FANCELLI, Luca (Luca Paperi, Luca Fiorentino)
Figlio dello scalpellino Iacopo di Bartolomeo (cfr. Thieme-Becker; probabilmente da identificarsi con un collaboratore di L. Ghiberti), nacque a Settignano, presso Firenze, nel 1430.
Solo supposizioni possono farsi sugli anni della sua formazione e della prima attività di tagliapietre perché, in mancanza di dati certi, le notizie riportate da Giorgio Vasari (1550) appaiono alquanto contraddittorie; il biografo aretino è comunque la sola fonte del cognome del maestro, noto attraverso i documenti come Luca Paperi (volg. tosc., per "di Iacopo", cfr. Vasić Vatovec, 1979, pp. 62 s.) o, più spesso, come Luca Fiorentino. Il Vasari scrive infatti nella vita di Filippo Brunelleschi che, per quest'ultimo, il F. avrebbe realizzato molte opere e, in particolare, avrebbe eseguito il palazzo Pitti, mentre, per Leon Battista Alberti, avrebbe diretto i lavori della tribuna dell'Annunziata: trasferitosi in seguito a Mantova, il F. avrebbe realizzato numerose opere, preso moglie e sarebbe morto lasciando "eredi che ancora dal suo nome si chiamano i Luchi" (Vasari, III, p. 187). Dallo stesso Vasari (p. 288), nella vita di Leon Battista Alberti, è ricordato invece, come esecutore dei suoi disegni e modelli, un tale "Salvestro Fancelli fiorentino", direttore delle opere albertiane di Firenze, e un "Luca fiorentino", direttore di quelle mantovane e capostipite della famiglia de "Luchi". In effetti, in un documento mantovano del 1512 (D'Arco, 1857) è attestato un "Silvester de Luca", di cui Vasari poté avere notizia, equivocando.
Riguardo alle opere al F. attribuite a Firenze è stata esclusa la sua presenza al cantiere della tribuna dell'Annunziata (cfr. Carpeggiani, 1977, p. 822) mentre, tra il 1444 ed il '51, egli potrebbe aver svolto il suo apprendistato al cantiere palazzo Rucellai: scarsamente attendibili apparirebbero tanto una sua ipotizzata collaborazione con Berardo Rossellino (L. Gori Montanelli, Brunelleschi e Michelangelo, Firenze 1957, p. 55) anch'egli settignanese, nelle opere di scultura del chiostro Spinelli nel convento di S. Croce, come una sua partecipazione ai lavori della villa costruita per Luca Pitti a Rusciano. A proposito di palazzo Pitti è invece da citare un documento del 1454 relativo ad un pagamento per scalpellatura e cavatura di pietre a Luca di Antonio da Settignano (trascriz. in Baldini Giusti-Facchinetti Bottai, 1977, p. 724); un errore di paternità o, al contrario, un'omonimia, varrebbero comunque a giustificare la notizia vasariana.
Dal giugno del 1451 il F. compare, in qualità di tagliapietre, nei documenti relativi al palazzo che Ludovico Gonzaga stava portando a termine a Revere, sul fiume Po (per i docc. cfr. Carpeggiani, 1974, pp. 59 s.). La sua presenza alla corte dei marchesi di Mantova, città alla quale restò sempre legato, s'inquadra nei rapporti politici e commerciali intercorrenti, nel Quattrocento, tra i Medici e i Gonzaga.
A Revere il F. realizzò finestre e camini, procurandosi la pietra necessaria a Ferrara (1452) e nel Veronese (1455), negli anni che seguirono si recò spesso a Firenze, ingaggiando manodopera e riscuotendo o rimborsando somme di danaro per conto dei Gonzaga, dei quali aveva acquistato la piena fiducia.
