LUZZASCHI, Luzzasco
Nacque a Ferrara, probabilmente nel 1545.
Non essendo stato rinvenuto l'atto di battesimo, l'anno di nascita si desume dal fatto che morì nel 1607 all'età di sessantadue anni. Secondo Merenda (pp. 218 s.), la famiglia dei Luzzaschi, "honorata et antica", era originaria del Bergamasco: Paolo fu al servizio dei Gonzaga come capitano fino al termine della sua lunga esistenza; Andrea, mercante, venne ad abitare a Ferrara al tempo di Alfonso I: da lui discende il nipote "Luzasco homo delli primi d'Italia nella sua professione".
La prima fase della formazione musicale del L. fu certamente segnata dal rapporto che lo legò con due personalità di grande rilievo: Cipriano de Rore e Jacques Brumel. La relazione con il primo si evince da una lettera inviata dal L. al cardinale Federico Borromeo nel 1606, in cui si dichiara discepolo di Cipriano e custode della sua "cartella", su cui il maestro "scriveva le compositioni fatte prima da lui a mente, com'era sempre suo costume" (Cavicchi, 1965, pp. 7 s.); con la lettera, infatti, il L. inviò al cardinale Borromeo la preziosa cartella, che aveva ricevuto in dono da De Rore, quando questi aveva lasciato Ferrara nel 1557 e che oggi è conservata fra i manoscritti appartenuti al cardinale milanese e poi confluiti nella Biblioteca Ambrosiana di Milano da lui stesso fondata. La cartella donata al L., segno della predilezione di De Rore verso il giovanissimo allievo, costituisce una preziosa e pressoché unica testimonianza della tecnica compositiva cinquecentesca, rimasta a lungo quasi del tutto ignorata (Owens, 1997).
Il rapporto del L. con Brumel, pur non provato da una inoppugnabile documentazione, può ritenersi, quantomeno, di ideale discepolato, ed è da collegarsi alla comune appartenenza dei due alla cappella ducale di Ferrara. In questa istituzione il L. era entrato fin dal 1561 come cantore; tre anni dopo, alla morte di Brumel, gli succedette nella carica di primo organista (Solerti, p. 122).
Non del tutto estraneo alla sua formazione musicale potrebbe essere stato Alfonso Dalla Viola al quale il L. subentrò, prima del 1570, nella direzione della "musica segreta", forma elitaria di fruizione musicale riservata al duca e a una ristretta cerchia di intenditori.
L'esordio sulla scena pubblica del L. avvenne con la stampa del Primo libro di ricercari (Venezia 1570 circa), oggi perduto, di cui dà notizia lo stampatore Gardano. In ossequio a una consolidata prassi, il L. scelse per la sua prima opera stampata un genere radicato nella tradizione, che gli consentiva di testimoniare sia l'assimilazione delle tecniche sia la fecondità dell'inventio musicale. L'anno seguente è la volta del suo Primo libro de' madrigali( a cinque voci (Ferrara, F. de' Rossi, 1571), dedicato a Lucrezia d'Este Della Rovere, principessa d'Urbino, cui seguirà il Secondo libro de' madrigali a cinque voci (Venezia, A. Gardano, 1576) dedicato a Leonora d'Este.
Fu proprio in quegli anni che, grazie alla particolare predilezione per la musica dimostrata dal duca Alfonso II d'Este, poté nascere quel celebrato "concerto delle dame" che avrebbe indelebilmente segnato non solo la vita musicale ferrarese, ma quella dell'Italia tutta.
