LIVIA della Rovere, duchessa di Urbino
Nacque a Pesaro il 16 dic. 1585, primogenita di Ippolito, marchese di San Lorenzo, e di Isabella di Giacomo Vitelli.
Il padre (1554-1620) era figlio, legittimato da Pio V, del cardinale Giulio Feltrio Della Rovere e cugino di primo grado del duca Francesco Maria II; la madre morì il 14 luglio 1598, dopo avere dato alla luce un figlio - Giulio, che indossò l'abito ecclesiastico nel 1627 e morì nel 1636 - e almeno altre quattro figlie: di queste Elisabetta scomparve in tenera età, Lucrezia sposò il marchese Marcantonio Lante, mentre le altre due - Eleonora e Livia (da non confondere, pertanto, con L.) - furono monache nel convento pesarese del Corpus Domini.
Affidata, al pari delle sorelle, dopo la scomparsa della madre, alle benedettine del convento pesarese di S. Maria Maddalena, L. ne uscì allorché fu scelta in moglie da Francesco Maria II Della Rovere - spinto dai sudditi a risposarsi allo scopo di sventare, per mancanza di discendenza, il paventato assorbimento nello Stato pontificio - nel ristretto novero delle candidate al matrimonio. Fu celebrato così, in tono volutamente dimesso, il 26 apr. 1599 a Casteldurante (l'odierna Urbania) il matrimonio tra il duca cinquantenne - dispensato da Clemente VIII dai vincoli di consanguineità - e L., fanciulla di tredici anni.
Triste in partenza l'unione tra un anziano che si sposa controvoglia - "solamente", lo dichiara egli stesso, per il "santo servitio" della continuità dinastica, con la sola "intentione" di conseguirla - e L. sacrificata alla contegnosità raggelante di un consorte diffidente e sospettoso. Nessuna possibilità di intesa, dunque, tra il duca incapace di tenerezza e la sposa troppo giovane, intimidita e imbarazzata e, nel contempo, poco attratta dal maturo consorte.
La caduta in disgrazia del padre e dello zio paterno - il fratello di Ippolito monsignor Giuliano - oggetto entrambi di esplicita avversione da parte di Francesco Maria II, la isola ancora di più. E fu segnale per lei gravido di minaccia, all'inizio del Seicento, il brusco incarceramento, nella rocca di Pesaro, dell'ingegnere ducale Muzio Oddi (il futuro autore di un trattato sugli orologi solari e sullo squadro) che le avrebbe fatto conoscere una lettera del marito al padre. È avvertibile nel fulmineo ordine ducale l'ombra della gelosia per una presunta simpatia di L. nei confronti dell'Oddi; L. appare come indifesa - specie dopo la morte, il 13 dic. 1602, della suocera Vittoria Farnese, che aveva convinto suo figlio a sposare lei - di fronte a un consorte nel cui esplicito odio per suo padre e suo zio è implicito il montare rancoroso di un'ostilità pronta a colpirla direttamente. Per sua fortuna la morsa dell'atmosfera da incubo si allenta quando, nel novembre del 1604, ha la certezza di essere incinta e la notizia della gravidanza viene ufficialmente annunziata nel gennaio del 1605. Rasserenato il già cupo consorte e in trepida attesa di un erede maschio i sudditi. E - mentre l'intero Ducato esulta - felice Francesco Maria II di annotare, il 16 maggio 1605, nel proprio Diario che "piacque a Dio" far nascere, a Pesaro, "un figlio ad hore 13 ¼", proprio "nel giorno di sant'Ubaldo protettore della casa" roverasca. All'erede fu imposto il nome di Federico Ubaldo.
"La duchessa", precisa il duca per una volta meno conciso del solito, "ebbe tre ore e mezza di doglie, e subbito si liberò", assistita nel parto dal medico Giovan Battista Bettini. Al tripudio dei festeggiamenti segue, l'8 giugno, il doveroso ringraziamento del duca alla provvidenza, a Loreto, dove si reca anche L., dal 21 al 25 dello stesso mese. Il 29 giugno L. fu accolta con il "putto" dalla città di Urbino tutta festante.
