavara, Le due tigri e La danza del fuoco di Giorgio Simonelli. Un compito, quello della stesura dei dialoghi e del découpage tecnico, che condivise, di volta in volta, con Luigi Bonelli, Augusto Turati, Pier Luigi Melani, Andrea Di Robilant e Francesco Pasinetti.
Tra il 1943 e il 1946 cominciò a dedicarsi alla recitazione e alla regia cinematografica, divenendo uno dei protagonisti di quella difficile stagione. Nell’estate 1943 aderì alla cooperativa cinematografica autonoma che, fondata dal direttore di produzione Icilio Sterbini, tentò di contrastare la restaurazione produttiva del Minculpop (Ministero della Cultura popolare), all’indomani della destituzione di Benito Mussolini. In quell’anno avviò diverse collaborazioni, spesso interrotte a causa della guerra e dell’occupazione dell’Italia; nella difficile congiuntura fu costretto talora ad abbandonare regie, poi da altri concluse, talaltra a subentrare ad autori, con i quali condivise la paternità d’opera.
Se, per esempio, di 07… Tassì scrisse il soggetto e la sceneggiatura, insieme con Leo Bomba e Alberto D’Aversa, iniziandone anche le riprese, fu a quest’ultimo che dovette cedere la regia, perché la completasse nel 1945. Viceversa subentrò a Rossellini nella direzione di Desiderio, in principio intitolato Scalo merci e Rinuncia, iniziato nell’estate del 1943, effettuando la metà delle riprese restanti e concludendo il film nell’estate 1945. Distribuita a firma di entrambi, la pellicola uscì nelle sale solo nel 1946, con molti tagli e nessun titolo di testa. Già fra il 1944 e il 1945, Pagliero aveva diretto però il suo primo lungometraggio, Nebbie sul mare, dal quale venne omessa per ragioni razziali la cofirma del regista ebreo Hans Hinrich.
Nel 1945 partecipò al documentario collettivo sulla Resistenza, coordinato da Mario Serandrei e Giuseppe De Santis, Giorni di gloria, per il quale si occupò di alcune riprese autentiche, ma non di repertorio, relative alla ricostruzione dell’eccidio delle Fosse Ardeatine del 24 marzo 1944.
L’anno dopo, nella nuova veste di attore, fu mirabile interprete, nel ruolo dell’ingegnere Giorgio Manfredi – il partigiano a capo del Comitato di liberazione nazionale, torturato e ucciso dall’ufficiale della Gestapo – di Roma città aperta di Rossellini, film-manifesto del neorealismo italiano.
A quest’ultimo film si richiamò, nel 1946, in occasione della terza regia, Roma città libera (il cui titolo iniziale fu La nuit porte conseil): un’opera intimista e corale, a tratti comica, ma anche amara, sul disagio sociale del secondo dopoguerra capitolino. La pellicola – tratta da un soggetto originale di Ennio Flaiano, sceneggiata da Suso Cecchi d’Amico, Marcello Marchesi, Cesare Zavattini e interpretata, tra gli altri, da Valentina Cortese, Andrea Checchi e Vittorio De Sica – fu apprezzata più all’estero (premiata nel 1949 al Festival du film maudit, organizzato a Biarritz da André Bazin e Jean Cocteau) che in patria, dove ricevette un’accoglienza distratta, nonostante il Nastro d’Argento conferito nel 1948 dal Sindacato nazionale giornalisti cinematografici italiano.
Nel 1947 si separò legalmente dalla moglie Guendalina Castelluccio, dalla quale aveva avuto un figlio e che fu accolta dai genitori Pagliero nella loro elegante casa romana, mentre il regista, in cerca di fortuna Oltralpe, per un po’ provvide al loro mantenimento.
Nel 1951 la morte del padre, per un infarto, fece precipitare la condizione economica della famiglia. La madre rimase sola con la domestica e dama di compagnia di sempre, Elide Fiori, mentre la nuora dovette trovarsi un impiego. Gli aiuti e le notizie da parte del cineasta, anch’egli in difficoltà economiche e creative, si fecero sempre più rari e diradati fino al totale silenzio e alla completa sparizione.
La morte della madre – suicidatasi nel 1958, nel mare di Ostia, a causa delle indigenti condizioni di vita e senza che il figlio, da tempo lontano, ne fosse davvero a conoscenza – fu all’origine dell’infamante accusa di mancata assistenza, dalla quale fu scagionato solo nel 1963.
A cavallo tra gli anni Quaranta e Cinquanta Pagliero aveva deciso – pur continuando a collaborare con Rossellini per il soggetto di Paisà (1946) e a recitare ne L’altra (1949) di Carlo Ludovico Bragaglia – di trasferirsi in Francia.
Qui aveva alternato interpretazioni alla Jean Gabin (in Les jeux sont faits/Risorgere per amare, 1947, Jean Delannoy; Dédée d’Anvers, 1947, Yves Allégret; La voix du rêve, 1948, Jean-Paul Paulin; Tourbillon/Turbine, 1952, Alfred Rode) con regie raffinate e intelligenti, miste di esistenzialismo e naturalismo francese, ma anche di noir hollywoodiano.
