LOMBARDO (Lombardi, Lombardini), Cristoforo (Tofano), detto il Lombardino
Non si conoscono il luogo e la data di nascita di questo scultore e architetto, figlio di Domenico, attivo a Milano dall'inizio del Cinquecento, a lungo confuso per omofonia con Cristoforo Solari.
Risale al 16 luglio 1510 la prima notizia sul L., un pagamento della Fabbrica del duomo a favore di "Christoforo de Lombardis sculptori praefatae fabricae" (Annali, III, p. 152), forse relativo all'esecuzione di sculture per il cosiddetto gugliotto dell'Amadeo (Bossaglia; Farina, 1996). La seconda, del 21 ag. 1514, attesta la riammissione del L. nella Fabbrica dopo un soggiorno a Roma di "molti mesi" (Annali, III, p. 169).
Da questo momento in poi, però, le notizie sulla sua attività (inizialmente di scultore) si moltiplicano, sebbene sia spesso difficile stabilire con certezza la paternità delle opere, realizzate quasi sempre con altri artisti, secondo una prassi tipica del tempo. I documenti finora noti fissano dati certi e testimoniano la sua appartenenza al clima di generale aggiornamento verso i temi del classicismo su cui la scultura lombarda andava da tempo orientandosi, e di cui sono testimonianza le opere di A. Briosco, di A. Fusina e di C. Solari.
Agli inizi il suo contributo dovette concentrarsi principalmente sul disegno degli inquadramenti architettonici di apparati scultorei, come attestano per esempio quello realizzato nel 1515 per un'immagine sacra nella chiesa di S. Maria del Giardino e quello per la tomba di Lancino Curzio in S. Marco, commissionata ad A. Busti, detto il Bambaia, già nel 1513, monumento simbolo della cultura antiquaria del momento. Tra il 1516 e il 1517 fu accordato al L. il permesso di allontanarsi dalla Fabbrica del duomo per eseguire il sepolcro di G.B. Barbavara in S. Angelo (Annali, III, p. 182; Agosti, p. 176 n. 36).
Nel 1518 è documentata la sua collaborazione al sepolcro di Gaston de Foix, commissionato al Bambaia, il più importante monumento funebre del tempo, per la chiesa di S. Marta (rimasto incompiuto, alcune parti si conservano a Milano, presso il Castello Sforzesco). È possibile che anche in questo caso si debba al L. l'ideazione e non solo l'elaborazione dell'inquadramento architettonico del sepolcro, tanto da far ipotizzare un rapporto sostanzialmente paritario con il Bambaia (Fiorio, Bambaia…, 1990; Shell, 1990, pp. 36 s.).
Al settembre del 1518 risale un contratto per una guglia del duomo (Annali, III, pp. 200-204), cui potrebbe riferirsi il disegno conservato presso l'Archivio storico civico di Milano (Raccolta Bianconi, II, c. 10a; Scotti Tosini, 1989; Farina, 1996).
In una obligatio del 14 luglio 1519, la vedova del cavaliere Giovanni Tolentini, Taddea di Pompeo Landi, vincolava il L. a eseguire un monumento marmoreo per la cappella di famiglia in S. Maria Incoronata (Fiorio, 1990; Sacchi, 1991). L'opera, completata nel 1521 ed eseguita interamente in marmo bianco e nero, denota nella parte scultorea l'impronta stilistica propria del Bambaia e di Fusina; l'architettura esprime in nuce il linguaggio architettonico del L. (Farina, 1996).
Negli anni Venti il cantiere della Fabbrica del duomo subì un lungo rallentamento dell'attività a causa dell'occupazione di Milano da parte delle truppe ispano-pontificie. La documentazione finora nota sul L. registra una lunga pausa fino al febbraio del 1524. Il 17 febbr. 1525, come collaboratore di Giovanni (Gian) Giacomo Della Porta, con il Bambaia e Girolamo Della Porta, il L. fu incaricato del completamento dell'arca dei Ss. Pietro e Marcellino nella chiesa di S. Tommaso a Cremona. Nel maggio dello stesso anno a Casale Monferrato venne stipulato un contratto in cui Gian Giacomo Della Porta, il Bambaia e il L. si impegnavano a eseguire un'arca monumentale per le reliquie di s. Evasio (per le complicate vicissitudini di questo smembrato complesso monumentale, protrattesi per circa 40 anni si rimanda a Zani, 1996). Insieme con il Bambaia, il L. lavorava a quest'ultima opera ancora nel 1535 (come attestano i documenti), realizzando verosimilmente i due piccoli rilievi con le Storie di s. Bernardino e la statua di S. Proietto, oltre probabilmente al completamento del rilievo con il Martirio di s. Evasio e delle statue di S. Rocco e di S. Evasio benedicente, il cui impianto originario spetta al Della Porta.
