DEL RICCIO, Luigi
Di nobile e antica famiglia, nacque a Firenze da Giambattista e da Eleonora di Cristofano Bracci. Ignoto l'anno di nascita (ma in un madrigale dei dicembre 1543 canta "ond'io ch'omai mi attempo"), sappiamo che nel 1530 fu tra i banditi da Firenze in seguito al ritorno dei Medici e che si trasferì a Roma come agente del banco degli Strozzi (di Filippo Strozzi) e degli Ulivieri e, poi, anche come procuratore di Roberto Strozzi. La sede romana di quel banco, il palazzo Strozzi - Ulivieri in via dei Banchi Vecchi, sarà la sua residenza per tutto il periodo trascorso a Roma, dal 1530 fino alla morte.
Figura di secondo piano nel mondo culturale fiorentino e romano, è noto più che per una sua originale e comunque autonoma produzione o posizione, per i riflessi connessi con la frequentazione di alcune tra le personalità più eminenti del momento, a cominciare da Cosimo de' Medici. Con quest'ultimo, nonostante la condizione di bandito e il servizio presso gli Strozzi - noti come nemici irriducibili dei Medici - il D. mantenne rapporti epistolari e cercò medaglie antiche per la sua collezione (1540). Sempre nel 1540 (1º ottobre) appare come garante nella cessione dei beni fatta da Donato Giannotti in favore del fratello Giannotto. È però il 1542 a segnare l'inizio della stagione più intensa del soggiorno romano del D., nella quale il suo rapporto con Michelangelo, iniziato probabilmente intorno al 1534 (dopo il ritorno definitivo dell'artista a Roma) e documentato da tre lettere ascrivibili agli anni 1538-39, si fa serrato e più interessato da parte di Michelangelo, che così parla del D.: "era molto mio amico, e poi che morì Bartolomeo Angelini [1541] non ò trovato uomo per fa[r] le mia faccende meglio di lui, né più fedelmente" (Carteggio, lettera di Michelangelo al nipote Leonardo in data 22 ott. 1547). E di tale competenza e fedeltà Michelangelo dà continuamente atto all'amico nelle non poche lettere (ventisette) indirizzategli, che rappresentano il blocco più cospicuo e importante della corrispondenza dell'artista per il periodo luglio 1542-marzo 1546.
La dedizione del D. per Michelangelo era pressoché totale, tanto da far parlare di un atteggiamento "materno" (Redig de Campos, p. 17): pieno di attenzioni e di premure, per due volte (estate 1544e inverno 1545) convince un Michelangelo gravemente malato ad approfittare della sua ospitalità e a farsi curare in via dei Banchi Vecchi, ne sbriga le faccende anche più minute e intreccia una fitta corrispondenza 14lettere tra la fine del 1544 e il 1546) con Leonardo Buonarroti. Del resto lo scarno canzoniere dei D. si esaurisce attorno a due soli temi: il nipote Cecchino e l'amico. Ma c'è ancora un elemento determinante che emerge da quel carteggio: non estraneo al mondo delle lettere e, almeno agli occhi di Michelangelo, non privo di un certo ingegno, fu anche il consigliere poetico dei suo illustre corrispondente. A lui infatti Michelangelo mandava i suoi componimenti perché li "acconciasse" e da lui altri ne sollecitava, minacciando altrimenti il silenzio. Ma, fortunatamente consapevole dei propri limiti, il D. non si lasciava tentare più di tanto dalle sollecitazioni dell'amico e stette al gioco per non più di un paio di lettere. Michelangelo non era comunque il solo ad avere l'amico in buona considerazione, se Francesco Priscianese indirizzava al D. e a Lodovico Becci una lettera (poi pubblicata in appendice al suo Della lingua romana, Venezia 1540) nella quale raccontava una cena in compagnia di Tiziano, dell'Aretino e di Iacopo Sansovino e dove pure polemizzava contro quanti gli rimproveravano di parlare di grammatica latina scrivendo in volgare.
