LIMENTANI, Ludovico
Nacque a Ferrara il 18 ag. 1884 da Gilmo e da Eugenia Bassano. Frequentò il liceo di Ferrara, dove ebbe come maestro A. Groppali in un clima dominato dal positivismo, frutto della lezione di R. Ardigò, ma aperto alla cultura europea.
A soli diciassette anni pubblicò un primo scritto - come "una colpa giovanile" lo ricordò in seguito il L. in una lettera a G. Vailati (1971, p. 668) - dal titolo Le teorie psicologiche di Claudio Adriano Helvétius. (Saggio espositivo-critico), Verona-Padova 1902, e curò le Lezioni di sociologia di Groppali (Mantova 1902). Seguirono altri lavori in cui si saldavano positivismo, spiritualismo e socialismo: La larghezza dello spirito come idealità sociale (in In memoria di Oddone Ravenna, Padova 1904, pp. 174-195); Il valore sociale de l'opera poetica di Giosuè Carducci (in Riv. di filosofia e scienze affini, IV [1902], pp. 428-462, 543-588, quindi in estratto, Bologna 1903).
Iscrittosi all'Università di Padova nel 1901, si laureò in filosofia nel 1905 e in lettere l'anno successivo.
Fu comunque l'incontro con gli amici A. Levi e R. Mondolfo e con i nuovi maestri - G. Marchesini, che ne avrebbe seguito gli studi all'Università di Padova, e in particolare Vailati - che contribuì a liberare il L. dalle commistioni e dai sincretismi tipici del positivismo di Ardigò fino a sviluppare un approccio serio e rigoroso, in una prospettiva avvertita dei metodi positivi elaborati nel panorama internazionale in sociologia, psicologia ed etica. Come ha scritto Eugenio Garin (1983, pp. 237 s.), Ardigò assunse per il L. "sempre di più il valore di un simbolo e di una bandiera", mentre la prospettiva filosofica veniva precisandosi altrimenti, con il rifiuto sempre più netto di ogni naturalismo metafisico.
Un primo esito della nuova prospettiva fu il volume, del 1907, La previsione dei fatti sociali (Torino), in cui rimaneggiò la tesi di laurea che aveva discusso a Padova con Marchesini.
Nel volume il L. esamina i maggiori risultati della sociologia europea, A. Comte e J.S. Mill, W. Dilthey, G. Simmel ed É. Durkheim, e riprende da Vailati e Marchesini una concezione delle scienze sociali di tipo probabilistico e condizionale. Per questa via, il L. riusciva a inserire nella scienze sociali l'importanza dell'istanza etica: l'azione umana, sebbene collocata in un mondo di eventi solo probabili, di tendenze e direzioni possibili, consente agli individui di porsi lo scopo della condotta, sia individuale sia politica, come ideale e fondato sulla fiducia in una società migliore. Si deve agire "come se" la prospettiva desiderabile fosse certa: era chiara qui l'influenza della teoria delle finzioni di Marchesini, a sua volta in sintonia con i risultati cui giunse in quegli anni H. Vaihinger con Die Philosophie des als ob… (Berlin 1911; trad. italiana: La filosofia del come se: sistema delle finzioni scientifiche, etico-pratiche e religiose del genere umano, Roma 1967). Previsione e idealità venivano così saldate in una sintonia che, se era ancora figlia di una facile inclinazione alle commistioni teoriche, liberava il positivismo dal determinismo naturalistico e lo apriva a un confronto serio con la dimensione dell'agire individuale e collettivo. Se B. Croce poteva sbrigativamente liquidare il volume, intessuto com'era di una prospettiva scientifica che egli disprezzava, Vailati ne metteva in luce invece il valore, che consisteva innanzitutto nel presentare una dimensione matura delle scienze sociali.
Negli scritti successivi il L. andò precisando sia gli strumenti di analisi filosofica, resi più rigorosi, sia i propri interessi, rivolti all'analisi del fenomeno della morale. Con un allontanamento sempre più marcato dal maestro Ardigò, il L. esprimeva l'esigenza di esaminare la morale nella sua realtà specifica, distinta dagli altri fenomeni mentali; d'altronde, manteneva l'istanza propria del positivismo, che consisteva nel rifiuto delle indagini razionalistiche non in grado di cogliere il carattere concreto e psicologico dell'etica (La supremazia del criterio morale nella valutazione degli atti, in Riv. di filosofia, I [1909], 3, pp. 54-83; 4, pp. 57-87; La valutazione etica e i suoi limiti, in Atti del IV Convegno internazionale di filosofia, Bologna… 1911, Genova s.d., III, pp. 120-131). Questi motivi si ritrovano nell'opera maggiore del L., che egli pubblicò nel 1913, I presupposti della indagine etica (Genova).
