INTERNAZIONALI, LINGUE
Generalmente, il concetto di lingua e quello di nazione sono correlativi. Quando individui di diverse nazioni parlano o scrivono fra loro, il mezzo di comunicazione di cui si servono acquista carattere internazionale.
Si toccherà perciò qui:1. dell'uso delle lingue naturali per rapporti internazionali; 2. dei tentativi di ovviare alle difficoltà linguistiche internazionali: a) regolando l'uso internazionale delle lingue naturali; b) semplificando una di esse; c) creando una lingua più o meno artificiale.
Uso internazionale di lingue naturali. - Col cadere dell'unità politica del mondo romano, la sostanziale unità religiosa e culturale dell'Occidente ha la sua espressione nell'unica lingua scritta, il latino. Solo quando, alla fine del Medioevo, vigoreggiano le nuove nazioni e correlativamente le parlate volgari assurgono alla dignità di lingue scritte, il latino comincia a ricevere le prime scosse. Man mano esso cede ai volgari nell'uso letterario, poi nell'uso amministrativo; ma, fino al Cinquecento, esso tiene quasi esclusivo il dominio dei rapporti internazionali, sia politici sia scientifici. L'Umanesimo e il Rinascimento, volendo costringerlo nell'ambito del ciceronianismo, gl'infieriscono senza volerlo un grave colpo, privandolo della sua duttilità. Da allora, man mano esso viene perdendo i suoi territorî: Galileo e Descartes abbandonano il latino nell'uso scientifico (e Kepler se ne lamenta con Galileo come di un crimen laesae humanitatis); i trattati internazionali si cominciano a stendere in volgare anziché in latino, e si delinea la preminenza del francese come lingua diplomatica: resiste a lungo la cancelleria imperiale, ma il trattato di Rastatt (1714) è redatto in francese.
Le lingue di maggiore prestigio culturale e politico sono naturalmente le più diffuse oltre i confini della nazione: così nel sec. XVI tutta l'Europa colta parla italiano e spagnolo; nel sec. XVII predominano il francese e lo spagnolo. Dal sec. XVIII l'uso internazionale dell'inglese è in continuo progresso; mentre il tedesco si afferma energicamente solo nel sec. XIX.
In tutte le adunanze dove sono rappresentate più nazioni, si oscilla fra due poli opposti: da un lato il prestigio nazionale spinge a espandere l'uso della propria lingua o almeno a difenderne le prerogative; dall'altro l'economia vorrebbe che si usasse per tutti una sola lingua. Si ripete sempre più esasperatamente nelle assemblee internazionali quel che già succedeva a Nimega nel 1677: l'ambasciatore danese sosteneva che, se i Francesi presentavano i pieni poteri in francese, essi avevano diritto di presentarli in danese.
Nascono di qui i tentativi di risolvere convenzionalmente queste difficoltà, fissando una lingua unica come lingua per i rapporti internazionali, sopraordinata alle lingue nazionali nello stesso modo che, nell'ambito delle singole nazioni, la lingua nazionale è sopraordinata ai dialetti.
Regolarizzazione dell'uso di una lingua naturale. - Siccome la diffusione naturale dell'una o dell'altra lingua non è sufficiente ad assicurare la comprensione internazionale, non mancano i tentativi di rafforzare la posizione di una di esse.
Di una lingua morta anzitutto. Se il latino ha servito per tanti secoli - osservano i suoi fautori - perché non dovrebbe servire ancora, specialmente per gli usi scientifici? La restaurazione dell'uso internazionale di esso avrebbe il grande vantaggio di non dar luogo alle gelosie internazionali. Ma, si obietta, quale latino? quello dei classici o quello medievale? Se si vuole attenersi al latino dei classici, manca la possibilità di esprimere i concetti moderni; se si vuole arricchirlo artificialmente dei termini che esso non possedeva, il fine principale, quello di assicurare la continuità fra il mondo classico e il moderno, è già scosso: si avrà un vocabolario moderno innestato su una grammatica antica e complicata. E ad ogni modo questa soluzione poi non sarebbe che parziale, perché se tanto quanto potrebbe essere realizzata per alcune scienze, non potrebbe certo rispondere alle necessità di una lingua internazionale pratica per gli usi quotidiani.