Finalmente madre, esaudita la ragione dinastica del matrimonio, ancorché all'allattamento di Federico Ubaldo provvedano le balie e, poi, all'educazione i pedagoghi, L., tuttavia, si sentiva in sollecita apprensione per la crescita del figlio, laddove il marito è troppo assorto nei propri senili rimuginii e troppo appartato nelle proprie letture per svolgere il ruolo di padre. E ne risente la formazione di Federico Ubaldo accompagnata dalla tenerezza della madre, ma non guidata dalla costante fermezza del padre. "Amorevolissima madre, che vi ama quanto l'anima"; è così che L. sottoscrive una propria lettera del 19 giugno 1616 al fanciullo allora a Firenze, lieta vi si diverta "con le feste" medicee, ma non senza raccomandargli - evidentemente già manifesti in Federico Ubaldo segni di precocissimo libertinaggio - di stare "in cervello", di aver giudizio e quindi "di non vi lassare attaccare la rogna da quelle dame, perché non credo sia troppo buona compagnia". Ma non bastano siffatti buoni consigli ad arginare la condotta del "principe", laddove il duca, lungi dall'intervenire severamente, si limita a distillare, per il figlio decenne, alcuni "ricordi" cui attenersi quando avrà piena responsabilità di governo. Nell'assenza della guida paterna e senza che L. sia delegata ad assumerne autorevolmente le veci - esautorante negli effetti la disistima del duca - di fatto Federico Ubaldo si andava trasformando da ragazzetto discolo e viziato in adolescente scapestrato e protervo.
Comunque, con le festeggiatissime nozze del "principe" con Claudia de' Medici, nel 1621, l'apprensione di L. un po' si scioglie: "la duchessa" - così alla corte medicea il segretario di Claudia, Giorgio Brunetti - "tenuta per l'addietro in tanta strettezza, giubila della presente libertà che gode per l'occasione di tener compagnia" alla nuora. Tra questa e L. vi è intesa: la "principessa", assicura Brunetti, "ama la duchessa", essendo, a sua volta, "amata grandemente" da Livia.
E poiché Claudia ama le feste e i ricevimenti, anche L. un po' vive di mondanità riflessa. Non ancora del tutto sfiorita, condivide la vita di società della giovane nuora, la cui "venuta" anima la corte e rianima la stessa L., che Francesco Maria vorrebbe costringere ad avvizzire nella noia di Casteldurante. Solo che su questa sua "maggior libertà" i cortigiani cominciano a spettegolare. Questo suo assaporare i piaceri della conversazione, degli spettacoli, della musica - per i quali il padre le ha trasmesso passione e intelligenza - è funestato da "maligne invenzioni" di chiacchiere che arrivano "alle orecchie" del duca. Pare L. veda "volentieri" il brillante e spiritoso Uguccione Del Monte, che - già aio e maestro di camera di Federico Ubaldo, già capo dei gentiluomini di corteggio per le sue nozze - è l'unico in grado di rimproverare la disdicevole condotta del principe. Da supporre che L., per suo tramite, tenti di migliorare il figlio. Ridimensionabile, allora, la frequentazione di Uguccione Del Monte - che, figlio di Guidobaldo, sarà nel 1626 erede dello zio cardinale Francesco Maria, morendo però nel medesimo anno - riconducibile alle ansie di madre. E, d'altronde, L. è sollecitata dal figlio stesso, che a Del Monte è affezionato, a frequentarlo. Ma all'irritato duca interessa soltanto troncare le dicerie. Di qui la perentoria ingiunzione a L. di portarsi a Casteldurante. "La duchessa se ne venne a Casteldurante da Urbino et il principe e la principessa se n'andarono a Colbordolo", per poi proseguire l'indomani alla volta di Pesaro, registra gelidamente, l'11 ott. 1621, Francesco Maria II nel Diario.
Non è certo da questo, ma dall'informazione alla corte medicea che sappiamo quanto l'imposto distacco sia stato doloroso: "gran lamentationi", da parte di L., "prima […] della dipartita", non senza accuse ai "traditori" - i cortigiani malignanti - responsabili, con le loro insinuazioni, dell'imposta "separazione" dalle persone amate. E piangenti "dirottamente" queste, "le loro altezze", nel "licenziarsi", mentre L., "nell'esterno" recuperato il controllo, ritornata "composta", fa perfino mostra non le spiaccia "di andar dal marito", di rientrare "nella pristina strettezza" del grigiore di Casteldurante, mentre la nuora è quasi disperata, tale rimanendo "per due giorni di seguito".
