ERCOLANI, Luigi
Nacque a Foligno (prov. Perugia) il 17 ott. 1758, penultimo maschio del senigalliese Ascanio dei marchesi di Fornovo e Rocca Lanzona, patrizio di Senigallia e di Ancona, trasferitosi a Foligno per il suo matrimonio con Lucrezia Cirocchi Girolami, folignate.
La famiglia Ercolani, oriunda di Pergola, si era da circa un secolo stabilita a Senigallia, dove aveva eretto rimarchevoli edifici (fra cui il palazzo di abitazione ed il bellissimo casino delle Grazie) e prodotto distinti personaggi, fra i quali spicca mons. Giuseppe Maria Ercolani architetto e scrittore; il padre, Ascanio, aveva pubblicato a Roma nel 1737 un De gloriosissima Christi Domini Resurrectione, oratio habita tertio Nonas Aprilis MDCCXXXVI in Sacello pontificio ....
All'età di dodici anni l'E. venne mandato a Roma, nel collegio "Nazareno" in cui entrò il 4 nov. 1770 unitamente al fratello maggiore Giuseppe, e dove sarà raggiunto l'anno seguente da quello minore Lorenzo. Ivi ebbe per maestri i padri G. B. Molinelli per la teologia e G. Saladini per la filosofia, mentre per l'eloquenza prima F. Fasce e poi il padre L. Godard. Fu in quel tempo che entrò in Arcadia col nome di Driante Cerinateo, esistendo all'interno del collegio dal 1741 (dopo un tentativo nel 1712) una speciale colonia denominata Accademia degli Incolti, nell'ambito della quale egli fu molto attivo. L'ininterrotta permanenza al "Nazareno" cessò bruscamente nell'agosto 1776 quando, per la morte prematura del fratello Giuseppe nel seminario di Albano, la madre, già vedova, richiamò gli altri figli presso di sé: del resto dopo circa sei anni il curriculum di quegli studi era generalmente completato. In seguito, tornato a Roma, seguirà i corsi della Nobile Accademia ecclesiastica, conservando però sempre lo stato secolare.
Essendogli morto nel 1783 anche il fratello Lorenzo, l'E. si trovò erede di un cospicuo patrimonio ed ultimo maschio della sua casa; nonostante le pressioni non volle però prender moglie e, stabilitosi definitivamente a Roma, vi condusse vita da celibe su un piede di grande signorilità, senza che però mai si parlasse di eccessi, sebbene l'ambasciatore francese P. L. de Blacas scrivesse di lui in una lettera del 29 genn. 1817 al ministro A. E. du Plessis, duca di Richelieu, che la vita da laico dell'E. era stata dissipata e del tutto priva di spirito religioso, e che solo dopo il cardinalato egli si era dimostrato un esempio di virtù e di edificazione, quasi "pour une désignation de la Providence". Per questi anni non si hanno su di lui che pochissime notizie, ma è certo che dovette essere un periodo di studi e di formazione, se poté improvvisamente emergere, senza tirocinio, a posizioni di notevole responsabilità come esperto di economia e di finanza.
Egli comparve infatti sulla scena politica romana nel 1796 quando entrò nella congregazione militare (costituita anche dal segretario di Stato, da E. Consalvi, dal gen. G. Gaddi, dal connestabile F. Colonna, dal col. F. Colli e dai marchesi G. Patrizi, C. Massimo), che rimase in funzione fino alla pace di Tolentino. Già in questa congregazione egli ebbe attribuzioni in campo finanziario: riuscì a rastrellare subito per le spese militari contributi per 323.000 scudi e a imporne per il futuro 131.000 annui, offrendo personalmente 450 scudi mensili per tutta la durata della campagna antifrancese. Caduta la Repubblica romana, nel 1799, quando Roma fu occupata dai Napoletani, il maresciallo E. de Bourcard lo nominò "deputato sopra le finanze". Al momento poi della prima restaurazione, quando il 9 luglio 1800 Pio VII istituì quattro congregazioni di governo, la seconda, quella "deputata per il nuovo piano di riforma dell'antico sistema di governo", risultò composta da sei cardinali (L. Antonelli, G. Doria, I. Busca, S. Borgia, F. Carandini e F. Ruffo), da cinque prelati (G. Della Porta, G. Gavotti, F. Cavalchini, S. Sanseverino e L. Martorelli) e dai secolari principi P. Gabrielli e F. [?] Aldobrandini, dal marchese C. Massimo, da G. Ricci e dall'E., tesoriere generale provvisorio (aggregato il 16 luglio), con mons. A. Lante come segretario.
