MARIANI, Livio
– Secondo di quattro figli, nacque a Oricola dei Marsi (L’Aquila) il 24 febbr. 1793 da Mariano e da Maria Giulia Della Tosa.
La famiglia, esponente di spicco della locale borghesia agraria soprattutto per parte materna, di origine baronale, non uscì indenne dagli sconvolgimenti di fine Settecento: il padre, ufficiale di fede borbonica, fu fucilato nel 1799 dai Francesi del generale J.-É. Championnet nei pressi di Vivaro Romano, vicino a Oricola. Anche la madre subì persecuzioni per il suo lealismo e, vistasi saccheggiata la casa, si rifugiò coi figli presso i parenti a Marano Equo, nello Stato pontificio.
La madre aveva nel frattempo affidato la gestione del patrimonio familiare all’arciprete Giuseppe Mariani, che non era loro parente.
Dopo aver trascorso tre anni nel seminario di Subiaco, il M. fu iscritto al collegio Nazareno di Roma, dove rimase per altri tre anni.
Nel 1809, dopo l’annessione dello Stato pontificio alla Francia, la madre fu arrestata e incarcerata a Tivoli con l’accusa di avere fornito aiuto ai sacerdoti che avevano rifiutato il giuramento di fedeltà allo Stato francese. Lungi dal condividere la sua avversione per le idee rivoluzionarie e anzi sempre più attento a valutare il carattere innovativo dell’amministrazione napoleonica, il M., che nel 1812 aveva sposato una donna di Subiaco, Vincenza Contestabile (dalla quale ebbe quattro figli), si dedicò agli studi di diritto, che forse non completò, e a quelli di storia, ai quali univa l’interesse per l’agricoltura e lo sviluppo di nuove tecniche per favorire la crescita dell’economia nelle terre sublacensi.
Lettore instancabile di classici della letteratura e del pensiero giuridico, come di autori di storia locale, era però assolutamente alieno da speculazioni teoriche, e sul piano di un sano pragmatismo tentò sempre di tradurre in risultati concreti i principî attinti dai suoi studi. Esperto in particolare di olivicoltura, contribuì a diffondere tra i contadini la consapevolezza dell’importanza della coltivazione degli ulivi e della vite e sembra che si debba a lui l’installazione a Marano del primo frantoio a trazione animale.
Nel 1815, avendo il fratello maggiore rinunziato ai diritti della primogenitura, il M. divenne responsabile del patrimonio familiare; mentre cresceva in autorevolezza presso la popolazione locale per l’impegno che poneva in ogni sua attività, diveniva invece più difficile la sua condizione umana, appesantita tra il 1820 e il 1825 dalla morte della moglie e della madre e, conseguentemente, dal rapporto con i figli, privati troppo presto dell’affetto materno. In particolare il secondogenito, Mariano, dall’equilibrio psichico instabile, nel 1835 fu internato nell’ospedale di S. Spirito a Roma, dove morì intorno al 1848: il dolore, mai superato, per questo evento ricorre spesso negli scritti del padre.
Grazie alla sua solida competenza giuridica, il M. collaborò a lungo con lo studio legale degli amici avvocati L. e A. Vasselli, padre e figlio, che seguirono le sue vicende politiche e personali offrendogli sempre il loro appoggio professionale. Si ampliò così anche il giro delle sue conoscenze, che arrivò a comprendere personaggi come C. Fea, F. Mariottini, G. Perticari, G. Donizetti e perfino il cardinale E. Consalvi. Ne fu favorita la sua maturazione intellettuale e politica, e gli si cominciò a prospettare, nel clima della prima Restaurazione, il problema dell’Italia e della sua indipendenza. Di qui l’interesse del M. per l’attività settaria delle reti carbonare allora molto attive nel Mezzogiorno e presenti anche a Marano e a Oricola.
Le prime esperienze in tal senso fecero sì che fosse sottoposto a controllo e considerato un esponente di punta della carboneria. Sfuggito alla prima repressione dei moti del 1821, scontò poi, su precisa segnalazione di Consalvi, sette mesi di prigionia perché accusato di avere dato asilo a due carbonari rei di omicidio: fu fermato a Roma, dove si trovava per motivi professionali, e durante una perquisizione in casa gli furono sequestrati stampati, scritti e oggetti legati alla vita settaria; tuttavia, esperto in diritto, seppe difendersi adeguatamente e uscì di prigione nel 1822, dopo che, proprio in quanto suddito pontificio, aveva evitato l’estradizione a Napoli. In effetti, per potere uscire dal carcere dovette abiurare, rinnovare la dichiarazione di fedeltà al papa e fare il nome di chi lo aveva affiliato.