Tra queste: Un homme marche dans la ville (Un uomo cammina nella città, 1950), pellicola ambientata a Le Havre, e boicottata dal sindacato nazionale per l’amoralità adulterina dell’operaio-protagonista; La rose rouge (La rosa rossa, 1951), una sorta di burlesque; ma soprattutto Les amants de Bras-Mort (Gli amanti del fiume, 1951) e La p… respecteuse (La mondana rispettosa, 1952). Nel primo film Pagliero si rivelò abile narratore e documentarista, mentre nel secondo – codiretto con Charles Brabant e tratto da una pièce teatrale di Jean-Paul Sartre – riuscì a calarsi nell’esistenzialismo sartriano, mescolando alla grande scuola cinematografica francese le tematiche razziste della società statunitense.
Quale «figura di confine» (Morreale, 2011, p. 68), nel 1954, durante un breve periodo in Italia, diresse due melò modernisti e antiborghesi, Vestire gli ignudi (tratto da Luigi Pirandello) e Vergine moderna. Sceneggiati entrambi da Flaiano, vi riuscì a trasporre – ancora una volta – le influenze originarie del neorealismo cinematografico italiano con quelle adottive del realismo poetico filmografico d’Oltralpe. Ma già nel 1953 aveva girato in Italia l’episodio Elisabeth di Destinées (Destini di donne), con attrici del calibro di Claudette Colbert ed Eleonora Rossi Drago. Nello stesso 1953 effettuò poi la sua prima e unica messinscena teatrale da La mandragola di Niccolò Machiavelli, di cui curò la regia assieme a Luciano Lucignani e che debuttò al teatro delle Arti a Roma con la compagnia degli Spettatori Italiani, annoverando Sergio Tofano nel ruolo di Messer Nicia.
Proseguì ancora in Francia con la duplice attività recitativa – in Seven thunders (La casbah di Marsiglia, 1957) di Hugo Fregonese e in La bel âge (La dolce età, 1958) di Pierre Kast – e registica con Chéri-Bibi (Chéri-Bibi, il forzato della Guiana, 1954).
Sia pure brevemente, fece altre esperienze cinematografiche all’estero: prima in Australia con L’Odyssée du Capitaine Steve (Tesoro nero, 1956, alla lavorazione del quale presero parte vere tribù indigene), poi nel 1960 in Unione Sovietica con Vingt mille lieues sur la terre e, quindi, quello che fu il suo ultimo film Leon Garros iščet druga (Leon Garros cerca l’amico), mai distribuito.
Spostò infine il suo interesse dal grande al piccolo schermo facendo nel 1964 una breve incursione nel mondo della televisione francese, per poi ritirarsi a vita privata, al termine di un percorso artistico irregolare, ma geniale.
Morì a Parigi il 9 dicembre 1980.
Fonti e Bibl.: Materiali a Roma, Archivio della Biblioteca Luigi Chiarini del Centro Sperimentale di Cinematografia e in particolare nell’Archivio Rossellini, ros. 01.001.20.2 e 01.001.20.3. P. Jacchia, Il festival di Knokke Le-Zoute, in Filmcritica, 1951, n. 8, p. 111; E. Bruno, I film della Mostra, ibid., 1952, n. 17, pp. 104 s.; R. Pilati, M. P.ou le malentendu, in Cahiers du Cinéma, 1952, n. 9, pp. 43-46; F. Rocco, Gli amanti del fiume. I film, in Rassegna del film, 1953, n. 15, pp. 28 s.; L. Lucignani, Con i classici non si scherza, in Cinema nuovo, 1954, n. 41, pp. 117-119; G. Calendoli, La p… respecteuse, in Id., Film 1953-1954, Roma 1955, pp. 246-249; L’atroce dramma della madre di Pagliero, in Stampa sera, 31 marzo 1958, p. 8; Pagliero denunciato all’A. G., in L’Unità, 13 aprile 1958, p. 4; Si giranell’Urss.Notizie, in Cinema nuovo, 1959, n. 140, p. 301; M. Quargnolo - L. Autera, P. M., in Filmlexicon degli autori e delle opere, Roma 1962, pp. 241-243; Il regista P. pienamente scagionato per il suicidio della madre, in Stampa sera, 21 marzo 1963, p. 5; G. Rondolino, Roberto Rossellini, Torino 1989, p. 19; S. Giuseppini, Locarno: la morale del ladro, in Cinema e cinema, 1986, n. 47, pp. 22 s.; P. Billard, M. P., in Id., L’âge classique du cinéma français. Du cinéma classique à la Nouvelle Vague, Paris 1995, pp. 493-495; O. Caldiron - E. Girlanda - P. Pissarra, P. M., in F. Di Giammatteo, Nuovo Dizionario universale del cinema, Roma 1996, pp. 983 s.; C. Cosulich, In viaggio dal fascismo all’antifascismo, in Storia del cinema italiano, VII, 1945-1948, a cura di C. Cosulich, Venezia-Roma 2003, pp. 37-57; L. Gaiardoni, “Giorni di gloria”: la memoria della Resistenza,ibid., pp. 130 s.; G. De Vincenti, Gli esordi: De Santis, P., Germi, Comencini, ibid., pp. 227-242, ; S. Pellino, P. M., in Enc. del cinema, Roma 2004, pp. 355 s.; E. Morreale, Così piangevano. Il cinema melò nell’Italia degli anni Cinquanta, Roma 2011, p. 58; per indicazioni sulla filmografia si veda anche il sito www.imdb.com.