Per valutare bene la singolarità dell'attribuzione di tale carica ad un uomo nuovo e non ecclesiastico, anche se aveva già dato buona prova nella congregazione militare (l'incarico del 1799 non durò che pochi giorni), occorre sottolineare la vastità e l'importanza delle responsabilità ad essa connesse: il tesoriere generale, organo della Camera apostolica, aveva in quel tempo competenza parziale sulla progettazione, ma totale sull'esecuzione (salvo pochissimi casi riservati al Buon Governo) di qualsiasi provvedimento economico e finanziario, nonché di buona parte di quelli relativi ai lavori pubblici, alla giustizia, alla difesa, alla marina, alle poste; per l'appunto la costituzione apostolica del 1º nov. 1800 Super restauratione regiminis Pontifici disponeva che "...tutto ciò che riguarda il sistema di finanze, percezione d'imposte, e che appartiene in una parola all'Economia Fiscale, dovrà privatamente dipendere da mons. Tesoriere".L'E. svolse la sua azione proprio nei mesi più tempestosi di questo periodo, continuandola fino al 2 nov. 1800, data in cui gli subentrò mons. L. Litta. Oltre a ciò, avendo ai primi di ottobre il papa costituito una speciale congregazione per gli affari di Finanza e Luoghi di monte, composta dai cardinali Borgia, Carandini e Ruffo, vi volle aggregato l'E., con mons. Lante segretario.
In questa breve esperienza di governo non è agevole individuare le articolazioni dell'azione politica dell'E., che dovette esplicarsi in innumerevoli provvedimenti volti a fronteggiare difficoltà contingenti spesso fra loro contradditorie, senza alcun possibile organico disegno (cfr. Roma, Bibl. Casanatense, la collezione Editti e bandi dello Stato pontificio [segn. Period. 18], n. 104, 30 sett. 1799-31 dic. 1800; e docc. in Arch. segr. Vaticano): fra i documenti a stampa a firma dell'E. per quel periodo si segnalano l'Istruzione per tutte le singole Comunità dello Stato ecclesiastico, loro governatori, magistrati e sindaci, in data 2 ott. 1800, e il Censimento dei censi, e debiti delle Comunità, e modalità da seguire d'ora in poi, s.d., diviso in 17 articoli.
Negli anni seguenti e per tutto il periodo napoleonico, le notizie sull'E. divengono nuovamente scarsissime: sebbene manchi una vera documentazione, tuttavia da un sonetto che gli fu dedicato in occasione dell'elevazione alla porpora risulta che, dopo l'occupazione francese, fu costretto a lasciare Roma, trovando rifugio nel territorio di Pergola, dove possedeva dei beni. Al momento della seconda restaurazione pontificia nel 1814, egli ricompare puntualmente a Roma in posizione eminente: quando a metà maggio il delegato apostolico A. Rivarola, mandato avanti da Pio VII, istituì un governo provvisorio - che durerà fino al 25 settembre - formato da una commissione di Stato e da una congregazione di Governo, l'E. entrò a farne parte "con le facoltà e le attribuzioni di Tesoriere Generale", insieme con i prelati A. Rusconi, S. Sanseverino, C. M. Pedicini, B. Cristaldi e G. Barberi, con G. Giustiniani, governatore di Roma, e con il conte F. S. Parisani, presidente della Grascia (in seguito si aggiungeranno altri, mentre alcuni saranno sostituiti). Il 24 maggio Pio VII, rientrando nella capitale, insediò l'E. in modo formale e solenne nella carica, attribuendogli anche la qualifica di prelato domestico, sebbene notoriamente egli non avesse seguito alcuna carriera prelatizia, e neppure ricevuto, a quanto pare, gli ordini minori. L'ultimo suo atto pubblico di rilievo prima di diventare prelato aveva avuto luogo il 7 agosto nell'oratorio dei nobili della chiesa del Gesù, quando alla presenza del papa, dopo la lettura della bolla Sollicitudo omnium Ecclesiarum, che ripristinava i gesuiti, egli dette esecuzione al chirografo pontificio che disponeva la definizione dei beni e capitali da restituirsi alla Compagnia, dei risarcimenti dovuti e delle provvisioni necessarie.
