BUSENELLO, Marcantonio
Nacque a Venezia nel 1589 da Alessandro (1559-1629) e da Laura Muscorno (1562-1648); ebbe un fratello, Giovanni Francesco, il poeta, e tre sorelle, destinate al velo, due delle quali, suor Alessandra e Faustina, risultavano nel 1651 nel convento veneziano di S. Lucia, e la terza, suor Alessandra, in quello padovano di Ognissanti. La famiglia, appartenente all'ordine cittadino, vantava - come ricorda lo stesso B. in una sua supplica al doge e al Consiglio dei dieci - "lunghissima serie di honorati maggiori, che dall'anno 1152 han continuamente all'Eccellenze Vostre servito". In particolare il bisnonno e il nonno, Marcantonio, erano "morti... secretarii" del Senato, lo zio Gian Francesco finì i suoi giorni a Palma nel 1616 ov'era segretario, e il padre, straordinario di cancelleria il 23 sett. 1577, divenne segretario dei Pregadi il 18 aprile del 1618.
Di tale illustre tradizione il B. fu la personalità di maggior rilievo. Approvato come cittadino originario nel 1606, l'anno seguente figura scrivano e successivamente decano della Scuola grande della Misericordia, e, il 23 luglio, è ammesso nella cancelleria ducale. Ha inizio così la sua intensa attività: in una lettera da Mantova al Senato dell'11 luglio 1629 il B. poteva già vantare "vinti servitii, specialmente undeci volte con... generali in armata di mar e di terra, in Lombardia e in Friul". Nel 1609-1612 fa a Roma, coadiutore dell'ambasciatore Giovanni Mocenigo e, morto il segretario Pietro Bartoli, ne assunse le funzioni. Nel 1617, nel corso del conflitto gradiscano, è al seguito di Nicolò Contarini provveditore in campo e, dal febbraio 1620 al febbraio 1621, segretario di Andrea Paruta, provveditore oltre il Mincio e "sopra la revisione e regolazione delle ordinanze dello stato di Terraferma"; all'inizio d'agosto del 1620 si recò presso i Grigioni in temporanea sostituzione del residente Moderante Scaramelli, allora ammalato. Ordinario di cancelleria il 30 maggio 1622, nell'autunno del 1623 accompagnò a Roma, in veste di segretario, l'ambasciatore Pietro Contarini, rientrando però a Venezia "dopo 16 mesi di suo diligente servizio... a riaversi delle indisposizioni... che lungamente l'hanno travagliato"; egli si era comunque già "fatto... conoscer non solo atto a simile, ma ad altri maggiori servizi ancora".
Riconosciute le sue capacità con la nomina, del 4 maggio 1628, di segretario dei Pregadi, venne inviato residente a Mantova ove rimase dal gennaio del 1629 all'ottobre del 1630.
Le sue 713 lettere al Senato (seriamente deteriorati sono, all'Archivio di Venezia, gli, originali dalla 312 alla 505), con le quali aveva, "di giorno in giorno, anzi di hora in hora... significato tutto", costituiscono una drammatica testimonianza dell'agonia e della rovina della città: i progressi delle armi imperiali dalla presa di Torre e Bocca d'Oglio, Gazzuolo, Goito e dal primo assedio del dicembre 1629 via via sino alla sconfitta di Villabuona e all'assalto decisivo; il serpeggiare della peste da "qualche carbone molto maligno, ma non però contaggioso", sì che i medici non lo chiamano "male pestilenziale", sino al suo pieno inequivocabile manifestarsi; gli orrori del sacco compiuto da "barbari huomeni pieni di rabbia e di dissolutione, che altra lingua in favella italiana non havevano ch'oro e danaro".
Grandi le responsabilità del B., cui competeva, anche, l'erogazione delle ingenti somme inviate dalla Serenissima a sostegno dei Gonzaga-Nevers: ma egli tendeva a lesinare, tanto che il rappresentante mantovano a Venezia, Girolamo Parma, poteva affermare che "la liberalità della... Repubblica viene assai modificata dal Ministro". La ostinazione del B. inoltre nel pagare le milizie con scadente moneta mantovana anziché veneta era causa tutt'altro che secondaria di sempre più numerose e massicce diserzioni. Frequenti gli attriti con Carlo I che, il 30 apr. 1630, chiese addirittura, peraltro invano, al doge l'invio d'un altro rappresentante. Il B. d'altronde non era che l'espressione dell'indecisa e timorosa politica veneziana, l'esaltatore del suo maldestro e fiacco apporto bellico, il difensore d'ufficio delle decisioni dei suoi comandanti, Zaccaria Sagredo e Francesco Erizzo, inetti sino alla viltà.
Per poco scampato alla peste ("doppo aver feriti et sepolti undeci della mia casa, colpì me medesimo con tre carboni, nel mezo della cura de' quali morì il fisico et il chirurgo che mi assistevano"), il 19 luglio 1630 in occasione della presa della città fu catturato, secondo il suo giudizio perché non avvisato dal duca di recarsi "a Porto", ove lo si sarebbe lasciato passare. "Spogliato di tutto", senza nemmeno "una camisa" per cambiarsi, fu tenuto prigioniero per 100 giorni "e nelle carceri usato di ogni oltraggio"; per fortuna riuscì a sottrarre al nemico la "cifra" inghiottendola, mentre gli fu tolto anche il denaro che aveva "con una cintura quasi incarnato con il... corpo". Fu liberato il 24 ott. 1630.
