CHIALA, Luigi
Nato ad Ivrea il 29genn. 1834 da Giovanni, direttore delle poste locali, e da Marianna Giordano, aveva compiuto gli studi secondari in seminario per iscriversi poi all'università di Torino e seguire i corsi di belle lettere, assiduo alle lezioni di eloquenza latina di T. Vallauri.
Iniziò presto l'attività di giornalista, entrando nel 1850 nella redazione dell'Armonia, noto giornale clericale e reazionario, in occasione di un ampliamento dei suoi collaboratori. Lavorò contemporaneamente anche per La Campana, sorta il 30 marzo 1850 con intenti antigovernativi (nota è la difesa del giornale a favore del vescovo di Torino L. Franzoni in occasione della sua lunga controversia con lo Stato costituzionale piemontese). Poco più tardi, quando il vivace mondo giornalistico torinese si screziò di polemiche talvolta anche impietose, l'aver prima militato nelle file del "partito nero" pesò sul C. del quale furono ricordati i giovanili esordi clericali, quale "testa di ferro" dell'Armonia (F. Predari, La Rivista contemporanea e i disertori del suo ecclettismo, in Boll. di sc., lett., arti,teatri,industrie,ital. e straniere, 15 ag. 1854). Nel 1853 aveva compiuto però un passo decisivo, entrando nella redazione e nella proprietà della Rivista contemporanea che M. G. Saredo faceva uscire dal 1º settembre. Dopo appena due mesi, grazie al patrimonio materno, il C. ne diventò proprietario e direttore unico. La Rivista contemporanea di scienze,lettere,arti e teatri voleva differenziarsi dal Cimento di Z. Cesari, che si pubblicava a Torino dal febbraio 1952, e dal Bollettino di F. Predari, che aveva cominciato le pubblicazioni dal luglio del '53; proponeva perciò ai lettori testi letterari di poeti e scrittori, in genere di qualche risonanza, anziché testi critici.
In verità motivava questa scelta con considerazioni indirettamente politiche ("Il paese incomincia ormai ad essere stanco di queste agitazioni senza scopo, di queste declamazioni senza fede, di tanti politicastri senza principii...": Rivista contemporanea, 1º sett. 1853, p. 2) che la ponevano nel campo del moderatismo di Destra. Significativamente il C. stesso, fin dal primo numero, dedicava un articolo a C. Balbo, scomparso nel giugno di quell'anno, che aveva rappresentato negli ultimi mesi in Parlamento l'alternativa di destra a Cavour per la formazione del suo ministero Seguitava nei numeri successivi pubblicandone inediti, fra cui anche quello sulla questione d'Oriente (Mémoire sur les derniers événements de l'Orient), nell'imminenza della guerra di Crimea. Fra le prime biografie figura pure quella dedicata a S. Pellico, ma ne erano annunciate altre di personaggi di sfumature diverse che il C. curerà. La rubrica "Pensieri" riporta scritti di V. Gioberti, S. Pellico, J. de Maistre, A. Manzoni, N. Tommaseo. Compaiono le firme di A. Bresciani, G. Prati, D. Cappellina, ma nella seconda metà del '54 si arricchisce di altre firme illustri, N. Tommaseo, T. Mamiani, G. Revere, A. Rosmini, A. Peyron, mentre saltuariamente e con pseudonimi vi scrivevano E. Camerini e F. De Sanctis. Le accuse rivolte alla Rivista da G. Sabbatini e L. Mercantini (cfr. fasc. 15 del 1854) e ampliate da F. Predari nel suo Bollettino (nn. 77, 79, 80, 81, del 1854) spinsero il C., da una parte a ribadire i principi di libertà concessi ai collaboratori in nome di un orientamento ecclettico e di larga tolleranza, sul modello della Revue des Deux Mondes, dall'altra a cercare collaboratori di sicuro prestigio, quali ad esempio il Tommaseo, la corrispondenza col quale si apre proprio in quei frangenti ("alcuni maligni vanno sparlando della Rivista perché manifesta idee religiose e libertà temperata, gridano al gesuitismo ecc.": il C. a Tommaseo, 16 ag. 1854), in cambio di compensi non indifferenti. Al Tommaseo vengono offerti per i primi mesi sessanta franchi mensili, che in un seguito immediato diventeranno cento. Ma in cambio la Rivista acquistò risonanza e fu la più diffusa in Italia fra le riviste torinesi (nel 1855 si diceva che le copie stampate arrivassero a millecinquecento: La vita lett. in Piemonte e in Lombardia, p. 196).