Certamente i problemi con i quali si trovò alle prese l'E. questa volta erano ancor più complessi di quelli che aveva dovuto affrontare nel 1800, anche perché l'assenza del Consalvi, delegato al congresso di Vienna, aveva permesso al Rivarola di dare alla politica interna un carattere di drastica restaurazione della situazione anteriore al 1798, che l'E. condivideva solo in parte e che in materia economica e finanziaria era assolutamente inattuabile. Ancora una volta i provvedimenti del tesoriere non poterono che essere di transizione, di accomodamento e di attesa, onde rendere possibile un minimo funzionamento della macchina finanziaria, essendo stato l'ordinamento napoleonico pressoché smantellato, anche nelle strutture di base, dall'euforia reazionaria.
Un interessante memoriale che sarà presentato da B. Pacca al neoeletto Leone XII nel 1823, in cui si esamina con severità l'operato dei tesorieri sotto il precedente pontificato, rileva come l'insolvenza e l'insubordinazione di quelli avesse "reso il Camerlengato un martello usato solo per metter dazi", sottolineando però che "l'Ercolani ne ha fatti assai meno degli altri due [C. Guerrieri Gonzaga e B. Cristaldi]" e che la sua iniziativa di affidare le amministrazioni solo su espresso rescritto pontificio avrebbe dato buoni risultati se il Guerrieri a lui subentrato non avesse subito reintrodotto gli appalti, con contratti che il Cristaldi si vedrà costretto a cassare perché "cervellotici".
Anche questa fase dell'attività ministeriale dell'E. fu piuttosto breve, interrotta dalla fuga di Napoleone dall'Elba e dalle pressioni murattiane ai confini che spinsero il papa a lasciare Roma il 22 marzo 1815: con la Notificazione ai cardinali presenti in Roma emessa dal camerlengo in quella stessa data venne nominata una giunta di Stato, costituita dall'E., dal segretario del Buon Governo G. F. Falzacappa, dal segretario della Consulta N. Riganti, dal commissario alle armi Sanseverino e dal Giustiniani, presieduta dal card. vicario G. M. della Somaglia, con mons. Rivarola come segretario; ma fu quest'ultimo il leader effettivo, tanto che il della Somaglia in una lettera del 23 marzo al Pacca arriva a definirsi "inutile capo". Comunque questa giunta esercitò effettivamente i suoi poteri solo dopo la battaglia di Tolentino, visto che i Napoletani erano già a Roma due giorni dopo la fuga del papa; l'influenza del Rivarola diede anche a quel consesso un'impronta decisamente reazionaria, almeno fino al 22 luglio quando il ritorno del Consalvi venne a frenare quella tendenza, fino a pervenire al ben noto motu proprio del 6 luglio 1816, che costituì un serio tentativo di superare la reazione nello Stato ecclesiastico.
