CONTARINI, Marcantonio
Nato verso il 1485 da Carlo di Sebastiano, del ramo di S. Felice, e da una Badoer, parente dei doge Leonardo Loredan, il C. presenta una biografia che, proprio a partire dalla sua generazione, s'incontra sempre più frequentemente tra i rampolli delle più ricche e influenti famiglie della classe dirigente veneziana. Mancano notizie della sua giovinezza. Secondo un biografo, nella guerra contro l'imperatore andò con trenta uomini a sue spese alla difesa di Padova: dunque nel 1509, o, più probabilmente, nel 1514. Non risulta che egli abbia impegnato i suoi anni giovanili nella pratica della mercatura, come sino allora richiedeva Peducazione del perfetto patrizio veneziano. La sua vita sembra piuttosto votata in giovinezza agli studi letterari e filosofici: una preparazione alla carriera pubblica perfezionata con un lungo viaggio all'estero, compiuto trentenne al seguito del cognato Piero Pasqualigo, ambasciatore in Francia, toccando Avignone, Lione, Parigi, e di qui spingendosi per suo conto a Lovanio, Lilla, Gand, Anversa, forse anche in Inghilterra.
Le sue lettere, vivaci e colorite, indirizzate in questo periodo, tra gennaio e luglio 1515, all'amico Maffeo Lion e al fratello Battista - e riportate integralmente o in sommario nei Diarii del Sanuto - sono una ricca testimonianza di quegli interessi intellettuali diffusi nella classe dirigente veneziana, che tanto concorsero a formare, proprio in quegli anni, il modello della classica relazione degli ambasciatori veneziani.
La sua lettera del 29 marzo al Lion ha già lo stile d'una relazione e in parte ne ripropone lo schema, soffermandosi sulla corte di Parigi, sul re, sullo Studio. Ad Anversa (lettera del 14 luglio) osserva con viva preoccupazione la grande quantità di mercanzie e di spezie affluenti su quel mercato, scrivendo con le lacrime agli occhi "veh vobis", ed informando sui prezzi correnti. La vivacità degli interessi, l'acume dell'osservatore, il gusto della descrizione si ritroveranno poi sempre nelle relazioni come nelle numerose lettere scritte dalle diverse città di cui fu rettore e durante le importanti missioni diplomatiche sostenute nel corso della sua intensa carriera politica, e conservateci dal Sanuto e nell'Archivio dei Frari. Indizio certo di un'apertura mentale e di una ricchezza spirituale che affondavano le radicì in una cultura forse non profonda ma neppure occasionale.
Non si addottorò, come erroneamente scrive il Cicogna, ma certo frequentava i circoli colti di Padova e Venezia. Aniico di umanisti come Girolamo Fracastoro, Giovambattista Ramusio, Marco Masuro e Marino Becichemo, che gli dedicò nel 1504 l'ediz. bresciana di alcuni suoi scritti, quando nel 1538-40 fu podestà di Padova protesse e favorì gli studi anatomici di Andrea Vesalio, procurando che gli fossero posti a disposizione i cadaveri necessari per i suoi esperimenti. E durante quel suo viaggio all'estero del 1515 ricercava assiduamente alcune opere di Cicerone che non si trovavano inItalia. Secondo alcuni biografi scrisse un trattato intitolato Speculum morale philosophorum e un commento alla Politica di Aristotele, che non ci sono pervenuti.
Dalla Francia il C. ritornava in Italia nell'agosto del 1515 seguendo l'esercito di Francesco I, alleato dei Veneziani. Il 4 agosto era a Grenoble, il 29 a Vercelli. Fu così presente alla battaglia di Melegnano (113-14 sett. 1515), alla quale però non prese parte, e ne diede ampia e vivace narrazione in alcune lettere (Sanuto, XXI, coll. 83-85, 115-117, 140-10). Ritornò quindi a Venezia, dove nel dicembre 1516 fu eletto avogadore di Comun straordinario, grazie anche all'esborso di 1.000 ducati (800 a prestito e 200 in "dono") alla Repubblica, assumendo la carica il 29 luglio 1517, e conservandola fino a quando, il 19 apr. 1519, divenne avogadore ordinario. Del grande rigore. con cui esercitò il delicato ufficio sono testimonianza diverse sue "intromissioni" contro proposte di legge e procedure irregolari.