Una gioia, per L., la nascita, il 7 febbr. 1622, della nipote Vittoria a Pesaro. Ma, intanto, è sempre più scandalosa la condotta del principe e con lui è sempre più sdegnato il padre. Sta a L. tentare di ristabilire i rapporti tra i due. Perciò - con il pretesto di assistere a una recita a Urbino - vi si reca dal 24 al 26 febbr. 1623, incontrandosi con il figlio che persuade a fare una visita al padre. Ed è merito del prodigarsi trepido di L. se la puntata a Casteldurante, dal 7 al 10 marzo, di Federico Ubaldo non si riduce a uno scontro burrascoso e iroso tra questo - che di sé nel "governo" dà pessima prova - e Francesco Maria, gonfio di collera e d'amarezza. La "gita" da Pesaro a Casteldurante sembra produttiva di "buoni effetti". "Ricevuto e trattato con tenerezza e affetto paterno" il principe, si affretta a scrivere a Luigi Vettori in Firenze, assicurando che "Sua Altezza" è rientrata da Pesaro "molto allegra e soddisfatta" con pensiero di portarsi "spesso" a visitare il duca.
Un proposito che Federico Ubaldo non manterrà. E morirà, senza più rivedere il padre e la madre, il 29 giugno, non senza che circoli il sospetto d'una morte provocata.
Chiuso nel silenzio più impenetrabile il duca, mentre L., sconvolta, quasi esce di senno. "Quieto d'animo, come fiacco di corpo" sembra il duca a Lorenzo de' Medici, precipitatosi a confortare la sorella Claudia rimasta così repentinamente vedova. È L. - a giudizio dello stesso - quella che non si dà pace. Insopportabile, per lei, il "sentimento straordinario di sì gran perdita". Come L. stessa si sforza di scrivere alla consuocera, la granduchessa di Toscana Cristina di Lorena, "mi trovo talmente abbattuta da così fiero e inaspettato colpo, che son fuori di me stessa, né spero di trovar rimedio che sia per sollevarmi in parte alcuna da tanta mia disavventura se la misericordiosa mano di Dio […] non mi soccorre". Ed è riversando tutta la sua capacità di premura e d'affetto sulla nipotina che riesce a lenire il dolore.
Ma solo "per un poco di tempo" le è dato di trascorrere la giornata accanto alla piccola. Promessa a Ferdinando II de' Medici, Vittoria è già la "serenissima sposina"; e come tale, in ottobre, deve partire per Firenze, con strazio di L. che alla bimba dona - perché si ricordi della nonna - "una cassetta con due abiti", uno di drappo paonazzo, l'altro "bianco e fiorato".
A salvare il Ducato dalla fagocitazione romana ci vorrebbe un altro figlio maschio. E l'ultrasettantenne e quasi "paralitico" ed "estenuatissimo" duca si accende dell'illusoria "speranza d'haver figliuoli", ricorre a "diversi rimedi", confida in "fomentioni" invigorenti. E di ciò nella corte medicea si chiacchiera e si ride, come informa, il 23 dic. 1623, il residente veneto a Firenze Valerio Antelmi. è scontata previsione che il vecchio - nel suo intestardirsi nel recupero di una virilità da tempo perduta e già debole all'epoca delle sue seconde nozze - anziché conseguire il "fine", acceleri l'"interito", affretti la "consumatione", perisca nello sforzo. Vittima della dissennata "speranza" di Francesco Maria II è la povera L.: il marito - così, il 15 maggio 1625, ne scrive il futuro cardinale Berlingero Gessi che intanto nel Ducato spadroneggia come governatore - la vuole, per quanto "aliena", nel proprio appartamento; ed essa non può che acconciarsi "alla volontà" di lui. La situazione è penosa e grottesca. Fallimentari nel talamo le velleità del vecchio malandato e accompagnate da un rancore vendicativo nei confronti della consorte, quasi ne sia responsabile, in quanto imputabile di scarso assecondamento. Donde la vendetta per via testamentaria: i 50.000 scudi con l'aggiunta dell'appannaggio annuo di altri 4000 previsti per L. nelle disposizioni del 1625 si decurtano nel testamento del 6 apr. 1626 per poi sparire nel successivo testamento del 1627, nel quale a L. si fa cenno solo per precisare che le spetterà "il reliquiario miniato d'argento" riposto "nella guardaroba segreta". E, a maggiore sua umiliazione, nel 1629 le è tolta Gradara, che le era stata data il 1° marzo 1618. Quotidianamente ingiuriata, maltrattata, perfino perseguitata - ella lamenta, il 30 giugno 1629, in una lettera a Cristina - dalla "pessima volontà" del coniuge "contro di me", giorno per giorno "atterrita" e "sbattuta" dal "duca mio signore". Questi le fa così "chiaramente" intendere che, a meglio tormentarla, non la caccia "di casa", ma preferisce trattenervela per infierire, "di maniera che mi conduce a mera disperazione".
