logica
I vocaboli ἡ λογική (τέχνη), τὰ λογικά si stabilizzarono nel significato di «teoria del giudizio e della conoscenza» in un ambiente protostoico, pur conservando λογικός per tutta la grecità il valore originario e non tecnico di ‘relativo al λόγος’ (nelle molteplici accezioni di questa parola chiave del greco classico). Con tali termini si designarono così sia la teoria della conoscenza che lo studio della forma deduttiva di ragionamento. Questo studio era stato edificato da Aristotele; ma come questi non gli aveva dato propriamente il nome di logica (che adottarono invece più tardi i peripatetici suoi seguaci) e aveva preferito chiamarla analitica, così i problemi a cui essa rispondeva non avevano la loro genesi soltanto nel sistema aristotelico, bensì si erano venuti formando durante l’evoluzione del precedente pensiero greco.
Il primo tentativo di sistemazione in forma scientifica delle conoscenze logiche della filosofia greca nei suoi vari sviluppi (dottrina del λόγος di Eraclito, eleatismo di Zenone, dottrine eristiche dei sofisti e dialettica platonica, con la sua teoria della divisione) si ha soltanto con Aristotele. Degli scritti logici aristotelici raccolti nel cosiddetto Organon, ci sono rimasti: Categoriae, De interpretatione, Analytica priora, Analytica posteriora, Topica, De sophisticis elenchis. Nei Topica, lo scritto che maggiormente risente degli apporti culturali spesso contrastanti che il pensiero greco era andato esprimendo sforzandosi tuttavia di collocarli in un quadro organico, Aristotele tratta del ragionamento probabile, definito come quel particolare tipo di ragionamento che si basa su premesse normalmente accolte a livello di senso comune, non tali tuttavia da permettere conclusioni scientificamente valide. Lo studio dei τόποι («luoghi» della disputa) dovrebbe servire a porre ordine in un campo tradizionalmente considerato dominio dei retori e dei sofisti, soggetto spesso all’arbitrio dei disputanti. La trattazione viene completata dal De sophisticis elenchis, talvolta considerato come ultimo libro dei Topica, nel quale si classificano le aporie del ragionamento e vengono conseguentemente fornite indicazioni per la loro soluzione. Nelle Categoriae, dedicate peraltro più a problemi attinenti al discorso metafisico e ontologico che a quello logico in particolare, si ha un primo elenco dei diversi tipi di nomi (univoci, equivoci, denominativi) e una distinzione delle espressioni secondo un criterio di unità proporzionale (complete e incomplete): si ritrovano poi accenni a tematiche approfondite nel De interpretatione e negli Analytica (rapporto soggetto-predicato e teoria del- l’inerenza). L’interesse del De interpretatione sta essenzialmente nella teoria della proposizione, che risulta così strutturata: essa si compone di nome e di verbo e può essere universale o particolare dal punto di vista della quantità, affermativa o negativa dal punto di vista della qualità. Se ne può inoltre affermare (della proposizione globalmente considerata e non quindi dei singoli termini che la compongono) la verità o la falsità. In questo scritto s’introduce poi anche l’importante coppia di concetti contraddittorio-contrario, che viene così precisata: si dicono contraddittorie quelle proposizioni che, pur risultando degli stessi termini, hanno rispettivamente diversa quantità e diversa qualità (‘Tutti gli uomini sono dotti’; ‘Qualche uomo non è dotto’), contrarie invece quelle proposizioni in cui è diversa soltanto la qualità (‘Tutti gli uomini sono dotti’; ‘Nessun uomo è dotto’). Da quanto fino- ra esposto si desume che la coppia vero-falso è esaustiva riguardo ai valori che può assumere la proposizione; il che equivale a dire che, data una proposizione, se essa è vera, la sua contraddittoria sarà falsa (e viceversa). Questa enunciazione sul piano logico del principio fondamentale del terzo escluso è rimessa peraltro in discussione a proposito degli enunciati che trattano di eventi futuri non necessari (i cosiddetti futuri contingenti). La parte finale del De interpretatione è dedicata poi all’esame delle proposizioni modali; si tratta di proposizioni semplici (o categoriche) in cui il rapporto soggetto-predicato è ‘modificato’ da uno dei seguenti termini (modi): necessario, contingente, possibile, impossibile. La dottrina del sillogismo trova negli Analytica priora la sua più rigorosa esposizione; per sillogismo s’intende un ragionamento deduttivo imperniato su tre termini, che danno luogo a tre diverse proposizioni (le due prime dette premessa maggiore e premessa minore, la terza, ricavata da esse, conclusione). I due termini (s’intende per termine qualsiasi parola assunta con funzione significativa all’interno di una proposizione, tale cioè da fungere da soggetto o da predicato) che compaiono come soggetto e predicato della conclusione vengono confrontati con un terzo termine detto medio che compare solo nelle due premesse. La posizione del termine medio nelle premesse serve a distinguere varie figure sillogistiche; esso infatti può essere rispettivamente predicato nella maggiore e soggetto nella minore (1a figura), predicato (2a figura) o soggetto (3a figura) in entrambe; i rapporti tra premesse e conclusione sono regolati in base alla quantità e qualità delle premesse; le varie combinazioni di quantità e qualità all’interno di una figura danno luogo ai vari modi sillogistici (opportune regole restringono