Fra i provvedimenti dell'E. cui si è accennato, si può ricordare la Notificazione del 27 ag. 1814 sul nuovo bollo da applicarsi alle merci estere, la regolamentazione del lotto e lotterie, la Notificazione del 10 sett. 1816 che riduce la sdoganazione in Roma, un progetto di nuova legislazione per il Registro e la carta bollata, uno sul nuovo riparto territoriale delle imposte, uno sulla gestione del debito pubblico e sul catasto, nonché la preparazione di una nuova legislazione annonaria (cui si oppose il prefetto del Buon Governo) e un insieme di proposte per modificare il sistema monetario. In linea di massima sembra di poter individuare nei suoi indirizzi un'inclinazione moderata di ispirazione consalviana, che pure talvolta s'incrina, come quando il 19 ott. 1814 impose nuovi balzelli agli ebrei (egli era anche sovraintendente economico dell'"Università degli ebrei"), o quando sollecitò con durezza le tasse arretrate sulle devastate vigne di Roma, o la "dativa" in tutte le province di prima recupera. Egli fu membro dell'importante Commissione deputata per i beni ecclesiastici, che doveva risolvere gli innumerevoli casi creati dai decreti di restituzione dei beni agli Ordini religiosi, e di quella "per il nuovo cattastro e contribuzioni". In un'altra grave questione sollevata in seno alla Commissione economica, quella del ripristino o meno dei fidecommessi e delle primogeniture, fu l'E., con i cardinali Albani e Ruffo, a far accettare una soluzione intermedia nella votazione del 18 marzo 1816, che ne stabiliva l'abolizione in tutto lo Stato, con la possibilità però di costituirne dei nuovi, sia pure con alcuni limiti. Infine (ed è fra i suoi provvedimenti uno dei più interessanti), nelle province di prima recupera aveva tentato di porre fine agli incredibili abusi di appaltatori e subappaltatori, stabilendo di riscuotere direttamente la tassa sul macinato per mezzo di agenti camerali: purtroppo il tentativo fallirà per la scarsezza del gettito ottenuto e l'art. 199 del citato motu proprio ripristinerà gli appalti.
La carriera ministeriale dell'E. volgeva al termine, visto che la carica era incompatibile con la porpora, che egli ottenne nella grande promozione dell'8 marzo 1816, quando Pio VII lo creò cardinale diacono, riservato però in pectore. Lo pubblicherà il 22 luglio successivo, ed il 23 settembre gli conferirà il titolo di S. Marco, ma come commendatario, non essendo l'E. prete: fu in questo periodo, sebbene non si siano rinvenuti documenti in merito, ch'egli dovette ricevere l'ordine presbiterale, perché il 14 apr. 1817 fu dichiarato cardinale prete di S. Marco.
Per solennizzare l'elevazione ebbero luogo le consuete visite, ricevimenti e luminarie; a Senigallia si svolsero grandi festeggiamenti e venne pubblicato un volume di Poetici componimenti... (Senigallia 1816), oggi rarissimo (una copia in Bibl. com. Antonelliana di Senigallia, Mis. sen. 7/6).
L'uscita, dell'E. dalla politica attiva fu totale, forse anche a causa del manifestarsi di una forma di paralisi progressiva, che venne sempre aggravandosi fino alla morte. Era ricco e si servì generosamente delle sue ricchezze: fece restaurare e abbellire la chiesa di cui era titolare, dotandola di un superbo organo, di preziosi candelabri e di una nuova cantoria, e soccorse con migliaia di scudi le città di Pergola e Senigallia durante la carestia del 1815-16.
Nel 1818 il papa lo fece abate commendatario ed ordinario dell'illustre abbazia di S. Maria di Farfa e di quella di S. Salvatore Maggiore, che possedevano amplissime giurisdizioni e molti beni. Egli le tenne per sei anni, al termine dei quali le rinunciò al card. F. Cavalchini Guidobono, che però subito le abdicò, sicché l'E. si trovò ad amministrarle fino alla morte; anche qui si distinse per beneficenza, restaurando le chiese (fra cui a Roma S. Salvatore in Campo, proprietà di Farfa), migliorando i fondi agricoli delle parrocchie e facendo rifiorire il seminario di S. Salvatore, in cui manteneva a sue spese undici degli allievi. Quanto ai tradizionali incarichi cardinalizi, l'elenco di quelli dell'E. è lungo: fu prefetto della congregazione di Propaganda Fide, membro di quelle dei Vescovi e regolari, del Concilio, del Buon Governo, della Lauretana, della Economica, della Fabbrica di S. Pietro, della Correzione dei libri della Chiesa orientale e della Consulta; fu protettore di tutto l'Ordine carmelitano (dal 12 giugno 1817), delle città di Senigallia, Pergola e Poggio Mirteto, del collegio dei maroniti, nonché di innumerevoli conventi e confraternite in Roma, Foligno, Fabriano e altri luoghi. Fu anche Grande di Spagna e gran croce dell'Ordine della Concezione. Conscio di essere l'ultimo della sua famiglia e ricco di prebende, non si curò molto di conservare il patrimonio avito. Alla sua morte si trovò un debito di 7.825 scudi, che fu estinto con la cessione del palazzo Ercolani sul corso di Senigallia (atto 16 maggio 1826 rog. Apolloni in Roma).
