CIARPI, Lorenzo Bartolomeo (Baccio)
Nacque a Barga (Lucca), e non a Firenze come afferma il suo biografo Passeri, il 13 sett. 1574 (e non 1578 come noto sinora), secondo quanto documenta l'atto di battesimo del duomo di Barga (Sricchia Santoro, 1975). Quarto di sei fratelli, alcuni dei quali si segnalarono a Roma nella carriera ecclesiastica e rotale, apparteneva ad una delle famiglie più in vista della cittadina toscana.
La figura del C. non ha goduto di grande notorietà: dopo la breve nota del Mancini (1617-21), che lo ricorda nella bottega di Andrea Commodi e la vita del Passeri. (1772), che ne descrive piuttosto l'integrità morale, la dedizione ai poveri e alle opere di carità che non l'attività pittorica, egli deve le sue frequenti citazioni nella letteratura artistica seicentesca al fatto che fu maestro di Pietro Berrettini (Pietro da Cortona). Dopo, il libretto scritto su di lui di P. Groppi (1890), che risente del tono laudativo tipico della letteratura apologetica provinciale ottocentesca, soltanto di recente la critica si è occupata di lui, con i contributi di F. Zeri (1957) per un ampliamento del catalogo, dei Briganti (1962) e della Sricchia Santoro (1975).
Dalla affermazione dei Passeri che l'educazione del pittore si svolse a Firenze in parallelo con il Commodi, il Passignano e il Ciampelli, si può dedurre che egli apprese i primi rudimenti artistici nell'ambito della riforma fiorentina promossa intorno all'ottavo decennio del XVI secolo da Santi di Tito con intenti antimanieristici. E che egli sia stato allievo del Titi lo affermano P. A. Orlandi (Abecedario pittorico, Bologna 1704, p. 90), Lanzi (1808) e il Colnaghi (1928).
Non si sa con esattezza quando il C. sia giunto a Roma e con quali appoggi: dal 1610 in poi, comunque, lo si trova con una certa continuità nel numero dei confratelli dell'Oratorio della Vallicella che danno "la limosina per l'andata alle sette chiese" (Roma, Arch. dell'Oratorio dei Filippini, C. III. 30). In questa città era operoso in quegli anni un folto gruppo di artisti toscani: Cigoli, Passignano, Ciampelli, tutti legati al mecenatismo romano e impegnati in quel periodo in importanti commissioni ufficiali. Artista più problematico di A. Ciampelli, suo compagno alla scuola del Titi e al quale lo accomuna l'impostazione stilistica di molte opere, il C. rivolse, la sua attenzione anche al filone toscano di ascendenza caravaggesca, a quegli artisti cioè che, partiti anch'essi da premesse tardomanieristiche, sì erano volti allo studio del vero e "naturale" in aderenza alle esigenze predicate dalla Controriforma, con la riscoperta di "valori" luministici sull'esempio dei caravaggeschi: Orazio Gentileschi, in particolare nell'opera della sua prima fase romana, Anastagio Fontebuoni, Antiveduto Grammatica e Andrea Commodi, già incontrato a Firenze o forse a Cortona, e assiduamente frequentato a Roma - come attesta il Mancini -, con il quale la prima produzione artistica del C. mostra tali punti di contatto da sollevare problemi attribuitivi.
Probabilmente la prima opera che egli eseguì a Roma e che riassume i caratteri di questo caravaggismo riformato è la Morte di s. Benedetto.
Unico dipinto citato dal Mancini sull'altar maggiore della distrutta chiesetta di S. Benedetto alla Regola, fu rintracciato dalla Toesca (1961) presso i benedettini sublacensi in un vano annesso alla chiesa di S. Ambrogio. Esso presenta una tale affinità nel taglio della scena, ed in particolare nei volti dei monaci in primo piano fortemente evidenziati dalla luce, con il Miracolo dis. Benedetto dell'Accademia Etrusca di Cortona attribuito al Commodi, che si è pensato (Toesca) che le opere siano dello stesso autore, e del C. in particolare. L'asciuttezza formale e l'essenzialità scenica del dipinto del Conunodi non si ritrovano però che nella parte inferiore del quadro, mentre in alto il particolare della animula assunta in cielo riprende un tema consueto della iconografia controrifoemistica. Il rapporto di dipendenza sembra comunque dare la priorità al Commodi, perché raramente ritroviamo accenti così efficaci nel Ciarpi.