poi notevolmente il numero dei modi sillogistici validi rispetto a quelli possibili). Nel 1° libro degli Analytica priora s’inserisce poi una prima trattazione del sillogismo cui danno luogo le proposizioni modali. Nell’esposizione della dottrina del sillogismo Aristotele impiega, forse per la prima volta, lettere alfabetiche al posto di termini (in terminologia moderna, si serve cioè di variabili), determinando così l’emergere di strutture o forme logiche, rigorosamente svincolate da qualsiasi riferimento al piano del significato. Negli Analytica posteriora, infine, riferendosi a questa struttura sillogistica, egli prospetta un concetto di scienza deduttiva, che è rimasto poi il punto di riferimento obbligatorio di tutta la cultura occidentale fino al sec. 16°. In base a questa concezione, sarà oggetto di scienza soltanto ciò che può essere ottenuto, conformemente alle regole del sillogismo, da principi propri di ciascuna scienza o di scienze logicamente sovraordinate a quella in questione (come nel caso della geometria e dell’astronomia; l’astronomia infatti deriva i suoi principi dalla geometria). L’indirizzo logico aristotelico è proseguito da Teofrasto e da Eudemo, suoi allievi; essi arricchirono la trattazione sillogistica, introducendo, oltre ai sillogismi già noti ad Aristotele, anche quelli ipotetici e disgiuntivi (s’intende, per sillogismo ipotetico, un sillogismo con almeno una premessa ipotetica; una proposizione si dice a sua volta ipotetica quando non risulta di soggetto e predicato, ma consta di più proposizioni semplici o categoriche, connesse tra loro da particelle logiche: congiunzioni, disgiunzioni, ecc.). Punto di arrivo di una tradizione logica non integralmente confluita nell’opera di Aristotele è la logica megarica (Eubulide, Diodoro Crono, Filone), ripresa, ampliata e definitivamente sistemata dagli stoici, che portano a compimento tra l’altro le idee dei successori di Aristotele. La logica stoica è una logica delle proposizioni, mentre la logica aristotelica è una logica dei predicati (o delle classi, non vuote), il che significa che mentre Aristotele si serve di strutture logiche in cui compaiono termini (classi) e nelle quali le variabili stanno per i termini, gli stoici individuano schemi d’inferenza, in cui gli elementi costitutivi sono le proposizioni (e le variabili quindi stanno per proposizioni). I connettivi logici (e, o, se ... allora, ecc.) sono interpretati in senso moderno, distaccandosi dall’accezione di senso comune. Particolare rilievo acquista la concezione cosiddetta filoniana dell’implicazione, in terminologia moderna l’implicazione materiale; l’implicazione si considera non valida solo nel caso in cui la proposizione che funge da antecedente sia vera e quella che funge da conseguente falsa. È da notare inoltre che gli stoici, a differenza di Aristotele, esprimono i loro principi logici non direttamente, ma sotto forma di paradigmi inferenziali o schemi d’inferenza (detti indimostrabili). Un altro settore di ricerca approfondito dagli stoici è quello dei problemi logico-semantici: la concezione del significato da essi formulata si rivela profonda- mente originale e implica posizioni metafisiche abbastanza distanti da quelle aristoteliche. Tra il segno linguistico e l’oggetto cui questo si riferisce viene ora a interpolarsi il particolare livello «mentale» del significato (λεκτόν). Notevole importanza poi è attribuita dagli stoici ai paradossi, cioè a quei tipi di ragionamento la cui struttura non permette in alcun modo di concludere validamente (paradossi già noti alla tradizione megarica; famoso quello del mentitore). Le principali dottrine logiche si erano intanto andate diffondendo anche in ambiente latino, trovando una precisa eco nell’opera filosofica e retorica di Cicerone; particolare interesse da questo punto di vista rivestono i suoi Topica, ripresi nelle sistemazioni posteriori. Nei secoli successivi (150 d.C. ca.), importante, per l’influenza sui logici dell’Alto Medioevo, è l’opera attribuita ad Apuleio di Madaura, Περὶ ἑρμηνείας (trad. it. Sull’interpretazione). In essa si fornisce una sistemazione piuttosto scolastica delle dottrine logiche relative alla proposizione e al sillogismo categorico. Si ricorda inoltre Porfirio (3° sec. d.C.), autore di un’introduzione o Isagoge alle Categoriae di Aristotele, che tanta fortuna avrà nel Medioevo in relazione al dibattuto problema degli universali. L’ultimo grande logico dell’antichità può essere considerato Boezio (fine 5°- inizi 6° sec. d.C.), il quale tradusse e commentò l’intera opera logica aristotelica (nonché alcuni altri opuscoli logici, come la citata Isagoge), continuando, in questa sua funzione di mediatore, l’opera del retore Mario Vittorino. Gli scritti più originali di Boezio (oltre ai commenti al De interpretatione) sono le monografie dedicate ai sillogismi categorici e ipotetici (De syllogismis categoricis, De syllogismis hypotheticis). Nel clima di conservazione e recupero culturale dei secc. 4°-7°, particolare rilievo assume poi l’opera dei manualisti Marziano Capella, Cassiodoro e Isidoro, i quali, inquadrando le arti liberali (grammatica, dialettica, retorica, ecc.), assegnano un suo posto anche alla logica (o dialettica), tramandando metodi e dottrine su cui si formerà poi la cultura dell’Alto Medioevo.
