GINORI LISCI, Lorenzo
Nacque a Firenze il 23 maggio 1823 dal marchese Leopoldo Carlo, che ebbe grande merito nello sviluppo della manifattura delle porcellane di Doccia, e da Marianna Garzoni Venturi. Nel 1816 parte degli ingenti capitali accumulati dal padre nel periodo napoleonico con una notevole attività creditizia fu investita per migliorare la fabbrica di Doccia, non lontana dalla cinquecentesca villa Ginori nel comune di Sesto Fiorentino. Iniziò allora la costruzione di una fornace a quattro piani, che permetteva la cottura contemporanea di diversi tipi di ceramica ed era così efficiente e ben costruita da rimanere in funzione fino al 1866.
Unico figlio maschio sopravvissuto, alla morte del padre (1837) il G. ereditò l'intero patrimonio familiare. Prima di assumere la guida della fabbrica, egli si diede una preparazione tecnica specifica: compiuti i primi studi nel collegio Tolomei di Siena, poco più che ventenne e ormai erede dell'azienda e del vasto patrimonio terriero e immobiliare paterno (incrementato da quello materno, divenuto ancora più cospicuo dopo la morte dello zio I. Venturi, conte dell'Impero), si recò a Parigi con lo scopo di studiare chimica alla Sorbona e al Collège de France. In quell'occasione strinse rapporti di amicizia con alcuni dirigenti delle manifatture di Sèvres, che mantenne e sviluppò in seguito.
Del resto fin dall'inizio dell'Ottocento i Ginori avevano acquistato terre da porcellana della Manifattura Pouyat di Limoges. Le manifatture di Limoges e di Sèvres rappresentavano un serbatoio di esperienze tecniche assai più avanzate nel settore della produzione delle porcellane, specialmente per la qualità e la possibilità di produrre in serie oggetti di uno stesso modello. La fabbrica di Doccia, fin dalla sua fondazione, nel 1737, produceva maioliche, porcellane, e in minor quantità, terracotta e terraglia. La Manifattura Ginori manteneva la sua fama grazie a una limitata produzione di porcellana fine con decorazioni raffinate, ma si sviluppò essenzialmente incrementando progressivamente la produzione di maiolica, dal momento che in Italia il caolino, la preziosa argilla necessaria per produrre ceramiche di pregio, era raro e di qualità inferiore a quello che si trovava in Francia e in Austria.
Prima del passaggio dell'azienda sotto la guida del G. (1848), la Manifattura Ginori fabbricava mediamente 500.000 o 600.000 pezzi in maiolica e circa 100.000 pezzi di porcellana all'anno. Sotto la sua guida la lavorazione delle maioliche subì un notevole salto di qualità. Intanto, senza mai impegnarsi in politica, nel 1848 era diventato capitano della guardia civica di Sesto Fiorentino e aveva assaporato il clima risorgimentale e patriottico che si respirava in Italia. Del resto suo padre, con gesto clamoroso, nel 1833 si era dimesso da tutte le cariche conferitegli dai Lorena. Proprio in omaggio al fervore patriottico, nel 1848 il G. cominciò a riprodurre le antiche ceramiche rinascimentali nello stile delle fabbriche di Faenza, Urbino, Deruta, Gubbio, e in particolare quelle invetriate di Luca Della Robbia. Oltre che un gesto di amor patrio, fu anche un ottimo affare, che contribuì a diffondere ulteriormente la notorietà delle ceramiche di Doccia in ogni parte d'Italia.
Nel 1854 il G. nominò direttore delle fabbriche di Doccia Paolo Lorenzini (figlio di una domestica originaria di Collodi, venuta al seguito della madre del G., e del cuoco della villa di Doccia), da sempre l'uomo di fiducia nella conduzione dell'azienda, dove era entrato all'età di dodici anni. Il fratello di costui, il famoso Carlo Lorenzini (Collodi), non solo scrisse monografie celebrative della storia della fabbrica (La manifattura delle porcellane di Doccia. Cenni illustrativi, Firenze 1861), ma inserì persino nei libri per l'infanzia (La lanterna magica di Giannettino, Firenze 1890) espliciti riferimenti alla fabbrica, contribuendo così alla notorietà del suo marchio.