Come risulta dalle carte dell’archivio familiare, il M. si convinse, in tale occasione, di essere stato protetto dal cardinale Consalvi. Nella dinamica dei loro rapporti, ancora non del tutto nota, entravano sicuramente interessi culturali comuni: scrissero insieme trentuno opuscoli dedicati ciascuno a un tema specifico (tra gli altri Del celibato, Del governo, Della libertà, Del popolo, Del libero arbitrio); di qualche significato fu anche una edizione delle Opere di N. Machiavelli che il M. ebbe in dono dal porporato.
Peggioravano intanto i rapporti con l’arciprete G. Mariani e i nipoti di questo, Giambattista e Luigi, sacerdote a sua volta. Quando, nel 1827, si delineò per il M. la possibilità di divenire podestà di Marano e Agosta, si scatenarono le invidie e le inimicizie accumulate negli anni intorno alla questione del patrimonio materno: ne derivò una denuncia anonima contro il M. e il fratello Prospero, accusati di offese alla religione, di settarismo politico e soprattutto di avere prestato aiuto a L. Montanari, il medico carbonaro processato e condannato a morte con A. Targhini.
L’accusa, destituita quasi certamente di fondamento, costò tuttavia ai due fratelli una lunga carcerazione, conclusasi soltanto il 28 sett. 1830 dopo un processo terminato con l’imposizione della libertà vigilata e la trasmissione degli atti all’Inquisizione. Il ritorno a Marano consentì al M. di dedicarsi di nuovo ai propri interessi patrimoniali e di iniziare la prima stesura di una delle sue opere più importanti, la Storia di Subiaco e suo distretto abbaziale, conclusa nel 1838 (e pubblicata a Subiaco, a cura di M. Sciò, nel 1997).
L’apparizione a stampa, nel 1843, del Primato morale e civile degli Italiani di V. Gioberti lo avvicinò al pensiero e all’ideologia neoguelfa; se ne discostò poi parzialmente, approdando a una propria elaborazione politica. Tali posizioni risultano dalla corrispondenza che il M. intrattenne con personalità eminenti della cultura e della politica; egli attribuiva grande importanza al ruolo della Chiesa nella storia italiana e dimostrava di conoscere a fondo la letteratura e la saggistica sviluppatasi intorno ai temi dell’indipendenza e ai modi di conseguirla: oltre agli scritti di Gioberti, anche le opere di C. Balbo, D. Manin, A. Rosmini.
Nel 1846 l’elezione a pontefice di Pio IX, l’amnistia da lui concessa ai detenuti politici e tutte le riforme amministrative approvate tra il 1847 e il 1848, fino alla costituzione, spinsero molti liberali a individuare nel papa il campione dell’indipendenza italiana. È possibile che di questa illusione fosse partecipe anche il M., che in qualità di cittadino illustre aveva accolto Pio IX, in visita a Subiaco, nel maggio del 1847 rivolgendogli il saluto di rito a nome delle Comunità sublacensi. L’anno successivo, designato a rappresentare il collegio di Subiaco nelle elezioni del 18-20 maggio 1848 per il Consiglio dei deputati, difese nel manifesto elettorale (L’Epoca, 9 maggio 1848) il sistema costituzionale e i principî democratici, pur manifestando qualche incertezza sulla capacità delle masse popolari di essere parti attive in un regime democratico.
Nel suo primo discorso, il 14 giugno, puntò con chiarezza sulla necessità di costruire una maggioranza omogenea, equilibrata, formata da «uomini liberi, di libero pensamento, e affezionati al trono pontificio. Chi fosse assolutista, sarebbe in controsenso del suo mandato, e della necessità de’ tempi […] chi fosse di opinione repubblicana, oggi non sarebbe neppur vero italiano» (Le Assemblee del Risorgimento, I, pp. 45 s.). Significativo appariva qui il suo spunto polemico contro l’ideale repubblicano, al quale invece si sarebbe avvicinato progressivamente.