L'abilità del C. nell'avvicinare personaggi e nel farsi accettare non dovette essere trascurabile, anche se venne tacciato di essere un "fanciullone" in mano al clero, e il Camerini, con occhio critico, e sensibilità ed esperienza diverse da quelle del moderatismo piemontese, poteva osservare che la Rivista, tra "i fronzoli del Revere e le solenni parole di Mamiani insinua la crociata contro gli Albigesi e simili infamie" (ibid., pp. 113, 188). Il peso finanziario tuttavia si fece assai alto, in un clima di concorrenza fra riviste di argomento simile e con collaboratori spesso gli stessi, come medesimo era il pubblico. Si giunse così alla fusione col Cimento (febbraio '56); fu mantenuta la testata della Rivista contemporanea e la direzione del C., e al Cesari fu affidata la direzione amministrativa: le collaborazioni di rilievo che si aggiunsero allora furono quella di C. Correnti, A. Gallenga, F. De Sanctis e B. Spaventa.
Il C. si preoccupò delle sfumature che questi nuovi collaboratori potevano portare alla sua rivista, e chiese ancora una volta l'aiuto del Tommaseo, che in un articolo di filosofia morale avrebbe potuto allontanare indesiderati sospetti ("perché poi altri non stimasse che per la fusione del Cimento colla Rivista s'introducesse l'elemento hegeliano desidererei che introducesse qualche accenno che dimostri il contrario": a Tommaseo, s.d.).
Una svolta ideologica più decisa il C. compì pochi mesi dopo sotto l'incalzare degli avvenimenti politici. Nei fascicoli di ottobre e novembre 1856 pubblicava un Breve saggio delle condizioni presenti del cattolicesimo in Italia, in cui, prendendo spunto da un editto repressivo della libertà di coscienza emanato dal S. Uffizio di Ancona nell'agosto precedente, attaccava i gesuiti e la Civiltà cattolica. Glifurono di appoggio, fra i moderni cattolici persuasori di libertà, in primo luogo il Gioberti, e poi l'abate A. Martinet e monsignor L. Rendu. Ma c'è anche il richiamo al Vangelo e ai Padri della Chiesa: allora "si aveva un concetto più equo di quello che ne abbiano in pieno secolo decimonono certi sedicenti cattolici" (2 ediz., Torino 1856, p. 9). L'articolo apparve un voltafaccia, tanto più che il C. tenne alla sua diffusione facendolo stampare e distribuire a parte, ma la sua permanenza alla direzione della Rivista ne fu scossa, e alcune collaborazioni vennero meno. Si aggiunsero motivi economici che lo portarono a cedere al Cesari sia la direzione sia la proprietà. Continuò però ad esserne collaboratore ancora per alcuni anni (la soluzione della proprietà infatti prevedeva che il C. ricevesse per tre anni centocinquanta franchi al mese e fosse sollevato d'una parte dei debiti) e a mantenere rapporti con quella cerchia di letterati che si incontravano al gabinetto di lettura del Cesari (La vita letteraria in Piemonte e in Lombardia, p. 382).