In realtà la Manifattura Ginori si stava affermando nel settore delle porcellane, come la più importante d'Italia, paese dove la produzione era affidata a piccoli opifici che fabbricavano oggetti in maiolica, terraglia e terracotta. Solo la Manifattura Imoda di Torino e la Manifattura Richard di Milano erano in grado di produrre porcellane anche se di minor pregio rispetto alla fabbrica di Doccia. Tuttavia proprio la fabbrica di Milano con le sue produzioni di servizi da tavola e di oggetti di uso industriale, invece di porcellane e maioliche artistiche, come a Doccia, si rivolgeva a un mercato sempre più vasto, come quello che si stava aprendo con l'unificazione nazionale.
Decisamente favorevole all'unione della Toscana al Piemonte ed eletto a far parte del Parlamento toscano dopo che i Lorena ebbero lasciato il Granducato, il G., allora gonfaloniere di Sesto, invitò i concittadini a votare nel plebiscito in favore dell'annessione. Nel nuovo Stato unitario fu eletto deputato e, nel 1864, fu nominato senatore. In politica era per l'ordine, la pace sociale, la disciplina, perché era convinto, come ripeteva ai suoi operai e ai concittadini, che la pace sociale portava prosperità per tutti, mentre il disordine portava solo miseria. Per questo, seguendo l'insegnamento del padre, il G. fece di Doccia un modello di paternalismo aziendale, paragonabile a ciò che A. Rossi andava facendo nel lanificio di Schio. A Doccia fu pertanto attrezzato un Circolo ceramico con vasti locali e con annessa una piccola biblioteca con libri e giornali, una scuola elementare gratuita, una scuola di disegno per i figli dei dipendenti, un corso serale elementare per adulti, un corso domenicale di disegno e ornato, e, infine, fu anche potenziata una Società di mutuo soccorso, esistente già dal 1829, che, fra l'altro poteva inviare i figli e i fratelli minori degli operai a trascorrere i mesi estivi nell'ospizio marino di Viareggio. I regolamenti di fabbrica di Doccia erano particolarmente severi, coerentemente con il pensiero del G. che attribuiva un grande peso alla religione e alla moralità.
La Società di mutuo soccorso, alimentata dalle cospicue elargizioni concesse dalla proprietà e dal contributo dei lavoratori, raggiunse nel 1872 un patrimonio di 10.000 lire. I 300 operai che nel 1873 vi risultavano iscritti ricevevano indubbi benefici, anche se a guidare l'associazione, di cui dal 1852 era "protettore" lo stesso G., erano, sulla base del nuovo statuto del 1872 (voluto appunto dal G.), i quadri dirigenti della fabbrica piuttosto che gli operai. Infine per comprendere la vastità e capillarità del controllo del proprietario sugli operai, si deve considerare che molti dipendenti abitavano in alloggi forniti in affitto dall'azienda, e si rifornivano di prodotti alimentari in uno spaccio dove venivano venduti i prodotti delle vaste tenute agricole del marchese.
Dopo l'unificazione, anche a seguito degli inevitabili confronti con le maggiori manifatture europee del settore, favoriti dalle grandi esposizioni universali come quella di Parigi del 1855 o quella di Londra del 1862, il G. si rese conto che davanti a una società in trasformazione non si poteva più puntare su una produzione di tipo artistico, ma, come consigliava P. Lorenzini dopo aver visto la produzione esposta a Londra, bisognava trasformare l'antico opificio artigianale in uno stabilimento tecnicamente avanzato. Per questo occorreva prima di tutto prendere l'esempio da ciò che si faceva in Europa e poi investire ingenti capitali per trasformare gli impianti di Doccia. Il Lorenzini, che si occupava anche di promozione, aveva fatto stampare alcuni opuscoli illustrativi, che furono molto utili a Londra e nelle altre esposizioni universali. Sempre a scopo promozionale nel 1864 fu inaugurato a Doccia un museo con le porcellane prodotte nell'azienda a partire dal 1735. Gli accordi commerciali stipulati dall'Italia con la Francia, la Gran Bretagna, il Belgio, la Danimarca e l'Olanda, fecero capire al G. che "i prodotti di Doccia non [avrebbero] potuto lottare, in breve tempo, per bontà di lavoro e modicità dei prezzi, con quelli delle migliori manifatture straniere" (Alcune parole agli operai della Manifattura di Doccia, Firenze 1869, p. 6). L'obiettivo della trasformazione era quello di incentrare la produzione "non più nella maiolica, come si era fatto fino ad allora, ma sulla produzione in serie di oggetti di porcellana destinati ad un uso quotidiano" (Buti, p. 36).