L’età di mezzo ricevette la cultura logica dell’antichità attraverso alcuni canali, di cui il principale è rappresentato dall’opera di traduttore e di commentatore di Boezio. Il corpus delle fonti del pensiero logico comprendeva fino al sec. 12°: l’Isagoge di Porfirio, le Categoriae e il De interpretatione di Aristotele (le tre opere circolarono unite dal sec. 9°, stabilmente dal sec. 12°), i commenti di Boezio a esse e le sue opere sui sillogismi categorici e ipotetici (quest’ultima tramanda la dottrina di Teofrasto e degli stoici) e sui topici, i Topica di Cicerone, il Περὶ ἑρμηνείας attribuito ad Apuleio, il De definitionibus di Mario Vittorino, le Categoriae dello pseudo-Agostino, il De nuptiis di Marziano Capella, Cassiodoro e Isidoro per la parte relativa alla dialettica. Ma l’acquisizione e l’utilizzazione di questi testi fu lenta e graduale. Quando nei secc. 9°-11° si raccomandava lo studio della dialettica, ci si riferiva sostanzialmente alle compilazioni ricordate e alle opere di Alcuino. È nel sec. 12° che l’influenza di Boezio divenne determinante. Quattro delle sue opere costituirono, insieme con l’opuscolo di Porfirio e le due opere di Aristotele, quei «septem codices» che Abelardo indicò come base della sua opera logica, dalle Glosse letterali ai commenti noti come Logica ingredientibus e Logica nostrorum, alla trattazione organica costituita dalla Dialectica. Nel corso del sec. 12° furono tradotte le rimanenti opere logiche di Aristotele: Analytica priora e posteriora, Topica e De sophisticis elenchis (a Chartres a metà del secolo mancavano solo gli Analytica posteriora, secondo il programma incluso nell’Heptateuchon di Teodorico, ma alla fine del secolo a Parigi era studiato tutto l’Organon di Aristotele). Si chiamò allora ars nova l’insieme delle opere aristoteliche tradotte da poco, mentre ars vetus indicava il complesso di opere: Isagoge, Categoriae, De interpretatione, tutto Boezio e il Liber sex principiorum attribuito a Gilberto Porretano. Nel frattempo, lo studio delle dottrine grammaticali sui testi di Donato e di Prisciano, condotto con l’aiuto della filosofia aristotelico-boeziana, portò a un’analisi del linguaggio, condotta sul latino, che arricchì di molto il patrimonio logico: la dottrina della vox, della significatio, della dictio, dell’oratio confluì in quella, logica, del terminus e della propositio: le opere di Abelardo ne sono una prima, alta testimonianza. Si distinsero nella propositio soggetto e predicato («categoremi», termini per eccellenza, variabili), da una parte, e gli altri elementi («sincategoremi»: quantificatori, copula, ecc.; costanti logiche) dall’altra. Su quest’analisi, «sintattica» perché porta all’individuazione delle strutture della proposizione, si fondò la più celebre dottrina della l. medievale, quella della suppositio (capacità di un termine di stare, nella proposizione, per qualcosa d’altro), e delle varie proprietates terminorum: i trattati relativi (parva logicalia) costituirono, tra la fine del sec. 12° e l’inizio del sec. 13°, il primo nucleo della logica moderna (così detta in contrapposizione alla logica antiqua, comprendente ars vetus e ars nova), che fu il contributo medievale allo sviluppo delle dottrine logiche; essi trovarono il loro posto, accanto a una sintesi della logica antiqua, nelle summulae del sec. 13°, la più celebre delle quali si deve a Pietro Ispano. Una duplice tradizione letteraria si stabilì in quel tempo: da una parte i commenti all’Isagoge e alle opere di Aristotele (in partic. agli Analytica, di cui il sec. 13° fece propria la concezione deduttiva della scienza), dall’altra la trattazione organica sotto forma di summa. All’inizio del sec. 14°, la Summa logicae di Occam rappresentò il punto di arrivo della precedente opera di approfondimento della logica moderna e, insieme, il punto di partenza di successivi sviluppi. Considerando la l. indispensabile strumento di elaborazione scientifica, Occam ne diede una sistemazione coerente, con particolare riguardo alla dottrina dei termini, al problema degli universali (che dal sec. 9° costituiva un ‘luogo’ classico delle discussioni filosofiche) e, alla luce della soluzione di esso, alla trattazione delle categorie, al sistema sillogistico, alle regole dell’inferenza logica (consequentiae), ampiamente sviluppate al suo tempo. Sulle orme di Occam si mossero, nello stesso secolo, Buridano, Alberto di Sassonia e Marsilio di Inghen sul continente e R. Swineshead (Suisset), Heytesbury, R. Strode, R. Ferabrich in Inghilterra. Questi maestri portarono a maturazione le dottrine che formavano la l. moderna, ormai comuni a tutti i maestri perché apprese nei corsi universitari (per es., Burleigh, contemporaneo e avversario di Occam, ma autore di trattati che vanno considerati fondamentali per la l. medievale). Fu da essi coltivata l’analisi dei sophismata (proposizioni che richiedono un’accurata analisi dei sincategoremi, in partic. di quelli impliciti nei vari termini, per una corretta interpretazione; si conoscono varie specie di sophismata: logicalia, grammaticalia, physicalia, questi ultimi vertenti su problemi di filosofia della natura), degli insolubilia (proposizioni di difficile soluzione, che danno luogo ad antinomie), delle obligationes (regole della disputa scolastica). Si discusse anche a lungo sulle cause e condizioni di verità delle proposizioni. In Italia, tra i secc. 14° e 15°, Pietro di Mantova e Paolo Veneto furono eredi di questa tradizione, all’altezza dei maestri, prevalentemente inglesi, sui quali si erano formati. Una posizione a parte rispetto a questo tipo di l. occupa quella tentata da Lullo: si trattava per lui di definire un’ars capace d’individuare i principi primi della realtà e tradurli in simboli (alfabetici, numerici, ecc.) per poter poi organizzare attraverso la combinazione di questi simboli dimostrazioni inoppugnabili per la loro struttura (puramente formale) e rispondenti alla realtà, e quindi alla verità, per la rispondenza tra principi logici e principi ontologici.