Alla morte di Fusina, il 15 genn. 1526, il L. fu nominato architetto della Fabbrica del duomo (Annali, III, p. 234).
Tuttavia, per le suddette difficoltà, nel cantiere non avvennero episodi di rilievo, e il 1° febbr. 1527 tutti gli ingegneri, architetti e scalpellini del duomo furono licenziati, per poi essere reintegrati nei loro ruoli il 15 marzo, a stipendio ridotto (ibid., p. 236). Il L. comunque continuò a percepire il salario per tutto il 1527, circostanza che, in quel momento di crisi per la Fabbrica, testimonia la sua posizione privilegiata (Farina, 1996). Con il miglioramento delle condizioni economiche della Fabbrica, a partire dal gennaio del 1530, inoltre, il L. percepì un aumento del salario (Annali, III, p. 244).
Dagli anni Trenta del Cinquecento fu impegnato su più fronti, come scultore, architetto e ingegnere del Comune in tutte le massime fabbriche civili e religiose della città e dei suoi dintorni.
Il primo impegno architettonico del L. risale probabilmente agli anni Venti, nell'ambito della chiesa di S. Caterina alla Chiusa a Porta Ticinese, demolita nell'Ottocento, ma nota attraverso alcuni disegni e stampe (Milano, Arch. storico civico, Raccolta Bianconi, t. IX; Ibid., Civica raccolta delle stampe A. Bertarelli, Fondo Cagnola, 2368-2373).
Vasari (VI, p. 497) riconosceva al L. la paternità di "monasterio, facciata e chiesa", attribuzione ripresa nei secoli successivi. Mezzanotte (1943), grazie al ritrovamento di numerosi documenti e disegni, riuscì a tracciare una ricostruzione della facciata, l'unica parte della chiesa attribuibile con certezza al L., caratterizzata dalla sovrapposizione di quattro ordini di colonne, di proporzioni slanciate, la cui altezza andava diminuendo verso l'alto. Coppie di colonne su alti plinti e per due terzi aggettanti dalle pareti inquadravano profonde nicchie e separavano semplici superfici definite da incassi rettangolari. Nonostante le cornici ne sottolineassero l'orizzontalità, maggiore enfasi era posta sull'asse verticale; la campata centrale, più ampia, si concludeva con il coronamento del quarto ordine, sormontato da un timpano triangolare e concluso ai lati da volute stilizzate. Originale nel panorama milanese del periodo, presentava notevoli analogie con il S. Maurizio al Monastero Maggiore, ma ancor più forti erano i richiami a coeve esperienze romane e al progetto michelangiolesco per il S. Lorenzo di Firenze.
In questi stessi anni e fino al 1555 il L. fu anche impegnato nella Fabbrica di S. Maria presso S. Celso (pagamento del primo stipendio a "Maestro Cristoforo Lombardo nostro ingignero" dell'8 febbr. 1528; Riegel, p. 14 n. 55).
Tuttavia per quanto riguarda l'entità del suo intervento, ricordato da Vasari (VI, p. 516), pochi sono i dati certi. I lavori dovettero procedere peraltro in maniera discontinua e con molte interruzioni se, come apprendiamo da una antica descrizione, nel 1530 la chiesa versava in stato di abbandono (Baroni, 1940, p. 254 doc. 305). Nel 1533 sono documentate la demolizione e la ricostruzione della volta della tribuna e nel 1535 la realizzazione degli oculi delle cappelle. Nei successivi vent'anni alla direzione della Fabbrica, il L. lavorò al rivestimento interno della chiesa, al disegno della controfacciata e dei fianchi, e all'esecuzione dei portali d'accesso del quadriportico, come attestano sia documenti relativi a ingenti forniture di marmo di Ornavasso, protrattesi per tutto il periodo (Houghton Brown), sia gli stessi caratteri formali (riquadri, nicchie, profilature), ben visibili nei disegni della Raccolta Bianconi (IV, c. 33 sezione trasversale; c. 34 controfacciata e prospetto laterale), per questo motivo a lui spesso attribuiti (Riegel) ma, probabilmente, eseguiti da altra mano su suoi progetti (Loi, in corso di stampa).