Il volume è uno dei frutti più maturi del positivismo italiano: lontano dalle tentazioni della filosofia retorica praticata dall'idealismo, si situa nel dibattito europeo più avanzato sulla natura dell'etica. Il L. dialoga con E. Juvalta e H. Sidgwick, Simmel e H. Höffding, e con i classici, D. Hume, I. Kant e J.S. Mill, proponendo analisi e soluzioni eleganti. L'obiettivo polemico del L. è tanto Sidgwick quanto Juvalta, e cioè una concezione razionalista dell'etica, che insiste sulla distinzione tra motivazione e giustificazione e identifica i contenuti dell'azione giusta nella delineazione di criteri dettati dall'operare della ragione in astrazione dalle circostanze psicologiche dell'agire individuale e sociale. Contro la separazione tra "esigenza esecutiva" ed "esigenza giustificativa", come le chiamava Juvalta, il L. sosteneva invece che i due aspetti dell'etica coincidono. La possibilità di riconoscere un ideale, una concezione della giustizia, è tutt'uno con il sentimento di obbligatorietà che ci spinge verso quell'ideale (pp. 28 s.). In tal modo, il L. si poneva, con Hume, dalla parte delle teorie sentimentaliste dell'etica: "non può valer come ufficio della scienza il porre un ideale, ché alla ragione non appartiene il giudicare se questo o quel fine meriti di essere posto e accettato come regolatore della condotta" (pp. 305 s.), anche se la ragione si esprime sui mezzi per realizzare un fine e sulla coerenza interna degli ideali (come aveva insegnato già Hume). Il L. traeva tuttavia conclusioni soggettiviste da queste premesse humeane. Non desiderava cioè ricostruire in chiave sentimentalista l'oggettività cui aspiravano Sidgwick e Juvalta, ma riconduceva l'istanza normativa all'interno del singolo soggetto morale. Su ciò pesava anche un salutare rifiuto dell'uso che del concetto di natura umana avevano fatto non tanto H. Spencer quanto in particolare i positivisti spiritualisti italiani come Ardigò, che avevano letto nell'indagine empirica evoluzionistica dichiarazioni metafisiche circa la natura ontologica degli esseri umani. Le polemiche su ciò che sia la natura umana, scriveva il L., "portano o a sostanzializzare, per trovar un "ubi consistam", il concetto suddetto e a creare una entità immaginaria, della quale poi si può dire naturalmente tutto quel che si vuole: ovvero portano a bizantineggiare sul nome che convenga a determinate modificazioni" di tale natura: in conclusione si tratta solo di sterili logomachie (p. 235).
Le conclusioni cui arriva sono quindi quelle di un soggettivismo radicale, che per certi versi anticipava la stagione prossima dell'etica neopositivistica ed emotivistica. Come scriveva: "La universalità che la morale richiede, non riguarda il riconoscimento della superiorità del fine e della giustizia della condotta corrispondente: riguarda bensì il corrispondere della condotta a quel riconoscimento: l'uomo è morale fin che quel riconoscimento non è soltanto una convinzione, ma informa di sé la pratica, fin che l'individuo si sente necessitato da quello a seguir la forma di condotta stessa a preferenza di ogni altra" (p. 33). Da ciò ne derivava con coerenza una tesi relativista. Così, "se Torquemada era in buona fede, non possiamo per nulla giudicare immorale la sua condotta: analogamente potremo giudicare anormale, ma non immorale, una madre che uccidesse i suoi bambini, perché fosse sicuramente dischiusa agl'innocenti la via del Paradiso" (p. 36).