Gli stessi interessi luministici, volti alla ricerca di verità e valori ma pur sempre delimitati nel contesto storico-narrativo della Riforma fiorentina, ritornano nelle tre scene della Passione di Cristo (Resurrezione, Trasporto al sepolcro e Cristo nell'orto) dipinte nell'arco della cappella Sartorio di Santaseverina in S. Giovanni in Laterano, citati dal Titi (1763) come opera del C.,, e che presentano, pur ridipinti corne sono, elementi caravaggeschi desunti dal Baglione, dal Borgianni e dal Feti, suo compagno a Roma nella "accademia" del Commodi.
Nel 1613 eseguiva una Madonna e santi martiri palermitani Mamiliano, vescovo, Ninfa, Eustozio, Proculo e Goboldeo per l'altar maggiore di S. Maria in Monticelli (oggi in fondo alla navata destra della stessa chiesa): se ne ha notizia in una nota dei Registri dell'Accademia di S. Luca (Roma, Arch. dell'Accad. di S. Luca, Entrate e Uscite del Camerlengo 1593-1627, vol. 42, c. 1231, già letta dal Noack (in Thieme-Becker), dove il 10 maggio 1613 sono chiamati i pittori Pier Francesco Alberti e Antiveduto Grammatica a stimare l'opera.
Al 1614 data una delle realizzazioni più interessanti dell'artista, dove il più convenzionale linguaggio narrativo toscano in chiave riformata si fonde con le più moderne acquisizioni pittoriche luministiche: la serie di sette tele allineate nella parete di fondo del coro delle monache della chiesetta di S. Lucia in Selci, raffiguranti la Conversione di s. Agostino, S. Monica, la Adorazione dei pastori, S. Ambrogio, la Comunione di s. Lucia, S. Chiara e S. Carlo Borromeo. Insieme con l'Adorazione dei pastori ambientata in un notturno, particolarmente significativa appare la Comunione di s. Lucia, dove la serie di diaconi allineata sulla destra ci rimanda ancora una volta ad un dipinto del Commodi, la Consacrazione di s. Salvatore nel duomo di Cortona, ove ritorna la stessa serie di figure esattamente definite nello spazio dalla luce, documento ulteriore degli stretti rapporti tra i due artisti.
Giunto a Roma nel 1612 con Pietro Berrettini, il Commodi infatti si accingeva a rientrare a Cortona nel 1614 e lasciava presso la bottega dell'amico e compagno di lavoro C. il suo giovane allievo Pietro da Cortona. In quegli anni il C. si accingeva a terminare il Battesimo di Costantino da inviare alla chiesa di S. Silvestro all'Aquila, firmato e datato (la data, illeggibile, è piuttosto controversa ed oscilla fra 1612, 1614, secondo il Briganti, o 1617, secondo la Sricchia Santoro). La materia pittorica di questo dipinto si impreziosisce nel tono caldo del colore e nel gusto di sciorinare stoffe e stendardi, che tanto piacerà al giovane Berrettini e che la Sricchia mette in relazione con la presenza del Saraceni e con il riaffermarsi della pittura veneziana nel secondo decennio del secolo. Nello stupendo particolare dei due paggi in primo piano sulla destra del quadro, il Briganti arriva a postulare addirittura l'intervento di Pietro da Cortona, già avviato verso forme pittoriche più morbide e fuse: sia o no accettabile questa ipotesi, è comunque provato che il C. influì in modo notevole nella prima formazione del suo giovane e più geniale allievo.
Ancora sulla scia del Commodi appaiono altre due opere databili entro il secondo decennio: il S. Carlo comunica gli appestati in S. Maria Nuova a Cortona e il S. Carlo prega per la peste nella chiesa dei cappuccini di Sarzana, attribuitogli dalla Sricchia, che ricalca da un punto di vista stilistico e iconografico le orine del dipinto analogo del Commodi in S. Carlo ai Catinari a Roma.
