Signorelli, Luca
Il pittore che ha raccontato la fine del mondo
Diavoli implacabili, predicatori consigliati da Satana, giovani corpi che risorgono: i dipinti di Luca Signorelli, con le loro composizioni monumentali e gli intrecci di figure, testimoniano il clima d’inquietudine interiore e di crisi spirituale della fine del Quattrocento. Da queste opere Michelangelo ha estratto spunti fondamentali che hanno segnato tutta l’arte del Cinquecento
Gran parte della fama di Luca Signorelli è legata all’ammirazione di Michelangelo per le invenzioni stilistiche del più anziano maestro e per la sua capacità di raffigurare corpi nudi. A prova di questo legame vi sarebbe anche una grossa somma di denaro prestata da Michelangelo al pittore.
Di Signorelli non è nota né la data di nascita né la formazione. Sembra comunque che sia nato tra il 1445 e il 1450 a Cortona e sia stato allievo di Piero della Francesca. Nei numerosi soggiorni a Firenze frequenta la bottega del Verrocchio e in particolare il Pollaiolo, della cui pittura ammira i potenti volumi e soprattutto la capacità di rendere il moto delle figure.
In seguito, nelle opere eseguite a Roma, dove è chiamato nel 1482 a lavorare con il Perugino alla Cappella Sistina, per la Basilica di Loreto e per l’Abbazia di Monteoliveto Maggiore (Siena), il suo stile mostra i segni di una originale elaborazione. Già gli affreschi con le Storie di s. Benedetto a Monteoliveto rivelano una nuova impostazione monumentale, un largo uso del chiaroscuro per suggerire volume e suggestivi effetti di movimento. Il moto viene inoltre ricercato con l’artificio prospettico dello scorcio, che rappresenta la figura su un piano obliquo rispetto all’osservatore, con effetti di accorciamento del corpo rappresentato o di alcune sue parti.
Fra il 1499 e il 1504 Signorelli porta a termine gli affreschi della Cappella Nova (o di S. Brizio) nel Duomo di Orvieto. Il ciclo, iniziato dal Beato Angelico nel 1447, illustra un articolato programma iconografico sul tema dell’Apocalisse, con la raffigurazione del Giudizio universale, dell’Inferno, del Paradiso, le Storie dell’Anticristo, la Resurrezione della carne e il Finimondo.
Storicamente si può mettere in relazione la tematica della cappella di S. Brizio con l’ansia per la fine del secolo e l’attesa di una nuova epoca che si apriva con il giubileo di papa Alessandro VI. Inoltre la scena dell’Anticristo, ambientata in epoca contemporanea al pittore con l’autoritratto dello stesso artista assieme al Beato Angelico sulla sinistra, si lega alla lotta contro le eresie.
Un famoso storico dell’arte, André Chastel, vi legge un’eco degli avvenimenti che a Firenze avevano portato al rogo il predicatore Girolamo Savonarola nel 1498. Le prediche di questo frate domenicano – precursore della Riforma – contro la corruzione della Chiesa e contro gli ideali classicheggianti e profani della cultura umanistica impressionarono profondamente molti artisti come per esempio Botticelli, ma non Signorelli che, nel ciclo pittorico messo in scena a Orvieto, ribadisce la fede nella classicità e nella dignità eroica dell’uomo. Infatti, nella parte inferiore (zoccolo) delle pareti della cappella, che illustra simbolicamente i fondamenti della civiltà, si trovano riquadri con uomini illustri, soprattutto del passato (Dante, Omero, Sallustio e Virgilio), nell’atto di leggere le proprie opere, circondati da medaglioni che mostrano storie tratte dai loro scritti. Questi riquadri, insieme agli arditi scorci e alle torsioni dei corpi raffigurati nella resurrezione dei morti o nelle scene dei dannati, rappresentano un punto d’arrivo delle ricerche dell’Umanesimo fiorentino e un punto di partenza che condurrà alla volta della Sistina e infine al Giudizio universale di Michelangelo. Signorelli muore a Cortona nel 1523.
Durante i recenti restauri della Cappella Nova nel Duomo di Orvieto è venuto alla luce, sulla parete di fondo, un affresco con la figura di Caino carponi che si morde la mano. L’immagine richiama un passo del libro Genesi della Bibbia: «Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono?». Il ritrovamento ha permesso una nuova interpretazione del ciclo, che ne individua la fonte d’ispirazione nell’opera La città di Dio di s. Agostino e nella sua visione di Caino come simbolo della città terrena, contrapposta alla Gerusalemme celeste.