Il pagamento al catasto fiorentino di un'imposta annua costituì per il F. sia un motivo di preoccupazione sia un pretesto per il mantenimento dei contatti con la sua città. Nel maggio 1456 fu appunto a Firenze, trattenuto da una malattia; rientrato a Revere, approntò ancora porte e camini, si recò poi a Riva del Garda a procurare pietre e, ancora a Revere, disegnò cornici "all'antica" (1457) e capitelli. Nel gennaio 1458 manifestò l'intenzione di recarsi a Venezia, dove avrebbe avuto qualche proposta di lavoro, ma rimase ancora al servizio del Gonzaga; in aprile si recò a Padova per invitare Andrea Mantegna a porsi al servizio del marchese Ludovico (Braghirolli, 1876, p. 612); in settembre, dopo un breve soggiorno a Firenze, si procurò a Modena la pietra per realizzare colonne, ancora per il palazzo di Revere (per i docc. cfr. Carpeggiani, 1974, pp. 61-72 passim).
Qui, nel gennaio 1460, fu ospitato il papa Pio II, già a Mantova per il concilio dell'anno precedente; nei Commentari (ed. a cura di G. Bernetti, Siena 1972, I, p. 207) egli scrisse: "il palazzo pur non finito mostra nella sua struttura e negli ornamenti il singolare ingegno dell'architetto". Uguali elogi tributò all'opera il Filarete (p. 228), che vi riconobbe una riproposizione del "modo antico" dell'edificare, voluta dal marchese di Mantova, definito "intendentissimo" in materia di architettura; mentre, in un altro passo del suo Trattato (p. 171), incluse il F. tra i principali esponenti dell'arte fiorentina dell'Umanesimo. In realtà l'edificio di Revere è ancora un palazzo-castello d'impronta tardogotica, in cui le concessioni al nuovo gusto rinascimentale sono rappresentate dalle arcate a tutto sesto del portico del cortile, dalla simmetria delle aperture e dal lessico adottato per il portale d'ingresso, che ripropone motivi compositivi e decorativi desunti da Michelozzo (porta del noviziato in S. Croce a Firenze) e da Leon Battista Alberti (frontone del portale del tempio Malatestiano a Rimini), per alcune porte interne e per le finestre.
Dal 1460, con un rapido inizio, il F. diresse almeno fino al 1479 i lunghi lavori per la costruzione della chiesa di S. Sebastiano a Mantova, progettata da Leon Battista Alberti. Nel 1462 propose un suo modello per l'edificio ma, vista l'opposizione del marchese Ludovico, lo distrusse.
Proseguì quindi l'opera seguendo fedelmente le indicazioni albertiane e, nel 1464, il Gonzaga riconobbe l'importanza del suo ruolo in tale cantiere. Provvide alla ricerca ed alla fornitura della pietra, nonché al taglio ed alla squadratura dei pezzi destinati al portico, i plutei del quale, presentando bassorilievi riecheggianti motivi insieme tardoantichi e donatelliani, sono stati non concordemente attribuiti alla mano del Fancelli.
Nello stesso tempo il F. andò frequentemente a Firenze dove, nel novembre 1460, si sposò con Elena di Giovanni di Bartolomeo di Lorenzo Cresci (che gli diede un figlio, Antonio, e tre figlie; cfr. Vasić Vatovec, 1979, pp. 11 s.), e a Battifolle, presso Fiesole, dove aveva una proprietà. Nel gennaio 1464 (ibid., pp. 13-15), dalla Valdinievole, propose al Gonzaga l'acquisto di mille piante di gelso e, nell'ottobre, incontrò a Roma l'Alberti, per discutere sui lavori di S. Sebastiano ed invitarlo a Mantova per la primavera successiva. Tra il 1462 e il 1468 ca. eseguì opere in pietra per il palazzo gonzaghesco (oggi distrutto) e per la rocca (ne rimane una sola torre) di Cavriana, località in cui costruì una casa per sé ed acquistò terreni, e, a Mantova, per il palazzo del podestà (1462), per la casa di Antonello Facipecora, un gentiluomo napoletano della corte gonzaghesca (1463), per il castello di S. Giorgio (1461-62), dove, a più riprese, realizzò anche lavori in legno, consolidamenti di murature, la costruzione di una scuderia (1473), restauri di ambienti (1480-83) e soprattutto, nel 1472, edificò un loggiato nel cortile su progetto di Andrea Mantegna (ibid.).