Dal luglio 1523 al novembre 1524 fu podestà di Vicenza. Mentre esercitava tale ufficio fu incriminato dal Consiglio dei dieci, assieme all'amico Maffeo Lion (che per altra vicenda nel 1540 sarà condannato con infamia per tradimento), per aver ordinato il rilascio di un vicentinoarrestato dietro ordine della Quarantia. Dovette presentarsi il 22 ag. 1524 ai Dieci e restare in carcere per una settimana, finché i due furono prosciolti da ogni accusa, e il C. poté ritornare a Vicenza per compiervi il suo mandato.
Al termine presentò una relazione scritta, che è anche la prima della serie delle relazioni dei rettori di Vicenza. Nitida ed essenziale, la relazione del C. è tutta volta ad illustrare alcuni problemi di rilevante importanza - la difesa delle giurisdizioni della città contro le usurpazioni dei confinanti, la situazione finanziaria della Camera fiscale e della Comunità, i mercati e i contrabbandi, l'amministrazione della giustizia - suggerendo alcuni interventi al Senato; ma non ha ancora quel respiro culturale e politico, quell'ampiezza e organicità di visione, che le relazioni dei rettori, diversamente da quelle degli ambasciatori, raggiungeranno soltanto nel Cinquecento inoltrato.
Il 7 maggio 1527 fu eletto luogotenente della Patria del Friuli, avendo offerto alla Repubblica 1.000 ducati, ma assunse la carica due anni più tardi, alla fine di maggio del 1529, portandola a compimento al principio dell'ottobre 1530. Di questo reggimento non esiste la relazione, ma ci restano numerose lettere riportate dal Sanuto (nei voll. L-LIII) e conservate nell'Archivio di Stato di Venezia, da cui risulta che in quel periodo le sue cure furono quasi interamente assorbite dal compito di seguire attentamente i movimenti dell'esercito turco impegnato nella guerra contro l'Austria e nell'assedio di Vienna, e di apprestare le difese militari atte a fronteggiare la minaccia d'un attacco turco. Ebbe modo tuttavia di dirimere anche alcune vertenze di confine con gli arciduchi e di far eseguire alcuni lavori di abbellimento ai monumenti cittadini.
Ritornato a Venezia il 6 ott. 1530, Ottenne finalmente, il 13 giugno 1531, con l'elezione a oratore presso Carlo V, il primo incarico diplomatico, al quale aspirava da tempo, come dimostra la sua frequente partecipazione negli anni precedenti a numerosi scrutini per la nomina di ambasciatori.
Fu una lunga e avventurosa missione diplomatica, che per quasi cinque anni lo condusse attraverso l'Europa, seguendo nelle sue peregrinazioni la corte imperiale, e lo fece testimone e talvolta protagonista di vicende politiche e militari di importanza storica. L'Estratto, che in realtà è solo un sommario della sua relazione, ci fa rimpiangere il testo integrale perduto; ma in compenso la prima parte della sua missione, fino al settembre del 1533, è documentata dai numerosi dispacci riportati nei Diarii del Sanuto, fitti di notizie sui paesi che formavano il vasto impero di Carlo V - dalla Germania alla Spagna, alle Indie Occidentali, al Regno di Napoli - e sugli avvenimenti politici e militari, informatissime, acute e colorite, come sempre, specchio d'uno spirito colto ed aperto.
