SAPELLI, Luigi (in arte Caramba)
– Nacque il 25 febbraio 1865 a Pinerolo da Filippo, capitano istruttore della scuola militare di cavalleria, e da Bianchina Ricchini.
Ribelle alle regole della disciplina militare vigenti nella sua famiglia, di antica origine nobile, fin dagli anni torinesi del liceo venne attratto dal teatro e fu un assiduo frequentatore del caffè Molinari, luogo di incontro per artisti e giovani bohémiens, dove a fine spettacolo dava voce alle sue critiche pungenti. In quell’ambiente si contraddistinse presto per il suo modo di vestire – ampio mantello nero, cappello a larghe falde, panciotti di velluto colorato – e per il frequente ricorso a quell’esclamazione spagnola di meraviglia che, a partire dal 1884, divenne il suo nome d’arte.
I suoi primi figurini apparvero sulla Libellula, una rivista d’arte a tiratura limitata da lui fondata e diretta a Torino nel 1883, in cui il teatro occupava una parte importante. Caramba non vi riproduceva i costumi così come li aveva visti a teatro, ma come avrebbe voluto che fossero. Celebre rimase quello disegnato per Manrico del Trovatore a cui tolse la «frangia d’argento che ballonzolava sul ventre di tutti i tenori che cantavano quella parte: mi sembrava offensivo per la verosimiglianza e l’estetica, non vedevo niente di più antieroico» (Caramba, 1928, p. 16).
È un aneddoto prezioso che cela la traccia della rivoluzione che Caramba mise poi in atto: restituire al figurinista l’autorialità di un interprete che non pensa il costume teatrale come un semplice travestimento, ma come uno degli strumenti in grado di rivelare l’identità del personaggio.
Dal 1884 collaborò con diversi periodici teatrali e umoristici (Buontempone, Re Pipino, Rivista velocipedistica, Il Giardinaggio), inventando un genere di critica teatrale disegnata che restituiva la cronaca degli spettacoli attraverso una serie di vignette caricaturali. Per placare le contrarietà familiari, nel 1886 si iscrisse alla facoltà di medicina e sposò la giovane Angela Montiferrari, con la quale l’anno successivo ebbe la figlia Bianca. Nello stesso 1886 l’improvvisa morte del padre costrinse Caramba a lasciare gli studi e a trovare impieghi retribuiti per poter mantenere la famiglia. Nel 1890 venne assunto dalla Gazzetta del Popolo, iniziò a collaborare con il Fischietto e venne designato dal famoso caricaturista Casimiro Teja quale suo successore alla direzione del Pasquino, dove rimase fino al 1907. Esordì come costumista teatrale a Colonia nel 1894 con il dramma lirico A basso porto, musicato da Nicola Spinelli.
Nel 1897 a Torino Caramba incontrò due figure che segnarono la sua traiettoria teatrale. Arturo Toscanini, chiamato a dirigere al Regio Forza d’amore musicato da Arturo Buzzi-Peccia e per il quale Caramba disegnò i costumi, e Ciro Scognamiglio, il produttore napoletano le cui operette, in programmazione al Balbo già dal 1895, attrassero Caramba che nelle sue caricature criticò però la confezione degli abiti.
Provenienti da culture teatrali sideralmente lontane, i due artisti erano mossi da una stessa istanza di cambiamento che trovò in Caramba un artefice d’eccezione. Se con il primo, che voleva riportare nel mondo della lirica artigiani specializzati e un pubblico rigoroso, la collaborazione prese forma solo nel 1922 alla Scala, con il secondo si realizzò subito l’ambizioso progetto di dare nuova veste scenica all’operetta cambiandone il repertorio ed elevando un genere da sempre considerato minore. Nel 1897 al Balbo andarono in scena D’Artagnan di Louis Varney, Rolandino di Vincenzo Valente, La Gheisha di Sidney Jones e La cicala e la formica di Edmond Audran. L’esordio operettistico di Caramba fu all’insegna dell’innovazione: nel D’Artagnan realizzò il primo dei suoi celebri coups de théâtre facendo entrare quaranta moschettieri con casacca azzurra, croce d’argento e fiamma rossa, nel rispetto della fedeltà storica dell’uniforme del corpo e non dell’erronea giubba rossa prevista ‘d’abitudine’ dal vestiarista della compagnia. O ancora in La cicala e la formica fece «per la prima volta uso dell’effetto di un quadro luminoso che sorge improvvisamente dall’oscurità del palcoscenico» (Caramba, 1928, p. 16). Tali riforme, unite alle superbe interpretazioni dei coniugi Marchetti, assicurarono alla compagnia di Scognamiglio un successo destinato a ripetersi fino agli inizi del Novecento nelle tournées in Italia, Russia e America Meridionale.