Dal 1468 il F. partecipò ai lavori per il completamento del palazzo marchionale di Gonzaga (oggi quasi totalmente distrutto), intensificando la sua attività nel 1471 (per terminarla l'anno successivo) ed occupandosi della sistemazione degli interni, anche in collaborazione col Mantegna, che vi eseguì affreschi e decorazioni.
Dirigendo fino a 150 operai, scrisse che, su quel cantiere, gli pareva d'essere "a lavoro a la gran Babilonia" (21 marzo 1471; Vasić Vatovec, 1979, p. 294).
Altra opera andata distrutta è il palazzo di Saviola (1470-77), eseguito direttamente dal marchese Ludovico, che si considerava scherzosamente "discipulo" del F. e ne chiedeva la costante collaborazione (ibid., pp. 350 s.). Il F. fu anche occupato, saltuariamente, in lavori di pavimentazioni stradali a Mantova (cfr. Palvarini Gobio Casali, 1986). A Mantova, nel 1472, iniziò a dirigere i lavori della chiesa di S. Andrea, eseguita su progetto dell'Alberti, morto in quello stesso anno (Vasić Vatovec, 1979, pp. 109-147).
Si ritiene che il F. seguisse fedelmente, soprattutto per quanto riguarda le proporzioni, i disegni albertiani: alla sua iniziativa potrebbero riferirsi particolari decorativi che, in ogni caso, rientrano nel repertorio dell'insigne umanista. Nel corso dei lavori, condotti almeno fino al 1490, il F. dovette superare alcuni disaccordi con gli operai e, significativamente, nel 1477 Ludovico Gonzaga, definendolo "nostro inzegnero", scrisse a proposito della chiesa di S. Andrea che "non se po' far senza Luca perché non gli è altro che la intenda che lui" (ibid., p. 139).
Ancora nel 1472, sempre a Mantova, si occupò della torre dell'Orologio, per la quale l'Alberti aveva disegnato i caratteri dell'epigrafe celebrativa; eseguì inoltre restauri al castello di Sermide. L'anno successivo lavorò al monastero mantovano del Corpo di Cristo (o di S. Paola), eseguì restauri al palazzo di Rodolfo Gonzaga a Luzzara ed a quello, pure gonzaghesco, di Marmirolo. Fu inoltre impegnato in rilevamenti topografici dei confini tra Mantovano e Ferrarese, collaborando con l'ingegnere ducale di Ferrara Pietro Benvenuti.
Una lettera (ibid., p. 386) in cui il F. chiede la bussola di Bartolomeo Manfredi, astronomo e matematico costruttore dell'orologio, per la torre già citata, in sostituzione della sua che si era rotta, costituisce un'importante testimonianza sull'impiego di questo strumento nel xv secolo.
Tra il 1473 ed il 1475 il F. fu impegnato anche nei lavori per la casa mantovana di un non meglio noto Giovanni Marco, persona probabilmente vicina alla corte, per la casa di Ugolotto Gonzaga a Polesine e per un'altra casa a Cavallara: poco sappiamo di queste opere, per le due ultime delle quali il F. ebbe ancora la collaborazione del marchese Ludovico (ibid., pp. 391-393). Eseguì ancora interventi imprecisati, forse per una dimora marchionale nella zona di Ungaria, al di fuori della mantovana porta di Porto; diresse la ristrutturazione della "casa del Mercato", complesso di case-bottega per il quale aveva già dato un disegno nel 1462; costruì un "bucintoro", sorta di casa galleggiante per gli spostamenti fluviali dei marchesi. Nel 1475 restaurò parzialmente le rocche di Ostiglia e di Castel d'Ario e nel 1482, sotto la minaccia della guerra tra Venezia e Ferrara, rafforzò le difese gonzaghesche specie a Sermide e ai Due Castelli, dove aveva già lavorato nel 1472 (Rodella, 1983, p. 16 n. 11; Id., 1988).