Nei giorni e nei mesi immediatamente successivi all'8 genn. 1544, data della morte di Cecchino Bracci - nipote sedicenne del D., carissimo allo zio e a quanti lo conoscevano -, il D. raccoglie, e talvolta sollecita, in un codice ora alla Nazionale di Firenze (Magl. VIII. 38) una serie di poesie scritte per l'occasione da Domenico Giannotti, Michelangelo, Giovanni Aldobrandini, Carlo Gondi, Paolo Del Rosso e Antonfrancesco Grazzini. Michelangelo in particolare tornò più volte su quella figura di giovanetto e per Cecchino scrisse ben 48 epigrammi, tanto da aver fatto dubitare dell'onestà di quell'affetto e da spingere il Polidori ad una difesa della moralità dell'artista. In ogni caso, fosse per l'amicizia verso lo zio o per il benevolo affetto nei confronti del nipote - che forse fu suo allievo - Michelangelo fece per il D. uno schizzo per il sepolcro di Cecchino, poi realizzato nella chiesa romana dell'Aracoeli. Più significativa, per il ruolo riconosciuto al D., la presenza di quest'ultimo come interlocutore in un dialogo di Donato Giannotti (De' giorni che Dante consumò nel cercare l'Inferno e il Purgatorio) che si immagina tenuto a Roma, probabilmente nella primavera del 1545, e al quale prendono parte, oltre al D., lo stesso Giannotti, Michelangelo e Antonio Petreio (o Petrei o Petreo).
Al di là dei rilievi tecnici e della critica mossa alla posizione del Landino, importa sottolineare la riaffermata dimestichezza del D. con Michelangelo e gli altri partecipanti al dialogo e la sua capacità di muoversi agevolmente, sia pure in funzione di "provocatore", in una materia così ostica.
Non va neppure dimenticata la sua corrispondenza con un latinista quale Pietro Vettori (ci restano due lettere, dell'agosto 1541 e del luglio successivo; l'una e l'altra sono edite in Steinmann, 1932, pp.32 s. e 34). Di particolare significato il fatto che il D. figuri - insieme con Sebastiano del Piombo, Domenico Giannotti e Tommaso de' Cavalieri - tra quegli amici di Michelangelo che si erano presi l'incarico di raccogliere e preparare per la stampa le rime del maestro. Del progetto, che si concretizzò nella raccolta di vari quaderni (ora all'ArchivioBuonarroti della Laurenziana di Firenze, cod. XVII) e di centocinquanta sonetti e madrigali (ora nel codice Vat. lat. 3211 della Bibl. apost. Vaticana), il D. dovette essere di certo uno dei promotori più attivi se poi l'iniziativa cessò con la sua morte.
Partito alla volta di Lione nella seconda metà del 1545, si ammalò e fu costretto a far ritorno a Roma (22 dicembre). La primavera successiva (dopo il 23 marzo) lo vide a Venezia, da dove poi, nel corso dell'estate, tornò definitivamente nella casa di via dei Banchi Vecchi a Roma, dove morì tra il 5 ottobre - data di una ricevuta rilasciata a Benvenuto Ulivieri - e il 13 novembre, quando è dato per morto in una lettera di monsignor Bernardino Della Croce a Pier Luigi Famese nella quale, a proposito di Michelangelo, si legge: "hora che è morto Del Riccio, che governava tutte le sue cose, li pare essere impaniato di sorte che non sa che si fare se non disperarsi" (Steinmann, 1932, p. 28).
Fonti e Bibl.: D. Giannotti, Opere politiche e letter., a cura di F. L. Polidori, Firenze 1850, I, p. XL; II, pp. 382-89; Id., Dialoghi de' giorni cheDante consumò nel cercare l'Inferno e il Purgatorio, a cura di D. Redig de Campos, Firenze 1939, passim; M. Buonarroti, Carteggio, a cura di P. Barocchi-R. Ristori, Firenze 1979, ad vocem;A. Gotti, Vita di M. Buonarroti narrata con l'aiuto di nuovi documenti, I, Firenze 1875, pp. 282 s.; K.Frey, Die Dichtungen des M. Buonarroti, Berlin 1897, pp. 528 s.; A. Boyer d'Agen, L'oeuvre littéraire de Michel-Ange avec une vie du maître par son élève A. Condivi, Paris 1911, ad vocem;L. Dorez, Nouvelles recherches sur Michel-Ange et son entourage, in Bibliothèque de l'Ecole des chartes, LXXIX (1918), p.184; E. Steinmann, Michelangelo im Spiegel seiner Zeit, Leipzig 1930, pp. 22 s.;Id., Michelangelo e L. D. Con docum. inediti, in Riv. stor. d. Archivi toscani, III (1931), 4, pp. 227-81 (estratto, Firenze 1932);R. Starn, Additions to the corresp. of D. Giannotti: a list and sampling of fifty-four unpublished letters, in Rinascimento, s.2, IV (1964), pp. 102, 106, 119, 121;Ch. de Tolnay, Michelangelo, V, The final periode, Princeton 1971, pp. 4 s.