Partito il 27 nov. 1531. per la via di Trento e Verona raggiunse Innsbruck, da dove, dopo una lunga sosta presso la corte di Ferdinando re dei. Romani, ripartì nel febbraio 1532 raggiungendo a Ratisbona l'imperatore. Qui si affiancò al predecessore Niccolò Tiepolo, seguendo i lavori della Dieta e affrontando assieme al collega la sua prima trattativa con Carlo V su quello che costituirà il problema principale e ricorrente durante tutta la lunga missione: fronteggiare le pressioni dell'imperatore volte a coinvolgere Venezia in una lega che, venendosi a contrapporre all'alleanza antiasburgica esistente di fatto dal 1526 tra Francesco I e Solimano il Magnifico, rischiava di attirare contro Venezia non soltanto il temibile esercito francese, ma anche e soprattutto i Turchi.
Preoccupata di non correre l'alea d'un conflitto su due fronti, nel quale i suoi possedimenti marittimi e i suoi interessi commerciali si sarebbero trovati esposti in prima linea pagando il prezzo più alto, la Serenissima opponeva un fermo e costante rifiuto alle avances imperiali, adducendo appunto la volontà di non incrinare la precaria pace con il sultano offxendogli validi motivi di sospetto. Compito principale non facile, ma perseguito con successo dal C. durante la sua ambasceria, fu quello di far accettare all'imperatore, senza attirarsene la collera, la politica di neutralità abbracciata dalla Repubblica.
Partito il Tiepolo, il C. seguì Carlo V a Vienna (settembre 1532) e di qui in Italia, attraverso il territorio veneto. Il C. ne approfittò per sottoporsi a Padova ad un consulto medico per un dolore all'emitorace sinistro, "loco pericolosissimo", e per una parziale perdita visiva dell'occhio destro. In novembre raggiunse Carlo V a Verona, e lo seguì quindi a Mantova e a Bologna (16 dic. 1532), partecipando al secondo convegno svoltosi nella città emiliana tra Carlo V e Clemente VII (dicembre 1532-febbraio 1533), nel quale, assieme a Marcantonio Venier, ambasciatore veneto presso il papa, rappresentò la prudente politica veneziana di disimpegno, con tutto il prestigio e l'efficacia, che gli venivano dalla stima di cui godeva alla corte imperiale e presso Carlo V.
Secondo il solito, le sue lettere, assieme alle informazioni politiche, contengono colorite descrizioni delle feste e delle cacce organizzate in onore degli ospiti; e poi del viaggio, come sempre in quei tempi avventuroso, che per la via di Milano e Genova, e poi con una navigazione durata diciotto giorni, toccando Marsiglia, lo condusse sino a Barcellona, dove giunse il 26 aprile. In Spagna soggiornò a lungo, tra Barcellona e Monzón, informando la Repubblica dei preparativi e delle vicende della spedizione di Tunisi, respingendo con accorta fermezza le pressioni intese a coinvolgere Venezia nell'impresa, e trattando altri affari, tra i quali la concessione di tratte per l'esportazione di grano dalla Sicilia.
Nel gennaio-febbraio 1536 lo troviamo a Napoli, sempre al seguito dell'imperatore, dove sottoscrive per conto di Venezia, assieme al successore Giovanni Antonio Venier, la conferma del trattato di Bologna del 23 dic. 1529. Nel congedarlo, Carlo.V lo fece cavaliere con privilegio delle aquile, che poi levò nel mezzo del suo stemma.
Poco dopo il ritorno in patria, nello stesso 1536, il C. fu eletto ambasciatore presso il papa Paolo III. Ricevuta la "commissione" dal Senato il 15 genn. 1537, raggiunse la nuova sede il 27 gennaio, sostituendovi Lorenzo Bragadin. I primi mesi della missione furono quasi interamente assorbiti dalle consuete controversie giurisdizionali tra la Serenissima e la S. Sede, rese allora più acute dall'energica politica di Paolo III in difesa dei diritti ecclesiastici. Ma l'attacco dei Turchi contro Corfù (agosto 15371, che trascinava Venezia in un nuovo conflitto nel Levante, faceva assumere al C. un ruolo di protagonista nelle trattative intese a concludere una lega fra le potenze cristiane contro l'Impero ottomano.