Le prime notizie che si hanno sulle esecuzioni "segrete" di questo gruppo risalgono all'inizio degli anni Settanta. In una lettera del 13 ag. 1571 che l'ambasciatore mediceo a Ferrara, Bernardo Canigiani, inviò al granduca di Toscana, si legge che al suono "di un gravicembalo tocco dal Luciasco, cantorno la signora Lucrezia e la signora Isabella Bendedio a solo, e tutt'a due, sì bene et così gentilmente che io non credo che si possa sentir meglio" (Durante - Martellotti, 1989, pp. 130 s.). Il processo per la formazione di un ensemble stabile fu però lungo: la sua genesi ci permette di comprendere la complessità dei ruoli e delle funzioni attribuibili all'esperienza musicale nel contesto cortese.
Gli attori che resero possibile quel processo furono - oltre al L. stesso, nella doppia veste di compositore e concertatore, e ad Alfonso II, che sceglieva di persona i testi da musicare (ibid., p. 144) - le tre cantatrici Laura Peperara, Anna Guarini e Livia d'Arco, il basso napoletano Giulio Cesare Brancaccio e, soprattutto, la duchessa Margherita Gonzaga, vera anima di quella straordinaria esperienza che abbraccia effettivamente e simbolicamente l'intero arco dei suoi anni ferraresi, che si chiuse nel dicembre 1597, all'indomani della morte del marito. A lei, non per caso, il L. dedicò il suo Terzo libro de madrigali a cinque voci (Venezia, A. Gardano, 1582).
Le parole della dedica si richiamano palesemente al topos retorico della benignitas nobiliare che prima, mediante l'ascolto, accoglie percettivamente i madrigali, quindi li lega funzionalmente allo "splendore del serenissimo nome suo per proteggerli e perpetuarli", nella consapevolezza che tanto il significato quanto la fortuna della propria opera promanano più dal consenso del potere che dall'eccellenza intrinseca del proprio essere musico; il L. incarna perfettamente il suo ruolo di cortigiano che, ancor prima di essere una condizione sociale, è habitus della mente, un costume che consente di costruire la propria identità all'interno di un reticolo di legami sociali gerarchicamente sovraordinati. Il vincolo non solo pubblico e formale, ma anche privato che lega il L. alla casa d'Este si può leggere pure nella scelta dei nomi attribuiti a tre dei suoi quattro figli: Alfonso, Lucrezia e Margherita; il primogenito fu invece chiamato Andrea, in omaggio all'avo paterno.
Il 30 sett. 1572 il L. fu nominato organista della cattedrale di Ferrara e mantenne tale carica fino alla morte (Peverada, pp. 116 s.). Un passo del Desiderio (Venezia, R. Amadino, 1594, pp. 42 s.) di Ercole Bottrigari, riferibile agli anni Ottanta, ci rivela come durante il regno di Alfonso II il L. svolgesse la funzione di vero e proprio sovrintendente della musica di corte, con mansioni che si estendevano ben al di là dei suoi incarichi istituzionali, come attesta la collaborazione ininterrotta con Ippolito Fiorini, maestro di cappella e suo amico personale, nell'allestimento dei "concerti grandi" che si tenevano per celebrare il soggiorno ferrarese di personalità di riguardo. Confermano la centralità del ruolo la rete di relazioni da lui intessuta, la fortuna critica unanimemente accordata alla sua musica, come pure la qualità dei suoi allievi, tra cui spiccano Girolamo Belli, Fabio Ricchetti, Carlo Mentini e, soprattutto, Girolamo Frescobaldi. Quest'ultimo lo ricorderà, nelle dediche al Primo libro di capricci (Roma 1624) e al Secondo libro d'arie musicali (Firenze 1630), come l'eccellente maestro e il "così raro organista" che gli aveva infuso l'inesausto desiderio di rendere sempre più "ragguardevole la meraviglia dell'arte".