In una lettera del 29 ag. 1628 di un agente mediceo, è tratteggiato un vero e proprio inferno domestico, che vede L. "continuamente perseguitata senza alcun rispetto"; e per la "pazienza" della sua sopportazione e per l'"innocenza" della sua condotta perfino "signora degna d'esser comparata con le sante". È in questa situazione che ella supplica la "benigna protezione" delle "Altezze" medicee. Nel contempo è totalmente disponibile a qualificarsi "serva […] particolare di Sua Santità", pronta ad avvertire Gessi di quel che succede a Casteldurante, tempestiva informatrice d'ogni sopraggiungere d'"alcun accidente al signor duca". Costanti, "continui" i "disgusti" che L. ne riceve. E paventa la faccia "metter prigione" per il "sospetto" - evidentemente tutt'altro che infondato stante che ella spia il marito per conto della S. Sede - "che io scrivessi a Sua Santità e lo tenessi avvisato dello stato del signor duca e di altre cose che si facevano qua", a Casteldurante.
Un sollievo, per L., che, il 28 apr. 1631, il duca muoia. E sollecito, il 29 aprile, Urbano VIII a condolersi con la vedova per poi proclamare, il 12 maggio, l'annessione del Ducato. A L. sono riconosciute dalle parole del pontefice "pietà e osservanza", "diligenza" negli "offici", nonché devozione agli interessi della Chiesa; e a lei sono promessi, nei brevi del 1° e del 6 maggio, "protezione" e "condegni" riconoscimenti. Ma, di fatto, non sono accontentate le richieste di L.: le viene negato il governo tanto di Pesaro quanto di Jesi, mentre lei rifiuta quello, offertole, di Todi. E, ancorché successivamente aspiri al governo di Fabriano e Matelica, finisce con l'accontentarsi di quello, ben più modesto, di Rocca Contrada e Corinaldo, cui si aggiunge, in compenso, quello di San Lorenzo, antico dominio della sua famiglia; nel 1639 le viene restituito quello di Gradara. Intanto fissa la residenza nella villa di famiglia, nel paterno feudo di Castelleone di Suasa "luogo - a detta del suo segretario, il gentiluomo pesarese Fabrizio Ondedei, parente, probabilmente, del Giovanni Ondedei autore della tragedia Asmondo, che era stato al servizio del marito - più tosto da eremita che da cortegiano". Ciò non toglie che una parvenza minima di microcorte vi dovesse essere, visto che lo stesso Ondedei sposa la casteldurantina Fillide Felici, una delle "dame" di Livia.
Le allarga il cuore ogni lettera della nipote Vittoria, a lei affezionata, che insiste perché si trasferisca a Firenze, quasi a farvi le veci della "madre" lontana, certa, comunque, che L., sua nonna paterna, di quella le voglia più "bene". Ma solo il 2 luglio 1637 - quando, una volta autorizzata a muoversi da un placet pontificio, arriva a Firenze - L. può riabbracciare fanciulla la nipote, crudelmente sottratta infante al suo affetto. Breve, purtroppo, il soggiorno fiorentino, ma tale da consolarla per i pochi anni che ancora le restano da vivere.
