CASTELLUCCI, Luigi
Nacque a Bitonto (Bari) il 17 sett. 1798 da Giuseppe, modesto proprietario, e Angiola Pucci. A 20 anni andò a Napoli per frequentare il corso di architettura presso l'Istituto di belle arti. Fu allievo dell'architetto A. Anito e nel 1821, pur non avendo completato gli studi, costruì la cancellata d'ingresso alla villa Sylos-Labini in Santospirito (Bari). Nel 1824 divenne allievo di F. Saponieri, titolare della cattedra di disegno architettonico, noto esponente della cultura architettonica napoletana nella fase di transizione tra neoclassicismo ed eclettismo.
Nel 1826 vinse il pensionato artistico di Roma: trasferitosi in questa città, vi ebbe esperienze di cui sono espressione conclusiva e significativa le tavole relative al progetto di restauro del tempio di Giove ad Ostia, che, esposte all'Istituto di belle arti di Napoli, furono apprezzate da A. Niccolini: una inedita relazione autografa, chiarificatrice degli insegnamenti ricevuti, è conservata nell'Archivio dell'orfanotrofio "M. Cristina" di Bitonto. Verso la fine del 1830 ritornò a Napoli, dove aprì uno studio di architetto che tenne per otto anni. Aiutato dal Saponieri e dal conte Diego Gentile, gentiluomo alla corte borbonica ed assai influente nella società napoletana, ottenne i primi incarichi per i quali si rimanda alle indicazioni del Sylos, sia per quelli eseguiti sia per quelli non eseguiti.
A contatto con l'ambiente artistico del tempo, divenne amico degli scultori Tito e Costanzo Angelini, dei pittori F. e G. Palizzi, M. De Napoli e V. Camuccini e degli architetti E. Alvino, A. Catalano e A. Niccolini, con i quali rimase in contatto epistolare allorché si stabili a Bitonto.
Nel 1831 si laureò in architettura e tre anni dopo fu nominato socio delle due classi di architettura e archeologia dell'Accademia di belle arti. Nel 1832 il Consiglio di ponti e strade della provincia di Bari scelse il suo progetto per la trasformazione in orfanotrofio, a Bitonto, del convento dei carmelitani. Per seguire meglio i lavori il C. si stabilì a Bitonto, dove rivestì anche l'incarico di ingegnere comunale.
Le vicende della costruzione dell'orfanotrofio "M. Cristina", compiuta dall'anno 1832 al 1852, sono ripercorribili dai documenti (Cat. V, cl. C) e dai venti disegni inediti, di cui cinque sono autografi, tutti ora conservati nell'archivio dell'orfanotrofio. Modificò la pianta irregolare della fabbrica preesistente, rendendola quadrata con l'aggiunta di due nuovi prospetti: quello principale e quello occidentale, che incorporarono la chiesa e cancellarono la facciata. li C. concepì un edificio a tre piani (come è visibile nelle tavole IV e V); ma gli fu negata l'autorizzazione del terzo piano. L'architetto dové ripiegare su una soluzione di coronamento provvisoria che nel futuro gli permettesse di realizzare il Progetto. Tale completamento non è stato attuato anche perché il C. abbandonò la direzione dei lavori, che fu affidata al suo allievo M. Masotino. L'edificio nella sua rigida simmetria evidenzia l'essenzialità delle strutture, animate appena dalle bugne paraspigolo, dall'avancorpo centrale e dalla fuga delle finestre centinate, unite da una cornice listata. Nel monotono ma corretto ripetersi degli schemi compositivi, presenti in questa sua prima impegnativa esperienza ed usati nella produzione successiva, il C. dimostra di non sapersi liberare di quel dottrinarismo accademico che aveva informato la cultura architettonica neoclassica.
