LOMBARDO-VENETO
. La parte più notevole dei territorî passati sotto la dominazione austriaca alla Restaurazione, e cioè quelli degli ex-ducati di Milano e di Mantova, delle provincie della Terraferma veneziana e di una parte della Legazione pontificia ferrarese, fu riunita nel regno Lombardo-Veneto. L'atto costitutivo del nuovo regno, che assunse come emblema l'antica corona ferrea fu emanato da Francesco I il 7 aprile 1815.
La sua linea di confine toccava a ovest il Lago Maggiore, scendendo lungo il Ticino fino alla confluenza col Po; a sud coincideva col percorso del Po fino alla foce, comprendendo però anche un tratto del ducato di Mantova al di là del fiume, stendentesi in linea retta fra Guastalla e Polesella. A nord, verso la Svizzera e il Tirolo, la linea di confine, comprendendo le contee di Chiavenna, di Bormio e la Valtellina, tagliava l'ultimo tratto del lago di Garda, snodandosi verso Cortina e Pontebba e scendeva poi verso l'Adriatico, che limitava il regno Lombardo-Veneto a est, dove aveva con Venezia l'unico sbocco verso il mare.
Ma, nonostante la solennità dell'atto costitutivo, il nuovo stato non era tale che per le apparenze esteriori e formali, non risultando, in sostanza, che di due regioni interamente asservite all'Austria, prive di qualsiasi libera istituzione, sulle quali agiva incessantemente il principio di accentramento del governo di Vienna. Infatti il primo viceré, l'arciduca Ranieri, che fu nominato soltanto il 3 gennaio 1818, avendo rifiutato la carica l'arciduca Antonio, non fu che un anello di congiunzione tra i funzionarî dell'impero e quelli del regno Lombardo-Veneto.
Il nuovo regno si divideva in due territorî: quello a destra del fiume Mincio, denominato Governo milanese, e quello a sinistra denominato Governo veneto. Tanto nell'uno quanto nell'altro la direzione generale degli affari faceva capo a un Collegio governativo, presieduto dai governatori residenti a Milano e a Venezia e si divideva in due senati: senato politico per gli oggetti di amministrazione e di polizia, Senato camerale o di finanza per quelli economici.
Ogni governo si divideva in provincie, ogni provincia in distretti, i distretti in comuni. Nove erano le provincie del governo milanese: Milano, Mantova, Cremona, Bergamo, Como, Valtellina, Pavia, Lodi e Crema; otto quelle del governo veneto: Venezia, Padova, Polesine, Verona, Vicenza, Treviso, Belluno, Udine.
L'amministrazione di ciascuna provincia era affidata a una r. delegazione retta da un delegato. I distretti erano retti da cancellieri del censo, denominati, dal 1819, commissarî distrettuali. Ben presto però i commissariati distrettuali furono snaturati nel loro carattere amministrativo e trasformati in potenti e temibili strumenti di polizia. Diventarono perciò organi dell'autorità politica, che fece dipendere da essi la gendarmeria. Ogni distretto si divideva in 20 comuni, con una popolazione da 27 a 28 mila abitanti. I comuni, che erano la base dell'organizzazione politico-amministrativa, erano suddivisi in tre categorie. La prima comprendeva quelli con meno di trecento possidenti, i quali avevano un convocato generale degli estimati, come autorità superiore per affari amministrativi. La seconda, i comuni con trecento e più estimati, con un consiglio comunale di trenta consiglieri. La terza, infine, comprendeva i comuni delle città con un consiglio comunale di trenta consiglieri (congregazione municipale) e un podestà, di nomina imperiale, che durava in carica tre anni. Soltanto i comuni con più di tre mila abitanti avevano il loro ufficio municipale, con un segretariato. Le attribuzioni dei comuni erano assai ampie: sicurezza pubblica, sanità, beneficenza, acque e strade, moralità, edilizia, culto, ma la loro sfera d'azione era continuamente turbata e intersecata da altre ingerenze e specialmente da quelle della polizia.