L. morì a Castelleone di Suasa il 6 luglio 1641. Sua erede la nipote Vittoria; fu sepolta - per sua espressa volontà - nel cimitero del convento del Corpus Domini, dove era badessa Livia, la sorella omonima, e dove era monaca, con il nome di Maria, la sorella Eleonora.
Fonti e Bibl.: G. Brunetti, Lettere scritte in nome del serenissimo signor Francesco Maria… duca sesto d'Urbino, Napoli 1632, p. 281; F. Ondedei, Lettere…, Bologna 1639, pp. 107, 129, 132, 144 s., 167 s., 173 s., 187, 222; Id., Orazione funebre per le esequie alla… altezza L. D., Pesaro 1641; Lettere di s.Carlo… e di L. D. … a B. Benedetti…, a cura di G. Eroli, in Nuova Riv. misena, VII (1894), pp. 69, 73; L. Agostini, La repubblica immaginaria, a cura di L. Firpo, Torino 1957, s.v.; Francesco Maria II Della Rovere, Diario, a cura di F. Sangiorgi, Urbino 1989, s.v.; A. degli Abati Olivieri Giordani, Memorie di Gradara terra del contado di Pesaro, Pesaro 1754, s.v.; F. Ugolini, Storia dei conti e duchi d'Urbino, II, Firenze 1859, pp. 419-421, 424 n. 2, 445, 486 s.; G. Scotoni, L. D. ultima duchessa d'Urbino, in Nuova Antologia, 16 sett. 1889, pp. 263-285; 16 ott. 1889, pp. 754-777; A. Vernarecci, Della colpa… di M. Oddi, in Nuova Riv. misena, II (1889), pp. 103-108 passim; Id., Nuovi documenti intorno M. Oddi, ibid., VI (1893), pp. 195-198 passim; R. Mariotti, Le seconde nozze di Francesco Maria II…, in Le Marche illustrate nella storia, nelle lettere, nelle arti, II (1902), pp. 24-32; J. Dennistoun, Memoirs of the dukes of Urbino…, III, London-New York 1909, s.v.; D. Gambioli, La controversia sull'esilio di Guidobaldo del Monte…, in Atti e memorie della R. Deputazione di storia patria per le Marche, s. 3, II (1916-17), p. 269; A. Vernarecci, Lavinia Feltria Della Rovere marchesa del Vasto: da documenti inediti, Roma 1924, pp. 105, 109, 117, 143 s., 147 n. 4; G. Menichetti, Firenze e Urbino…, in Atti e memorie della R. Deputazione di storia patria per le Marche, s. 4, IV (1927), 2, pp. 237-298 passim; V (1928), pp. 1-117 passim; L. Servolini, Muzio Oddi, architetto urbinate del Seicento, in Urbinum, VI (1932), 6, p. 9; L. Firpo, Lo Stato ideale della Controriforma: Ludovico Agostini, Bari 1957, s.v.; L. Moranti, Bibliografia urbinate, Firenze 1959, s.v.; H. Olsen, Federico Barocci, Copenhagen 1962, s.v.; G.G. Scorza, Pesaro fine secolo XVI…, Venezia 1980, pp. 50-57, 113-123; Unomaggio ai Della Rovere: 1631-1981; saggi, schede di opere restaurate (catal.), Urbino 1981, p. 101; Manifestazioni roveresche… (catal.), a cura di A. Brancati, Pesaro 1981, s.v.; I Della Rovere: 1508-1631 (catal.), a cura di G.G. Scorza, Pesaro 1981, pp. 32, 38, 52, 54; F. Mazzini, I mattoni e le pietre di Urbino, Urbino 1982, s.v.; E. Gamba - V. Montebelli, Le scienze a Urbino nel tardo Rinascimento, Urbino 1988, pp. 112 s.; Gliultimi Della Rovere… (catal.), a cura di P. Dal Poggetto - B. Montevecchi, Urbino 2000, pp. 17, 34, 36-38, 45, 104; I Della Rovere nell'Italia delle corti. Atti del Convegno, Urbania… 1999, Urbino 2002, I-III, s.v.; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, s.v.Rovere (della), tav. V.