Tra le opere pubbliche, segnalate dal Sylos, il C. ha certamente realizzato il cimitero di Bisceglie (1843) e quello di Bitonto (1845) di cui esiste un inedito disegno conservato in una collezione privata a Bitonto, i ponti del Carmine e di S. Teresa (1846) a Bitonto, il palazzo vescovile di Acquaviva delle Fonti (1853), il palazzo comunale di Gioia del Colle (1862) e l'ampliamento del seminario di Altamura, ora convitto Cagnazzi, i cui lavori devono collocarsi tra il 1858 e il 1867. Non sono stati attuati: il progetto di restauro dell'obelisco carolino in Bitonto (1847), il palazzo comunale (1855) ed il collegio dei padri liguorini (1859) a Corato; mentre per la chiesa di S. Chiara in Rutigliano deduciamo, dalle vicende e dall'anno di consacrazione segnati nell'epigrafe apposta sulla parete a sinistra dell'ingresso, che fu iniziata dal C. e completata dopo la sua morte.
Numerosa è la produzione architettonica per privati (Sylos): casa Defacendis (1839) e villino Castellaneta a Santospirito (1839); palazzo Porro ad Andria; palazzo Cafiero a Barletta (1840); palazzo Jatta a Ruvo (1840); palazzo Antonacci a Trani (1845); villa Gentile nel feudo di Torricella (1847); palazzo Gentile (1849), palazzo Modugno (1852), il prospetto del teatro Umberto (1852) e palazzo Pannofie (1854-58) a Bitonto; il completamento di palazzo Ricchioni a Palo del Colle (1867); ed i palazzi Ventafridda, Tatulli, De Angelis-Laudisi a Bitonto ed il palazzo Ferrari ora Calderoni a Bari di cui non conosciamo la date. Nei palazzi il C. si allinea al tipo di edilizia borghese ottocentesca napoletana che caratterizza le vie Foria e Toledo, i cui caratteri peculiari possono riassumersi nelle schematiche facciate con il pianterreno rivestito da un piatto bugnato, nelle monotone sequenze delle finestre con timpani arcuati o triangolari, nei brevi cortili che accolgono talvolta un fondale con scala sanfeliciana. Il C. consegue una sua autonomia solo quando il linguaggio è ritmico e l'uso della simmetria meno meccanico, come in palazzo Gentile a Bitonto e nel palazzo comunale di Gioia del Colle.
Sterile interprete del gusto neoclassico, la sintassi figurativa delle sue opere posteriori al 1863 (si veda, ad esempio, il convitto Cagnazzi) è tipica espressione di quella anonima produzione ottocentesca che da Napoli si diffuse in Puglia e che ci interessa per ricostruire storicamente un gusto architettonico, di cui il teatro Piccinni a Bari di A. Niccolini (1850-54) ed il collegio Palmieri a Lecce del gesuita G. B. Jazzeolla (1845) rappresentano i momenti più felici.
Dal suo matrimonio con Marianna Pietrolardo ebbe cinque figli, uno dei quali, Giuseppe, insieme al suo cognato Pietro Trotti, continuò la carriera paterna.
Affetto da malattia cardiaca, il C. morì a Bitonto il 4 nov. 1877.
Bibl.: E. T. De Simone, Pochi giorni a Bitonto, Napoli 1876, pp. 257-288; L. Sylos, Una pagina della storia dell'archit. in Terra di Bari: L. C., in Puglia tecnica, I(1901), pp. 12-15, 38-41, 84-91, 230-235; G. De Napoli, Bitonto..., in Le cento città d'Italia illustr., n. 140, Milano 1928, p. 12; G. Pastoressa, Brevi cenni biogr. sugli ill. Bitontini, Bitonto 1939, p. 50; G. Pasculli, Storia di Bitonto, Bitonto 1962, pp. 373, 442; M. Cosmai, Bisceglie nella storia e nell'arte, Bisceglie 1968, p. 139; N. Bitetti-V. U. Celiberti, Onomastica stradale di Gioia del Colle e del suo agro, Putignano 1969, p. 56; Botontum, dicembre 1969, p. 16; G. Mongiello, Bitonto nella storia e nell'arte, Bari 1970, pp. 181 s.; A. Castellano, Chiesa ex-conventuale del Carmine, in Studi bitontini, n. 5, luglio 1971, p. 33.