Le iniziative a favore d'una restaurazione del latino sono state numerose ma sporadiche: manifesti di dotti, per lo più, come è ovvio, classicisti (H. Diels, C. Pascal, Th. Zieligski), inchieste internazionali, pubblicazione di riviste in latino (Vox Urbis, Alma Roma a Roma, Praeco latinus a Filadelfia, ecc.). A Monaco si è fondata nel 1932 una Societas latina con una rivista omonima, e il III congresso di studî romani (1933) ha posto il problema all'ordine del giorno. Le manifestazioni pratiche più importanti sono dovute alla Chiesa: negli Acta Apostolicae Sedis si trovano interessanti applicazioni del latino a cose moderne (Benedictio machinae aereae itineri aereo destinatae, ecc.); trasmissioni radiofoniche regolari di argomento scientifico sono fatte in latino dalla stazione vaticana. Qualche manifestazione si è anche avuta a favore del greco (A. Boltz, G. Fraccaroli).
Ma i tentativi più numerosi di stabilizzare l'uso di una lingua naturale come lingua ausiliaria internazionale sono stati fatti a favore dell'una o dell'altra lingua viva. L' "universalità" del francese che l'Accademia di Berlino riconosceva nel 1784, dandola per tema di concorso, fu sostenuta anche dopo il declinare della supremazia francese; solo negli ultimi decennî si ebbero tentativi per stabilizzare il primato dell'inglese. Ma è ovvio che ogni tentativo di questo genere va a cozzare contro il prestigio e gl'interessi delle altre nazioni, specie delle maggiori. Altre proposte d'internazionalizzare l'uso dello spagnolo o dell'italiano sono rimaste platoniche.
La prassi consueta dei consessi e dei congressi internazionali è di limitare nella misura del possibile il numero delle lingue ufficiali; e su questa linea si muovono altre iniziative: quella di un condominio linguistico anglo-francese, per cui si mirerebbe a rendere universale la norma adottata dalla Società delle Nazioni e dalla maggior parte delle organizzazioni che ne dipendono; e l'altra di regolarizzare l'uso internazionale di determinate lingue per determinati campi (proposta di A. Dauzat: inglese lingua internazionale dell'economia politica, italiano della musica, ecc.).
Semplificazione di una lingua naturale. - Una via intermedia fra il riconoscimento di una lingua come lingua internazionale e la creazione di una lingua artificiale si ha nei progetti di semplificazione di lingue naturali (morte o vive). Si è partiti da questa premessa: che ove si voglia estendere l'uso della lingua internazionale, è inutile imporre a quelli che l'useranno le sottigliezze e le complicazioni grammaticali e lessicali delle lingue naturali.
I primi accenni si trovano in Leibniz, che come transizione alla lingua filosofica da lui vagheggiata (v. sotto) proponeva l'uso di un latino semplificato e regolarizzato. Ma progetti pratici si ebbero solo nel nostro secolo; e va collocato in prima linea quello di G. Peano, il Latino sine flexione o Interlingua (v. sotto).
Fra i tentativi di semplificazione di lingue vive, meritano ricordo solo due progetti apparsi nel 1930, l'Anglic di R. E. Zachrisson e il Basic English di C. K. Ogden, il primo dei quali è in sostanza una radicale riforma ortografica, il secondo una riduzione del vocabolario a poche centinaia di parole, un pidgin English di laboratorio.
Lingue artificiali. - "A dir il vero (avvertiva M. Bréal, in Revue de Paris, 15 luglio 1901), il nome di lingua artificiale è una specie di tautologia, perché c'è dell'arte anche nella lingua più grossolana". Tanto più nelle lingue letterarie, nelle quali l'intervento conscio, se non arbitrario, è più o meno profondo, più o meno riconoscibile, ma sempre notevole. Ma col termine di "lingua artificiale" comunemente s'intendono i progetti di lingua internazionale costruiti secondo un piano determinato.
Secondo il fine che si propongono, questi progetti si possono distinguere in due grandi gruppi. I progetti del primo gruppo intendono dare una lingua filosofica universale, una specie di algebra dei concetti, che abitui a ben pensare. Espressione tipica del razionalismo filosofico, nascono, prosperano, declinano con esso. I secondi si propongono semplicemente un fine pratico: quello di dare al mondo una lingua ausiliare. Questi alla loro volta si possono suddividere secondo il maggiore o minor grado di apriorismo.