Controversa e ancora irrisolta è la questione dell'attribuzione di due disegni per la facciata (poi realizzata negli anni Sessanta da G. Alessi e M. Bassi), alternativamente assegnati dalla storiografia a C. Cesariano e al Lombardo. Il disegno conservato al Victoria and Albert Museum di Londra (Moody Collection, box A111, n. 646), ritenuto di mano del L. da Lotz - attribuzione poi largamente condivisa, ma con datazioni oscillanti tra il 1520 e il 1550 - elabora una soluzione classica, precorritrice di modi che diventeranno frequenti a Milano solo dopo la metà del Cinquecento. L'idea di usare per la realizzazione della chiesa il fronte di un tempio classico è qui risolta con la sovrapposizione di un doppio ordine di colonne libere, molto esili; il disegno, studio in forma non definitiva (al livello superiore, infatti, sono presentate due alternative), testimonia una forte volontà di sperimentazione e di aggiornamento su temi classici, pur non avendone del tutto padronanza (Loi, in corso di stampa). Il disegno della Raccolta Bianconi (IV, c. 32) - sebbene ritenuto, come le cc. 33 e 34, non di sua mano - rappresenta invece una soluzione stilisticamente vicina ad altre opere del L., come evidenzia inequivocabilmente il confronto con S. Caterina alla Chiusa, S. Maria alla Passione, la certosa di Pavia.
Il 1° genn. 1531 il L. fu incaricato da Elisabetta Borri dell'esecuzione di un monumento funebre per il marito Nicolò Dolzani, da collocarsi nella chiesa di S. Sisto a Piacenza (documenti in Sacchi, 1990), e nello stesso anno sono documentati interventi minori in S. Maria presso S. Satiro a Milano.
All'inizio del terzo decennio le migliorate condizioni politico-economiche favorirono la ripresa dell'attività nel cantiere della Fabbrica del duomo.
La vicenda della porta del capocroce settentrionale (detta porta verso Compedo), sebbene rimasta senza esiti concreti, è da considerarsi l'unico episodio di rilievo (eccezion fatta per i monumenti funebri) nel duomo milanese nell'arco dei quasi cinquant'anni in cui il L., a vario titolo, vi lavorò. Numerosi documenti e disegni testimoniano il suo coinvolgimento a partire dal 1535 (forse già dal 1534) e contribuiscono a comprendere il metodo di progettazione del L. e degli altri artisti coinvolti nel particolarissimo contesto della Fabbrica, i cui deputati erano fortemente orientati verso il mantenimento della tradizione tardogotica, sui cui principî la cattedrale era sorta alla fine del XIV secolo. La Scotti (1977; 1989) ne attribuiva alcuni al L., altri a V. Seregni, assistente e poi successore alla direzione della Fabbrica alla morte del Lombardo. La realizzazione della porta, le cui fondazioni erano state predisposte già tra la fine del Trecento e l'inizio del Quattrocento, fu decisa dai deputati nel febbraio del 1503 ma, nonostante l'elaborazione di più progetti e l'esecuzione di un grande modello ligneo, fu affrontata concretamente solo circa tre decenni dopo. Nell'aprile del 1535 il consiglio dei deputati convocò la prima di una lunga serie di sedute a cui furono presenti il L., il Bambaia, Cesariano e Antonio da Lonate. Il 10 luglio 1535 fu affidato al L. l'incarico di compiere il progetto esecutivo entro sette giorni (Bellù, 1991, pp. 387 s.), ma numerosi furono i ritardi, tanto che la Fabbrica in più occasioni richiamò il L. e gli impose il divieto di lavorare per committenze esterne alla cattedrale (Annali, III, pp. 261 s.). Nella seduta del 21 marzo 1537 furono esaminati i disegni e i modelli del L. e si stabilì di dare inizio ai lavori. Un'importante decisione riguardò la scelta del numero di aperture; fu determinato di realizzare una porta con un'unica apertura, a differenza dei progetti precedenti (ibid., pp. 263 s.). Ma ulteriori rallentamenti, dovuti forse ancora all'incertezza sulle scelte formali e stilistiche, ostacolarono il progredire dei lavori, comunque in corso nel marzo 1538 (ibid., p. 269). Dal marzo del 1539 il L. fu affiancato da Baldassarre Vianello come "architetto della fabbrica"; i due nell'anno successivo stabilirono le misure della porta (11 ag. 1540; ibid., pp. 274 s.). Neanche il parere richiesto a Giulio Romano nel 1541 (a Milano per gli allestimenti per il secondo ingresso di Carlo V) riuscì a sbloccare questa lunga e travagliata vicenda, che rimase incompiuta anche quando Seregni sostituì il Lombardo.