Al mondo dell’operetta Caramba restò legato fino agli inizi degli anni Venti: i suoi allestimenti ricchi di trovate, così come i suoi bozzetti capaci di immortalare il carattere dei personaggi, fecero scuola persino laddove il genere era nato, Parigi e Vienna. Intanto nel 1898, al teatro Gerbino di Torino, fu tra gli artefici – insieme a Vittorio Bersezio, Domenico Lanza, Francesco Pastonchi, i fratelli Calandra e attori come Giacinta Pezzana, Alfredo De Sanctis, Clara Della Guardia e Cecè Dondini – della nascita del Teatro d’Arte. L’impresa durò una sola stagione fitta di molti spettacoli dei quali Caramba curò i costumi, le scenografie e la direzione delle scene di massa.
A cavallo fra i due secoli dettava legge in materia di costumi: il suo nome correva dalla lirica alle operette, dal balletto alla rivista, dalle compagnie di prosa al repertorio degli ultimi ‘grandi attori’. Disegnò costumi per le sorelle Gramatica, Dina Galli, Maria Melato, Lyda Borrelli e vestì Virginia Reiter per la prima italiana di Madame sans gêne di Victorien Sardou; o ancora Andrea Maggi, Ernete Zacconi, Gualtiero Tumiati e De Sanctis, tutti impegnati come protagonisti del Cyrano di Edmond Rostand. Realizzò abiti e accessori su richiesta di Gabriele D’Annunzio, Sem Benelli, Marco Praga, Renato Simoni, Giuseppe Adami e, nel 1904, per Eleonora Duse, alle prese con Monna Vanna di Maurice Maeterlink, rispondendo alla sua richiesta di commissione scritta per un manto «azzurro come il lago di Pallanza alle quattro del pomeriggio» (Adami, 1937). Nel 1906 si trasferì a Milano dove l’impresa teatrale Suvini-Zerboni gli affidò la direzione della sua prima sartoria teatrale, creando due nuove compagnie di operetta alle quali assicurò una fortuna suggerendo l’acquisto dei diritti della Vedova allegra di Franz Léhar, che aveva visto debuttare a Vienna nel 1905. Nell’aprile del 1908 al Teatro dei Filodrammatici collaborò alla messa in scena della prima rivista italiana, Turlupineide, scritta da Simoni e interpretata da Edoardo Ferravilla, dando vita a un crescendo di effetti senza tregua che gli valsero l’epiteto di ‘mago’.
Da sempre interessato alle contaminazioni fra le arti, volse il suo sguardo al cinema e ne applicò gli effetti nel suo teatro – nel suo rifacimento del Ballo Excelsior alla Scala nel 1908 inserì una proiezione cinematografica –, mentre tra il 1913 e il 1924 diresse film in cui esplorò usi artistici delle luci artificiali e fu il primo a riprendere in notturna. Nel 1909 fondò a Milano una sua Casa d’Arte che ebbe commissioni italiane ed estere e aprì succursali a Parigi e a New York.
Peculiarità specifica dei suoi costumi erano bozzetti che disegnava in bianco e nero e su cui applicava ritagli di tessuti per evitare che in sartoria avvenissero errori di interpretazione cromatica e, soprattutto, la creazione di stoffe da lui pensate, stampate, tagliate e decorate.