Lingue filosofiche. - Il primo progetto di lingua filosofica risale a R. Descartes; in una lettera al padre Marino Mersenne (1629) egli espone il piano di "una lingua universale facilissima da imparare, da pronunziare e da scrivere, che - questa è la cosa principale - aiuterebbe il giudizio, rappresentandogli così distintamente tutte le cose, che gli sarebbe impossibile ingannarsi". Se il Descartes si limitò a esporre un programma, due inglesi, G. Dalgarno e il vescovo J. Wilkins, cognato di Cromwell, diedero nel Seicento due progetti particolareggiati. Per es., nel progetto di Wilkins, De significa "elemento", Deb la 1ª differenza del genere "elemento", cioè "fuoco"; Debx la 1ª specie del fuoco, cioè "fiamma".
Moltissimi appunti concernenti una lingua filosofica furono trovati fra le carte di Leibniz. E a Descartes o a Leibniz si ricollegano numerosi altri progetti del sec. XVIII e del principio del sec. XIX. Il presupposto razionalistico che sta alla base di essi, che il pensiero sia tutto scomponibile in elementi simili a quelli matematici e quindi si possa costituire un'algebra del pensiero, doveva poi cadere con l'avvento della filosofia idealistica, per cui risultò la fallacia dell'identificazione fra logica e lingua.
Lingue a priori. - È difficile segnare un taglio netto fra queste lingue filosofiche e quelle pratiche in cui gli elementi sono scelti a priori secondo classificazioni più o meno rigorose dei concetti. Qualcuna di queste ebbe almeno una certa rinomanza.
Il Solresol di J.-F. Sudre (ideato nel 1817, pubblicato postumo nel 1866) è tutto costituito di vocaboli composti di note musicali (e che quindi si potrebbe scrivere, enunziare, cantare, ecc.): p. es., misi "buona sera", lafalami "geometria", dosidomi "legume".
Il progetto di C. Meriggi, Blaia Zimondal (1884), parte dal valore onomatopeico dei suoni: p. es., bl indica il discorso e le sue forme; blar "parlare"; blir "dire"; suff. astratto -ia; blir le ioria "dire la verità".
Nel progetto Ro di E. P. Foster (1908), p. es., le parole con iniziale m indicano la vita animale: muba "protozoo)); mubda "rizopodo"; mubdag "ameba", ecc.
Simili progetti non hanno nessuna probabilità pratica d'attecchire. Essi domanderebbero una memoria prodigiosa; e intanto trascurano una necessità pratica fondamentale, che quanto più due oggetti sono simili, tanto più il loro nome dovrebb'essere dissimile.
Si ricollegano a questi progetti empirici a priori i sistemi di pasigrafia (v.), e anche un mezzo di comunicazione effettivamente entrato nell'uso marittimo internazionale, il Code international dee signaux (1871). Va qui ricordata, e per la sua struttura, e perché costituisce in qualche modo, un codice internazionale numerico, la classificazione decimale (v.).
Lingue miste. - In un altro numeroso gruppo di progetti gli elementi grammaticali sono sempre scelti a priori, mentre per il lessico si ricorre alle lingue naturali, ma senza precisi criterî, e con le forti alterazioni che sono imposte dalla struttura grammaticale. Tipico rappresentante di questo gruppo di lingue, miste di a priori e di a posteriori, è il Volapük, che ebbe per circa un decennio una larghissima popolarità..
Il Volapük fu creato da mons. J.M. Schleyer (1831-1912) nel 1879-1880 (Volapük, die Weltsprache, Sigmaringen 1880), e fu la prima lingua internazionale che ottenesse un largo successo, fino a raggiungere, se non milioni d'adepti, come si favoleggiò, molte migliaia. Si pubblicarono alcune centinaia di opere e 25 periodici; furono tenuti 3 congressi (1884, 1887, 1889). Ma poi per i suoi difetti intrinseci e le discordie dei suoi seguaci il movimento declinò, e, dopo il 3° congresso, si sfaldò addirittura.