Uno degli edifici più importanti in cui il L. fu impegnato a partire dalla metà del terzo decennio è il palazzo Stampa, che riveste una notevole importanza nella storia della residenza privata milanese per un duplice motivo: il proprietario Massimiliano Stampa, figura di spicco nella Milano del primo Cinquecento, ne fece un punto di riferimento, di incontro e di scambio di idee per artisti e letterati; inoltre, il palazzo si trovava lungo il percorso dei cortei trionfali che da S. Eustorgio portavano al duomo e poi al castello.
Già agli inizi del XVI secolo la famiglia Stampa, attraverso una serie di acquisizioni delle proprietà circostanti, ampliò il nucleo originario, trasformandolo in un complesso monumentale con più corti e un giardino, oggi non più riconoscibile, data la consistenza degli interventi nei secoli successivi. Tra le parti del palazzo realizzate negli anni Quaranta e Cinquanta del XVI secolo dal L., la torre e il cortile nobile sono certamente le più significative (Latuada). L'alta torre, l'elemento più noto del palazzo, si compone di tre parallelepipedi sovrapposti, di grandezza decrescente dal basso verso l'alto. L'attribuzione al L. di Hoffmann, ripresa dalla quasi totalità degli studiosi, e basata su raffronti stilistici con altre opere, è stata recentemente confermata grazie al ritrovamento di vari documenti d'archivio (Sacchi, 1990; Forni; Loi, in corso di stampa). I motivi caratterizzanti il disegno della torre, l'accentuazione del disegno geometrico, espresso nel motivo a riquadrature, l'alternanza di nicchie e riquadri, la semplificazione dei profili orizzontali sono riscontrabili in altre opere del L., tra cui il progetto per la facciata del S. Petronio a Bologna, elaborato con Giulio Romano, in cui è disegnata una torre a tre ordini digradanti verso l'alto. Evidenti sono le testimonianze dell'intervento del L. anche nel cortile principale: il ritmo delle colonne doriche a piano terra, in granito e con profilature in cotto, è ripreso al piano superiore da lesene che inquadrano, alternativamente, finestre e specchiature rettangolari rivestite di intonaco; al livello ancora superiore, vi sono soluzioni differenziate: sul lato verso via Torino un loggiato a colonnine doriche binate, chiuso nel dopoguerra e sull'ala verso via Soncino archi con capitelli pensili. Alla stessa campagna di lavori potrebbe appartenere l'esedra semicircolare del giardino, un richiamo, forse, a quella del palazzo Te. E ancora agli stessi anni potrebbero risalire i grandi locali delle cantine dell'edificio, coperti da amplissime volte a botte in cotto.
Tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta del Cinquecento il L. fu impegnato nel tiburio della chiesa di S. Maria alla Passione, annessa al complesso monastico dei canonici lateranensi. Baroni contestò per primo la tradizione storiografica che ne attribuiva la paternità a Cristoforo Solari, e assegnò quest'opera al Lombardo.
Il tiburio ottagonale, elemento autonomo rispetto al sottostante corpo della chiesa, è organizzato su due ordini, probabilmente eseguiti in due tempi. Al primo ordine, ogni faccia dell'ottagono si compone di una grande apertura centrale ad arco, sormontata da un timpano triangolare e affiancata da due aperture di dimensioni più ridotte; le aperture sono inquadrate da colonne pseudodoriche, in una rivisitazione del motivo della serliana. La superficie muraria è trattata con grossi conci di pietra; al livello superiore, l'articolazione è identica, con colonne ioniche, ma la superficie muraria è più liscia, e in luogo delle aperture troviamo semplici riquadrature sormontate da timpani curvilinei, con una notevole riduzione dell'effetto plastico dell'ordine inferiore. Il tiburio costituisce un monumentale, e tardo, omaggio alla cultura romana del primo Cinquecento, ed è l'esito di una sintesi di idee già elaborate dal L. nelle facciate di S. Caterina alla Chiusa e della torre di palazzo Stampa.