Un dipinto singolare, attribuitogli dallo Zeri, databile a.questo periodo e senz'altro la sua opera più riuscita, è la Deposizione in S. Maria in Campo Marzio, riferito dal Titi ad un artista fiammingo. Più tradizionale, invece, la Madonna e santi in S. Silvestro in Capite, databile prima del 1622 per la presenza di s. Filippo Neri senza l'aureola (fu canonizzato in quell'anno).
Il C. nella vita pubblica romana rivestì sempre un ruolo di secondo ordine: il 10 giugno 1618 è per la prima volta nella lista degli accademici di S. Luca (Roma, Arch. dell'Accad. di S. Luca, vol. 2, A, cc. 10, 21, 30v), dove nel 1620 è "visitatore di infermi e carcerati" (ibid., c. 44), e nel 1627, dietro pressione forse di Pietro da Cortona, viene proposto al principato (Noehles, 1969, doc. 159). Nel 1620 appare citato come membro dell'Arciconconfraternita di S. Giovanni dei Fiorentini (Roma, Arch. dell'Arciconfraternita di S. Giovanni dei Fiorentini, vol. 340, c. 73), dedito anche li alle opere pie, secondo il profilo descrittoci dal Passeri, che lo ricorda particolarmente benemerito nei confronti delle zitelle di s. Filippo Neri.
Il C. non partecipò alle grandi imprese decorative, né dipinse per mecenati importanti o famiglie patrizie: i suoi committenti furono per lo più opere pie, confraternite e chiese di provincia, alle quali egli inviava i suoi quadri dipinti a Roma.
All'Aquila si trovano un suo dipinto nel duomo, raffigurante la Presentazione della Vergine al tempio, non privo di un ulteriore arricchimento cromatico e luministico nella figura in primo piano e nei giovani con i ceri in mano;una Annunciazione, dipinta per la chiesa di S. Eustachio, a Belforte sul Chienti (Macerata), e un piccolo Battesimo di Cristo, nella chiesa di S. Giuseppe a Lendinara. Infine inizia, in questo periodo, una abbondante produzione pittorica per la sua città natale, Barga, dove inviò la Decollazione del Battista per il duomo, firmata e datata, ma oggi semidistrutta, dipinta nel 1626 per l'altare costruito dal pievano, suo fratello Domenico; una tela con S. Lucia (oggi in casa del parroco); la Consegna delle chiavi a Pietro, già in duomo, ora nella cappellina del camposanto; la Madonna del Carmine fra i ss. Rocco, Antonio e Sebastiano, per la chiesa di S. Rocco; la Madonna e angeli fra i ss. Antonio, Ludovico di Tolosa, Francesco e Luigi re di Francia e l'Annunciazione per la chiesa dell'Annunciata: opere, tutte molto danneggiate, che non escono dallo schema modesto di un tradizionalismo di arte devota controriformistica. Gli stessi caratteri presentano la Natività della parrocchiale di Castelvecchio e tre tele conservate nella pieve romanica di Loppia: la Madonna del Rosario nella chiesa, la Decollazione di s. Paolo e una Crocifissione e santi nella pievania. Unica invece fra le opere disperse nel contado toscano è la Madonna fra i ss. Bartolomeo e Maurizio nella chiesa di S. Maurizio a Pedona, dove la Sricchia Santoro coglie rapporti con il giovane Pietro da Cortona nella impostazione quasi da antichi romani dei due santi.
Negli ultimi anni le commissioni scarseggiavano al vecchio artista ed egli dimostra un processo di involuzione in opere retoriche e sconnesse come il Martirio di s. Giusta e il Martirio di s. Giacomo in S. Giusta all'Aquila, dipinte nel 1631 su commissione del prevosto Angelo Dragonetti.
Si deve forse all'interessamento dell'allievo, ormai affermato nell'ambiente artistico romano, la commissione affidatagli nel 1632 per l'Orazione nell'orto degli ulivi per la chiesa di S. Maria della Concezione restaurata dal cardinale Antonio Barberini, protettore di Pietro da Cortona: ma il modesto notturno di caravaggesco riformato, posto sull'altare nel 1634, iInpallidì al confronto delle più moderne tele del Cortona stesso, del Lanfranco e del Sacchi. Superato dai tempi e già inattivo da anni, il C. si spense a Roma l'11 nov. 1654 (Pescatori, 1958). Aveva fatto testamento il 19 genn. 1650.
