CHIARINI, Luigi
Nacque a Roma il 20 giugno 1900 da Carlo e da Giulia Rosada. Dopo la laurea in giurisprudenza, si occupò di critica e di teoria letteraria, collaborando ad alcune riviste di cultura, in particolare a Quadrivio, fondata nel 1933, di cui fu vicedirettore.
Influenzato dalla filosofia idealistica di Giovanni Gentile, egli affrontò i problemi della critica letteraria e della teoria della letteratura in rapporto alla moralità dell'arte, alla luce d'un umanesimo in cui etica ed estetica trovavano un punto di indissolubile fusione. Per il C., come ebbe a scrivere in La religiosità dell'arte e della filosofia (in Quadrivio, 1° luglio 1934, n. 36), "la grande forza dell'idealismo, la sua moralità è il suo vero e concreto realismo". Di qui un interesse particolare per quegli autori e quelle opere che più si calavano in un'analisi complessiva dell'uomo e della società, pervasi da un forte senso morale, da un intento critico non evasivo, da. un realismo di fondo genuino.
Sulla medesima rivista Quadrivio, che già dedicava uno spazio non trascurabile al cinema e ai problemi critici ed estetici ad esso connessi, il C. scrisse una serie di articoli nel 1934, il primo dei quali affrontava la questione dei rapporti fra opera letteraria e opera cinematografica (Il vero e il falso Don Chisciotte, ibid., 15 apr. 1934, n. 25), introducendo e sviluppando il concetto di "nazionalità", profondamente sentita e vissuta dall'artista, "attinta concretamente e storicamente", come veicolo di "universalità". Questi articoli, opportunamente coordinati, furono da lui raccolti e pubblicati nel 1935 nel volumetto Cinematografo (Roma), con una prefazione di G. Gentile.
In questo libro il C. tenta di definire una teoria del cinema che, da un lato, si riallacci a una più generale teoria inquadrata "nella concezione idealistica dell'arte" e, dall'altro, si basi su una precisa definizione dell'ambito tecnico-linguistico in cui il cinema si manifesta come arte autonoma. In quanto arte, il cinema è quindi, per il C., un prodotto dello spirito e possiede una forte carica morale. Queste meditazioni critiche sul cinema, che si collocano nel quadro di riferimento culturale in cui si mossero in quegli anni altri intellettuali italiani attenti al fenomeno cinematografico (da Umberto Barbaro e Carlo Lodovico Ragghianti a Emilio Cecchi), consentirono al C. di essere tra i primi cui il regime fascista si rivolse, nel rinnovato programma di ristrutturazione della cinematografia italiana, con la creazione di nuove istituzioni didattiche e produttive.
Nel 1935 venne fondato il.Centro sperimentale di cinematografia, alle dirette dipendenze della Direzione generale della cinematografia, allora sotto la guida di Luigi Freddi, con lo scopo di trasformare la già esistente Scuola nazionale di cinematografia in una vera e propria università del cinema. Come ricorda Freddi, per "la direzione la scelta naturale cadde su Luigi Chiarini", il quale "era portato da natura e cultura alla soluzione di questi problemi e che al sincero fervore accomunava indiscusse capacità organizzative e pedagogiche" (p. 18). Il C. assunse la direzione del Centro e si prodigò con ogni mezzo per la migliore riuscita dell'impresa. Nel 1937 diede vita alla rivista del Centro Bianco e nero su cui comparvero parecchi suoi scritti, e affiancò alla rivista una collana, con il medesimo nome, di volumi di tecnica e di estetica dei cinema; in questo periodo gli fu stretto collaboratore U. Barbaro. Nel 1938 pubblicò un saggio importante, Il film è un'arte, il cinema è un'industria (Bianco e nero, II [1938], n. 7, pp. 3-8), che suscitò una interessante discussione teorica, e il cui titolo fu poi assunto come motto della sua intera teoria cinematografica. Nel medesimo anno, in collaborazione con Barbaro, pubblicò una prima raccolta di scritti teorici sull'attore, da Hegel e Diderot al Novecento (ibid., n. 2-3), cui seguirono altre due raccolte (ibid., IV [1940], n. 7-8; V [1941], n. 1). Questa antologia di testi, insieme con il suo ampio saggio L'attore teatrale e l'attore cinematografico e con un saggio di Barbaro, fu ripubblicata in volume nel 1950 (L. Chiarini-U. Barbaro, L'arte dell'attore, Roma 1950). Sempre con Barbaro, pubblicò un'ampia raccolta di scritti teorici sul cinema, tentando una prima sistemazione storica della materia (Problemi del film. Saggio di antologia estetica, ibid. 1939). Nel frattempo egli aveva raccolto e rielaborato i suoi interventi teorici sul cinema in un nuovo volume, che teneva anche conto della sua attività didattica al Centro sperimentale: Cinque capitoli sul film (Roma 1941). In questo libro sono ripresi e approfonditi alcuni concetti già espressi in Cinematografo, soprattutto per quanto concerne la moralità dell'arte in generale e del cinema in particolare, e i caratteri peculiari dei linguaggio cinematografico.