Circa la maniera del L. di suonare strumenti a tastiera, P. Della Valle (Della musica dell'età nostra, 1640) riporta l'opinione di L. Guidiccioni secondo cui "il Lucciasco [(] non sapeva fare un trillo e che sonasse così rusticamente solo di arte le più fine sottigliezze de' suoi contrappunti, senza alcuno accompagnamento di leggiadria" (cit. in Luzzaschi, Il secondo libro de' ricercari, ed. moderna 1981, p. 11). La testimonianza riferita da Della Valle trova indiretta conferma nei tre libri di ricercari del L., dei quali, tuttavia, sopravvive soltanto il secondo, a quattro voci. La fama del L. come virtuoso di organo e clavicembalo è testimoniata da diversi contemporanei, come Vincenzo Galilei nel Dialogo della musica antica e moderna, che menziona il nome del L. accanto a quelli di G. Guami e C. Merulo, ed E. Bottrigari che ne ricorda la valentia nel suonare l'archicembalo, strumento enarmonico che "non viene se non di rado usato per la gran difficoltà", aggiungendo poi che "non vi è così valente maestro che non si spaventi [(] massimamente alora che il Luzzasco organista principale di Sua Altezza [Alfonso II], lo maneggia molto delicatamente, con alcune compositioni di musica fatte da lui a questo proposito solo" (pp. 49 s.).
Del tutto peculiare fu il rapporto instaurato tra il L. e il conte Alfonso Fontanelli, musicista dilettante che ambiva a introdurre proprie composizioni nel repertorio del "concerto delle dame" tramite il L.; in una lettera a Ridolfo Arlotti del 29 ag. 1592, Fontanelli scriveva "non ho cinque huomini al mondo ch'io ami più", includendo fra questi il L. (Durante - Martellotti, 1989, p. 190).
Fin dal 1582 composizioni del L. vennero inserite in prestigiose raccolte collettive, Il lauro secco (Ferrara, V. Baldini, 1582) e Il lauro verde (ibid., 1583), che gli Accademici Rinnovati di Ferrara pubblicarono in onore di Laura Peperara; e il Giardino de musici ferraresi, che G. Vincenti pubblicò a Venezia nel 1591 con dedica al duca Alfonso II. T. Tasso, nel dialogo La cavaletta overo della poesia toscana (Venezia 1587), lo indica, insieme con Alessandro Striggio e Jacques de Wert, quale possibile artefice di una riforma della musica "che voglia richiamarla a quella gravità da la quale traviando è spesso traboccata in parte di cui è più bello il tacere che il ragionare".
Vicino ai quarant'anni il L. godeva di una reputazione che andava ben oltre i confini del Ducato estense. Come narra Fontanelli, in una lettera del 9 sett. 1594 al duca Alfonso II, a Napoli "il nome di Luzzasco passa con tanta riputazione che ciascuno che pretende di farsi honore, si dichiara imitator suo" (Durante - Martellotti, 1989, p. 195). Probabilmente, è proprio in quel contesto che si alimenta, ben prima del soggiorno ferrarese, l'ammirata devozione nutrita da C. Gesualdo principe di Venosa nei confronti del Luzzaschi. Il rapporto di ideale filiazione tra il principe di Venosa e il L. è testimoniato, fra l'altro, in una lettera di Fontanelli: "dice [Gesualdo] d'haver lasciato quel primo stile et d'essersi messo all'imitazione del Luzzasco, da lui sommamente amato et celebrato" (ibid., pp. 192 s.). La fama del L. nell'ambiente napoletano è testimoniata dalle stampe postume dei Madrigali di Luzasco Luzaschi et altri autori a cinque voci (Napoli 1611) e della Seconda scelta delli madrigali a cinque voci (ibid. 1613); nella dedicatoria di quest'ultima, firmata da M. Magnetta, vengono esaltate "le sue coltissime composizioni", grazie alle quali il L. "si è fatto non solo per l'Italia, ma per tutta l'Europa immortale".
