Lo spazio del sacro e la nascita del tempio greco
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il tempio greco, nella sua semplice logica costruttiva, costituisce la forma più efficace e spettacolare dell’architettura sacra di tutti i tempi; le sue strutture, definite a partire dall’VIII secolo a.C. rielaborando, in materiali modesti, le forme essenziali e funzionali dell’architettura domestica, assumono progressivamente monumentalità e prestigio con l’uso della pietra e del marmo e con la definizione degli ordini architettonici.
Dopo la caduta dei regni micenei nel XII secolo a.C. la Grecia conosce una lunga fase caratterizzata da aspetti di decrescita demografica, recessione economica ed involuzione delle conoscenze tecnologiche e delle potenzialità produttive, definita in letteratura medioevo ellenico o Dark Ages, che giunge fino all’VIII secolo a.C., quando si assiste ad una decisa inversione di tendenza che comporta uno sviluppo economico, sociale ed artistico sul quale poggerà l’evoluzione delle successive fasi della storia della civiltà ellenica.
Tracce di strutture legate allo svolgimento di pratiche cultuali sono praticamente assenti agli inizi dei “secoli bui”, quando probabilmente si sviluppa una religiosità che riconosce i segni del sacro nel paesaggio naturale, e che ambienta i propri semplici riti in spiagge, in grotte o presso sorgenti, luoghi che si connotano in modo peculiare per la loro bellezza o la loro eccezionalità. Del resto, l’azione cultuale fondamentale della religione greca, fin dalle origini, è il sacrificio, e la struttura indispensabile al suo svolgimento è l’altare, un piano su cui versare le libagioni liquide e bruciare le parti delle vittime sacrificali: funzioni per le quali può bastare anche una semplice sporgenza rocciosa e, in seguito, una fossa quadrangolare scavata a livello del terreno su cui poggiare una griglia per l’arrostimento delle carni (eschara), o un pozzetto (botros) nel quale deporre le offerte. Il tempio, concepito come casa (oikos) del dio, sede destinata ad accogliere la statua di culto e a custodire gli oggetti sacri (hiera), è invece una struttura accessoria, come tutti gli altri elementi che compongono la tipologia del santuario greco di età storica; la creazione dell’area sacra, costituita dall’altare, dal tempio e dal recinto (temenos) che ne definisce i limiti, e la formulazione della struttura templare sono conquiste che è possibile ricondurre all’VIII secolo a.C., epoca in cui viene a strutturarsi la polis greca, intesa come realtà urbana ma soprattutto come comunità di cittadini. La creazione del tempio può essere definita come atto eminentemente politico e l’evoluzione delle sue forme costituisce una cartina di tornasole per la conoscenza delle dinamiche sociali e politiche sottese alla nascita e all’affermazione della polis.
La nascita del tempio costituisce uno dei temi più indagati dalla ricerca almeno dal XIX secolo; sono ancora molti gli elementi di incertezza e gli argomenti di dibattito, ma è possibile ormai contare su alcuni punti fermi, acquisiti soprattutto grazie ad alcune importanti scoperte archeologiche. Sembra ormai assodata la derivazione morfologica delle più antiche strutture templari del mondo greco dalle abitazioni dei basileis, i principi locali che si spartiscono il controllo del territorio dopo la fine dei regni micenei.