Per il C. questi sono rinvenibili nei vari momenti tecnici della realizzazione dei film, il quale trova una sua unità nella regia, intesa appunto come o unità creativa". Quanto alla moralità dell'arte, la sua posizione si fa più precisa e quasi apodittica, quando afferma, ad esempio, che "un film veramente d'arte è sempre morale, proprio perché non si può concepire un'opera d'arte che non impegni seriamente la più profonda umanità dell'artista".
Nel 1940 collaborò, con Barbaro e Francesco Pasinetti (un altro insegnante del Centro sperimentale), alla sceneggiatura del film La peccatrice di Amleto Palermi, e con i medesimi collaboratori realizzò il primo film prodotto dal Centro sperimentale - con gli allievi, i tecnici, i docenti - di cui si assunse la regia: Via delle Cinque Lune (1942).
Questo film, la cui sceneggiatura fu dal C. pubblicata in volume (Dal soggetto al film. La sceneggiatura di Via delle 5 Lune, Roma [1942]) e a cui Bianco e nero dedicò un numero monografico, contenente anche un'ampia antologia di giudizi della stampa (VI [1942], n. 5-7), è un vero e proprio saggio di regia cinematografica, con i pregi e i limiti di tal genere di operazioni fra l'artistico e il didattico, e si colloca, per impianto tematico (è liberamente tratto dal racconto O Giovannino o la morte di Matilde Serao) e cura della realizzazione, nel filone cosiddetto "formalistico" o "calligrafico" del cinema italiano degli anni di guerra.
A quest'opera fecero seguito La bella addormentata (1942), dalla commedia omonima di Rosso di San Secondo, e La locandiera (1943), da Carlo Goldoni, quest'ultima non terminata, in fase di montaggio, dal C., a causa del precipitare degli eventi bellici: l'armistizio dell'8 sett. 1943 e il trasferimento a Salò del cinema fascista. Questa attività registica, di buon livello e a volte di valore non trascurabile, continuò anche dopo la seconda guerra mondiale, nel nuovo clima dell'Italia libera. Nel 1946 il C. diresse, da un soggetto di Ettore M. Margadonna, L'ultimo amore, e nel 1948, da un soggetto di Corrado Alvaro, Patto col diavolo. In seguito, pur avendo ripreso l'attività di docente, di critico e di teorico, oltreché di direttore e vicepresidente del Centro sperimentale (dal 1947 al 1951), collaborò ancora a qualche sceneggiatura: Stazione Termini (1952) di Vittorio De Sica, Amore in città (1953) di autori vari, Siamo donne (1953) di autori vari, Io amo… tu ami (1960) di Alessandro Blasetti, Viva l'Italia (1960) di Roberto Rossellini (solo soggetto). La pratica cinematografica e i vari problemi realizzativi e organizzativi ad essa connessi, trovarono una sistemazione teorica nel volumetto La regia cinematografica (Enciclopedia del cinema, II, Roma s.d. [1946]), che in parte riprendeva il precedente Cinque capitoli sul film e che sarà totalmente rifuso nel successivo Il film nei problemi dell'arte (ibid. s.d. [1949]), che contiene in appendice l'interessante saggio Parabola di Charlot e di Chaplin. Negli stessi anni il C. riprese il lavoro al Centro sperimentale, da cui fu allontanato (per motivi politici, essendosi egli sempre più avvicinato a posizioni di sinistra) nel 1951, quando dovette anche lasciare la direzione della rivista Bianco e nero. L'anno seguente fondò la Rivista del cinema italiano, che diresse sino alla cessazione delle pubblicazioni (1955), riprendendo la formula culturale di Bianco e nero, e contemporaneamente diresse per l'editore Laterza di Bari la "Biblioteca dello spettacolo" e per l'editore Bocca di Milano la "Collana di studi cinematografici", in cui uscì, nel 1954, il volume Il film nella battaglia delle idee.