Allo scopo di conoscere i desiderî e i bisogni degli abitanti, il proclama imperiale del 7 aprile 1815 istituiva le congregazioni centrali e le congregazioni provinciali. Le congregazioni centrali erano formate da membri eleggibili in base al censo (si richiedeva un estimo di quattromila scudi), che duravano in carica sei anni; erano due deputati per provincia, scelti nella classe dei nobili e dei non nobili, e un deputato di ogni città regia. Anche le congregazioni provinciali, residenti nei capoluoghi di provincía, presso le rr. delegazioni, erano formate da membri eleggibili per censo. Ma sebbene le congregazioni dovessero essere una rappresentanza popolare, l'organo, insomma, della nazione, l'azione da esse svolta dopo i primi, inutili tentativi di resistenza all'eccessivo aumento delle imposte si può considerare nulla. Infatti furono organi puramente consultivi senza alcun potere deliberativo. È notevole però la mozione Nazari presentata dalla Congregazione centrale lombarda poco prima dello scoppio della rivoluzione nel dicembre del 1847, e, in generale, l'atteggiamento di palese difesa dei diritti del popolo assunto in quell'anno da tutte le congregazioni provinciali. Nel 1848 furono sospese e riconvocate solo nel 1855 con un notevole allargamento di attribuzioni.
Dal 1856, a capo della gerarchia amministrativa e in sostituzione dell'antico governatore generale, vi era l'arciduca, con la sua cancelleria arciducale. L'arciduca fu Massimiliano, il futuro imperatore del Messico, mandato quando già gli animi erano fortemente esacerbati, a promettere poche e tardive riforme. L'amministrazione dipendeva però dall'arciduca solo nominalmente, perché, divenuto anche l'arciduca un semplice organo di trasmissione, il principio di accentramento ebbe in questo periodo il suo sviluppo massimo. Al governo lombardo, vigente dal 1815 al 1848, subentrò il Consiglio di luogotenenza che fu l'autorità amministrativa suprema. Subordinata alla luogotenenza, la polizia doveva, come per il passato, corrispondere direttamente col dicastero centrale di polizia di Vienna. La polizia fu sempre un'arma potentissima della dominazione austriaca. Infatti suo compito più importante, oltre la prevenzione dei delitti e il mantenimento dell'ordine pubblico, era l'impedire che si diffondessero le idee liberali e nazionali, la sorveglianza sulle persone giudicate pericolose alla sicurezza dello stato, sulle società segrete. La forza di cui si serviva la polizia lombarda era la gendarmeria, quella veneta aveva invece il satellizio. Organo collaterale della polizia era la censura, dipendente, anche questa, direttamente dal governo. Essa sottoponeva a severissima revisione quanto si doveva stampare e tendeva a frenare tutto il movimento intellettuale.
I codici austriaci entrarono in vigore nel Lombardo-Veneto soltanto il 1° gennaio 1816. La legislazione civile e penale austriaca fu giudicata, nel suo complesso, assai migliore della francese, di cui non rimase in vigore che parte del codice di commercio, sostituito anch'esso da leggi austriache fra il 1847 e il 1862. Pessima però era la procedura penale per i processi politici che furono sempre dibattuti a porte chiuse. Nei capoluoghi di provincia i tribunali provinciali giudicavano in prima istanza in materia cívile, commerciale e criminale. Soltanto a Venezia e a Milano si ebbero tre tribunali e cioè un i. r. tribunale civile, un i. r. tribunale criminale, un tribunale mercantile e di cambio. Delle cause marittime si occupava il tribunale mercantile di Venezia con giurisdizione in tutto il regno. Giudicavano in seconda istanza due tribunali di appello con sede a Milano e a Venezia. Un'ultima revisione delle sentenze, solo per violazione di forma o per manifesta ingiustizia, si poteva avere presso il senato lombardo-veneto del supremo tribunale di giustizia istituito a Verona, e, soppresso questo, presso il tribunale supremo di Vienna. Mancava così nel Lombardo-Veneto un tribunale di terza istanza. Le preture trattavanoo le cause minori. A Mantova esisteva anche una commissione straordinaria speciale per i delitti politici di "fama infame".