Nel Rinascimento, con il rifiuto umanistico delle sottigliezze logiche degli scolastici che, alla lunga, portavano al depauperamento del linguaggio inteso come strumento di comu- nicazione, e la lettura filologicamente attenta di Aristotele e dei suoi commentatori antichi, la l. medievale esaurì il suo compito. Sopravvisse tuttavia nell’insegnamento universitario e, specialmente, nella scolastica iberica fino al Seicento. Contemporaneamente si tentarono nuove interpretazioni e definizioni della l.: da un lato sottolineando i suoi rapporti con la retorica e la supremazia di questa, dall’altro rivolgendo in partic. l’attenzione ai problemi di metodo. In questa seconda prospettiva particolare rilievo assume la l. di Ramo e di Zabarella: in Zabarella è centrale l’analisi del sillogismo, inteso come processo sintetico o compositivo, connesso al processo induttivo (analitico o risolutivo) che conduce ai principi della dimostrazione, stabilendo così un rapporto di reciproca verifica tra processo sillogistico e processo induttivo. Ma in altri ambienti, soprattutto quelli della nuova scienza, si veniva maturando un diverso concetto di l.: messa in crisi la l. aristotelico-scolastica con la denuncia del suo carattere astratto e verbale, che allontanava dalla realtà sostituendo parole a cose, la l. si veniva definendo in termini operativi in connessione con le necessità della ricerca sperimentale: così in F. Bacone la l. o novum organum si pone come metodologia della scienza sperimentale e vuole indicare il corretto modo di procedere per giungere a quelle definizioni e assiomi che la sillogistica tradizionale anteponeva all’esperienza. La critica di Bacone al sillogismo e il tentativo d’individuare le regole (tabulae) per un corretto ordinamento dell’esperienza saranno poi ripresi dall’empirismo moderno (questo porterà alla dissoluzione dei presupposti oggettivistici concernenti sia la forma sia la materia dell’esperienza: da Bacone a Locke, da Hume a J.S. Mill è possibile tracciare una linea di svolgimento che troverà nel Sistema di logica deduttiva e induttiva di Mill la sua summa). Il problema del metodo come cuore di una nuova l. è parimenti centrale in Descartes: già nelle Regulae ad directionem ingenii (1628) le regole della nuova scienza, che ha per modello quello matematico, trovano il loro fondamento nel concetto di intuizione come atto con cui la mente coglie con chiarezza ed evidenza la verità così delle «nature semplici», o prime nozioni per sé note, come dei momenti successivi del processo deduttivo che a quelle «nature» si riconnette; ai precetti delle Regulae faranno seguito, come loro essenziale compendio, le quattro regole del Discorso sul metodo (➔) (1637), in cui ancora una volta il criterio dell’evidenza (o dell’intuizione chiara e distinta) costituisce il fondamento primo del metodo e la regola somma del discorso filosofico. Strettamente connessa all’insegnamento di Descartes – e preoccupata dall’altro lato di ricollegarlo a tradizionali motivi scolastici, ma anche con nuovi interessi per i problemi del significato – è la La logica o l’arte di pensare di Arnauld e Nicole, nota come Logica di Port-Royal (➔). Grande rilievo assume il problema della l. in Leibniz, che riprende suggestioni della tradizione lulliana: sia per la ricerca di una l. simbolica e combinatoria, sia per il nesso, essenziale in Leibniz, tra l. e metafisica; ma assai originali, rispetto alla tradizione, sono sia gli svolgimenti della l. in connessione con la struttura della realtà (l’una e l’altra radicate nel principio d’identità) sia i nessi posti tra l. e matematica. Kant, il cui contributo alla l. in senso tradizionale non può essere considerato di grande originalità, è il teorizzatore di una l. (detta trascendentale) che, pur assumendo come sua condizione preliminare e indispensabile la l. formale, mira a costituirsi come disciplina autonoma. Mentre la l. formale si occupa, secondo Kant, delle leggi del giudizio, prescindendo rigorosamente dai contenuti, la l. trascendentale si occupa invece di fondare una particolare classe di giudizi, quelli sintetici a priori (che Kant aveva distinto sia dai giudizi analitici sia da quelli sintetici). Essa diviene quindi una scienza che tratta dell’origine, dell’estensione e della validità degli elementi a priori della conoscenza. Questa estensione della l. al campo della conoscenza e la correlativa sua distinzione dalla metafisica è peraltro strettamente legata a precise premesse speculative, quelle cioè del criticismo kantiano. Abolite, nell’ambito dell’idealismo, le distinzioni tra l., ontologia e metafisica, sarà quindi possibile identificare la l. con un particolare sistema di metafisica (identità espressamente teorizzata da Hegel). Così tutte le teorie logiche dei pensatori che si richiamano in vario modo alla filosofia hegeliana (Bradley e Bosanquet in Inghilterra, Croce e Gentile