Certamente nel suo breve cardinalato l'avvenimento saliente fu il conclave del 1823, del quale si ha sull'E. una documentazione straordinaria, in quanto il più importante diario di quell'elezione venne redatto dal suo conclavista G. Brunelli (pubblicato da R. Colapietra in Arch. st. ital., CXX [1962], 1, pp. 76-146).
Entrarono in questo conclave, che ebbe luogo in Quirinale, 49 cardinali sui 53 viventi, e pare che già il 3 settembre, appena intimato l'extra omnes, il cardinale bavarese C. Haeffelin assicurasse l'E., con tatto discutibile, che "se non fosse stato paralitico tutti i voti sarebbero stati per lui". La posizione dell'E. non appare molto netta, sebbene militi senz'altro nel gruppo dei moderati: egli, che verrà definito "un tecnico di spiccata formazione consalviana", in quell'occasione si schierò su posizioni nettamente contrarie al Consalvi, pare a causa del proprio austero spirito religioso, e forse anche perché quello, ammalato e drammaticamente isolato, aveva ceduto la leadership dei moderati a G. Albani; dapprima fu con il Falzacappa alla guida di un esiguo drappello, molto rigido sotto il profilo dottrinale ma aperto ad un certo illuminato paternalistico riformismo in campo politico, che sosteneva la candidatura del card. E. De Gregorio, come dichiarò il giorno 8 a G. Morozzo; ma incontrò una fortissima opposizione. Il 9 il Rivarola propose un partito per l'E. stesso, incontrando il rifiuto di quest'ultimo a causa delle sue condizioni fisiche e "per la sua incapacità in materia ecclesiastica". Il 14, dopo la votazione, anche l'Albani prospettò a C. Guerrieri Gonzaga la candidatura dell'E., ma si sentì rispondere che "non era possibile fare un papa inabile alle funzioni pubbliche". Il 19, aumentando i suffragi per il reazionario A. G. Severoli, anche l'E., che aveva sempre votato De Gregorio, si lasciò indurre dal suo conclavista ad appoggiarlo, ma solo nella votazione del mattino, ché il pomeriggio votò nemini. Il 20 la candidatura Severoli, che stava per trionfare, fu stroncata dall'esclusiva austriaca annunziata dall'Albani. Il 25 l'E., in un complicato gioco, ricevette i voti di Rivarola, Morozzo, Guerrieri, P. Vidoni e F. Bertazzoli, finché il 28 settembre queste indecifrabili alchimie si coagularono sul della Genga, alla cui elezione anche l'E. contribuì, sebbene fosse un successo degli zelanti.
Agli eventi del nuovo pontificato non partecipò affatto, per il rapido progredire della malattia. Testò il 13 nov. 1825 (il testamento ebbe forza esecutiva per rescritto del 5 genn. 1826), nominando fiduciari il suo segretario Brunelli e mons. P. Caprano arcivescovo di Iconio, ed eredi le figlie della sorella Teresa sposata al conte F. Bianchi di Ancona, Marianna in Foschi Nembrini e Ludovica in Candellari; complesse furono le vicende della ricca "prelatura Ercolani", che dopo molti contrasti venne attribuita ai cugini Mastai Ferretti e aggiudicata da Leone XII al futuro Pio IX.
L'E. morì a Roma il 10 dic. 1825.