L'Austria si servì dell'istruzione per impedire che la scuola diventasse mezzo di educazione delle coscienze, per plasmare sudditi devoti all'Austria. Cinque erano i gradi dell'istruzione pubblica: scuole elementari minori nei comuni, scuole elementari maggiori nelle città; tecniche a Milano e a Venezia per i giovani destinati all'industria e al commercio; ginnasî, licei e università. L'istruzione elementare ebbe sempre, durante tutto il regno, un carattere confessionale, ma in genere era bene organizzata, benché nel 1822, cioè nei primordî, la metà circa dei fanciulli e 4/5 delle fanciulle non la frequentassero. Due erano le università del regno, quella di Pavia e di Padova, entrambe con tre facoltà: giuridica, medica e filosofica. Tra la fine del 1847 e i primi del 1848 il governo austriaco fece studiare dai membri dell'Istituto lombardo un progetto di riforma generale degli studî, comprendente tutte le scuole d'ogni grado e d'ogni natura, dagli asili alle università. Carlo Cattaneo radunò tutti i progetti dei suoi colleghi e li fuse in una magnifica relazione che porta il segno della sua mente poderosa, ma che rimase lettera morta per la rivoluzione delle Cinque giornate e per il successivo inasprimento di governo dopo il 6 agosto 1848. Il sistema amministrativo del regno d'Italia del tempo napoleonico era ottimo in confronto a quello austriaco. L'Austria perciò lo mantenne, apportandovi poche modificazioni. Il ministro delle Finanze fu sostituito da due senati di finanza, dipendenti dalla direzione suprema della I. R. Camera aulica universale di Vienna, ai quali facevano capo tutti i rami dell'amministrazione finanziaria e camerale. I senati erano l'autorità amministrativa assoluta per la direzione e ispezione di tutti i rami di finanza, eccettuato quello delle imposte dirette che rimasero di competenza del governo.
Il bilancio del Lombardo-Veneto dava un avanzo superiore alla metà delle entrate, poiché, in media, l'Austria non spese che i 4/10 di quanto ricavava per il mantenimento dell'esercito, fortificazioni militari, per spese, insomma, che non servivano al miglioramento economico del paese. L'avanzo annuo di 35 milioni di lire italiane dato nel 1823 subì un aumento costante, raggiungendo nel 1848 i 66 milioni annui. Detratti da questi 20 milioni circa di lire austriache, quale contributo alle spese dell'esercito, il Lombardo-Veneto fruttava all'Austria 46 milioni annui.
Nell'annunciare la creazione del regno Lombardo-Veneto il luogotenente F. H. de Bellegarde aveva assicurato che l'organizzazione del nuovo stato sarebbe stata conforme all'indole e alle abitudini degl'Italiani. Invece nulla di più ostile all'indole degl'Italiani delle nuove istituzioni, nulla di più disarmonico dei nuovi sistemi, intesi unicamente a spremere le ricchezze delle provincie italiane a favore di quelle tedesche e a creare un'immobilità commerciale insopportabile in regioni in via di sviluppo. Il ferreo congegno finanziario ed economico imposto dall'Austria fu una delle cause non ultime che pose davanti alla coscienza degl'Italiani la soluzione del problema politico. Anziché essere abolita, come era stato promesso, la coscrizione militare restò. E restò non già per fornire uomini a un esercito italiano, ma per disperdere le forze più vive e più fiorenti della popolazione italiana nei meandri del multiforme esercito austriaco.
