GRAMEGNA, Luigi
Nacque, il 3 ott. 1846 a Borgolavezzaro, nel Novarese, ai confini con la Lomellina, da Gaudenzio e da Giovanna Carboni, primogenito di quattro fratelli. Il padre, medico a Crova, nel Vercellese, chiamato a Torino dal ministro dell'Agricoltura C. Benso conte di Cavour con l'incarico di cercare i rimedi contro la pellagra, lo fece entrare a quindici anni nell'accademia militare. Il G. frequentò poi la facoltà di scienze, dove ebbe Vilfredo Pareto come compagno di corso. Intraprese così una carriera che, dopo averlo visto partecipare alla guerra del 1866, proseguì fino al conseguimento del grado di colonnello. Dimessosi dall'esercito poco prima del matrimonio con Giovanna Guerci, nipote del generale piemontese V. Colli, il G. si scoprì una vocazione di scrittore destinata a dare frutti abbondanti negli ultimi anni della sua vita.
La spinta gli era venuta dalla passione per le ricerche storiche che lo portò a studiare con attenzione anche gli usi e i costumi del "vecchio Piemonte". L'erudizione antiquaria, di stampo positivistico, temperata da una sorta di idealismo etico-pedagogico (il G. scrisse anche un libro di letture per le scuole elementari, Prime prove, Torino 1900), fu la molla che lo spinse a occuparsi di problemi sociali nella chiave di un moderatismo aperto ed equilibrato.
Nel 1894 uscì a sue spese, presso Vincenzo Bona, un trattatello di economia, Progresso e bisogni, recensito da M. Pantaleoni e, più tardi, apprezzato da L. Einaudi per il suo cordiale buon senso. Alla storia e alle tradizioni regionali furono dedicati i volumi immediatamente successivi, Popolo e religione (Torino 1895) e Sabaudia docet.Caratteri della monarchia e del popolo piemontese (ibid. 1896); in particolare quest'ultimo, che piacque a G. Carducci, poneva l'accento sugli stretti legami di fedeltà e di lealtà fra la gente e i sovrani piemontesi, proponendosi come un essenziale documento della poetica del Gramegna.
Su questa base infatti si sviluppò, a partire dal 1906, la cospicua attività del narratore: ben diciotto romanzi storico-avventurosi, tutti pubblicati a Torino, in cui viene ripercorsa una vera e propria saga, che ha come protagonisti il popolo e i membri di casa Savoia, dal secolo XV alla raggiunta unità nazionale, e il cui svolgimento cronologico, non seguendo l'ordine degli avvenimenti, è ricomponibile solo a posteriori. Nel 1906 uscirono Monsù Pingon e Dragoni azzurri: il primo ha come protagonista Emanuele Filiberto di Pingone, storiografo di casa Savoia, dal cui appellativo dialettale prende il titolo, ed è storicamente collocato all'altezza del 1536; il secondo si sviluppa intorno all'assedio di Torino del 1706, a opera delle truppe francesi, e narra il sacrificio di P. Micca. Seguirono, nel volgere di pochi anni, Il tesoriere del duca, del 1908 (1574); Il portarchibugio e Cavour e i Torinesi, entrambi del 1910 (il primo ambientato nel 1610, il secondo al tempo della seconda guerra d'indipendenza); nel 1911 Il castello di Rouvres (1476) e Addio, mia bella, addio!, che si collega a Cavour e i Torinesi per l'argomento risorgimentale; del 1912 è Il cicisbeo, che ruota attorno alla battaglia dell'Assietta (1747), mentre Fides, apparso nel medesimo anno, rappresenta un'eccezione poco felice per l'ambientazione del racconto nella società borghese contemporanea; nel 1913 è la volta di Corte gioconda, che ritrae la fioritura culturale sotto Carlo Emanuele II (più precisamente si riferisce al 1663). La prima guerra mondiale coincide con un lungo silenzio, che verrà interrotto solo nel 1922, con l'uscita di Epidemia d'amore (1683). Seguirono nel 1923 La strega, che, risalendo al 1462-63, si colloca agli inizi della saga (la ristampa del 1972 ebbe come titolo La strega di Novara); nel 1925 La sibilla del re (1494); nel 1926 Occhio di gazzella (1524) e Il barbiere di Sua Altezza (1630). Postumi videro la luce, nel 1933, Il "Tre Paletti", dal nome del reggimento piemontese che combatté in Russia nel 1812; nel 1945 Bastian contrario, che narra le imprese compiute, tra il 1665 e il 1672, da un leggendario brigante; nel 1950 La speciaria di Sant'Eusebio, che si riferisce ad avvenimenti del 1640 (la "speciaria" è la farmacia).
Il G. morì a Torino il 29 marzo 1928.
