PETRI, Lionello
PETRI, Lionello. – Nacque a Livorno il 21 gennaio 1875 da Pietro Eugenio e Sofia Francesconi.
Nel 1899 si laureò in scienze naturali a Firenze, con una tesi sui muscoli delle ali degli insetti. La sua attività di fitopatologo iniziò nel 1904, a Roma, presso la Stazione di patologia vegetale, dove trascorse un primo periodo come assistente di Giuseppe Cuboni. Furono le magistrali ricerche sul marciume radicale delle viti fillosserate che lo imposero all’attenzione della comunità scientifica.
L’antico entomologo si manifestava nell’accurato studio di insetti e acari, il botanico sviluppava e illustrava la parte anatomica delle varie fasi della decomposizione della biomassa radicale e il micologo trattava con maestria la biologia e la sistematica dei miceti, di modo che ne risultò una memoria così completa (Studi sul marciume delle radici nelle viti fillosserate, Roma 1907) come oggi si potrebbe avere solo con la collaborazione di diverse competenze disciplinari. Il lavoro è una chiara testimonianza della versatilità di ingegno, del metodo di indagine acuta e nel medesimo tempo prudente, della capacità di circoscrivere le questioni e di intravederne le applicazioni di pratica utilità, che saranno caratteristiche ineguagliabili dell’opera di Petri.
Va ricordata la costante attenzione che egli pose al ruolo delle condizioni fisiologiche della pianta aggredita e a quello dei fattori ambientali. Questa prospettiva segnava un decisivo progresso della scienza fitopatologica verso l’affrancamento dal metodo dei ‘parassitologi esclusivisti’, che aveva visto nel grande micologo Pier Andrea Saccardo il fondatore: questa visione olistica della materia rappresentò un’autentica svolta nella storia (allora breve) della patologia vegetale.
Nel 1914 Petri rientrò a Firenze, sulla cattedra di fisiologia e patologia vegetale presso l’Istituto superiore forestale nazionale: la data segna l’inizio della moderna patologia forestale. A Firenze concluse brillantemente gli studi diagnostici sul devastante ‘mal dell’inchiostro’ del castagno, che aveva costituito un vero rompicapo, con il quale si erano vanamente e polemicamente cimentati tanti ricercatori.
L’importanza del problema coinvolgeva anche aspetti sociali, in quanto l’economia di vasti comprensori montani era basata sulla castanicoltura, che produceva frutti, legname da opera e da ardere e tannino per la concia delle pelli. Il fatto che le piante compromesse dal patogeno divenissero facile preda di altre crittogame e che nella sindrome si trovassero sintomi a carico delle porzioni basali e delle relative aeree aveva reso quanto mai difficile l’identificazione dell’agente eziologico. Petri fissò con precisione il quadro sintomatologico ed epidemiologico della malattia e inquadrò nei giusti termini la funzione e il ruolo dei parassiti secondari ed emiparassiti di vecchia e di nuova conoscenza.
I dodici anni di permanenza a Firenze segnarono un periodo aureo nella disciplina, che assunse una dimensione internazionale, proprio grazie all’opera di Petri. La fama acquisita lo portò di nuovo, alla fine del 1925, a Roma, questa volta a dirigere la Stazione di patologia vegetale.
Petri era allora al colmo della sua preparazione e maturazione scientifica e nel pieno vigore di energia fisica, ma la situazione che trovò era drammatica. Cuboni era morto da oltre un lustro e non era stato sostituito; i mezzi erano scarsi, le risorse umane ridotte e l’attività pubblicistica languiva. Tuttavia Petri dimostrò in pieno le proprie capacità e la completa dedizione al lavoro. Gli impegni si moltiplicarono: a quelli della ricerca si affiancarono i ruoli istituzionali. Così, ai tempi della ‘battaglia del grano’ rilevava con vigore e rammarico la scarsa disponibilità di risorse a disposizione dei fitopatologi per «sperimentare sulle ruggini», a fronte «delle somme rilevanti per studiare questioni di fisiologia vegetale» (Lo stato attuale di alcune questioni concernenti le ruggini dei cereali, in Bollettino della R. Stazione di patologia vegetale di Roma, n.s., 1926, 6, pp. 89-107, in partic. p. 90). Si occupò con successo della costruzione della nuova sede della Stazione, in via Casal de’ Pazzi (oggi Via C.G. Bertero), finalmente adeguata e funzionale, e contribuì a tracciare linee di indirizzo per la costituzione di un servizio fitopatologico nazionale.