Continuò l'attività giornalistica collaborando anche con gli emigrati (faceva parte della redazione dell'Indipendente orientato verso il centro-destra), ma anche con giornali di altri Stati; già da tempo infatti era corrispondente politico della Gazzetta di Verona.Nel '58, quando la Gazzetta ufficiale piemontese riformò la sezione letteraria, la redazione ne fu affidata a V. Bersezio, che era già stato collaboratore della Rivista contemporanea, e al C., che presto divenne il curatore della pagina di storia parlamentare. Nell'aprile del '59 si arruolò volontario, partecipando alle campagne della seconda guerra d'indipendenza. Egli non trascurò tuttavia l'attività giornalistica di adesione alla linea governativa. Nel '59 pubblicava a Cuneo una biografia di Cavour e un articolo, Italia e Ungheria. G. Regaldi a Kutaja nell'ottobre del 1850 (in Riv. contemporanea, VII, marzo, pp. I-XX), con cui si voleva dimostrare l'appoggio di un antico amico di Mazzini, L. Kossuth, al nascente regno d'Italia sotto i Savoia. A guerra conclusa rimase nell'esercito come ufficiale, ma mantenne la precedente attività fondando e dirigendo dal '62 al '66, prima da Torino poi da Firenze, L'Italia militare, un foglio trisettimanale di carattere: prevalentemente tecnico indirizzato all'esercito, in cui si dava spazio sia alle questioni di armamento ed equipaggiamento sia alle notizie riguardanti la carriera dei militari. Nella guerra del '66 fu in servizio al quartier generale di A. La Marmora, e a guerra finita rimase al comando generale del corpo di Stato Maggiore. Divenuto ormai uomo di fiducia del La Marmora, nel '70 assunse la direzione della Rivista militare italiana conservandola fino al '76, quando il cambio della maggioranza governativa non gli consentì più l'incarico per la posizione ufficiale della rivista. In essa aveva tenuto a dare uguale peso a contenuti di storia politico-militare e di strategia e armamento (egli stesso vi pubblicava La politica italiana e l'amministrazione della guerra dal 1863 al 1866, XV [1870], pp. 213-76, 393-443).
Sono questi gli anni in cui la sua attività di memorialista dei protagonisti e delle vicende politiche della Destra storica prende avvio e consistenza. Gliene dettero spunto proprio le polemiche nate dopo la guerra del '66, che videro in breve tempo accumularsi pubblicazioni di opposte tendenze, e le contrastanti rivelazioni di La Marmora e Cialdini. Il C., che in un diario del 1866 aveva mostrato qualche perplessità sull'efficienza di una strategia inopinatamente condotta su due fronti, con i Cenni storici sui preliminari della guerra del 1866 e sulla battaglia di Custoza (2 voll., Firenze 1870-73), prese le difese del governo e del generale La Marmora e contestò che l'esercito avesse "l'obbligo di vincere".
Quando i documenti ufficiali delle potenze partecipanti al conflitto non erano ancora stati pubblicati, ricostruì i preliminari diplomatici intercorsi fra Italia, Francia e Prussia, descrisse analiticamente la preparazione e l'assetto degli eserciti contrapposti (vol. I), nonché le operazioni di guerra. Le fonti, pur sottaciute, sono da riconoscersi in parte negli atti parlamentari dei paesi partecipanti al conflitto, in parte in notizie riservate di cui il C. disponeva per la sua particolare posizione. Mancava invece un quadro della condizione del paese e degli orientamenti dell'opinione pubblica, che avrebbero potuto aiutare a chiarire l'ambiguità del governo italiano in tutta la questione; ma questa analisi non poteva essere compiuta da chi si identificava con la classe politica al potere. Il saggio contiene inoltre una biografia del gen. La Marmora, di cui dopo la morte pubblicò anche i ricordi arricchiti di ampie note e di lettere di personalità (Ricordi della giovinezza di A. Lamarmora, Roma 1881).
Sulla terza guerra di indipendenza tornò ancora negli ultimi anni con Ancora un po' più di luce sugli eventi politici e militari dell'anno 1866 (Firenze 1902; il titolo fa riferimento al libro di autodifesa di A. La Marmora Un po' più di luce..., Firenze 1873, il cui secondo volume era rimasto inedito), per rispondere alle nuove discussioni suscitate dalla pubblicazione del diario intorno alla guerra del '66 di T. von Bernhardi, addetto militare presso l'ambasciata prussiana a Firenze nei mesi che avevano preceduto la guerra (Ausdem Leben, I-VIII, Leipzig 1893-1901). Questa volta, a maggior distanza dagli avvenimenti, la causa del La Marmora è assunta francamente e più accentuata è la inclinazione politica, nella ricostruzione storica, a risolvere le questioni italiane attraverso la diplomazia, secondo l'insegnamento cavouriano, anziché con le guerre, specie se queste comportano partecipazione popolare. La documentazione inedita che completa il volume è assai ricca, specie di materiali tratti dall'archivio del generale.