Nella dedica del Sesto libro di madrigali (Ferrara, V. Baldini, 1596), scritta probabilmente su istanza del musicista, Alessandro Guarini espone la poetica del L.: in ossequio alla tradizione platonica, in essa si sostiene l'esistenza di "un medesimo parto in Parnaso" da cui sono nate poesia e musica "tanto simili e di natura congiunte". Ne consegue che "se muta foggia l'una, cangia guise anche l'altra. Perciocché non solamente ha la musica per suo fine il giovamento, e 'l diletto, lineamenti della sorella naturalissimi, ma la leggiadria, la dolcezza, la gravità, l'acutezza, gli scherzi, e le vivezze, che son quelle spoglie ond'elle con tanta vaghezza s'adornano". Si tratta di una delle prime e più suggestive formulazioni di quella "seconda prattica del contrappunto" che definisce la nuova sintassi della polifonia tardo cinquecentesca teorizzando, a livello di progettualità, una dipendenza della musica dalla poesia che paradossalmente si traduce, a livello di esiti, nell'autonomo trionfo di un linguaggio musicale che riscrive completamente i paradigmi percettivi e interpretativi del testo letterario. La predilezione per il madrigale, rispetto alle forme poetiche di più nobile censo, è di per sé segno dell'utilizzo strumentale di un genere che consente, in virtù dell'epigrammatica sinteticità, plasticità e icasticità del suo dettato, di meglio piegarsi alle esigenze di una scrittura polifonica ormai volutamente disarticolata e frammentata, pronta a sottolineare il cangiante succedersi di affetti diversi "con nuovi modi, e nuove invenzioni più dell'usate dolci e leggiadre".
Che il laboratorio ferrarese fosse percepito dagli stessi contemporanei come un centro d'eccellenza dello sperimentalismo madrigalistico di fine secolo è testimoniato anche dalla scelta del canonico bolognese Giovanni Maria Artusi di ambientare la celebre disputa con C. Monteverdi a Ferrara, in casa del "sig. Antonio Goretti nobile ferrarese, giovane virtuoso, e amatore de' musici, quanto ogn'altro che per ancora habbi conosciuto", alla presenza del "sig. Luzasco, e 'l sig. Hippolito Fiorini", e di altri "spiriti nobili [(] della musica intendenti" (c. 39r). L'ascolto di "certi madrigali nuovi" si finge avvenuto il 17 nov. 1598. A quella data l'avventura del "concerto delle dame" poteva dirsi conclusa, ma non certo conclusa era la feconda discendenza propagatasi da quella esperienza. Va notato che proprio dalla collezione di Goretti sembra provenire l'unico ritratto rimastoci del L. (riprodotto in Cavicchi, 1983, p. 24), raffigurato in età matura, nelle vesti di un gentiluomo di corte, senza segni evidenti che possano tradirne la professione di musicista.
Nell'ottobre 1597 Alfonso II morì senza eredi e le mire del cugino Cesare di succedergli ben presto si rivelarono assai velleitarie per la ferma opposizione del papa, deciso ad annettersi il Ducato ferrarese in virtù della bolla Prohibitio alienandi et infeudatandi civitates et loca Sanctae Romanae Ecclesiae, emanata da Pio V nel 1567. Passato nel gennaio 1598 al dominio diretto della Chiesa, quel microcosmo del Ducato ferrarese, dopo l'effimero entusiasmo dovuto alla breve permanenza a Ferrara della corte pontificia, andò incontro a un destino di decadenza che incise profondamente sulle vicende esistenziali del Luzzaschi.
Entrato al servizio di Pietro Aldobrandini, legato di Ferrara - come testimonia la dedica a questo delle Sacrarum cantionum liber primus (Venezia, A. Gardano, 1598) -, il L. rinunciò a seguirlo a Roma, forse per la difficile situazione familiare aggravatasi in seguito alla morte della moglie nel 1592; parimenti, ricusò l'offerta di passare al servizio del cardinale Federico Borromeo. Il breve carteggio con quest'ultimo ci rivela, da un lato, le difficoltà economiche che travagliavano l'esistenza del L., cui si aggiunse anche la demolizione della sua casa a causa dell'edificazione della fortezza voluta da Clemente VIII, dall'altro l'imbarazzo nel doversi destreggiare tra due pressanti richieste provenienti da personaggi di alto rango. In tale situazione il L. preferì non recarsi a Roma per il giubileo del 1600.