Il modello a cui il G. lontanamente si ispira è rappresentato dal Manzoni, ma un Manzoni che giunge attraverso la mediazione di W. Scott e, soprattutto, del feuilleton storico-avventuroso francese: non a caso si è potuto vedere in lui il "Dumas subalpino". Nasce di qui la sua "vasta epopea sabauda di cappa e spada", ingiustamente dimenticata secondo U. Eco. Il G. veniva così incontro all'esigenza, particolarmente sentita nella letteratura piemontese postunitaria, di creare un romanzo storico (e insieme politico) capace di ribadire la continuità fra il presente e il passato: una tendenza favorita dal ruolo svolto dal Piemonte nel processo risorgimentale e intimamente legata all'ideologia patriottica nella sua versione monarchica e sabauda, ma le cui potenzialità si erano venute ben presto esaurendo di fronte alla negatività di un presente che sembrava aver tradito le attese del passato. Come si era visto con l'esperienza, più sofferta e problematica, di scrittori come R. Sacchetti e G. Faldella, fino a E. Calandra e a G. Gozzano, con i quali la storia finisce per risolversi in una metafora della morte o in un pietrificato regno delle ombre.
Solo il G., al contrario, riuscì a riesumare il passato riproponendone la validità. L'operazione corrispondeva a un moto di riflusso nostalgico, che sottolineava il progressivo distacco della cultura regionale dalle inquietudini più vive del proprio tempo, ed era resa possibile dalla restaurazione di una base collettiva (se non propriamente epica) entro la quale, identificando il "popolo" con la "nazione" e ricomponendo questa mitica unità nella persona del sovrano, l'ideologia del romanzo popolare poteva reintegrare la perduta categoria della "totalità".
Con la sua narrativa semplice e scorrevole, ricca di garbate inflessioni ironiche, il G. seppe però evitare la retorica paludata, alleggerendo la pagina e sciogliendone i contenuti didattico-esemplificativi; epigono manzoniano non privo di originalità, egli rovesciò quasi il rapporto con l'"invenzione" a favore di una "storia" un po' irrigidita e manierata, ricostruita con precisione antiquaria nelle sue essenziali linee economiche, politiche e militari, antropologiche e culturali (per citare ancora L. Einaudi, "i romanzi del G. potrebbero servire a insegnare, in modo gradevole e sostanzialmente esatto, la storia del Piemonte ai ragazzi, i quali oggi ritengo non ne sappiano nulla. In Francia servono all'uopo i romanzi, più celebri, di Dumas"). A questa ricostruzione, che non è tuttavia soffocante, è finalizzato lo svolgimento più corrivo della trama; senza pesantezza, ma anche senza tensioni problematiche, sul filo di una continuità trasparente ed estroversa, priva di lacerazioni e di strappi.
Fonti e Bibl.: La più ricca documentazione sulla figura e sull'attività del G. si trova nelle introduzioni e negli apparati di A. Viglongo alle edizioni delle opere pubblicate dalla omonima casa editrice. Alcune lettere inedite sono state trascritte da C. Settingiano, "La narrativa di L. G. Storia e invenzione nei romanzi sulla casa di Savoia", tesi di laurea presso la facoltà di lettere e filosofia dell'Università del Piemonte Orientale, sede di Vercelli, marzo 1998. Spunti e interventi critici in M. Pantaleoni, in Giornale degli economisti, maggio 1894, pp. 521-525; A. Cajumi, Un romanziere piemontese, in La Stampa, 31 maggio 1923; O. Castellino, introd. a L. Gramegna, Il "Tre paletti", Torino 1933; F. Burzio, Piemonte, Torino 1938, p. 117; C. Moriondo, Altri piemontesi, Torino s.d., pp. 158-161; M. Berrini, Torino a sole alto, Torino 1950, p. 298; M. Vaudano, L. G. il romanziere dei Savoia, in Torino, XXXI (1955), 2, pp. 23-28; L. Einaudi, Un libro per seminaristi e studenti, in Id., Prediche inutili, Torino 1962, pp. 383 s.; G. Gallico, Un'eredità fece dello statale G. il piccolo Dumas del vecchio Piemonte, in Stampa sera, 1° luglio 1961; A. Brosio, A mano di L. G., in I caval 'd brons, XL (1962), 6, p. 2; Id., L. G.: storico romanziere del Piemonte, ibid., XLII (1964), 6, pp. 1-2; 7, pp. 1-2; L. Baccolo, Invito a G., in La Fiera letteraria, XLIX (1973), 32, pp. 10 s.; U. Eco, Il superuomo di massa, Milano 1978, p. 69; G. Tesio, Le lettere, in Torino città viva: da capitale a metropoli (1880-1980), Torino 1980, pp. 383-385; G. Zaccaria, Tra storia e ironia. Regione e nazione nella narrativa piemontese postunitaria, Roma 1981, pp. 172 s.; G. Amoretti, introd. a L. Gramegna, Dragoni azzurri, Torino 1988; G.M. Bravo, Io e i libri, in Il libro ritrovato, marzo 1995; G. Zaccaria, Ottocento letterario in Piemonte, Lecce 1997, pp. 185-188; Id., L. G., in Il Novarese: pianura, laghi e monti, a cura di R. Cicala - G. Tesio, Torino 1998, pp. 395-401; A. D'Orsi, V. Pareto e la cultura piemontese, in Economia, sociologia e politica nell'opera di V. Pareto, a cura di P. Malandrino - R. Marchionatti, Firenze 2000, pp. 400-402.