Il L. faceva però un uso particolare di questa tesi soggettivista. In linea con l'ispirazione positivistica di fondo, non si fermava a enunciare il criterio formale dell'etica nel soggettivismo, ma lo usava per mettere in luce la pluralità dei sentimenti morali, delle coscienze morali. Il conflitto dei sentimenti soggettivi si stempera perciò in un conflitto forse più trattabile, quello che oppone i diversi valori che nelle società contemporanee sono incarnati nei differenti ruoli, ceti sociali e stili di vita. Entrava in questo modo l'altro lato della formazione del L., quella sociologica, e in particolare la lezione di Simmel. Così concludeva: "essere individuo morale implica che ci si senta tenuti a subordinare la propria condotta alle necessità derivanti dalla simultanea appartenenza a gruppi diversi, i quali posson anche essere in conflitto fra loro, come possono reciprocamente ignorarsi […]. L'agente morale si trova al punto d'interferenza di molti cerchi, è sollecitato da molte parti ad agire in un modo piuttosto che in un altro: e quanto è più vivo il contrasto, e più complessa la situazione, e più remota la possibilità di conciliar le esigenze, tanto più arduo diventa il problema che la conoscenza e la volontà morale dovrebbero risolvere: cercheremo la salute in una norma universale, o non converrà piuttosto, in questi casi, che ciascuno di noi foggi a se stesso la propria legge, per "servirla in novità di spirito, e non in vecchiezza di lettera"?" (pp. 201 s.). Vi era racchiusa in queste conclusioni la tensione interna alle posizioni del L.: da una parte, infatti, la verifica di ciò che M. Weber chiamò politeismo dei valori conduceva a incoraggiare la tolleranza morale; ma, come faceva notare Mondolfo, questa tolleranza rischiava di negare i valori della giustizia, che hanno come presupposto un qualche universalismo, e sfociava in un anarchismo morale (in questo modo ritrassero il L. molti contemporanei, tra cui A. Loria e Levi).
Negli studi successivi il L. proseguì la propria ricerca etica, che spostava innanzitutto sul piano storico. All'indagine della tradizione empirista e sentimentalista britannica dedicò il volume del 1914, La morale della simpatia: saggio sopra l'etica di Adamo Smith nella storia del pensiero inglese (Genova). In questo filone si inserivano anche alcuni saggi sul concetto di onore: Appunti sopra l'onore sessuale, in Rass. di studi sessuali, II (1922), pp. 325-332; L'onore e la vita morale, in Riv. pedagogica, XVI (1923), pp. 128-149, 313-344, 421-456; ma si veda anche Il vero nella morale, in Riv. di filosofia, VI (1914), 2, pp. 138-199; mentre alla precisazione dei criteri di identificazione dei diversi stili e delle personalità morali, che nei Presupposti aveva presentato come i contenuti dell'etica, dedicò un volume, Studi sopra la valutazione della condotta. Moralità e normalità (Ferrara 1920). Dopo un breve insegnamento nell'Università di Messina fu chiamato, nel 1921, a coprire la cattedra di filosofia morale presso il R. Istituto di studi superiori di Firenze. Qui proseguì gli studi morali, con un interesse ora quasi esclusivamente storico, che si apriva però a nuovi temi, come il pensiero di Giordano Bruno, di cui curò un volume di Scritti scelti (Firenze 1924), e a cui dedicò vari saggi: La morale di Giordano Bruno, Firenze 1924; Saggio di un commento letterale ad alcune pagine di Giordano Bruno, in Ricordi e studi in memoria di F. Flamini, Napoli 1931, pp. 55-80; La lettera di Giordano Bruno al vicecancelliere dell'Università di Oxford, in Sophia, I (1933), 3-4, pp. 317-354; Giordano Bruno a Oxford, in Civiltà moderna, IX (1937), 4-5, pp. 254-280. Alla storia della filosofia dedicò un panorama del positivismo italiano: Il positivismo italiano (1870-1920), in L. Limentani et al., La filosofia contemporanea in Italia, Napoli 1928, pp. 1-38; Rileggendo la "Morale dei positivisti", in Nel primo centenario della nascita di Roberto Ardigò 1828-1928, Milano 1928, pp. 77-89; Il pensiero moderno. Storia della filosofia da R. Descartes a H. Spencer, Milano-Roma-Napoli 1930; con R. Mondolfo pubblicò inoltre Formes et tendances actuelles du mouvement philosophique en Italie, in Revue de synthèse, XII (1936), 2, pp. 141-162.
Fu infatti l'attività storiografica del L. ad avere un influsso considerevole nella cultura italiana, come ha osservato D. Cantimori, in particolare attraverso la cospicua attività intellettuale del suo più celebre allievo Garin. Invece, come accadde ad altri eminenti moralisti di questa fase matura del positivismo, come Juvalta e M. Calderoni, la sua lezione di etica non sopravvisse al nuovo clima culturale dominato da idealismo e storicismo.