in Italia) vanno collocate in un contesto speculativo che non permette, se non per quanto attiene a taluni spunti critici, di raccostarle alla l. tradizionalmente intesa. La riduzione poi dei principi logici a principi psicologici operata in ambito positivista non consente di raccordare neppure questo indirizzo ai temi e alla problematica della l. prekantiana. Va piuttosto ricordata la vigorosa polemica antipsicologica di Husserl, su cui influirono le tesi del logico, matematico e filosofo tedesco Bolzano (autore di una Wissenschaftslehre e de I paradossi dell’infinito, opere che forniscono originali contributi allo sviluppo del pensiero logico-matematico, pubblicate rispettivamente nel 1837 e nel 1851, post., ma rimaste a lungo quasi ignorate) e di Brentano (studioso, tra l’altro, della l. aristotelica e delle teorie logiche dei medievali). Nella sua opera Logica formale e trascendentale (1929), Husserl ha tentato di distinguere nell’ambito della l. tre momenti: una pura grammatica logica o teorica del significato (già delineata nelle sue Ricerche logiche), una pura analitica dell’apofansi o teoria delle espressioni non-contraddittorie (identificata con la matematica) e la l. trascendentale o teoria della verità, che dovrebbe costituire il fondamento ontologico dei due momenti precedenti.
Le prime grandi intuizioni della l. moderna (come l. matematica) si fanno solitamente risalire a Leibniz, il quale introdusse nella seconda metà del Seicento i concetti di un linguaggio simbolico universale (ars characteristica) e di un calcolo a esso applicato (calculus ratiocinator). L’analogia fra l. e matematica fu sottolineata anche dai fratelli Bernoulli, celebri matematici svizzeri contemporanei di Leibniz, i quali sono tuttavia ben lontani dall’ampiezza della concezione del filosofo tedesco; l’algebra è intesa essenzialmente come studio dei rapporti quantitativi, e la l. è considerata come esempio particolare di applicazione di schemi deduttivi che sono propri della matematica. Alcuni spunti leibniziani furono raccolti intorno alla metà del Settecento, sempre in ambiente tedesco, da Ploucquet, professore di l. a Tubinga (ove ebbe allievo Hegel), e dal matematico e astronomo Lambert. Ploucquet studiò il calcolo sillogistico, occupandosi in partic. della cosiddetta quantificazione del predicato: nelle proposizioni sillogistiche i quantificatori (‘tutti’, ‘alcuni’, ‘nessuno’) non vengono applicati solo ai soggetti, ma anche ai predicati; questo permetteva l’introduzione di nuovi modi sillogistici e una trattazione più articolata della teoria. Gli scritti di Ploucquet suscitarono discussioni, in cui intervenne anche Lambert, che aveva dato una rappresentazione grafica del sillogismo mediante diagrammi geometrici (sviluppati anche da Eulero). Lambert diede anche contributi interessanti sia all’algebra della l. sia alla l. simbolica; ma, ritenuti inadeguati dallo stesso autore e rimasti inediti fino a dopo la sua morte, essi ebbero scarsa risonanza. In seguito, fino all’Ottocento, sul continente europeo le idee leibniziane sembrano andar perdute. Il quadro cambia se ci si sposta in Inghilterra, dove il fiorire degli interessi algebrico-matematici troverà sbocco nella grande opera di G. Boole. In verità già il filosofo W. Hamilton si era occupato della teoria del sillogismo, sviluppando il tema ploucquetiano della quantificazione del predicato. A tale proposito egli iniziò intorno al 1846 un’aspra polemica, per questioni di priorità, con De Morgan; l’argomento ebbe notevole risonanza e suscitò ampie discussioni, inducendo lo stesso Boole a pubblicare L’analisi matematica della logica (1847). Non sembra però che l’influsso di Hamilton vada al di là di questo stimolo indiretto. Ben più profondamente Boole, De Morgan e gli altri furono legati all’ambiente delle ricerche matematiche. Agli inizi dell’Ottocento si era formata a Cambridge, in reazione a un periodo di isolamento e di decadenza della matematica inglese, la Analytical Society (1812), fondata da C. Babbage, J. Herschel, G. Peacock, T. Robinson, E. Ryan e altri, che si proponeva di diffondere l’uso della notazione leibniziana (più agile di quella newtoniana) nel calcolo differenziale, e la traduzione di un famoso testo francese sull’argomento. Le idee della scuola di Cambridge si diffusero largamente, e ben presto l’attenzione di alcuni studiosi si estese dall’analisi ai fondamenti dell’algebra. Caratteristico di Cambridge fu l’atteggiamento «formale» nei confronti delle scienze matematiche; viene sottolineata l’importanza della scelta del linguaggio e degli assiomi; l’algebra non viene necessariamente considerata come studio dei rapporti quantitativi; solo requisito essenziale di una interpretazione del linguaggio simbolico, si comincia a sostenere, è che essa soddisfi gli assiomi; appare la concezione degli assiomi quali definizioni implicite, prescriventi tutte e sole le condizioni di cui gli enti associati ai segni devono soddisfare. In questo senso, l’interpretazione aritmetica non è che una delle varie possibili, privilegiata, se si vuole, da un punto di vista storico, ma non teorico; l’algebra aritmetica è anzi un ramo particolare dell’algebra simbolica. Passi ulteriori nello svincolamento dell’algebra «generale» dall’analogia con l’algebra aritmetica furono compiuti dal fisico-matematico W.R. Hamilton, che, pur non appartenendo alla scuola di Cambridge (e anzi a volte in