Nel febbraio 1477 ricorse al marchese Ludovico per rivendicare il compenso non percepito per i lavori svolti dal 1450 al 1466 (Vasić Vatovec, 1979, p. 56). Dal maggio al novembre dell'anno successivo un'epidemia di peste colpì Mantova e ne restarono vittime anche sua moglie Elena e lo stesso marchese. Il successore di questo, Federico I, lo mantenne alle sue dipendenze, affidandogli numerosi incarichi. Dopo un soggiorno a Firenze (1478) il F. si recò da Ercole d'Este per una consulenza riguardante alcune fontane di Ferrara (1479; ibid., p. 388) e, nel 1480, si sposò una seconda volta (ibid., p. 31 n. 95). In questo stesso anno iniziò la costruzione della "domus nova", alle spalle del palazzo ducale di Mantova denominato "corte vecchia".
Il progetto venne probabilmente elaborato dal F., che ne seguì la costruzione (per tutti i docc. cfr. Cottafavi, 1936-37, pp. 14 s.); vi si inserirono però modifiche volute dal marchese, che si era procurato i disegni del palazzo urbinate di Federico da Montefeltro, mentre le finestre vennero eseguite, su disegno di Andrea Mantegna, dallo scalpellino Pietro da Porlezza e, per la realizzazione dei camini, fu consultato per lettera Francesco di Giorgio perché li facesse simili a quelli di Urbino. Lo schema planimetrico, un quadrato con cortile interno analogo a quello del palazzo di Revere, e la facciata sul giardino, a due ordini di lesene sovrapposte con logge angolari emergenti, vengono attribuiti al F., che seppe qui elaborare, con equilibrio ed eleganza, motivi compositivi desunti dall'Alberti e da Filarete.
Del 1482 è il concorso per il monumento funebre, nel duomo di Mantova, in memoria della marchesa Barbara di Brandeburgo, al quale il F. partecipò in concorrenza con Mantegna; l'opera, che doveva essere iniziata nel 1489 forse su suo disegno, non venne probabilmente mai eseguita (Resti Ferrari, 1926-27, pp. 275-278). Il F. si dedicò in questi anni alla sistemazione di canali e di chiuse nel territorio mantovano, dimostrandosi anche esperto ingegnere idraulico. Ma, a causa della morte improvvisa del marchese Federico (1484), i lavori della "domus nova" rimasero interrotti e, sotto il successore Francesco II, il F. si allontanò sempre più spesso da Mantova.
Nel 1485 gli venne commissionato da Lorenzo il Magnifico un modello della chiesa di S. Sebastiano, che il F. portò personalmente a Firenze e che servì per la chiesa di S. Maria delle Carceri a Prato. Due anni più tardi egli fu invece prescelto, tra tutti i tecnici toscani, da Gian Galeazzo Maria Sforza che lo definì "in arte architectonica excellentem" (4 giugno 1490, Vasić Vatovec, 1979, p. 419) come consulente per l'edificazione del tiburio del duomo di Milano; a più riprese, nel 1487-88, si recò su tale cantiere, dove venne incaricato di giudicare i vari modelli proposti (ibid., pp. 415-19).
In una lettera del 1487 il F. scrisse a Lorenzo il Magnifico che il duomo milanese era "sanza osa e sanza misura" e che difficilmente si sarebbe trovato il modo di realizzare un nuovo tiburio, essendo stato demolito il precedente di cui si temeva il crollo (ibid., pp. 60 ss.). Nello stesso scritto esprimeva il suo desiderio di far ritorno a Firenze, proponendo un piano di canalizzazione per la bonifica di una parte del Valdarno.