In questo suo percorso di ricerca storica e artistica non poté che ‘incontrare’ Mariano Fortuny, la cui celebre produzione di tessuti e abiti era avviata da tempo e che certamente fornì stoffe alla Casa d’Arte Caramba. Quando nel 1922 egli arrivò alla Scala chiamato da Toscanini, Fortuny realizzò le scene per due spettacoli con suoi costumi: I maestri cantori di Norimberga di Richard Wagner nel 1931 e La vita breve di Manuel de Falla nel 1934.
Incaricato di diverse mansioni pratico-artistiche – ideazione e realizzazione di costumi e accessori, scelta degli scenografi e dei fornitori di materiale scenotecnico, gestione dei magazzini del teatro – alla Scala Caramba fu soprattutto il responsabile degli effetti luminosi. Le sue ricerche in materia lo condussero nuovamente a Fortuny: fece adottare alla Scala la sua ‘cupola’, quel sistema di illuminotecnica inventato nel 1901 e che, posto sul retro del palco, permetteva alla luce di riflettersi indirettamente sulla scena con l’effetto di dilatare lo spazio e rarefare l’atmosfera. Sperimentò a fondo, sempre in dialogo con il suo creatore, gli effetti di controluce e gli ambienti misteriosi che la cupola Fortuny era in grado di creare e vi apportò modifiche e miglioramenti già quando, nel 1923, venne messa al servizio delle esigenze di Adolphe Appia in occasione della sua regia scaligera del Tristano e Isotta di Wagner.
Quelli trascorsi alla Scala furono per Caramba gli anni della maturità artistica: seppe allora far convergere il suo straordinario estro e la poliedricità della sua vena creativa verso il rigoroso progetto di rinascita che Toscanini aveva in mente per quel teatro. Fu un’impresa coronata da successi e riconoscimenti, per esempio quando, nell’aprile del 1926, con la direzione di Toscanini e il suo allestimento scenico, fu rappresentata postuma la prima della Turandot di Giacomo Puccini.
Dieci anni più tardi, il 10 novembre1936, Caramba si spense nella sua casa di Milano.
Due giorni dopo, il feretro si fermò davanti alla Scala e dal balcone una pioggia di petali venne lanciata dalle allieve del corpo di ballo. Un ultimo atto degno di un ‘mago’.
Fonti e Bibl.: A. Lualdi, Un mago alla Scala: Caramba, in Comœdia, IX (1927), 1, p. 29; Caramba, Confessioni, ibid., X (1928), 6, p. 16; G. Cenzato, I ‘cinquant’anni’ di Caramba, ibid., XVI (1934), 6, pp. 15-18; Anonimo, La morte di Caramba, in Corriere della sera, 11 novembre 1936; G. Adami, Caramba e il suo teatro, in La Stampa, 15 novembre 1937; A. De Angelis, Scenografi italiani di ieri e di oggi, Roma 1938, pp. 211-214; G. Adami, Un secolo di scenografia alla Scala, Milano 1945, pp. 17-23; U. Tegani, Un uomo e centomila costumi, in La Stampa, 31 marzo 1945; M. Signorelli - F. Savio, Caramba, in Enciclopedia dello spettacolo, III, Roma 1960, pp. 9 s.; S. Tofano, Il teatro all’antica italiana e altri scritti di teatro, a cura di A. Tinterri, Roma 1985, p. 65; A. Pestalozza, Il figurinaio, in Fortuny e Caramba. La moda a teatro. Costumi di scena 1906-1936, Venezia 1988, pp. 17-26; M. Tosa, «Storie» cucite, ibid., pp. 27-32; V. Crespi Morbio, La saetta del colore, in Caramba mago del costume, a cura di V. Crespi Morbio, Milano 2008, pp. 13-41; Id., Caramba: la difficoltà di essere, in L’immaginario scenografico e la realizzazione musicale. Atti del Convegno in onore di Mercedes Viale Ferrero, a cura di M.I. Biggi - P. Gallarati, Alessandria 2010, pp. 235-240.