La carriera universitaria del L. doveva affrontare un'improvvisa e dura interruzione nel 1938, allorché le leggi razziali gli impedirono di proseguire nell'insegnamento. Come ha ricordato Garin, la facoltà di filosofia dell'Università di Firenze decise tuttavia di non sostituire il L. e di sopprimere la cattedra di ruolo, affidando l'insegnamento a Garin stesso su indicazione del L. (Garin, 1997, p. 48).
Verso la fine della vita l'esperienza tragica del fascismo lo richiamò a una rivisitazione della propria filosofia morale, di cui sono pervenuti alcuni appunti preparati per una conferenza a un circolo ebraico milanese e pubblicati postumi (Appunti, in appendice ad A. Levi, Riflessioni sul problema della giustizia, Lodi 1943, pp. 109-127).
Qui il L. rilegge la propria difesa dell'individualismo e del pluralismo morale. La varietà e la diversità dei caratteri e degli ideali richiedono la giustizia e cioè il trattare gli individui come eguali. In questo modo recuperava una cornice unitaria dell'etica, e poteva concludere che "la giustizia celebra l'ideale della umanità, misurando e retribuendo i diversi gradi della sua realizzazione" (ibid., p. 127).
Gli stessi temi si ritrovano in appunti inediti, discussi da Garin (1983, pp. 250-254), in preparazione di un volume dal titolo "Il pensiero morale di Eugenio Rignano criticamente esposto anche sul fondamento di materiale inedito", dedicato al pensiero di questo filosofo morto nel 1930 cui il L. era legato. Qui il L. riprendeva la sua visione pluralistica per sottolineare tuttavia l'esigenza della giustizia e cioè del rispetto dei diversi doveri che sorgono dalla nostra vita associata.
Il L. morì a Dolo, sulla riviera del Brenta, il 7 luglio 1940.
Fonti e Bibl.: G. Vailati, Epistolario 1881-1909, a cura di G. Lanaro, Torino 1971, p. 668; Id., rec. a Previsione dei fatti sociali (1907), in Id., Scritti, a cura di M. Calderoni - U. Ricci - G. Vacca, Firenze 1911, pp. 794-798; B. Croce, rec. a Previsione dei fatti sociali (1907), in Id., Conversazioni critiche. Serie prima e seconda, Bari 1950, pp. 150-152; A. Aliotta, Lo psicologismo nell'etica, in La Cultura filosofica, VI (1912), 4-5, pp. 471-482; A. Levi, Le problème de la morale, in Scientia, XIII (1913), 28, pp. 248-254; R. Mondolfo, Il pluralismo nell'etica, in Rivista d'Italia, XVII (1914), vol. 1, pp. 161-181; A. Loria, Un anarchico della morale, in Il Marzocco, XIX (1914), 1, pp. 3 s.; A. Aliotta, rec. a La morale della simpatia, in Riv. di filosofia, VII (1915), 1, pp. 125-127; E. Garin, L. L. (1884-1940): necrologia, Firenze 1941; M.F. Sciacca, Il secolo XX, Milano 1942, I, pp. 138-140; E. Garin, Il pensiero di L. L., in Riv. di filosofia, XXXVIII (1947), pp. 191-206; D. Cantimori, Studi di storia, Torino 1959, pp. 311, 416, 429; M. Quaranta, La filosofia italiana fino alla seconda guerra mondiale, in L. Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico, VI, Il Novecento, Milano 1972, pp. 377-379; E. Garin, La "morale anarchica" di L. L., in Filosofia e politica. Scritti dedicati a Cesare Luporini, Firenze 1981, pp. 19-41; G. Morra, in Enc. filosofica, V, Roma 1982, s.v.; E. Garin, Tra due secoli. Socialismo e filosofia in Italia dopo l'Unità, Bari 1983, pp. 65-67, 235-255, 263-265; M. Ferrari, Ricerche sul positivismo italiano: le indagini etiche di L. L., in Riv. critica di storia della filosofia, XXXVIII (1983), 1, pp. 50-80; F. Picardi, L'etica di L. L., s.l. 1986; D. Pesce, Forma e contenuto della vita morale nell'indagine di L., in Riv. di storia della filosofia, 1990, n. 3, pp. 584-594; C. Cantillo, Previsione e idealità nella filosofia positiva di L. L., Napoli 1996; E. Garin, Intervista sull'intellettuale, a cura di M. Ajello, Roma-Bari 1997, p. 48; Un positivista eretico: materiali per un profilo intellettuale di L. L., a cura di R. Sega, Ferrara 1999; R. Sega, Studi su L., Ferrara 2002; La Piccola Treccani, VI, sub voce.