Più tardi, nel 1490, fu eletto nuovamente, con Francesco di Giorgio, a giudicare i modelli presentati per il tiburio: fu il teorico musicale Franchino Gafurio a recarsi a Mantova per condurlo a Milano e, probabilmente, per discutere con lui del problema del duomo (R. Wittkower, Architectural principles in the age of Humanism [1952], Torino 1964, p. 122); la proposta del F. fu di aggiungere i contrafforti al modello che si intendeva realizzare. Ma nello stesso anno, in dicembre, in seguito alla morte di Giuliano da Maiano, Alfonso d'Aragona duca di Calabria si rivolse a Lorenzo il Magnifico per avere un architetto in grado di continuarne l'opera (Gaye, 1839). Ancora una volta tra tutti i fiorentini fu prescelto il F. che, con il permesso del marchese di Mantova, si recò a Napoli.
Da una lettera del maggio 1491, inviata dal F. a Francesco Gonzaga, apprendiamo che egli era impegnato a terminare disegni per Castel Capuano, probabilmente relativi a lavori di sistemazione degli interni, ed anche che forse avrebbe dovuto seguire in Abruzzo il duca di Calabria per un viaggio di circa due mesi (Vasić Vatovec, 1979, p. 422). Non sappiamo se il F. partecipasse effettivamente al sopraluogo compiuto da Alfonso alle fortificazioni pugliesi ed abruzzesi, è certo invece che vi partecipò Francesco di Giorgio, che poté ancora una volta, a Napoli, incontrarsi con il Fancelli.
Chiamato quindi a Firenze, per esprimere un parere riguardo alle lesioni comparse nella cupola e nella lanterna di S. Maria del Fiore, il F., il 27 sett. 1491, venne eletto capomastro del duomo, carica da lui giudicata "il più stimato uficio di Italia per architetura" (Vasić Vatovec, 1979, p. 66), e, in tale veste, preparò un modello per la facciata (Gaye, 1939, p. 239). Nel frattempo, rimasto ancora vedovo, si sposò per la terza volta con Costanza di Andrea de' Formiconi (Vasić Vatovec, 1979, pp. 65 s.); ma, per le continue assenze da Mantova, il marchese lo privò dello stipendio. Egli tornò così nella città padana per occuparsi di pavimentazioni di strade (1493), mentre, superando varie difficoltà finanziarie, nel 1494 dette in moglie sua figlia Chiara al pittore Pietro Vannucci detto il Perugino (Braghirolli, 1873).
Non si hanno altre notizie certe sul F.; non si sa se morì a Firenze o a Mantova (come scrive il Vasari), né se fu verso la fine del 1495 (G. Milanesi, in G. Vasari, Le vite, II, Firenze 1878, p. 546 n.) o qualche anno più tardi.
Tra le opere di incerta attribuzione del F. potrebbero più fondatamente essergli ascritte la cappella dell'Incoronata nel duomo di Mantova, il palazzo Secco-Pastore a San Martino Gusnago e la villa Ghirardina a Motteggiana, per la coerenza delle proporzioni e la sicura autonomia espressiva.
Tagliapietre e scultore il F. si è limitato spesso a completare con parti decorative opere già pressoché terminate o a dirigere lavori, come nel caso delle opere albertiane. Le sue capacità, insieme con la conoscenza del disegno e dell'antico, gli consentirono, col tempo, di acquisire il titolo di "ingegnario" (cfr. Vasić Vatovec, 1979, pp. 134, 411), ossia quel tipo di maestro artigiano ad altissimo livello chiamato a risolvere i più svariati problemi di carattere tecnico, e, ancora più tardi, quello di architetto. Sempre legato a Firenze, godette della protezione dei Medici e fu in contatto con alcuni dei più celebri architetti ed artisti del suo tempo. Insieme col Filarete portò in Lombardia la nuova cultura architettonica rinascimentale, confrontandosi con il dominante gusto tardogotico. Nonostante tutto questo la sua opera sfugge ad un giudizio globale che possa qualificarlo al di sopra del ruolo, pur non secondario, di diffusore del linguaggio brunelleschiano ed albertino che sostanzialmente ebbe.
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