In quest'opera, polemica e stimolante come la coeva Cinema quinto potere (Bari 1954), il C. riprende i temi cari alla sua speculazione teorica, aggiornandoli alla luce sia della poetica neorealistica e dei suoi presupposti etici e ideologici, sia in rapporto alla sua intensa attività di critico militante. Tale attività egli esplicò sulle colonne del settimanale Il Contemporaneo (1954-57), raccogliendo poi successivamente tali scritti d'occasione ed altri pubblicati su Cinema nuovo (a cui collaborò regolarmente) nel volume Panorama del cinema contemporaneo 1954-1957 (Roma 1957).
Nel 1961 gli fu affidata (primo in Italia) la cattedra di storia e critica del cinema presso l'università di Pisa, insegnamento che tenne sino al 1966 per passare poi all'università di Urbino. Frutto di questa ripresa di interessi speculativi e didattici fu il volume Arte e tecnica del film (Bari 1962), in cui ripubblicò una parte del precedente Il film nei problemi dell'arte, aggiungendovi altri capitoli di vivo interesse teorico, che affrontano i problemi dei rapporti fra cinema e spettacolo, cinema e teatro, cinema e arti figurative, cinema e narrativa.
Dal 1964 al 1968 il C. diresse la Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, dando ad essa un impulso artistico e culturale notevolissimo e suscitando non poche polemiche, la cui eco si può ritrovare nel suo pamphlet pubblicato a Milano nel 1969: Un leone e altri animali. Nel 1972 infine uscì il denso volume Cinema e film. Storiae problemi (Roma 1972), che è il frutto del suo insegnamento all'università di Urbino.
In esso il C. sistema nuovamente la materia teorica che per molti anni aveva trattato partitamente in un più generale quadro di riferimento storiografico, completando la trattazione con una serie di profili critici, veri e propri microritratti, di vivace scrittura. In tal senso, questo volume può essere considerato come la summa d'una attività teorica e critica che lo vide, per oltre un trentennio, all'avanguardia degli studi cinematografici in Italia: studi che egli, insieme con U. Barbaro, contribuì a stimolare, indirizzare e proseguire creando una scuola teorica e critica che ebbe numerosi allievi e seguaci.
Il C. morì a Roma il 12 nov. 1975.
Fonti e Bibl.: Almanacco del cinema italiano 1942-43, Roma 1943, p. 154, L. Freddi, Il cinema, II, Roma 1949, pp. 17-36; G. Aristarco, Storia delle teoriche del film, Torino 1951, pp. 157-166, G. Aristarco-G. C. Castello, L. C., in Encicl. dello spettacolo, III, Roma 1956, pp.639-642, E.G. Laura, L. G., in Filmlexicon degli autori e delleopere, I, Roma 1958, coll. 1271-1273; Id., L. C. e il film come assoluta forma, in Bianco e nero, XXIII (1962), n. 7-8, pp. 18-66; G. Oldrini, La teoria cinematografica n Italia durante il fascismo, in Giovane critica, I (1964), n.4, pp.67-79; A. Negri, Barbaro e Chiarini: tra attualismo e dialetticità del reale, in Filmcritica, XVII (1966), n. 168, pp. 328-354; R. Boussinot, L'encyclopédie du cinéma, Paris 1967, pp. 321 s.; A. Borrelli, Neorealismo e marxismo, Salerno 1967, pp. 50-59; G. P. Brunetta, Umberto Barbaro e l'idea di neorealismo (1930-1943), Padova 1969, pp. 127-154; M. Verdone, Sommario di dottrine del film, Parma 1971, pp. 118- 131; G. P. Brunetta, Intellettuali cinema e propaganda tra le due guerre, Bologna 1972, pp. 157-239; Id., L. C.: un intellettuale alla ricerca del nuovo, in Cinema sessanta, XV (1975), n. 106, pp. 40-45; F. Casetti, Teorie dei cinema. Dal dopoguerra a oggi, Farigliano 1978, pp. 72, 106-107; F. Savio, Cinecittà anni Trenta, I, Roma 1979, pp. 322-330 (intervista al C.); G. P. Brunetta, Storia del cinema italiano 1895-1945, Roma 1979, pp. 315-320, 451-459; Id., Storia del cinema italiano dal 1945 agli anni ottanta, Roma 1982, pp. 346-364, 561-563; F. Di Giammatteo, Dizionario universale del cinema, II, Roma 1985, pp. 487-488.