Negli ultimi mesi del 1848, mentre il papa era pressato da ulteriori richieste, il M. rifiutò la nomina a ministro di Polizia prima nel governo di T. Mamiani e poi in quello di P. Rossi. Morto Rossi nell’attentato del 15 nov. 1848, il M. fece parte della commissione che presentò al pontefice le richieste del popolo in rivolta. Pochi giorni dopo, la fuga del papa a Gaeta fu la prova che il suo riformismo aveva esaurito ogni possibilità di compromesso con il liberalismo e con le aspirazioni all’indipendenza, del resto già accantonate con l’allocuzione del 29 apr. 1848. La Giunta di Stato che si costituì meno di un mese dopo nominò il M. capo della polizia per Roma e Comarca, col titolo di prefetto, e successivamente (23 dic. 1848) ministro delle Finanze. Di lì a poco le elezioni per l’Assemblea costituente lo videro eletto sia nella circoscrizione di Roma (con 6777 voti), sia in quella della Comarca (con 2500 voti) per la quale optò.
Nella seduta della Costituente dell’8 febbr. 1849 il M., pur non nascondendo incertezze e dubbi, diede il proprio assenso alla nascita della Repubblica Romana e – con C.E. Muzzarelli, C. Armellini, P. Sterbini, F. Galeotti, P. Campello – fu tra i firmatari della proclamazione, già in qualità di ministro repubblicano. Assunto per breve tempo il dicastero delle Finanze, scelse per il proprio sigillo un simbolo e un motto che lo resero celebre: la scopa, strumento universale, anche se plebeo, di pulizia, e la frase in latino Me nemo ministro fur erit: chiaro riferimento alla necessità di una moralizzazione della vita pubblica e dell’amministrazione, contro gli sprechi e la corruzione. Riferì efficacemente sulle condizioni finanziarie dello Stato nel Rapporto del ministro delle Finanze all’Assemblea costituente detto nella tornata del 13 febbraio 1849.
La fama della sua proverbiale onestà generò anche due vignette, comparse nei numeri del 15 gennaio e del 26 febbr. 1849 del giornale satirico Il Don pirlone.
Dimessosi dal ministero dopo breve tempo, accettò la carica di preside di Roma e Comarca, forse più congeniale al suo carattere. Ciò non gli impedì di prendere parte alla vita della Repubblica collaborando con G. Mazzini, senza però condividerne le posizioni politiche, secondo lui troppo estremiste.
Il contributo offerto dal M. alla Repubblica emerge soprattutto dalla lettura dei discorsi pronunciati nell’Assemblea costituente, dove nel corso dei lavori preparatori per la costituzione difese, senza successo, l’istituzione del Tribunato. Già presente nella struttura di governo della prima Repubblica Romana, la giacobina, esso era considerato dal M. essenziale strumento di garanzia per la stessa costituzione e per i diritti dei cittadini, nonché organo di controllo per l’operato degli uomini al potere: «In mezzo ad una costituzione rappresentativa, ove un popolo non può esser già mai usurpatore, ma possono ben esserlo i suoi procuratori, io credo necessaria l’istituzione dei tribuni della legge» (Le Assemblee del Risorgimento. Roma, IV, p. 838: interventi del 16 e 17 giugno 1849).
Credente e rispettoso della religione e del ruolo universale della Chiesa, nel corso della discussione dell’emendamento di C. Arduini sulla libertà dei culti ebbe parole durissime contro il clero romano, che definì servo dei potenti e nemico dell’Unità italiana, e si pronunziò in favore dell’emancipazione degli ebrei.
Negli ultimi giorni della Repubblica, dimessisi, il 30 giugno, i triumviri Armellini, Mazzini e A. Saffi, contrari alla resa, il 1° luglio l’Assemblea nominò un triumvirato composto dal M., da A. Saliceti e da A. Calandrelli. Toccò a questi tre uomini, e in particolare al M., uomo di mediazione, gestire il delicato momento della fine della Repubblica. La costituzione, nella sua forma definitiva, che i deputati dell’Assemblea lessero il 3 luglio al popolo di Roma dal balcone del palazzo Senatorio, porta in prima pagina la sua firma. Il giorno successivo i Francesi sciolsero l’Assemblea. Il 22 luglio prese la via dell’esilio, imbarcandosi a Civitavecchia alla volta della Grecia.
Negli anni che trascorse ad Atene, con una parentesi dal dicembre del 1853 al giugno del 1855 a Malta, il M. si dedicò alla stesura de L’Italia possibile. Considerazioni storico-politiche, che rappresenta il frutto più maturo del suo pensiero politico e l’unico suo lavoro a essere dato alle stampe a Torino nel 1857, grazie all’amico A. Morandi (nuova edizione, a cura di M. Sciò, Marano Equo 2006).