Infatti, dopo un breve periodo di transizione, in cui si costituirono reggimenti con soldati del regno italico, rientranti però nel quadro dell'esercito austriaco, furono soppresse tutte le istituzioni militari del regno, le scuole militari, le fonderie, le fabbriche d'armi dipendenti dal Ministero della guerra, accentrando tutto ciò che era militare, come tutto ciò che era amministrativo, in Vienna. Il Lombardo-Veneto fu suddiviso in otto grandi distretti militari, che dovevano fornire complessivamente circa 60 mila uomini, cioè tante reclute da completare otto reggimenti di linea. Gl'Italiani erano reclutati quasi esclusivamente per la fanteria ed erano mandati di preferenza a Buda, a Praga, a Vienna, mentre l'esercito di occupazione stanziato in Italia era formato specialmente da elementi croati, ungheresi e tirolesi. Esso era sproporzionato al territorio che contava poco meno di 5 milioni di abitanti. Infatti andò sempre aumentando fino a raggiungere i centomila uomini. Nel 1848, alla vigilia dell'insurrezione, l'esercito austriaco stanziato nel Lombardo-Veneto era di 61 battaglioni, 36 squadroni, 108 pezzi di artiglieria, vale a dire 4 compagnie tecniche e 18 batterie, complessivamente 70 mila uomini, divisi in due corpi d'armata. Uno comprendeva tutta la Lombardia fino al Mincio, compresa la fortezza di Piacenza ed esclusa quella di Mantova, con sede in Milano. L'altro comprendeva il Veneto, la fortezza di Mantova, le truppe distaccate oltre il Po nei ducati, in Ferrara e in Comacchio, con sede in Padova.
La gendarmeria, sistemata il 1° novembre 1817 in un reggimento, faceva parte dell'esercito. Il comando militare generale risiedeva a Verona. Erano soggetti al servizio militare, che durava otto anni, tutti i sudditi dai 20 ai 25 anni. Ogni coscritto poteva però farsi sostituire da un supplente abile al servizio militare. Quindi a questo elemento, che con quello poliziesco, era il più coesivo dell'impero, il Lombardo-Veneto contribuì ben poco, perché ogni famiglia che non fosse poverissima cercava di sottrarre i figli al servizio militare, pagando il supplente. Questa legge del 1820 sulla coscrizione durò fino al gennaio 1848, poi subì modificazioni. Infine una legge del 1° novembre 1858 stabilì che la tassa di esenzione dovesse essere pagata direttamente al governo, trasmutando così la coscrizione in un nuovo peso tributario.
Malgrado l'eccessiva gravosità delle imposte, il rigido sistema di protezionismo per l'industria austriaca che elevò le tariffe doganali perfino al 60%, la mancanza di una rete ferroviaria adeguata, che in tutta la Lombardia fino al '48 ebbe uno sviluppo di soli 45 chilometri e nel '59 di soli 221 chilometri, la floridezza agricola e commerciale andò sempre più aumentando. Infatti l'economia del Lombardo-Veneto, pure mantenendo un carattere prevalentemente agricolo, tanto che il sistema agrario lombardo gareggiava per perfezione e per solidità con quello inglese, e, sotto certi aspetti, lo superava, diede vita in questo periodo alle grandi industrie, caratterizzate da un largo afflusso di capitali, da un'eccellente organizzazione tecnica, dalla divisione del lavoro. E quando l'Austria abbandonò la Lombardia, in onta alle crisi gravissime che l'avevano travagliata, come quelle del 1815 e del 1848, Milano era già sulla via di diventare il più grande mercato italiano e uno dei più grandi mercati internazionali.
Privato nei 1859, con la pace di Zurigo, della Lombardia, il regno Lombardo-Veneto cessò definitivamente di esistere nel 1866, con la pace di Praga, per cui anche il Veneto fu incorporato nel nuovo regno d'Italia.
Bibl.: Cfr. in modo speciale: C. Cattaneo, Notizie naturali e civili sulla Lombardia, Milano 1844; le annate del Militär-Schematismus des Österreichischen Kaiserthumes, dal 1816 al 1858, ecc.; La Cassa di risparmio delle provincie lombarde nella evoluzione economica della regione (1823-1923), Milano 1923; A. Monti, Un progetto di riforma generale degli studi in Lombardia, nel gennaio-marzo del 1848, in La Lombardia nel Risorgimento italiano, 1929; L. Pasini, L'Autriche dans le royaume Lombardo-Vénitien. Ses Finances, son administration, Parigi 1859; A. Sandonà, Il regno Lombardo-Veneto, Milano 1912.