Di straordinaria importanza è stato il rinvenimento di una monumentale struttura, databile tra il 1000 e il 950 a.C., a Lefkandi in Eubea, nei pressi di Eretria. L’edificio, eretto in mattoni crudi e legno, copre una superficie di oltre 550 mq, ed è caratterizzato da una pianta absidata scompartita in una serie di ambienti comunicanti; la copertura, probabilmente straminea, era in origine sorretta da una peristasi di 67 pilastri di legno di cui restano gli alloggiamenti, disposti ad intervalli irregolari, ed è verosimile che originariamente la struttura presentasse anche un secondo piano. Si tratta probabilmente del “palazzo” del local chieftain che è stato sepolto al centro dell’ambiente principale, cremato e deposto all’interno di un’anfora bronzea di produzione cipriota; al suo fianco una donna, inumata e sepolta con i suoi gioielli, è probabilmente la moglie, autoimmolatasi o forse sacrificata durante il rito funebre del marito (come accade a Polissena, la più giovane delle figlie di Priamo, sacrificata da Neottolemo sulla tomba di Achille quale parte degli onori spettanti al defunto), come sacrificati sono i quattro cavalli sepolti nella fossa adiacente. Dopo questo elaborato rito funebre, che presenta interessanti analogie con le cerimonie descritte nella poesia omerica, l’edificio è stato abbattuto e sulle sue rovine è stato realizzato un grande tumulo funerario, intorno al quale per circa due secoli si sono distribuite le tombe di una piccola necropoli, per approfittare dell’aura prestigiosa spirante dal tumulo del capo, da ritenere probabilmente il fondatore di un clan; è in virtù della distruzione della struttura e della realizzazione del tumulo che si è conservato questo eccezionale edificio, che non risulta tuttavia un caso del tutto isolato, come altre emergenze in terra greca stanno testimoniando.
La struttura di Lefkandi non è un luogo di culto, anche se in essa appare una precoce manifestazione di quella reverenza nei confronti degli “eroi” che condurrà in seguito alla nascita dei culti eroici; ma è probabile che all’interno di essa si svolgessero, forse nel cortile esterno (dove dei fori nel terreno hanno fatto supporre la presenza di un tripode) delle cerimonie religiose, officiate dallo stesso basileus, esattamente come Laerte e Odisseo celebrano riti religiosi sull’altare dedicato a Zeus Herkeios (“protettore della casa”) nel cortile del palazzo di Itaca (Odissea XXII, 334-336), la cui immagine, ricostruibile sulla base della descrizione omerica, presenta notevoli affinità con l’edificio di Lefkandi. È proprio la connotazione sacra della residenza del basileus a giustificare la ripresa di certe caratteristiche strutturali, quali la pianta absidata e la peristasi, nei più antichi edifici monumentali a sicura ed esclusiva destinazione templare, come quello a doppia abside messo in luce ad Ano Mazaraki in Acaia, databile tra la fine dell’VIII e gli inizi del VII secolo a.C.: la peristasi di 41 colonne lignee sorrette da basi in pietra che ne delimita la pianta è (almeno al presente stato delle conoscenze) la più antica della Grecia continentale connessa ad un edificio di culto.
Incastonato in una sella montuosa a 1300 metri di altitudine, il tempio di Ano Mazaraki è probabilmente dedicato ad Artemide Aontia (“che soffia”, per i forti venti che soffiano nella zona), e costituisce un significativo esempio di quei santuari liminari che segnano il confine tra cultura e natura, tra il paesaggio modellato dalle attività umane in cui si svolge una vita ordinata in base a regole ben precise e lo spazio della natura selvaggia, regno del caos e del disordine.
Sono proprio i santuari extra o periurbani, in particolare quelli che sembrano dotati fin dall’inizio di un’importante funzione intercomunitaria (basti pensare ad Olimpia o a Delo) a svilupparsi per primi sul suolo greco, spesso fondati su resti micenei che forniscono una sorta di legittimazione sacralizzante (anche se non è corretto parlare di una continuità religiosa tra l’epoca micenea e l’età geometrica) a culti che in qualche modo sfuggono alla gestione “domestica” e ancora esclusiva dei riti da parte degli aristocratici nei nuclei protourbani, e nei quali è probabilmente da riconoscere l’evoluzione di quelle semplici manifestazioni religiose legate a luoghi particolari cui abbiamo fatto cenno, che acquisiscono progressivamente forme più regolari e visibili; i templi delle divinità poliadiche sorgeranno al centro delle poleis solo in un secondo momento, nel corso del VII secolo a.C.