In essa rifletteva sulle sue esperienze, ultima quella repubblicana, proponendo per il futuro dell’Italia un proprio modello politico. Fautore della separazione tra Chiesa e Stato e contrario al municipalismo, per il M. una «Italia possibile» era quella rappresentata da una confederazione di tre Stati, come tappa necessaria e fondamentale per giungere all’unità della nazione: un regno settentrionale sotto la dinastia dei Savoia, un regno meridionale retto dai Borboni e al centro una repubblica, con la presenza di una Chiesa forte e libera, che avrebbe garantito l’indipendenza del governo repubblicano, essendone a sua volta garantita. Più vicino in questo alle posizioni di Manin e attento all’esempio degli Stati Uniti e della Svizzera, si discostava dalle influenze del pensiero giobertiano preferendogli una soluzione che riconosceva l’importanza di un’autorità papale non direttamente coinvolta nella gestione del governo, ma libera nell’esercizio della sua autorità spirituale.
Colpito da infarto, il M. morì ad Atene il 22 luglio 1855, a sette anni esatti dalla sua partenza per l’esilio.
La scomunica – inflittagli qualche anno prima – lo privò dei funerali religiosi e impedì agli eredi la traslazione della salma in Italia.
Subito dopo la morte del M., A. Morandi tentò di metterne in salvo le carte, scontrandosi con il console pontificio G. Galliani, che ne pretendeva l’acquisizione. Nacquero forti dissidi e polemiche, che coinvolsero anche il console francese. Alla fine, la diplomazia romana approvò la nomina di un procuratore greco, scelto a Marano dalla famiglia. Parte del materiale bibliografico e documentario in possesso del M. fu certamente avocata dal rappresentante pontificio o da altri.
Fonti e Bibl.: Presso gli eredi, a Marano Equo (L’Aquila), si conservano le corrispondenze del M. con la figlia Artemisia e con altri familiari. Arch. di Stato di Roma, Tribunale criminale del Governo di Roma, Cause della Comarca in prima istanza, Registri di sentenze, n. 2; Miscellanea di carte politiche e riservate, bb. 67, 73, 80, 93, 113; Direzione generale di polizia, Protocollo segreto, Registri di protocollo, nn. 97 (12 luglio - 24 nov. 1849); 98 (1° ottobre - 12 dic. 1849); Archivio segr. Vaticano, Segreteria di Stato, a. 1821, rubr. 165, ff. 10, 39; a. 1822, rubr. 166, f. 3; a. 1855, rubr. 165, f. 3; Le Assemblee del Risorgimento. Roma, I-IV, Roma 1911, ad ind.; T. Torriani, L. M. Un altro dimenticato del ’48-’49, in Capitolium, XXX (1955), pp. 268-274; F. Rizzi, La coccarda e le campane. Comunità rurali e Repubblica Romana nel Lazio (1848-1849), Milano 1988, ad ind.; M. Battaglini, Due aspetti poco noti della storia costituzionale della Repubblica Romana del 1849: il tribunato e la normativa sulla responsabilità ministeriale, in Rass. stor. del Risorgimento, LXXVIII (1991), pp. 443-450; M. Sciò, L. M.: note biografiche, Oricola 2005; Id., La morte di L. M. e le dispute tra esuli e console pontificio in Grecia, in Il foglio di Lumen, Oricola, luglio 2005, pp. 14-16; L. Mariani, L. M. in famiglia. Ricordi e documenti, ibid., dicembre 2005, pp. 21-23; A. Rinella, Il M. costituzionalista: l’istituzione del Tribunato quale prototipo della odierna Corte costituzionale, ibid., pp. 23 s.; M. Laurenti, L. M., note biografiche: da Oricola ad Atene, ibid., pp. 24-27; B. Tozzi, Marano Equo e L. M., ibid., Oricola, dicembre 2006, pp. 23-27; L. Mariani, Storia di Marano nei documenti dell’archivio familiare Mariani, ibid., pp. 27-29; M. Sciò, L’«Italia possibile» e M. politico, ibid., pp. 30-32; Aspetti della formazione politica di L. M., ibid., pp. 35 s.; A. Rinella, L. M.: la confederazione de «L’Italia possibile», ibid., pp. 32-34; La primavera della nazione. La Repubblica Romana del 1849, a cura di M. Severini, Ancona 2006, ad ind.; Diz. del Risorgimento nazionale, III, s.v. (A.M. Ghisalberti).