Fonti e Bibl.: Arch. segr. Vaticano, Segreteria di Stato, Interni (indice 1031), 1814-33, anno 1814, rubr. 21-41, 165; anno 1815, rubr. 1 e 2, busta 13; Ibid., Segreteria di Stato, Protocollo, rubrichetta 27-E, nn. 17915, 20716, 24970, 26063, 29859, 44544, 44796, 57788, 61205; rubrichetta 47-E, nn. 71503, 76605, 80740, 87576, 89842, 91082, 91545, 92926, 93380; Ibid., Congregazione economica, buste 1-3, 81, 83, 87, 88, 90; Ibid., Rapporti originali della Giunta di Stato, anno 1815, rubr. 1, Registri, I (1800-1809), 14; Ibid., Biglietti, 1-15; Ibid., Collezione di pubbliche disposizioni, arm.V, nn.296-304; Ibid., Carte Pacca, Memoriale 31 ott. 1823; Ibid., Schede Boncompagni, 13-B-E (prot. 676, n. 279 A); Ibid., Secret. Brevium, 4618, ff.13 s.; Bibl. ap. Vaticana, Vat. lat. 9901: Diario Speroni; Vat. lat. 10731: Diario Fortunati, f. 681 v; Arch. di Stato di Roma, Camerale, II, Camerlengato e tesorierato, busta 21; Ibid., Commercio e industria, busta 15; Ibid., Comunità, busta 2; Roma, Arch. del Collegio Nazareno, Registri convittori, I (1630-1774), n. 1640; Ibid., Bibl. Vallicelliana, Miscell. Falzacappa, Z 24; Ancona, Bibl. Benincasa, inv. 129, Governo provvisorio10 maggio-25 sett. 1814; Senigallia, Bibl. Antonelliana, busta Fon. Se., mss. B (genealogia della famiglia Ercolani); Foligno, Bibl. com., ms. A-12-3-116: A. Mancinelli, Famiglie nobili folignati, II, 72; Ibid., ms. A-12-3-114: Id., Onomastico, ad vocem; Ibid., Riformanze municipali, vol. 104, p. 93; Sez. di Arch. di Stato di Foligno, Archivi di stato civile, Arch. parr. di S. Salvatore, Registrum bapt., n. 3 (alla data 18 ott. 1758); Diario di Roma (Cracas), 1814, n. 9; 1816, n.59, pp. 65, 90; 1825, n. 99, p. 25; n. 100, p. 2; A. Leonetti, Memorie del Collegio Nazareno, Bologna 1882, pp. 246, 263; A. Margutti, Cenni biogr. dialcuni illustri sinigagliesi, Senigallia 1888, pp. 36 ss.; L. Grottanelli, Ricordi storici della famiglia Ercolani di Senigallia..., Fano 1902, ad nomen; M. Moscarini, La restauraz. pontificia nelle provincie di "prima recupera" (maggio 1814-marzo 1815), Roma 1933, pp. 65 s., 104, 132; G. Forchielli, Un progetto di codice civile nel 1818 nello Stato pontificio, in Scritti della facoltà giuridica di Bologna in onore di U. Borsi, Padova 1955, pp. 89-164; R. Colapietra, La Chiesa tra Lamennais e Metternich, Brescia 1963, pp. 41, 53 s., 139, 181, 301; Id., La politica econ. della Restaurazione romana, Napoli 1966, pp. XIII, LXIX, LXXIII, LXXXII; D. Silvagni, La corte pontificia e la società romana …, Roma 1971, I, p. 283; III, pp. 126, 148; D. Cecchi, L'amministraz. pontificia nella prima Restaurazione, Macerata 1975, pp. 43, 147; Id., L'amministraz. pontificia nella seconda Restaurazione, Macerata 1978, pp. 6, 22, 39, 51, 161, 230, 377, 398, 404; A. Polverari, Senigallia nella storia, III, Evo moderno, Falconara 1985, pp. 253 s.; R. Ritzler-P. Sefrin, Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, VIII, Patavii 1968, pp. 12, 59 s.; G. Moroni, Diz. di erudiz. stor.-eccl., ad Ind. (spec. XXII, pp. 27 ss.); Enc. catt., s.v.