Mentre era impegnato in queste fabbriche, il L. assunse ulteriori, importanti incarichi. Nel campo della scultura lavorò nuovamente al fianco del Bambaia: nel duomo di Novara fu probabilmente impegnato nella progettazione del Monumento funebre di Melchiorre Langhi; nel duomo milanese in quella del Monumento funebre di Marino Caracciolo (protonotario apostolico e governatore imperiale di Milano, morto nel gennaio 1538; Bossaglia) e dell'altare della Presentazione (allogazione del 1543; Fiorio - Valerio), opere che denotano un raffinato classicismo e un più deciso abbandono della tradizione decorativa lombarda.
Se la partecipazione del L. è documentata con certezza solo per due rilievi dell'altare, il suo intervento nel disegno dell'impianto architettonico dei due monumenti milanesi lascia pochi dubbi sia per il confronto stilistico con altre sue opere sia perché sarebbe una ulteriore conferma della precisa spartizione di competenze con il Bambaia.
Nel campo dell'architettura- in assenza di documenti - discussa è l'attribuzione dell'oratorio di S. Caterina presso S. Nazaro a Milano (1541-46), per cui è stato fatto il nome anche di Antonio da Lonate. Struffolino Krüger suggerisce la paternità del L. per vistose affinità con elementi caratterizzanti altre sue opere, come l'arco con oculo e l'ordine semplificato. Nell'ambito della stessa basilica, il L. è documentato con certezza nel completamento dell'incompiuta cappella Trivulzio. Esplicito è un documento del 9 maggio 1547, in cui Marco d'Agrate e altri maestri sono chiamati a eseguire un'arca funeraria su disegno del L. (Baroni, 1938, pp. 409 s.). Va a lui attribuito anche il lanternino, che riprende il forte verticalismo della struttura di B. Suardi.
Nel 1545, quando fu impegnato nel S. Maurizio al monastero Maggiore, il L. ricevette dalla Fabbrica del duomo il permesso di recarsi a Bologna per studiare il progetto della facciata di S. Petronio insieme con Giulio Romano (con cui aveva già lavorato a Milano agli allestimenti degli apparati trionfali per l'entrata di Carlo V nel 1541). Un disegno datato 23 genn. 1546 e firmato da entrambi (Museo di S. Petronio, 2a) testimonia un interessante utilizzo di forme ancora medievali in una cornice ormai classica.
Con certezza il L. elaborò alcuni progetti per il completamento della facciata della Certosa di Pavia. Già menzionato in un documento del 1543, al fianco di Battista da Sesto, il nome del L. si ritrova in un contratto del 10 luglio 1550, in cui i monaci della Certosa chiedevano ai maestri Orsolini di terminare la facciata secondo il suo disegno (Farina, 1993-94). Un disegno all'Archivio storico civico di Milano (Raccolta Bianconi, t. VI, c. 35), a lui attribuibile, presenta soluzioni molto simili a quelle adottate nella facciata di S. Caterina alla chiusa (soprattutto il grande oculo centrale e gli elementi decorativi), e va messo in relazione con altri disegni conservati al Museo della Certosa, che presentano, in una versione semplificata, gli stessi elementi (Schofield).
Tra il 1546 e il 1547 ricevette un incarico per la sacrestia del santuario di Saronno. Intorno agli anni Cinquanta elaborò alcuni progetti per la Conca di Viarenna (Loi, in corso di stampa), e nel 1553 disegnò il sepolcro di Massimiliano Stampa in S. Maria delle Grazie a Soncino (Sacchi, 1990).
Il L. morì a Milano nel settembre del 1555 (Annali, IV, p. 20).
Non si è a conoscenza del testamento del L., ma da un atto notarile datato 19 nov. 1555 apprendiamo che i sette figli, tutti minorenni, alla morte del L. furono affidati alla tutela e cura della madre Maddalena de Grassis, sua moglie (Loi, in corso di stampa).
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