Nel marzo 1601 il L. si aggregò al seguito dell'Aldobrandini, di passaggio a Ferrara al ritorno da una missione diplomatica in Francia, approdando finalmente a Roma, come testimonia una lettera di E. de' Cavalieri al segretario granducale M. Accolti (Durante - Martellotti, 1998, p. 28). Qui, nel medesimo anno, presso l'incisore Simone Verovio, venne alla luce la splendida stampa dei Madrigali( per cantare et sonare.
L'opera da un lato costituisce - come si evince dalle parole del frontespizio - un omaggio alla memoria di Alfonso II e della sua corte, dall'altro, un tentativo di accaparrarsi stabilmente il favore di chi aveva istituzionalmente raccolto l'eredità politico-culturale del Ducato, come suggerisce la dedica ad Aldobrandini, legato di Ferrara. Prezioso spaccato sul repertorio "segreto" delle dame, altrimenti pressoché precluso all'indagine critica, l'opera ci restituisce una particolare modalità esecutiva del madrigale, qui presentato in forma solistica con intavolatura cembalistica di tutte le voci. La riformulazione della trama contrappuntistica in funzione di accompagnamento alle estremità acute della tessitura vocale, polarizzate tramite un'esorbitante ornamentazione melodica, riscrive completamente le modalità di ascolto della polifonia, trasformandola in una sorta di pseudomonodia ante litteram.
Dopo la breve parentesi romana, il L. tornò a Ferrara. Non sono noti i motivi che lo indussero a lasciare Roma, luogo che solo pochi mesi prima Cavalieri aveva ipotizzato potesse costituire la sua nuova stabile dimora, ma è certo che sarà ancora la medesima città emiliana, che lo vide all'apice dello splendore, a essere teatro della parabola conclusiva della sua esistenza.
Seppure in un contesto socioculturale depresso, l'epilogo sembra essere stato più sereno dei difficili anni trascorsi all'indomani della devoluzione ferrarese: dal testamento si evince che il L. era riuscito felicemente a risanare la sua situazione economica (Cavicchi, 1983, pp. 25 s., 38 n. 44), mentre l'età avanzata rendeva forse meno difficile accettare l'inevitabile declino dell'attività professionale. Nel 1604 il L. pubblicò a Venezia la sua ultima raccolta, il Settimo libro de madrigali a cinque voci, dedicato al nobiluomo palermitano Francesco Valdina Ventimiglia, forse conosciuto tramite Antonio Il Verso. Si tratta di una raccolta alquanto eterogenea in cui confluiscono lavori anche di molto anteriori alla data di pubblicazione. Nel 1607, a testimonianza di un prestigio sociale che mai era venuto meno, il L. fu eletto nel Consiglio centumvirale, organo locale di governo voluto da Clemente VIII per gestire la devoluzione.
Nel luglio 1607 ricevette, tramite Enzo Bentivoglio, la richiesta di comporre due brani per la "signora Ippolita [Recupito]", celebre cantatrice al servizio del cardinal Montalto. La richiesta, pervenutagli attraverso la mediazione del romano Bernardo Bizoni, fu sollecitata dal cardinale stesso e da Cosimo de' Medici, il quale desiderava che Ippolita si esibisse a Firenze, in occasione delle di lui nozze con Maria Maddalena d'Austria. Sebbene la vicenda testimoni quanto fosse ancora tenuta in considerazione la musica del L., il suo rifiuto a ottemperare alla preghiera di così autorevoli personaggi, causa la vecchiaia che gli faceva mancare "gli spiriti di musica" (Fabris, p. 67), sancisce concretamente e simbolicamente la fine di una straordinaria carriera musicale.