polemica con essa), ne subì gli influssi. In questa linea si inserisce ancora l’opera di De Morgan, che accoglie molte delle istanze di Cambridge. Come abbiamo già detto, egli si occupò a più riprese e con molta acutezza della teoria del sillogismo. Difese energicamente l’importanza della trattazione simbolica della l.: applicare alle operazioni logiche procedimenti analoghi a quelli propri dell’algebra aritmetica (costruire cioè un’algebra più generale) consente di mettere in luce e studiare i meccanismi formali del pensiero assai meglio di quanto sia possibile nel linguaggio comune (Formal logic, 1847; On the syllogism and on logic in general, 1858). I suoi studi lo portarono a concepire l’idea di una teoria generale delle relazioni, ben più ampia della sillogistica classica (On the syllogism and on the logic of relations, 1864); i problemi di quest’ultima si riconducono in ultima analisi a quelli di inclusione o non inclusione tra classi; ma la relazione di inclusione non è che una delle relazioni di ordine (come vengono chiamate le relazioni riflessive, antisimmetriche, transitive), e queste a loro volta non sono che tipi particolari di relazioni. Si apre così una prospettiva assai ricca, che sarà ripresa da Peirce e da altri, e che porterà all’attuale teoria delle relazioni, aspetto essenziale della moderna teoria delle strutture. Boole non fu mai alla scuola di Cambridge; fu però a essa legato tramite l’amicizia con D.F. Gregory e con De Morgan, e ne assorbì profondamente le idee e l’atteggiamento «formalistico» nei confronti dell’algebra. La pubblicazione della sua opera L’analisi matematica della logica, avvenuta contemporaneamente a quella della Formal logic di De Morgan (1847), è considerata una svolta fondamentale per la nascita della moderna algebra della logica. Seguì sette anni dopo la pubblicazione della Indagine sulle leggi del pensiero su cui sono fondate le teorie matematiche della logica e della probabilità (1854), che riprende e amplia temi già affrontati nel saggio precedente. Boole elaborò, in linguaggio simbolico e con metodo che può sostanzialmente dirsi assiomatico formale, un calcolo astratto delle classi, costruendo anche quella particolare algebra nota oggi come algebra di Boole; si interessò altresì della possibilità di un calcolo delle proposizioni. Fra i prosecutori dell’opera di Boole e di De Morgan vanno almeno ricordati i nomi degli inglesi W.S. Jevons, Venn e H. MacColl; quest’ultimo sviluppò in partic. il calcolo proposizionale. In seguito l’opera fu continuata dallo statunitense Peirce e dai tedeschi R. Grassmann ed E. Schröder. La l. deve a Peirce (che insegnò per brevi periodi alla Harvard University) interessanti contributi all’algebra delle classi; alla teoria delle relazioni (On an improvement in Boole’s calculus of logic, 1867; Upon the logic of mathematics, 1867; On the algebra of logic, 1880); alla teoria della quantificazione, che amplia l’originaria algebra di Boole interpretabile come algebra di classi oppure di proposizioni, a una teoria molto più generale, in cui sempre maggiormente l’algebra della l. si svincola dall’algebra matematica. Con le Vorlesungen über die Algebra der Logik (1890-1905) Schröder diede per primo una trattazione sistematica e completa dell’algebra della l., come essa era venuta sviluppandosi sia nei lavori dello stesso Schröder sia in quelli dei suoi contemporanei e predecessori. L’opera ha influenzato e stimolato profondamente gli studi ulteriori; a Schröder si richiameranno poi, nei loro lavori algebrici e in generale logico-matematici, anche il francese Couturat (Algèbre de la logique, 1905) e l’italiano G. Peano (Formulario mathematico, 1895-1908), cui si deve fra l’altro l’elaborazione di un simbolismo logico vicino a quello attualmente comune e la fondazione di una «scuola italiana» di l. molto attiva tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Nel frattempo, sul continente europeo, e soprattutto in Germania, la l. veniva sviluppandosi anche secondo direttive diverse da quelle degli algebristi, grazie a Frege da un lato e ai ‘formalisti’ dall’altro. Questi studi trassero direttamente stimolo da quelli dei grandi analisti della seconda metà dell’Ottocento, K.Th.W. Weierstrass, J.W.R. Dedekind e G. Cantor, che, proseguendo le ricerche di K.F. Gauss e A.-L. Cauchy, avevano richiamato l’attenzione sul problema dei fondamenti della matematica e avevano mostrato come, mediante la l., l’intera matematica potesse essere ricondotta alla aritmetica dei numeri naturali, e cioè come, usando la sola l. e l’aritmetica dei numeri naturali, potesse essere ricostruita tutta la scienza matematica e in partic. l’analisi matematica (aritmetizzazione dell’analisi). Partendo da questo risultato, il programma di Frege, detto programma logicista, mirava a definire i concetti matematici all’interno della l., base certa della conoscenza, così da poter trasformare le verità matematiche in verità logiche. In partic., Frege mirava a compiere la cosiddetta logicizzazione dell’aritmetica, cioè la riconduzione dell’aritmetica dei numeri naturali alla pura l., ossia la ricostruzione all’interno della pura l. dell’aritmetica dei numeri naturali. Ciò portò Frege a esplicitare cosa fosse il sistema di logica entro cui tutta la matematica avrebbe potuto essere ricostruita: una l. molto potente, sostanzialmente equivalente alla teoria degli insiemi che era stata per la