L’edificio templare di Ano Mazaraki dimostra che non è necessario chiamare in causa (come a lungo è stato fatto) un’influenza dell’architettura egizia per spiegare la genesi del tempio periptero, la forma più tipica, più compiuta e più spettacolare dell’architettura templare greca: la peristasi si configura anzi come un elemento squisitamente greco, originariamente formulato per rispondere alle necessità di riparare dagli agenti atmosferici le fragili pareti in argilla cruda e di sostenere il tetto, ma che contemporaneamente conferisce all’edificio sacro un aspetto imponente ed autorevole, come spiega Vitruvio (Sull’architettura, III, 3, 9). La peristasi trasferisce al tempio il prestigio della residenza aristocratica e, come sostiene l’archeologo tedesco Burkhard Fehr (1942-), innalza al livello del sacro, all’ambito dei rapporti tra la divinità e i fedeli, l’inviolabile dovere di ospitalità e di protezione che era imposto al basileus dalle consuetudini sociali attribuibili ai Dark Ages sulla base della lettura dei poemi omerici: come l’aristocratico apriva ai membri del proprio clan, ai dipendenti e agli ospiti il portico (aithusa) della propria dimora, nel quale trascorrere in sicurezza e al riparo la notte (basti pensare all’ospitalità offerta a Telemaco da Nestore re di Pilo in Odissea III, 395-401), allo stesso modo la divinità, se pure non apre ai devoti la propria casa, il tempio, ospita i fedeli nel proprio portico, la peristasi, dove possono riposare, ripararsi dalle intemperie (come dice anche Vitruvio nel passo già citato) e sentirsi sotto la sua protezione.
Il rapporto di filiazione esistente tra l’abitazione del basileus, nella quale le manifestazioni cultuali fanno parte della ritualità sociale che costituisce l’espressione privilegiata del potere dell’aristocratico, e le prime strutture templari, nate per accogliere l’espressione religiosa in modo esclusivo, emerge chiaramente da altre situazioni messe in luce sul continente greco: ad esempio a Thermo, in Etolia, dove un tempio periptero di Apollo, databile all’ultimo quarto del VII secolo a.C., si sovrappone, imitandone le strutture, ad una grande dimora (il cosiddetto Megaron B) risalente all’XI secolo a.C. (a sua volta costruita sui resti di un piccolo abitato miceneo) che ha sicuramente ospitato per un lungo periodo, come dimostrano gli abbondanti reperti osteologici, sacrifici e banchetti rituali; o nel santuario di Apollo ad Eretria in Eubea, dove un edificio a pianta absidata databile all’ultimo quarto dell’VIII secolo a.C. (e sicuramente identificabile con un tempio per la sua relazione con l’altare rotondo che lo fronteggia) convive a lungo a fianco di un’abitazione aristocratica, assai più antica, sicuramente sede di banchetti e sacrifici. E, più in generale, la stretta parentela morfologica esistente tra i primi edifici sacri e l’edilizia domestica (parentela che costituisce anche la logica conseguenza di una tecnica elementare e di indirizzo marcatamente funzionale) rende difficile decidere se i numerosi modellini di edifici in terracotta o in pietra, databili tra la fine del IX e il VII secolo a.C., rinvenuti in alcuni santuari greci (tra i quali sarà sufficiente ricordare quello, celebre, in terracotta dipinta dal santuario di Era ad Argo) siano riproduzioni di edifici sacri o di abitazioni: va a tal proposito notato che spesso si tratta di ex voto offerti all’interno di santuari dedicati ad Era, divinità che protegge la vita domestica e il matrimonio. Sarà dunque preferibile interpretarli come riproduzioni di case che necessitano della protezione della dea; anche se, naturalmente, una bella casa può rappresentare, simbolicamente, anche la “casa” di Era, ovvero il tempio.
Che il carattere elitario delle manifestazioni religiose gestite privatamente dagli aristocratici possa essersi trasferito anche in alcuni tra i primi edifici ad esclusiva destinazione cultuale costruiti nell’VIII secolo a.C. è probabilmente testimoniato dall’esistenza di benched sanctuaries (di cui il più antico esempio noto si trova a Kommos, sull’isola di Creta), edifici di culto provvisti all’interno di banchine che consentono ad un numero evidentemente ristretto di privilegiati di consumare il pasto rituale in presenza della divinità, dividendo le carni del sacrificio. Segno di una partecipazione allargata ai riti sarà la progressiva specializzazione delle strutture destinate ad accoglierli: così, la cucina del sacrificio e la partecipazione ai banchetti rituali saranno funzioni ospitate in appositi hestiatoria, come quelli realizzati nel VII secolo a.C. nel santuario di Dioniso ad Yria sull’isola di Nasso, che accoglieranno i banchetti rituali già ospitati all’interno del tempio adiacente almeno dalla metà dell’VIII secolo a.C.