Nel 1863 la fabbrica di Doccia fu dotata di una nuova fornace "composta" a quattro piani. Dal 1866 al 1872 furono costruite tre nuove fornaci sotto la guida di un tecnico venuto da Limoges. Nel 1867 fu costruito a Calenzano un mulino con 24 macine per la preparazione della terra di porcellana. Nel 1869 furono installati pressatori pneumatici per l'essiccazione delle paste, mossi da una caldaia a vapore. All'inizio degli anni Settanta fu impiantato anche un laboratorio di cromolitografia per produrre calcomanie e fu messa a punto una stretta collaborazione con lo stabilimento dei fratelli Alinari per produrre pezzi con scorci di Firenze. L'aumento della manodopera fu consistente e dal 1864 al 1872 il numero degli operai passò da 250 a 500, ma con l'immissione di donne (circa il 25% degli occupati) e di bambini. La produzione nello stesso periodo passò da 1.350.000 a 2.000.000 pezzi annui. Per questo bisognava trasformare la mentalità delle maestranze, le tecniche e gli impianti della fabbrica di Doccia, magari importando tecnici specializzati anche dall'estero. La modernizzazione del sistema produttivo coinvolse ogni settore e all'inizio degli anni Settanta le antiche strutture aziendali erano completamente circondate da nuovi edifici. Ormai il 75% della produzione era costituita da porcellane e solo il 25% da maioliche. La fabbricazione di terraglie era stata abbandonata. La produzione degli oggetti artistici era ridotta all'8% circa del totale. Le riproduzioni di maioliche rinascimentali, le porcellane, i cosiddetti "antichi Ginori" venivano venduti all'estero: gli oggetti in porcellana in Inghilterra e Germania, le maioliche in Francia e in America. In Italia, invece, veniva venduta la produzione di uso comune: servizi da tavola e stoviglie. Con una sola macchina nel 1877 era possibile fabbricare 10.000 piatti al mese.
La fama delle ceramiche di Doccia era ormai diffusa in Italia e all'estero. In occasione dell'Esposizione universale di Parigi del 1867 al G. fu concessa la Legion d'onore, ma premi non mancarono a Londra nel 1862 e a Vienna nel 1873. I prodotti Ginori erano richiesti non solo dalla Casa reale italiana ma persino dal chedivè d'Egitto.
Dopo aver gestito per quasi trent'anni la Manifattura di Doccia, portandola al successo, il G., anziano e malato, nel 1875 fu dichiarato incapace di amministrare l'ingente patrimonio familiare. Su istanza dei parenti, il tribunale civile e correzionale di Firenze nominò il genero Lorenzo Strozzi tutore del patrimonio Ginori.
Il G. morì a Firenze il 13 febbr. 1878.
Fonti e Bibl.: L. Passerini, Genealogia e storia della famiglia Ginori, Firenze 1876, ad nomen; L. Ginori Lisci, La porcellana di Doccia, Milano 1963, passim; S. Buti, La manifattura Ginori. Trasformazioni produttive e condizione operaia (1860-1915), Firenze 1990, ad indicem; A. Moroni, Antica gente e subiti guadagni. Patrimoni aristocratici fiorentini nell'800, Firenze 1997, ad indicem.