prima volta introdotta e studiata da Cantor e che era basata sui due principi di estensionalità (due insiemi sono uguali quando hanno gli stessi elementi) e di comprensione (per ogni data proprietà, esiste l’insieme di tutte e sole le cose che godono di quella proprietà). Tipica di Frege e di Cantor è una concezione platonista della matematica, secondo la quale gli enti matematici e gli insiemi in generale esistono indipendentemente dall’attività conoscitiva umana; fra questi enti vi sono anche, in forza del principio di comprensione, gli insiemi che corrispondono all’estensione delle proprietà e che sono ritenuti enti dello stesso livello ontologico dei loro elementi. Entro questo sistema logico, ossia entro questa teoria degli insiemi, Frege riuscì davvero a ricostruire l’intera aritmetica dei numeri naturali e dunque l’intera matematica. L’antinomia scoperta da Russell nel 1902 rivelò come il sistema logico di Frege e la teoria degli insiemi di Cantor fossero contraddittori, così da rendere vana la logicizzazione dell’aritmetica compiuta da Frege. Il programma logicista fu proseguito, dopo l’antinomia, in partic. dallo stesso Russell, mediante opportune modifiche alla teoria cantoriana degli insiemi, modifiche che fossero capaci di evitare le antinomie e che tuttavia mantenessero la teoria in grado di poter ricostruire l’intera matematica al suo interno: la teoria ramificata dei tipi è una delle proposte dello stesso Russell. Ma tali modifiche hanno portato a sistemi in cui alcuni principi erano di dubbio carattere logico, ancorché si debba ai Principia mathematica di Russell e Whitehead uno dei contributi più decisivi nella costituzione della odierna l. matematica. Il formalismo trovò in Hilbert un sostenitore geniale che, con il suo programma di fondazione della matematica, dette un contributo fondamentale allo sviluppo della l. matematica ponendo problemi la cui soluzione sarà destinata a cambiare l’immagine stessa della logica. Per Hilbert, massimo esponente del metodo assiomatico formale, già prima della scoperta dell’antinomia di Russell, in ogni teoria matematica i concetti fondamentali sono definiti implicitamente dagli assiomi e non vanno presupposti come noti, e per la fondazione di ciascuna teoria si deve richiedere dai suoi assiomi non la loro verità intuitiva, ma la loro non-contraddittorietà, ossia l’impossibilità di ricavare da essi, mediante un numero finito di inferenze logiche, una contraddizione. Particolarmente dopo la scoperta dell’antinomia di Russell, Hilbert propose il suo famoso programma di fondazione della matematica: trasformare ogni teoria matematica in un sistema formale, e dimostrare con metodi finitisti che tale sistema formale è non-contraddittorio. I metodi finitisti sono metodi matematici di per sé stessi sicuri perché algoritmici e basati sull’uso dell’infinito potenziale. Poiché un sistema formale per una teoria è ottenuto assiomatizzando la teoria, trasformando il suo linguaggio in un linguaggio formale ed esplicitando gli assiomi e le regole logiche per costituire le dimostrazioni, il programma di Hilbert richiedeva inevitabilmente uno studio accurato dei linguaggi formali e la formalizzazione della logica. Inoltre, il programma di Hilbert segnò l’avvio di una branca importante della l. matematica, la teoria della dimostrazione, costituita da Hilbert stesso per la necessità (congenita al suo programma) di studiare gli oggetti formali chiamati dimostrazioni, al fine di stabilire la non-contraddittorietà dei sistemi formali. Il primo importante passo nella esecuzione del programma di Hilbert sarebbe stato il conseguimento, con metodi finitisti, della dimostrazione di non-contraddittorietà per il sistema formale corrispondente all’aritmetica dei numeri naturali. Gödel dimostrò nel 1931 che il programma di Hilbert è destinato al fallimento, se i metodi finitisti dell’aritmetica sono tutti formalizzabili all’interno del sistema formale dell’aritmetica dei numeri naturali. Il formalismo hilbertiano si era duramente opposto a due altri programmi fondazionali della matematica, il predicativismo e l’intuizionismo, che rivendicavano entrambi il carattere «costruttivo» della conoscenza matematica e che hanno entrambi recato notevoli contributi allo sviluppo della l. matematica. La concezione costruttiva della matematica era stata sostenuta nell’Ottocento in partic. dal matematico tedesco L. Kronecker, che aveva criti- cato con forza la teoria degli insiemi di Cantor. Il predicativismo ebbe fra i suoi maggiori rappresentanti H. Poincaré e H. Weyl, e ispirò anche la teoria ramificata dei tipi di Russell. Fra i contributi importanti dati dal predicativismo alla l. matematica è da segnalare l’indagine sulle ‘definizioni’, e in partic. sulla distinzione tra definizioni predicative e impredicative. Il predicativismo accetta soltanto una totalità infinita in atto, quella dei numeri naturali; per il resto accetta soltanto infinità ‘potenziali’. Per il predicativismo, esistere è sinonimo di essere costruibile, e le costruzioni sono date dalle definizioni, che, per essere accettate, devono essere predicative: se definire un ente significa costruire quell’ente, non si può definirlo facendo riferimento a una totalità alla quale esso appartiene, cioè non si può definirlo con definizioni impredicative. La scuola intuizionista, o neointuizionista, è stata fondata dall’olandese Brouwer a partire dal primo