Nella grammatica, l'alfabeto escludeva alcune lettere per riguardo ad alcuni popoli (p. es. r, che i Cinesi non sanno pronunziare), ma ammetteva ä, ö, ü. La flessione è di tipo sintetico. Così: vol "mondo", vola "del mondo" (volap ük "lingua del mondo"); löfön "amare", löfob "io amo", ölöfob "io amerò", polöfob "io sarò amato": si vantava che un verbo potesse avere 505.440 forme.
Nel lessico, le radici erano per lo più prese dall'inglese, ma molto alterate, secondo certe regole di struttura (tutte le radici dovevano cominciare e finire per consonante; alcune consonanti erano escluse alla finale) e secondo la tendenza alle radici monosillabe. Così: nol "scienza" (da knowledge), net "nazione". La derivazione dà, p. es., logik, che non vuol dire "logica" ma "visibile", da log "occhio", e -ik suffisso dell'aggettivo, mentre "logica" si dice tikav, da tik "pensiero" e -av suffisso delle scienze.
Numerosi altri progetti di questo tipo apparvero dopo il Volapük: lo Spelin, il Dil, il Balta, l'Orba, la Lingua azzurra o Bolak, il Pankel, l'Etem, ecc. Solo la Lingua azzurra (1899) ebbe qualche notorietà, ma poi il suo autore rinunziò alla propaganda.
Nelle parole della Lingua azzurra al carattere grammaticale corrisponde una struttura determinata: i nomi debbono cominciare e finire per consonante, ecc. Le vocali a, e, i, o, sono adoperate come prefissi per indicare il grado (più, meno, ecc.). Le radici sono state scelte dall'autore attribuendo alle varie combinazioni possibili i significati suscitati in lui pronunziandole: così le parole somigliano spesso più o meno da vicino a quelle naturali (bsp "vescovo", tlaf "telegrafo"), talora per via di curiose associazioni (plin "storia naturale").
Lingue a posteriori. - L'arbitrarietà domina ancora larghissimamente nei progetti di tipo misto. Invece, con quelli a posteriori, essa è ridotta di molto. La grammatica è in genere una regolarizzazione di quella delle lingue europee occidentali, anche il lessico è scelto con criterî più o meno rigorosi da queste lingue. Prescindendo da qualche sommario progetto di precursori, potremmo riunire tutti i sistemi a posteriori in tre gruppi: il tipo dell'Esperanto, quello dell'Occidental, quello del Latino sine flexione.
Il criterio fondamentale dell'Esperanto, che è forse il principale merito per cui esso poté uscire dalla fase di progetto per entrare, sia pure entro modesti limiti, nell'uso pratico, è quello di adibire per la caratterizzazione grammaticale e per la derivazione desinenze del tipo noto alle lingue occidentali (perciò a un italiano che non conosca l'Esperanto, esso rassomiglia all'ingrosso allo spagnolo, benché gli -as e gli -os abbiano tutt'altro valore).
Per la struttura e la storia dell'Esperanto, si rimanda a questa voce. Daremo invece qui un cenno sui progetti che ne discendono. Il più importante di questi è l'Ido.
La Delegazione per l'adozione di una lingua ausiliare internazionale di cui erano state gettate le basi durante l'esposizione internazionale di Parigi del 1900, si costituì nel 1901 e raccolse molti autorevoli suffragi; nel 1907 essa nominò un comitato, che si riunì a Parigi e prescelse in linea di massima l'Esperanto, salve alcune modificazioni da fissare da una commissione permanente, nella direzione indicata da un progetto presentato sotto il nome di Ido, e d'accordo possibilmente con gli esperantisti.
Venuto meno questo accordo, si procedé all'elaborazione della nuova lingua, che conservò il nome di Ido, cioè "discendente" dall'Esperanto: principali artefici furono L. Couturat (v.), L. de Beaufront, O. Jespersen (v.). I primi anni di propaganda furono di acre polemica con gli esperantisti, e di ripetute riforme, finché nel 1913 si fissò un "periodo di stabilità". La morte del Couturat e la guerra mondiale furono gravi colpi per il movimento, che però riprese nel dopoguerra, con circa una decina di periodici e qualche migliaio di adepti. Cessato nel 1926 il periodo di stabilità, cominciarono acuti dissensi, che ridussero di molto il movimento. Congressi idisti furono tenuti dal 1921 al 1930.