Nel 1878 col grado di capitano si dimise dall'esercito in coincidenza con la morte di La Marmora. Continuò ad esercitare così più liberamente l'attività di giornalista, di memorialista, di polemista, sempre legato alla Destra, ma soprattutto ai suoi uomini, incapace di avvicinarsi alla storia se non attraverso i protagonisti. Fu di questo lavoro che visse fino alla morte, giovandosi del ricco materiale che gli veniva fornito dalle larghe conoscenze negli ambienti moderati e dalla protezione accordatagli da La Marmora. L'interesse che i suoi lavori suscitavano gli permise di chiedere notevoli compensi (al Protonotari, per articoli da pubblicarsi sulla Nuova Antologia, chiedeva cento franchi al foglio: C. a Protonotari, 27 ag. 1877 e 5 apr. 1879), e di vendere i suoi volumi con facilità servendosi sempre dell'editore Roux di Torino. L'elezione a deputato del quinto collegio di Torino (Ivrea e Aosta) nella XV legislatura (1882) e nelle due successive non lo distolse dall'attività di pubblicista; alla Camera fu iscritto alla maggioranza governativa, prendendo la parola su questioni di politica militare. Nel '92 venne nominato senatore.
La Nuova Antologia accolse Le confidenze politiche di due uomini dabbene. M. D'Azeglio e A. Lamarmora (1º ag. 1879, pp. 431-64, e 1º sett. 1879, pp. 18-64), un carteggio documentato fra i due riguardante la formazione e l'avvio del gabinetto d'Azeglio. L'occasione fu l'epistolario Pallavicini-Gioberti reso pubblico pochi anni prima, da cui emergeva un atteggiamento fortemente critico se non denigratorio verso l'Azeglio (Il Piemonte negli anni 1850,'51 '52. Lettere di V. Gioberti e G. Pallavicini, a cura di B. E. Maineri, Milano 1875). Le lettere sono pubblicate dal C. integralmente e accompagnate da note esplicative. Simpatie per l'Azeglio il C. aveva manifestato in un'opera di molti anni prima, Une page d'histoire du gouvernement représentatif en Piémont. Ouvrage enrichi de plusieurs documents inédits, Turin-Paris 1858, il cui argomento erano gli anni 1848-1853; pur scritta per una diffusione europea, imparziale nella documentazione e nei ritratti dei protagonisti, M. d'Azeglio vi era visto con particolare attenzione. L'adesione del C. alla politica cavouriana si può infatti datare soltanto a partire dalla seconda guerra d'indipendenza.
Legato alla pubblicazione dell'Etude diplomatique sur la guerre de Crimée del diplomatico russo A. de Jomini (Paris 1874) fu il volume L'alleanza di Crimea (Roma 1879), in cui con minuziosa ricostruzione si difendeva l'opera del Cavour. Degli anni immediatamente seguenti era l'opera che diede maggior fama al C. (i primi volumi si esaurirono in pochi mesi), ancora oggi necessario strumento di consultazione: le lettere del Cavour (C. di Cavour, Lettere edite ed inedite, a cura di L. Chiala, 6 voll., Torino 1883-1887).