Nella relazione del 4 febbr. 1631 sostenne che Mantova non era "caduta in dominio de gli Imperiali per virtù de' capitani o per numero de' loro soldati, né meno per debolezza de' defensori, ma per esser stata surpresa per tradimento con la secreta intelligenza che con alcuni... servidori del signor duca haveva l'Aldingher", in contatto persino con "alcun altro huomo primario della stessa casa Gonzaga". Né esitava nel coinvolgere nell'accusa persino il duca: "nissuna persona più di Sua Altezza ha giugulato la salvezza di quella città con negligere ogni cura et con lasciar ogni cosa raccomandata a i più perfidi e più avidi ministri e a i più iniqui vassalli suoi, in somma conculcando ogni bene et accellerando ogni male in tutti i generi delle cose". Ben diverso, naturalmente, il giudizio da parte mantovana: "portava il nostro fato che la bestialità et malignità del Residente", cioè il B., "il poco cuore dei capi di guerra della Repubblica concorressero tutti alla caduta di Mantova" scriveva il conte V. Cuffini, segretario di camera del Gonzaga-Nevers.
Eletto, ancora il 14 sett. 1630, segretario del Consiglio dei dieci, segretario alle Leggi nel 1638-40 e segretario nel 1645 degli ambasciatori straordinari a Roma Piero Foscarini, Alvise Mocenigo, Giovanni Nani e Bertuccio Valier, il B., con la nomina a cancellier grande del 1º sett. 1646, giunse al vertice degli onori concessi dalla Serenissima a un cittadino. Oggetto della pubblica stima, sensibile all'alone d'eroismo conferitogli dalla prigione mantovana, condusse nel frattempo una vita dispendiosa e raffinata nel palazzo di S. Croce sul Canal Grande che aveva ereditato dal padre.
Poteva d'altronde concedersela ché era "munito et commodo di beni di fortuna", com'era scritto nel testamento della madre favorevole, per questo, al fratello, date le "sue deboli fortune". Il B. era un appassionato collezionista di cose d'arte e aveva, tra l'altro, come apprendiamo dalle sue disposizioni testamentarie, "quadri grandi che sono una Madonna di Zambellino, un S. Pietro di Giacomo Tentoretto il vecchio, due altre Madone, S. Sebastian S. Giovanni Battista S. Rocco di Domenico Tintoretto suo figlio, un Angelo custode et un Ecce homo del medesimo, 6 ritratti pur dell'istesso, il suo di gran cancellier fatto dal valorosissimo Gerolamo Ferrabosco venetiano".
Morì intorno al 10-12 marzo 1651 e l'orazione funebre fu tenuta il 15, nella basilica di S. Marco, da Diego Michele Colomera.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Senato,Terra, reg. 101, c. 221; Ibid., Senato. Dispacci provveditori da terra e da mar, filza 168, lett. n. 19 di Andrea Paruta del 9 ag. 1620; Ibid., Cancellier Grande. Ordini della Cancelleria ducale, I (1554-1558),ad vocem e II (1638-1657),passim;Ibid., Consiglio dei X. Comune, reg. 91, c. 6v; Venezia, Civico Museo Correr, mss. P. D. 679 C/XI, originale della Relazione di Mantova, del B., presentata il 3 e letta il 4 febbr. 1631; Ibid., mss. P. D. 693 C/VI, Testamento del B. del 27 ott. 1650; Relazioni degli stati europei lette al Senato dagli ambasciatori veneti nel secolo decimosettimo, a cura di N. Barozzi e G. Berchet, s. 3, I, Venezia 1877, pp. 110, 219, 251; II, ibid. 1978, p. 59; Calendar of State papers and manuscripts relating to English affairs... Venice, XI, a cura di H. F. Brown, London 1904, p. 262 n. 482; XXI, a cura di A. B. ffinds, ibid. 1916, p. 511 n. 716; XXI, a cura di A. B. Hinds, ibid. 1919, p. 48 s. n. 67, 79 n. 112, 158 n. 200, 369 n. 451; Dispacci degli ambasc. veneti al Senato,Indice, Roma 1959, pp. 157, 313; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, VII, Venezia 1858, pp. 296, 301; A. Livingston, La vita veneziana nelle opere di Gian Francesco Busenello, Venezia 1913, passim;R. Quazza, La guerra per la successione di Mantova e del Monferrato (1628-1631), I-II, Mantova 1926, passim;Id., Ilsacco di Mantova (18-21 luglio 1630), in Convivium, II (1930), p. 899; Id., Mantova attraverso i secoli, Mantova 1933, pp. 181 s., 185 s., 197, 202; Id., Preponderanza spagnuola (1559-1700), Roma 1950, pp. 466, 469; R. Morozzo della Rocca-M. F. Tiepolo, Cronologia veneziana del Seicento, in La civiltà veneziana nell'età barocca, Firenze 1959, pp. 281, 289.