Nella grammatica noteremo quanto segue. Alfabeto: ch, sh (come in inglese); w e y semivocali; il resto come in Esperanto. Flessione e derivazione con desinenze, prefissi e suffissi regolati con logicità minuziosa.
Il vocabolario mira a dare radici della massima internazionalità, con sottili distinzioni di sinonimi. La "logicità" della grammatica e del vocabolario dell'Ido è così spinta da renderne spesso l'uso più difficile di quello delle lingue naturali.
Dal movimento idista si è staccato nel 1928 il linguista danese O. Jespersen, il quale ha pubblicato un progetto proprio, il Novial (Nov International Auxiliari Lingue), che costituisce in certo modo il ponte di passaggio fra le lingue del tipo Esperanto e quelle del tipo Occidental.
Di questi ultimi progetti ci resta ora da parlare. D. Rosa propose nel 1890 il Nov Latin, in cui il lessico latino, con i termini moderni necessarî, è innestato su una grammatica molto semplice. Valga come esempio questa frase: Il deber star facile legé ab omn les doctes sine praeparation. J. Lott in numerosi scritti (1888-1899) lavorò al Mundolingue, sostenendo che la lingua internazionale non dev'essere inventata, che essa già esiste: si tratta solo di cercarla e di regolarizzarla. L'ing. V. Rosenberger di Pietroburgo, nominato nel 1893 direttore dell'Accademia volapükista, guidò per 5 anni i lavori di essa in senso decisamente "naturalistico", fino a consegnare, nel 1898 al suo successore M.A.F. Holmes, una lingua nuova, l'Idiom neutral, che diede poi origine ad altri progetti analoghi.
Il progetto più recente e completo di lingua "naturalistica" è l'Occidental, dell'ing. E. de Wahl, pubblicato nel 1922.
Ad esso hanno aderito alcuni gruppi di ex-idisti (Vienna, Parigi, Bruna).
Sia nella grammatica, sia nel vocabolario, l'Occidental si propone di mantenere la massima aderenza con le grandi lingue occidentali, anche a costo di una minore regolarità. Così, ad es., per l'accento, l'Esperanto ha una sola regola: l'accento nei polisillabi cade sempre sulla penultima vocale; l'Occ. dà tre regole, e nelle parole a cui queste regole non si applichino adopera l'accento grafico. L'Esperanto dalla radice leg-i "leggere" trae leg-o, "lettura", leg-anto "chi legge", ecc.; invece l'Occidental oltre al tema le-, da cui le-er "leggere", ha il tema let-, da cui letion, ecc.
L'aspetto dell'Occidental è perciò meno artificiale di quello dell'Esperanto; ma le difficoltà di apprendimento sono di poco inferiori a quelle d'una lingua naturale.
Giungono all'estremo della tendenza "naturalistica" i progetti di semplificazione del latino, che fanno capo all'Academia pro interlingua.
Il matematico G. Peano (v.), che aveva pubblicato nel 1889 degli Arithmetices principia in latino, cominciò a usare nel 1903 nella sua Rivista di matematica il Latino sine flexione.
Nel dicembre 1908 fu nominato direttore dell'Accademia ex-volapükista, la quale, sotto i presidenti Rosenberger e Holmes aveva elaborato l'Idiom neutral. L'accademia fu aperta in teoria agli adepti di qualsiasi forma di lingua internazionale, ma di fatto identificò la lingua internazionale (o Interlingua) con il Latino sine flexione di Peano e i progetti di latino semplificato.
La forma adottata per i vocaboli è quella del tema latino: p. es., voce internationale es moneta que habe curso in omne natione. Questa stretta dipendenza dal lessico latino fa sì che un testo in Interlingua può essere interpretato con l'aiuto d'un qualsiasi vocabolario scolastico. Perciò la lingua funziona bene per quei dominî scientifici per cui la terminologia è in prevalenza greco-latina; invece si hanno incertezze e difficoltà quando il significato antico si è mutato nelle lingue moderne; e quando i termini internazionali non hanno a che vedere con il latino (invece di banca, magazzino, si è proposto officina de moneta, apotheca, ecc.). Ciò spiega come l'Interlingua sia abbastanza nota negli ambienti scientifici. Molto meno felici sono stati invece i tentativi di adattarla agli usi pratici.