Quando l'opera apparve erano già numerose le monografie sul Cavour e le pubblicazioni di sue lettere e scritti (de La Rive, Massari, i discorsi parlamentari curati da I. Artom e A. Blanc). Ora il C. in modo particolare reagiva al saggio del Treitschke (Leipzig 1869; trad. ital., Firenze 1873), che aveva suscitato scandalo per la interpretazione realistica del Cavour. Il successo incontrato contribuì in modo forse determinante alla popolarità del Cavour, cui venne attribuita una funzione quasi carismatica nella soluzione dei problemi italiani, particolarmente di quello dei rapporti fra Stato e Chiesa, quanto mai attuale in quegli anni. La raccolta, inizialmente concepita in quattro volumi, dopo un'amplissima e documentata biografia introduttiva, raduna nel primo volume le lettere dal 1821 al 1851, nel secondo le lettere dal 1853 al 1858, nel terzo quelle dal 1859 al 1860. Il quarto è dedicato ai mesi dal settembre 1860 alla morte. I volumi quinto e sesto si aggiunsero oltre il piano dell'opera. Il quinto comprende altre notizie e documenti, specialmente sul primo periodo della vita del Cavour, e tutti gli scritti del periodo '34-'50 allora conosciuti e raccolti, che trattano di economia, agraria e politica; in appendice, ragguagli su personaggi ed istituzioni che avevano avuto parte nella vita del protagonista, e dissertazioni ed articoli usciti in pubblicazioni difficilmente rintracciabili. Il sesto volume aggiunge lettere degli anni 1856-1860.
Il lavoro compiuto dal C. fu dunque complesso e vasto, per la minuzia delle notizie raccolte e le migliaia dei documenti vagliati. Criticato tuttavia è il criterio con cui sono state pubblicate le lettere, e giudizi particolarmente severi sono stati espressi in tempi più recenti dalla Commissione per la pubblicazione dei carteggi del Cavour. Si deve, tuttavia, tener conto sia della consuetudine del tempo nella pubblicazione dei documenti coevi, specialmente se privati, sia della giustificazione del C. in avvertenza che asseriva di aver "soppresso in parecchie lettere alcuni passi non perché la loro pubblicazione potesse offendere la memoria del conte di Cavour, come uomo onesto, ma perché contenenti giudizi su cose e persone private, che potrebbero anche oggi essere materie di scandali, o perché quei passi devono per molto tempo ancora rimanere inediti" (I, p. IX). È ovvio che su queste giustificazioni premevano anche motivi ideologici. Era proprio il C. infatti che consacrava con tinte agiografiche la figura del Cavour alla tradizione liberale e monarchica, ma per di più restringendone l'operato e il pensiero nell'ambito della politica e della classe politica italiana, dei meccanismi dei partiti in mezzo ai quali con abilità e lungimiranza il ministro piemontese avrebbe saputo emergere per portare a conclusione la propria opera. "La soluzione trionfale del 1860 presentava loro [Massari e il C.] le cose sotto uno scorcio che riduceva o faceva apparire insignificanti le difficoltà e il rischio degli avvenimenti, pur conservando l'impressione del sorprendente. Davano ai fatti la facilità ovvia del miracolo" (Omodeo, p. 4). Con questo lavoro il C. sembra voler poi irriducibilmente distinguere l'opera del Cavour e del suo partito dai gruppi democratici e repubblicani, nello stretto quadro verticistico cui la sua analisi si rivolgeva. Ogni riferimento all'ambiente civile e sociale piemontese ed italiano era ignorato. L'attenzione del C. rimase legata agli schemi dell'alta dirigenza dello Stato e alla politica militare anche nelle opere successive. Era in realtà il limite di chi, proveniente da un ambiente socioculturale provinciale, aveva vissuto l'esperienza del "decennio di preparazione" soltanto dal punto di vista della classe politica piemontese, e da questa non seppe poi staccarsi quando i tempi esigevano altre prospettive.
Le tre opere tratte dagli archivi di M. Castelli, segretario del Cavour (Il conte di Cavour. Ricordi di M. Castelli, a cura di L. Chiala, Torino 1886; Ricordi di M. Castelli,1847-1875, a cura di L. Chiala, ibid. 1888; M. Castelli, Carteggio politico, edito per cura di L. Chiala, 2 voll., ibid. 1890-91), sono un completamento documentario ricchissimo dell'epistolario cavouriano e forniscono ampie notizie anche sugli uomini del suo tempo. Contemporaneamente badava a raccogliere materiali sulla politica italiana in Africa che aveva portato, nell'87 alla "catastrofe" di Dogali. Si trattava di una risposta al silenzio del governo, che il C. come deputato aveva sollecitato alla pubblicazione dei documenti relativi. La spedizione di Massaua. Narrazione documentata (Torino-Napoli 1888) fu costruita su materiali tratti dal Blue Book inglese, dagli atti parlamentari inglesi e italiani, da autorevoli giornali. La narrazione, minuziosa ancora una volta soltanto nel render conto dei passi diplomatici e degli avvenimenti militari, era critica verso l'ambiguità della politica governativa in Africa, e l'intento dell'opera era di sdrammatizzare l'episodio militare e ridare fiducia al giovane esercito italiano.