La divulgazione fu un costante punto di riferimento di Petri. Rifondò il Bollettino della R. Stazione di patologia vegetale, del quale curò direttamente per 17 anni la Rassegna dei casi fitopatologici, autentica innovazione bibliografica e vera miniera di informazioni per una generazione di patologi vegetali; promosse l’uso del cinematografo e degli apparecchi radiofonici come mezzo di diffusione di notizie utili per gli agricoltori. Non trascurò la cura quotidiana dei collaboratori (ai quali mai fece mancare aiuti morali e materiali), tra i quali figurano alcuni giovani di buona volontà e grandi capacità, che andarono poi a ricoprire ruoli prestigiosi nel panorama accademico (un nome per tutti: Gabriele Goidanich). Non rinunciò comunque alla ricerca: a lui si deve l’individuazione della causa del ‘mal secco’, autentico flagello degli agrumi, che devastava le coltivazioni e modificava il paesaggio agrario.
Gli orrori della guerra non risparmiarono a Petri il dispiacere di assistere al totale sconvolgimento delle attività e delle strutture della sua tanto amata Stazione. Una grave malattia, combattuta per diversi anni, lo portò alla morte il 20 aprile 1946 a Roma, «povero, più povero di quando aveva cominciato la Sua carriera» (Graniti, 1979, p. 10).
Dopo la morte fu promossa una sottoscrizione, non per un busto in marmo (che fu comunque realizzato), ma per «agevolare l’educazione agli studi del figlio Pietro» (p. 10) e aiutare la famiglia, che di fatto aveva lasciato indigente.
La fine di Petri passò quasi inosservata, ma la sua ricca opera (testimoniata da quasi 300 pubblicazioni) rimane una pietra miliare nella storia della biologia applicata. L’Istituto di patologia vegetale del ministero delle Politiche agricole e forestali (erede della Stazione diretta da Petri per lunghi anni) ha fondato nel 1991 una prestigiosa rivista, denominandola Petria; Roma gli ha dedicato una pubblica via nel quartiere di Centocelle; l’amministrazione comunale di Livorno gli ha intestato un parco, al termine di una giornata di studio a lui dedicata.
Fonti e Bibl.: G. Goidanich, L. P. (1875-1946), in Ricerca scientifica e ricostruzione, XVI (1946), 12, pp. 5-22 (comprende un elenco completo delle pubblicazioni di Petri); A. Carrante, L. P. nell’insegnamento e nella sperimentazione, in Bollettino della Stazione di patologia vegetale, V (1947), 5, pp. V-VII; Anonimo, Onoranze a L. P., ibid., 7, pp. I-III; G. Grandi, Discorso della celebrazione di L. P., in Annali della sperimentazione agraria. Supplemento, n.s., II (1948), pp. I-VIII. A. Graniti, La Stazione di Patologia Vegetale nel centenario della nascita di L. P. (1875-1946), in Annali dell’Istituto Sperimentale per la patologia vegetale, V (1979), pp. 7-21; G. Govi, La patologia vegetale italiana attraverso i suoi cultori nell’ultimo secolo, Bologna 1989, pp. 16-17; A. Gabbrielli, Su le orme della cultura forestale: L. P., in Italia forestale e montana, LIX (2004), pp. 391-392; G. Lorenzini, La figura e le opere di L. P. (1875-1946), georgofilo, fitopatologo livornese, in Comune notizie: rivista del Comune di Livorno, 2007, voll. 59-60, pp. 63-71.