Confronto tra i vari Sistemi. - Ci siamo qui limitati a descrivere brevemente i principali sistemi. Chi voglia giudicarli nel loro valore comparativo, dovrà tener conto, oltre che dei requisiti teorici di ciascuno, anche dell'aspetto pratico della questione: cioè la rispondenza ai fini che la lingua internazionale deve proporsi. Così, una lingua internazionale che servisse esclusivamente per gli scienziati, e non rispondesse alle necessità del traffico (commercio, turismo, ecc.) sarebbe insufficiente allo scopo. Né converrà trascurare gl'insegnamenti che si possono trarre dagli esperimenti già fatti. È ovvio che un progetto uscito fresco fresco dalla mente d' uno studioso di gabinetto può avere una quantità di pregi; ma non si può confrontare senz'altro con una lingua come l'Esperanto, che da due generazioni è stata adoperata in molti campi, e, se non è riuscita a imporsi generalmente, ha tuttavia provato praticamente la sua rispondenza ai requisiti più varî.
La questione è stata dibattuta durante il 2° congresso di linguisti (Ginevra, 1931), e le conclusioni sono state favorevoli a una lingua ausiliaria internazionale. Serî studî sull'argomento conduce l'I.A.L.A. (International Auxiliary Language Association), fondata a New York nel 1924.
In conclusione, se il tentativo di costruire una lingua filosofica che avvii a pensare più chiaramente, o quello di costruire una lingua interamente a priori, o quello di arrivare a una lingua "universale" rientrano nel regno dell'utopia, non sembra si debbano trattare alla stessa stregua i tentativi che mirano a innestare su una grammatica semplice un lessico già internazionale, proponendosi di dar vita a una lingua "ausiliare". "Chi percorra spassionatamente la storia dell'idea d'una lingua internazionale - avvertiva H. Schuchardt (Brevier, 2ª ed., Halle 1928, p. 381) - non ne avrà certamente l'impressione d'un vaneggiamento mentale o d'uno sforzo utopistico come quello del moto perpetuo; anche non volendo tener conto di tutti gli uomini insigni che si sono impegnati nella questione. Riflessioni e tentativi provano l'esistenza d'una reale necessità".
I Principali Progetti di lingua artificiale: 1629, R. Descartes; 1661, G. Dalgarno; 1668, J. Wilkins; 1734, Carpophorophilus; 1765, Faiguet de Villeneuve, articolo nell'Encyclopédie; 1795, Delormel, progetto alla Convenzione; 1817-66, J.-F. Sudre (Parigi): Solresol; 1818, M. Gigli (Milano); 1831, G. Matraja (Lucca): Genigrafia; 1845, B. Sotos Ochando (Madrid); 1858, L. de Rudelle (Parigi): Pantos dimou glossa; 1863, S. de Mas (Parigi); 1868, Pirro (Parigi): Universalglot; 1875, 1885, E. Courtonne (Nizza); 1876, G. Sertorio (Oneglia); 1879-80, M. Schleyer (Costanza): Volapük; 1884, C. Meriggi (Pavia): Blaia Zimondal; 1885, P. Steiner (Neuwied): Pasilingua; 1886, Eichhorn (Bamberga); 1887, American Philosophical Society (Philadelphia); 1887, L.L. Zamenhof (Varsavia): Esperanto; 1888, 1889, 1890, G. Henderson (Londra): Lingua, Anglo-Franca, Latinesce; 1888, G. Bauer (Zagabria): Spelin; 1888, J. Braakman (Olanda): Mundolinco; 1889, 1890, 1899, J. Lott (Vienna); 1889, 1900, A. Nicolas (Angers): Spokil; 1890, D. Rosa (Torino): Nov latin; 1890, A. Liptay (Chile); 1893, E. Heintzeler (Stoccarda): Universala; 1893, J. Guardiola (Parigi): Orba; 1895, 1907, E. Beermann (Nordhausen, Lipsia): Novilatiin, Novilatin; 