Risposta alle accuse di ingratitudine che giungevano al governo italiano, specie dopo il trattato della Triplice alleanza, da parte francese e inglese, furono appunto i tre volumi delle Pagine di storia contemporanea dal 1858 al 1892 (Torino 1892-93), dove si riesaminava, tutta la politica estera italiana di quegli anni attraverso documenti ufficiali italiani e stranieri nonché attraverso la pubblicistica più accreditata, volumi la cui capacità di informazione ha retto anche ad usi recenti (cfr. F. Chabod, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, I, Bari 1951, ad Ind.).Si difendevano con tenacia le mosse diplomatiche dall'alleanza con Napoleone III alla soluzione della questione romana, dal congresso di Berlino alla politica crispina, e quando l'argomento diveniva scottante non mancavano note di richiamo all'emergenza nazionale.
Il volume, che prende spunto dalla biografia del Dabormida (La vita e i tempi del gen. G. Dabormida. Regno di Carlo Alberto 1848-49 con documenti inediti e con l'aggiunta di una commemorazione del gen. V. E. Dabormida, Torino 1896), era in realtà dedicato alla politica militare piemontese del '48-49; vi si sottolineavano le gravi difficoltà affrontate da Carlo Alberto specialmente per l'insufficienza militare del Regno di Sardegna, e indirettamente si proponeva a chi di dovere il problema dell'efficienza dell'esercito. Gli inediti anche qui sono numerosi e meritevoli di attenzione. Di pertinenza ancora cavouriana furono infine i tre volumi dedicati all'opera del direttore dell'Opinione (organo ufficioso del Cavour e, dopo la sua morte, della Destra) dal titolo G. Dinae l'opera sua nelle vicende del Risorgimento italiano (Torino 1889-1902), in verità una silloge di articoli dell'Opinione completata da memorie ed epistolari già pubblicati.
Il C. morì a Roma il 27 apr. 1904, "quasi ignorato ormai presso il volgo, poco in vista presso il ceto ufficiale... nel suo raccolto ambiente di lavoro dove egli... viveva con i trapassati di ieri in una continua intimità di pensieri" (La Tribuna, 28 apr. 1904).
Fonti e Bibl.: Necr. in Nuova Antologia, 16 maggio 1904, pp. 355 ss.; in Rass. nazionale, 16 maggio 1904, pp. 338-342; in Riv. militare ital., XLIX (1904), pp. 917-21; le carte Chiala si trovano nella maggior parte nella sezione omonima dell'Archivio di Stato di Biella, ma altre sono conservate nella Biblioteca del Senato a Roma; presso la Biblioteca nazionale di Firenze si conservano lettere del C. a corrispondenti fiorentini nella Collezione Autografi. Carteggi Tommaseo, 68, 24-25; Carteggi Vieusseux, 26, 83; Carteggi Lemonnier, 24, 132-134; Carteggi De Gubernatis, 27, 35; Carteggi vari, 128, 180-208; 453 bis, 32; C. Rinaudo, Frammenti di un diario del 1866 di L. C., in Esercito e nazione, IV (1929), pp. 557-61; C. Cavour, Epistolario (ed. naz.), I, pp. XXVII s.; La vita letteraria in Piemonte e in Lombardia nel decennio 1850-1859. Carteggio ined. Tenca-Camerini, a cura di I. De Luca, Milano-Napoli 1973, ad Indicem; U.Valente, Giornalismo torinese del 1858, in Riv. letter., VI (1934), 3, pp. 43 ss.; A. Omodeo, L'opera politica del conte di Cavour, I (1848-1857), Firenze 1945, I, pp. 4 s.; W. Maturi, Interpretazioni del Risorgimento..., Torino 1962, pp. 303 s. e passim; T.Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale, Terni 1890, p. 274.