Trattative assai delicate, perché Venezia, nonostante l'aperta rottura delle ostilità da parte turca, non intendeva chiudere la strada ad un componimento del conflitto, impegnandosi in una lega generale, se prima non avesse ottenuto adeguate garanzie di partecipazione militare da parte di Carlo V. In questo senso le istruzioni del Senato (19 ottobre) erano esplicite, ma il C., più incline alla guerra, sì era lasciato andare subito a dichiarazioni troppo impegnative e compromettenti, che andavano oltre il mandato ricevuto. Tanto che a metà novembre, mentre il Senato, irritato e preoccupato per il ritardo della risposta imperiale alle sue richieste, soltanto per pochi voti aveva soprasseduto alla decisione di inviare subito ambasciatori a Costantinopoli per intavolare immediate trattative di pace con il sultano, mancò poco che il C. fosse revocato, "con non poca ruina sua". Soltanto l'intervento di un senatore, riferisce il nunzio pontificio a Venezia, che si era levato ad ammonire "che adesso non erano tempi da far simili effetti", aveva evitato una così drastica sconfessione dell'ambasciatore. Manifestatosi infine l'impegno di Carlo V e superate le perplessità di Venezia, il C. poté sottoscrivere il trattato di alleanza con il papa, con l'imperatore e con Ferdinando re dei Romani (8 febbr. 1538).Nel maggio-giugno 1538, insieme con gli inviati straordinari della Repubblica e con altri ambasciatori veneti accreditati presso i principi partecipanti all'incontro, intervenne al convegno di Nizza, prestando attiva opera di mediazione nelle difficili trattative avviate da Paolo III allo scopo di comporre il conflitto franco-imperiale. La tregua di Nizza fra Carlo V e Francesco I consentiva di guardare con migliori speranze all'impresa contro i Turchi. Il 3 novembre il C. poteva sottoscrivere a Roma per conto della Serenissima un trattato aggiuntivo che prevedeva l'aumento delle forze militari dei collegati, avendo l'imperatore manifestato l'intenzione di partecipare di persona alla spedizione. Ma la mancata pace con la Francia, mantenendo in sospetto Carlo V nonostante la tregua, doveva impedirne un adeguato sforzo militare, compromettendo l'esito della guerra. Il C. visse a Roma i giorni amari della crisi dopo lo scontro navale di Prevesa (25-27 sett. 1538), ma non dovette affrontare la fase più difficile e drammatica del conflitto e della pace separata alla quale Venezia si vide costretta. li disimpegno di Andrea Doria alla Prevesa non poteva che confermare le radicate diffidenze nutrite da Venezia verso la lealtà di Carlo V nell'impresa e i suoi timori di trovarsi praticamente sola contro il Turco. È sintomatico che appena due settimane dopo, il 10 ottobre, il Senato eleggesse Giovanni Basadonna nuovo ambasciatore presso il papa in luogo del C., probabilmente giudicato troppo deciso assertore della lega, o comunque personalmente compromesso nell'indirizzo politico che s'intendeva correggere. Il Basadonna giunse a Roma il 29 marzo 1539, ed il C. poté lasciare la corte papale verso la fine dì maggio, dopo ventotto mesi, secondo quanto egli afferma nel sommario della sua relazione al Senato riportato nei Commentari del Longo.
Appena ritornato in patria fu inviato alla podesteria di Padova, che resse per tutto il 1540. Il 19 luglio 1541 fu eletto tra i quattro ambasciatori straordinari che nel mese successivo accompagnarono Carlo'V attraverso il territorio della Repubblica nel corso del suo viaggio da Ratisbona a Lucca per incontrarsi con il papa: Eletto infine duca di Candia, due giorni prima della partenza dettava l'8 sett. 1544 il suo testamento, disponendo d'essere sepolto "con quella menor pompa che possibil sii" e, se fosse morto lontano da Venezia, nel luogo stesso della morte.