1898, Marchand (Besançon): Dilpok; 1899, L. Bollack (Parigi): Bolak; 1900, F. Kürschner (Locarno): Lingua comun; 1902, W. Rosenberger e Acc. ex-volapükista: Idiom neutral; 1903, 1907, H. Molenaar (Lipsia): Panroman, Universal; 1903, G. Peano (Torino): Latino sine flexione; 1907, B. v. Bijlevelt (Bruxelles): Lingua european; 1907, R. de la Grasserie (Parigi): Apolema; 1907, C. Spitzer (Heidelberg): Parla; 1907, 1910, 1912, 1913, R. de Saussure (Ginevra): Antido, Lingvo kosmopolita, Lingvo cosmopolita; 1908, L. de Beaufront, L. Couturat e Délégation pour l'adoption d'une langue internationale (Parigi): Ido; 1908, Ch. Lemaire (Bruxelles): Ilo; 1909, R. Triola (Napoli): Italico Interlingue; 1909, J. Weisbart (Amburgo): Unial; 1909, G. Peano e Academia pro interlingua (Torino): Interlingua; 1909, E. de Wahl (Reval): Auli; 1909, A. Seidel (Berlino): Ile; 1909, A. Michaux (Boulogne-sur-Mer): Romanal; 1910, 1914, 1923, J. Barral (Berlino, Nizza): Nuv-Esperanto, Union-Sistem, Federal; 1911, M. Ferranti (Roma): Simplo; 1912, Ugiione pro latino internationale: Interlatino; 1912, W. Rosenberger (Pietroburgo): Reform neutral; 1912, 1923, J. Weisbart (Amburgo, Norimberga): Europal, Medial; 1912-1921, 1926, S.E. Bond (Wellington): Omnez. Optoez, Meso; 1913, V. Češichin (Riga): Nepo; 1914, G. P. Pinth (Lussemburgo): Interlingue; 1917, N. Jušmanov (Pietrogrado): Etem; 1919, V. Martellotta (Bari), Latinulus; 1919, 1915, R. de Saussure (Berna): EsOerantida, Nov-Esperanto; 1922, J. Rosselló Ordines (Palma di Maiorca): Interlingua systematic; 1922, E. de Wahl (Reval): Occidental; 1922, S. Voirol (Parigi): Casuela; 1922, W.M. Beatty (Washington): Qosmiani; 1923, 1926, A. Lavagnini (Roma): Interlingue, Unilingue, Monario; 1923, F. Riedel e O. Scheffers: Uniti langue; 1925, Fibula (Torino): Latino viventi; 1925, A. Baumann (Monaco): Weltpitshn; 1925, S. Consoli (Catania): Ling du Mond: 1928, O. Jespersen (Copenaghen): Novial; 1929, J. Jousten (Friburgo): Mondik; 1930, G. O. D'Harvé (Bruxelles): Romangle; 1930, M. Wald (Dahme): Pan-kel; 1930, O. J. Tallgren-Tuulio (Helsinki): Latino non sine flexione (Nonsine); 1932, J. Durant (Roma): Mondyal.
Bibl.: L. Couturat e L. Leau, Histoire de la langue universelle, Parigi 1903; rist. 1907; id., Les nouvelles langues internationales, Parigi 1907; A. L. Gurard, A short History of the International Language movement, Londra 1922; P. E. Stojan, Bibliografio de internacia lingvo, Ginevra 1929; E. Drezen, Historio de la mondolingvo, Lipsia 1931. Discussioni di principio: H. Schuchardt, Bericht über die auf Schaffung einer künstl. intern. Hilfssprache gerichtete Newegung, in Alman. Akad., Vienna 1904, pp. 281-296 (= Schuchardt-Brevier, 2ª ed., Halle 1928, pp. 370-384); K. Brugmann e A. Leskien, Zur Kritik der künstlichen Weltsprachen, Strasburgo 1907; id. Zur Frage der Einführung einer künstlichen internat. Hilfssprache, in Indog. Forsch., XXII (1908); E. Sapir, The problem of an intern. auxil. lang., in Romanic Review, XV (1925), pp. 244-256; E. Wüster, Internationale Sprachnormung in der Technik, Berlino 1931; E. Hofmann-A. Debrunner, in Indog. Forsch., L (1932), pp. 257-265.
Per l'uso del latino, del francese, dell'inglese come lingue internazionali, v. la bibl. citata in La Cultura, VIII (1929), p. 670. Per la bibliografia di progetti singoli, cfr. P. E. Stojan, op. cit.