Lunyu («Dialoghi») Opera cinese attribuita dalla tradizione a Confucio (➔), ma in verità composta dai suoi discepoli. Considerata una raccolta di conversazioni, aforismi e aneddoti del maestro, divenne, grazie al filosofo Zhu Xi, con il Mengzi (➔) («Mencio»), il Daxue (➔) («Il grande studio») e lo Zhongyong (➔) («Il giusto mezzo»), parte dei Sishu (➔) («Quattro libri»), raccolta basilare nell’iter studiorum dei cinesi dall’inizio del 14° sec. fin quasi alla fine della dinastia Qing (1644-1911). Il testo a noi giunto consta, nella versione accolta, di 20 libri (pian), ognuno recante un titolo che non è nient’altro che il suo incipit. Solo alcune parti furono composte dopo la morte di Confucio, mentre il resto risalirebbe a un’età più tarda e sarebbe di mano dei discepoli. Dell’opera circolavano in epoca Han (secc. 3° a.C
3° d.C.) almeno tre differenti versioni: il Lulun («Dialoghi del Regno di Lu») in 20 libri, il Qilun («Dialoghi del Regno di Qi») in 22 libri e il Guwen Lunyu («Dialoghi in stile antico») in 21 libri, versione forse più antica e allora rinvenuta nella dimora stessa di Confucio. Durante il regno (48-33 a.C.) dell’imperatore Yuan, l’erudito Zhang Yu (m. 5 a.C.) compose per l’erede al trono lo Zhanghou lun («Dialoghi del marchese Zhang»), una recensione basata sulle versioni già esistenti. Il successo fu tale nell’ambiente degli eruditi che il testo, con quello di altri classici, fu inciso per eterna memoria su stele di pietra nell’anno 175 d.C. Sempre da questo testo discende prevalentemente la versione di Zheng Xuan (127-200), diventata la più autorevole e purtroppo preservata solo in alcuni frammenti di epoca Tang (secc. 7°-10°), provenienti da Dunhuang e Turfan. L’opera di Zheng Xuan fu ulteriormente consolidata nel Lunyu jijie («Note raccolte sui Dialoghi»), versione composta da He Yan (190-249) e tre altri eruditi e provvista di prefazione datata 242. Verso la fine dell’epoca Han, il L. raggiunse lo status di opera canonica, annoverata così prima fra i «Sette Classici» (Qi jing) e poi tra i «Nove Classici» (Jiu jing) della dinastia Tang. Frammenti di manoscritti recanti parti del L., spesso con varianti grafiche significative, sono stati recentemente rinvenuti nel sito archeologico di Dingzhou (provincia di Hebei). Che l’opera fosse fondamentale sia in filosofia sia nella formazione di ogni cinese fu subito compreso dai gesuiti missionari in Cina, tant’è che il testo, tradotto prestissimo in latino verso la fine del 16° sec., fu largamente divulgato a stampa, nell’Europa dotta dei secc. 17°-18°, dal Confucius Sinarum philosophus, sive Scientia sinica (Parigi 1687).