Un campo ancora tutto da indagare è quello della grafica del C.: sicuramente autografo è solo un foglio del Metropolitan Museum di New York (inv. 65.66.3), preparatorio per il dipinto in S. Silvestro in Capite, mentre i due disegni del Gabinetto dei disegni e delle stampe degli Uffizi (inv. 7187 F, 589 S) recano generici caratteri toscani, tra Santi di Tito e Cigoli. Dal catalogo dall'artista sono da espungere l'Assunta nella chiesa del Carmine a Pisa che gli attribuisce il Da Morrona (Pisa illustrata..., Livorno 1812, III, p. 275), opera piuttosto del Titi, e la Maddalena portata in cielo in S. Giovanni dei Fiorentini a Roma datagli dal Passeri, ma opera dì Astolfo Petrazzi.
Bibl.: G. Mancini, Consider. sulla pittura... [1617-1621], a cura di L. Salerno-A. Marucchi, I-II, Roma 1956-57, ad Ind.; G. B. Passeri, Vitede' pittori, scultori e architetti..., Roma 1772, pp. 49-52; F. Titi, Descriz. delle pitture, sculture e architetture esposte al pubblico in Roma, Roma 1763, ad Indicem; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia [1808], a cura di M. Capucci, I, Firenze 1968, ad Indicem; P. Groppi, Cenni storici sulla vita di B. C., Barga 1890; Id., Guida del duomo e dei monum. principali di Barga, Barga 1906; D. H. Colnaghi, A dictionary of Florentine painters..., London 1928, pp. 71 s.; O. Pollak, Die Kunsttätigkeit unter Urban VIII, I-II, Wien-Augsburg-Köln 1928-31, ad Indicem; Inventario degli oggetti d'arte d'Italia, IV, Provincia di Aquila, Roma 1934, pp. 23, 37; E. K. Waterhouse, Baroque painting in Rome, London 1937, pp. 54 s.; O. Montenovesi, Chiese e monasteri romani: S. Lucia in Selci, in Archivi d'Italia, s. 2, X (1943), p. 94; L. Berti, in Mostra di Pietro da Cortona (catal.), Cortona 1956, p. 73; F. Zeri. Pittura e Controriforma..., Torino 1957, p. III nota 91; A. Pescatori, L'invent. della dimora di un pittore del Seicento a Roma, in Riv. d'arte, XXXIII (1958), pp. 65-72; C. Del Bravo, Una "figura con natura morta" del Seicento toscano, in Arte antica e moderna, 1961, p. 324 nota 2; I. Toesca, A. Comodi, un quadro di Baccio C. e una nota al Mancini, in Boll. d'arte, XLVI (1961), pp. 177-179; G. Briganti, Pietro da Cortona o della Pittura barocca, Firenze 1962, pp. 46 s., 128 nota 21; M. Gregori, Avant-propos sulla pittura fiorentina del Seicento, in Paragone, XIII (1962), 145, pp. 31, 37 s.; K. Nochies, La chiesa dei SS. Luca e Martina, Roma 1969, docc. 47, 57, 159; M. Gregori, Note su O. Riminaldi e i suoi rapporti con l'ambiente romano, in Paragone, XXIII (11972), 269, p. 44; L. Mortari, in Restauri della Soprintendenza... del Lazio, n. 79, 1972, fig. 69a; U. Fischer Pace, Un'aggiunta all'opera di Pietro da Cortona, in Paragone, XXV (1974), 289, pp. 46 s.; F. Sricchia Santoro. B. C. da Barga "maestro di Pietro da Cortona", in Prospettiva, 1975, n. I, pp. 35-44; n. 2, pp. 18-23; J. Bean, 17th Century Italian drawings in the Metropolitan Museum of Art, New York 1979, n. 132; U. Thierne-E Becker, Künstlerlexikon, VI, pp. 565 s. (con ult. bibl.).