Come si apprende dagli Annali della città di Ferrara di C. Olivi, "adì 10 settembre [1607] in Ferrara morì Luzzascho Luzzaschi, eccellente musico, che a questi tempi era il primo musico dell'Italia in questa professione".
Il giorno seguente fu tumulato nella chiesa di S. Paolo, "accompagnato da tutti li musici" della città. "Alla sepoltura fu da Ippolito Fiorini, maestro di cappella del già duca Alfonso II estense, incoronato di lauro" (Cavicchi, 1965, p. 14).
Opere vocali profane, oltre a quelle citate: Il quarto libro de' madrigali a cinque voci, Ferrara, V. Baldini, 1594; Quinto libro de' madrigali a cinque voci, ibid., Id., 1595.
Raccolte collettive: un madrigale a 4 voci, in L'amorosa Ero, Brescia, V. Sabbio, 1588 (Répertoire internationale des sources musicales [RISM], s. B/I Récueils imprimés XVIe-XVIIe siècles, scheda 1588/17); madrigali a 5 voci in Il lauro secco, Ferrara, V. Baldini, 1582 (RISM, B/I, 1582/5); Nuovi frutti musicali,Venezia, G.Vincenti, 1590 (RISM B/I, 1590/15); Giardino de musici ferraresi, Venezia, G. Vincenti, 1591 (RISM, B/I, 1591/9); La gloria musicale, Venezia, R. Amadino, 1592; (RISM, B/I, 1592/14); madrigali a 6 voci, in Il lauro verde, Ferrara, V. Baldini, 1583 (RISM, B/I, 1583/10); I lieti amanti, Venezia, G. Vincenzi - Ricciardo Amadino, 1586 (RISM, B/I, 1586/10); Il terzo libro de' madrigali a sei voci di Antonio Il Verso, Palermo 1607 (RISM, B/I, 1607/24); una canzonetta a 4 voci, in Canzonette a quattro voci composte da diversi eccellentissimi musici(, Venezia, G. Vincenti, 1597 (RISM, B/I, 1597/14). Inoltre: Balletti a 8 et a 12 (perduti; Newcomb, 1980, p. 232) e Dialoghi diversi in musica (perduti; ibid., p. 219).
Opere vocali sacre: messa Landa Sion a 5 voci (dubbia) ms. in Modena, Biblioteca Estense, α. N.1.1 (L. 451).
Opere strumentali: una toccata, in G. Diruta, Il Transilvano, prima parte, Venezia, G. Vincenti - R. Amadino, 1593; due ricercari, ibid., seconda parte, ibid. 1609; una canzona a 4 voci, in Canzoni per sonare con ogni sorte di stromenti. Libro primo, Venezia 1608 (RISM, B/I, 1608/24); due ricercari manoscritti, in Torino, Biblioteca nazionale, Foà, 2, cc. 87 s., 102-105; una toccata (ibid., Giordano, 1, cc. 50 s.); due fantasie a 4 voci, in Biblioteca apost. Vaticana, Chigi, Q.VIII.206; La Bertazina (canzona manoscritta) in Milano, Biblioteca del Conservatorio, S.B.196/4 (solo parti del violino II e basso continuo); Il secondo libro de' ricercari a quattro voci, 1578 (manoscritto in Bologna, Biblioteca del Convento di S. Francesco, senza segnatura).
Edizioni moderne: Madrigali per cantare e sonare, a uno, due e tre soprani (1601), a cura di A. Cavicchi, Brescia 1965; Gaudent in coelis, for SATTB a cappella, a cura di J. Marvin, New York 1980; Il secondo libro de ricercari a quattro voci, a cura di M. Pascale, Roma 1981; Opera strumentale. Toccata, canzone, ricercare e fantasie intavolati per organo o clavicembalo, a cura di D. Borghi, Bologna 1998; Complete unaccompanied madrigals, a cura di A. Newcomb, I-II, Middleton 2003-04.
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