Morì a Candia il 14 ag. 1546, senza lasciare discendenza.
Di due medaglie con la sua effigie, una coniata dagli Udinesi nel 1530, l'altra dai Padovani nel 1540 in suo onore, dà notizia il Cicogna. Va pure ricordato che il C., podestà di Padova, figura tra gli interlocutori del dialogo di Giovanni Maria Memmo, L'oratore (Venezia 1545).
Fonti e Bibl.: Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Cod. Cicogna 3781: G. Priuli, Preriosi frutti del Maggior Consiglio, I, cc. 174v-175r; Arch. di Stato di Venezia, Miscell. codd., I, Storia ven., 18: M. Barbaro, Arbori de' patritii veneti, II, p. 484; Ibid., Capi del Consiglio dei dieci, Lettere dei rettori, busta 81, ff. 229, 231, 235, 237 (Padova); busta 169, ff. 237-240 (Udine); busta 223, ff. 111-112 (Vicenza); Ibid., Sez. notarile, Testamenti Marsilio, busta 1211, n. 752 (testamento). La fonte principale è costituita da M. Sanuto, Diarii, Venezia 1879-1903, XIX-XXXVI, XXXVIII-XXXIX, XLI, XLV-LVIII, ad Indices. Per la prima missione presso Carlo V, oltre ai numerosi dispacci riportati nel Sanuto, Arch. di Stato di Venezia, Senato, Secreta, Arch. propri, Germania, busta 1a, ff. 10-13, 16, ed inoltre Nuntiaturborichie aus Deutschiand, 1, 2, a cura di G. Miller, Tübingen 1969, ad Indicem;l'Estratto della Relatione di Germania in Relationen venerianischer Botschafter über Deutschiand und Österreich im sechzehnten Jahrhundert, a cura di J. Fiedler, Wien 1870, pp. 5-10. Per l'ambasciata romana e il convegno di Nizza: la commiss. in Arch. di Stato di Venezia, Senato. Secreta, reg. 57, c. 94r, 15 genn. 1536 (m. v.); Nunziature di Venezia, II, a cura di F. Gaeta, Roma 1960, pp. 114-116, 120, 124-126, 133, e quindi ad Indicem (le pp. qui citate sono erroneamente riferite al predecessore Lorenzo Bragadin nell'indice dei nomi); Venetianische Depeschen vom Kaiserhofe, I, Wien 1889, pp. 16-171; Nuntiaturberichte aus Deutschland..., a cura di W. Friedensburg, I, Gotha 1892, passim; il sommario della relazione, tratto dai Commentari del Longo, è pubblicato in L. von Pastor, Storia dei papi, V, Roma 1942, pp. 801-802. Altri documenti dell'attività diplom. del C. in I libri commemoriali della Rap. di Venezia, Regesti, a cura di R. Predelli, VII, Venezia 1903, pp. 226-228, 230232, 234. La relaz. di Vicenza in Relazioni dei rettori veneti in Terraferma, VII, Podesteria e capitanato di Vicenza, a cura di A. Tagliaferri, Milano 1976, pp. 3-6. Altre notizie in P. Paruta. Historia Venetiana, Venezia 1605, pp. 555, 741; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni Venez., Venezia 1824-53, II, p. 519; VI, pp. 307-308; M. E. Cosenza, Biographical and Bibliographical Dictionary of the Italian Humanists..., Boston 1962, II, p. 1085; C. Capasso, La polit. di Papa Paolo III e l'Italia, I, Bologna 1902, passim; L. Thomdike, A History of magic and experimental Science, V, New York 1959, pp. 524-525; C. Singer, M. C., Official of the Venerian Republic and Patron of Dissection, in Journal of the Hist. of Medicine and allied Sciences, V (1950), pp. 209 s.