Nel trasferimento delle funzioni sacre dall’ambiente domestico aristocratico a strutture di carattere pubblico si esprimono le accresciute possibilità economiche che consentono alle poleis in via di formazione di mettere in comune le risorse necessarie alla realizzazione di edifici spesso assai ambiziosi rispetto alle dimensioni del nucleo abitato, e che diventano luoghi di espressione della phylia che unisce i cittadini: in questi templi si manifesta un’ampliata esigenza di partecipazione ai riti religiosi, nello stesso momento in cui in ambito funerario vengono ad allentarsi i rigidi criteri di selezione che riservavano solo ad una ristretta élite la sepoltura formale, con il conseguente allargamento delle necropoli a strati più ampi della popolazione. Segnali di un confronto sempre più serrato tra i gene aristocratici e le altre classi sociali, che innerverà le dinamiche sociali della polis fino all’età classica, e che si esprimerà anche nello spazio del sacro: significativamente, l’ostentazione del rango e della ricchezza degli aristocratici già riservata alla tomba si sposta progressivamente nella tarda età geometrica verso il santuario, che diventa per eccellenza il luogo dell’autorappresentazione e della competizione sociale, negli edifici ma anche nei doni votivi, via via più sontuosi ed ambiziosi.
Lo sviluppo economico, le accresciute conoscenze tecnologiche e la tendenza all’esibizione costituiscono i fattori chiave alla base del processo di litizzazione che l’architettura templare greca conoscerà nel corso del secolo successivo e che condurrà all’abbandono dei materiali deperibili (legno, mattoni crudi, paglia) e della pietra grezza utilizzati per la costruzione delle strutture di età geometrica in favore della pietra e del marmo tagliati e ben squadrati e del mattone cotto, portando a conclusione una lunga fase di sperimentazione e di flessibilità negli elementi strutturali e nelle planimetrie con la progressiva canonizzazione degli ordini architettonici, il dorico nel continente greco e lo ionico nell’Egeo e nelle città dell’area microasiatica.
Il passaggio dal legno alla pietra sembra aver avuto, almeno agli inizi, cause strutturali: è infatti l’adozione delle coperture fittili ad imporre, per necessità statiche, l’adozione di materiali più resistenti per le strutture portanti degli edifici templari; ed è Corinto, che in età orientalizzante riveste una posizione di indubbio primato nella lavorazione dell’argilla con i suoi attivissimi atelier ceramici, la prima città in cui si afferma per i tetti dei templi monumentali l’uso delle tegole piatte a bordi rialzati del tipo detto, appunto, “protocorinzio”.
È una novità gravida di conseguenze importantissime per i successivi sviluppi dell’architettura e dell’arte greca: all’uso della pietra è da riconnettere l’abbandono delle piante absidate, con l’adozione della planimentria rettangolare che diventerà canonica; il carattere seriale degli elementi che costituiscono le coperture impongono un’accurata progettazione dell’edificio, elemento decisivo per lo sviluppo della modularità degli ordini architettonici, mentre l’evoluzione delle forme e della pendenza del tetto è all’origine del timpano frontonale (la cui invenzione Pindaro – Olimpiche XIII, 21-22, attribuisce proprio a Corinto) e del problema, che conoscerà soluzioni grandiose nei templi classici, di come “riempire” questo spazio, che domina e conclude l’edificio sacro. Non è certo un caso se proprio da una colonia corinzia, Corcyra (l’odierna Corfù) proviene la più antica composizione frontonale in pietra conservata, dominata al centro dalla mostruosa Gorgone alta quasi 3 metri, pertinente al tempio di Artemide costruito intorno al 580 a.C.