decennio del Novecento. Brouwer si oppone alla teoria logicista che considera la l. come fondamento della matematica; non però, come i formalisti, in quanto gli assiomi sono in sé privi di riferimenti ad ambiti particolari di esperienza, e quindi non ha senso considerare un sistema formale ‘più vero’ di un altro; ma in quanto la matematica trova diretto fondamento in una intuizione-base, comune a tutti gli uomini, e indipendente dal linguaggio e dal mutare dell’esperienza. La l. è una parte, più generale ma non sostanzialmente diversa dalle altre, della matematica. Con evidente ispirazione kantiana, Brouwer sostiene che «la matematica intuizionistica è un’attività della mente di natura linguistica, che trae origine dalla percezione di un passaggio di tempo, cioè dallo scindersi di un momento di vita in due cose distinte, l’una delle quali cede il posto all’altra ma è conservata dalla memoria». Ripetendo indefinitamente, tramite l’introspezione, questa intuizione-base, si ottengono delle costruzioni matematiche primitive, quali la serie illimitata dei numeri naturali, e la giustificazione di principi come quello di induzione completa. Nulla però giustifica l’ammissione, neppure a livello numerabile, dell’infinito attuale, almeno come oggetto dell’esperienza matematica. La matematica intuizionista infatti, pur non escludendo a priori l’esistenza di enti o totalità indipendenti dalla nostra conoscenza, ha per argomento le costruzioni mentali in quanto tali. I contributi più importanti dati dall’intuizionismo alla l. matematica sono dovuti a H. Heyting. L’intuizionismo conduce una profonda e radicale critica della l. classica, proponendo il suo rimpiazzamento con una nuova l. detta logica intuizionista. La base della critica intuizionista alla l. classica è che nulla ci assicura che, applicando un principio della l. classica alla descrizione (in un dato linguaggio) di una costruzione mentale matematica, si ottenga come risultato la descrizione di una nuova costruzione matematica. Infatti, se sembra senza problemi l’applicazione di certi principi come quello di identità, quello di non-contraddittorietà o quelli del sillogismo, non è accettabile il principio del terzo escluso, il principio secondo cui per ogni proposizione p vale ‘p oppure non p’. Per comprendere questa critica bisogna precisare cosa significa affermare una posizione secondo il punto di vista intuizionista. Secondo questo punto di vista a ogni proposizione corrispondono costruzioni, le costruzioni di quella proposizione, e affermare una proposizione p significa che si è in grado di eseguire una costruzione corrispondente a p; affermare una proposizione ‘non p’ significa che si è in grado di ottenere una contraddizione a partire dall’ipotesi che sia stata effettuata una costruzione di p; affermare una proposizione ‘se p allora q’ significa essere in grado di compiere una costruzione di q a partire da ogni data costruzione di p; affermare una proposizione ‘p o q’ significa essere in grado di ottenere o una costruzione di p o una costruzione di q. Il principio del terzo escluso non può essere accettato come un principio generale dal punto di vista intuizionista poiché nulla ci assicura che, presa una qualunque proposizione, o si è in grado di ottenere una costruzione di quella proposizione o si è in grado di ottenere una contraddizione dall’ipotesi di avere una costruzione di quella proposizione. Analogamente, dal punto di vista intuizionista non può essere accettato come un principio generale il principio della doppia negazione, ‘non non p implica p’: il fatto di poter ottenere una contraddizione dall’ipotesi di avere una costruzione di ‘non p’ non ci permette in generale di ottenere una costruzione della proposizione p. Accanto a quella degli studiosi nominati, ricorderemo ancora l’opera dei logici polacchi (J. Łukasiewicz, Łesniewski, Tarski e altri) che almeno nel primo ventennio del secolo costituirono una vera e propria scuola. Degna altresì di menzione è la cosiddetta scuola nominalista di Quine e Goodman, che pure ha tratto ispirazione dalla scuola polacca. In seguito, le varie tendenze hanno assunto sempre maggiore ampiezza di articolazioni e ricchezza di sfumature, al punto che, pur ravvisandosi ancora differenze di fondo tra impostazioni platoniste, formaliste, costruttiviste, è impossibile ogni rigida classificazione. Si considerano rami dell’attuale l. matematica, oltre alle l. ‘classiche’ degli enunciati e dei predicati, le l. ‘non classiche’, cioè intuizioniste, modali (create da Lewis), polivalenti; la teoria della definizione (Russell, Quine); la teoria della dimostrazione (Heyting, Gentzen, J. Herbrand, K. Schütte); la teoria dei modelli (Tarski, L.A. Henkin, A.I. Malcev, R.M. Robinson); la teoria degli insiemi (E. Zermelo, A. Fraenkel, Bernays, J. Von Neumann, Gödel, T.A. Skolem, P.J. Cohen, A. Mostowski, P. Lévy); la teoria della ricorsività (S. Kleene, Church, Turing, E. Post); l’algebra universale (L. Löwenheim, M.H. Stone, P.R. Halmos, Tarski, J. Nicod, M.H. Sheffer, H. Behmann). Accanto a tali settori, ormai istituzionali, possono essere ricordate le proficue interrelazioni tra l. e informatica, alla cui ricchezza di risultati e di metodi corrispondono svolte profonde e radicali, nelle quali spesso importanti risultati ottenuti nella prima metà del Novecento si rivelano in una luce nuova, dando luogo a impreviste e feconde applicazioni.