Le forme monumentali assunte dall’architettura templare nel VII secolo a.C. diventeranno un potente veicolo pubblicitario delle ambizioni delle poleis e della competizione tra città e città, ma anche del confronto politico interno, evoluzione di una dinamica sociale di cui abbiamo già individuato le radici nel secolo precedente: è a tal proposito significativo ricordare che gli accennati sviluppi dell’architettura templare a Corinto e nella sua area di influenza risultano legati alla tirannide dei Cipselidi, che certo promuove l’attività edilizia pubblica come strumento di pacificazione sociale e di manipolazione del consenso con l’impiego di un’ampia manodopera, e che probabilmente ne sfrutta il potenziale ornamentale (metope, elementi decorativi del tetto, frontone) per l’ideazione di programmi iconografici a carattere propagandistico. Altrettanto può dirsi di Argo, un’altra polis della Grecia continentale dominata in questo periodo da un tiranno, Fidone, che conosce il precoce sviluppo di un’architettura templare prestigiosa e in materiali durevoli, in particolare nell’importante santuario extraurbano di Era.
Nelle isole e nelle città della costa anatolica, dove dal VII secolo a.C. si definirà l’ordine ionico, caratterizzato da quel gusto spiccatamente ornamentale e da quell’elegante snellezza di proporzioni che ne motivano il noto confronto vitruviano con le forme femminili (mentre l’ordine dorico è paragonato al corpo virile: Sull’architettura, IV, 7-8), la formulazione dell’edificio templare ha uno sviluppo analogo a quello del continente greco, benché del tutto autonomo; ed anche qui sono i santuari extraurbani i primi a sorgere e i primi ad accogliere strutture emblematiche sia della progressiva specializzazione e differenziazione degli spazi del sacro che dell’impegno profuso per conferire agli edifici religiosi un aspetto sempre più monumentale e prestigioso.
Nel santuario di Artemide ad Efeso un primo tempio periptero, di dimensioni ridotte (13,50 x 9,40 m) compare già probabilmente nel corso dell’VIII secolo a.C.; le colonne lignee sorrette da basi in scisto circondano una struttura a cielo aperto, mentre la statua di culto è custodita in una struttura a baldacchino, di probabile ascendenza orientale, sorretta da due file di sostegni in legno: questo piccolo tempio, oggetto evidentemente di una particolare venerazione, sarà inglobato all’interno del grandioso diptero costruito intorno alla metà del VI secolo a.C. e destinato a diventare una delle sette meraviglie del mondo antico (e per questo dato alla fiamme da Erostrato nel 356 a.C.).
La realizzazione dei templi dipteri, edifici straordinari per dimensioni e per impegno costruttivo, costituirà un elemento caratterizzante dell’architettura templare ionica, certo motivato dal prestigioso ruolo internazionale che rivestono santuari come quelli di Era a Samo, di Artemide ad Efeso, di Didima a Mileto, già a partire dal VII secolo a.C., e determinato da suggestioni del mondo egizio e vicino-orientale; ma che è anche la logica conseguenza di una inclinazione per la monumentalità delle strutture che emerge già nel primo tempio di Era costruito a Samo nell’VIII secolo a.C., lungo 100 piedi (32,5 m) e perciò detto hekatompedon. Una misura simbolica, che allude ad una grandezza straordinaria (come, in Iliade XXIII, 164, la stessa dimensione di 100 piedi della pira funebre di Patroclo) e che si afferma rapidamente anche nel continente greco, da Ano Mazaraki al primo tempio di Apollo Daphnephoros (“portatore di alloro”) ad Eretria; ma che, a Samo, prefigura gli eccezionali sviluppi di questo sito, dove intorno al 570 a.C. verrà costruito il primo tempio diptero, con la sua foresta pietrificata di ben 104 colonne.
Ma l’Heraion samio può essere veramente considerato un laboratorio di precoci sperimentazioni per l’architettura sacra greca: da qui proviene il primo fregio figurato ionico conosciuto, con figure di guerrieri incise e probabilmente dipinte su blocchi di poros da restituire a coronamento del muro esterno del rifacimento dell’hekatompedon, databile alla prima metà del VII secolo a.C.; nello stesso secolo, probabilmente nella seconda metà, il santuario si dota di una stoà, un portico a due navate lungo 70 metri, primo esempio di quelle strutture polifunzionali, destinate ad accogliere un notevole numero di persone in occasione di ricorrenze religiose, che avranno un ruolo così importante nella definizione dello spazio del sacro in Grecia, e non solo.