Lingua
Il tentativo di delineare un profilo fonomorfologico della lingua di M. incontra molte difficoltà: in primo luogo la complessità straordinaria dell’oggetto dell’indagine, quel M. «istorico, comico e tragico» (M. a Francesco Guicciardini, post 21 ott. 1525, Lettere, p. 411) che, nella lettera a Francesco Vettori del 31 gennaio 1515, rivendicava la diversità dei propri interessi, dei propri scritti, «perché noi imitiamo la natura, che è varia, e chi imita quella non può essere ripreso» (Lettere, p. 349). M. stesso ci pone dunque di fronte al problema ineludibile e grandioso della varietà delle sue opere, che significa – declinato in termini di lingua – della varietà delle forme e dei suoni, dei costrutti e del lessico, riuniti però da una saldezza di fondo e da una visione unitaria e forte della lingua. In secondo luogo, dalla parte di chi si propone di indagare, lo studio della lingua di M. viene a trovarsi privo di una serie di strumenti paragonabili a quelli a cui siamo ormai avvezzi nell’esame di testi e opere dei secoli precedenti. Non esiste ancora un’edizione completa degli autografi di M. (anche solo di quelli letterari e non documentari, ossia degli atti d’ufficio), per quanto questa sia prevista dal piano dell’Edizione nazionale (Martelli 1997, pp. 3032); su un’edizione completa e affidabile ai fini dell’analisi linguistica – e che sia il riferimento su cui poter misurare gli usi anche dei testi non autografi – potranno essere prodotte le concordanze informatizzate e lemmatizzate, l’unico strumento che per definizione di completezza possa costituire una base attendibile per le rilevazioni statistiche sugli andamenti linguistici. In mancanza di esso, si è dovuto rinunciare a qualsiasi tentativo di quantificazione dei fenomeni, che sarebbe risultata in ogni caso parziale e limitata, nel complesso non attendibile. Inoltre, per il panorama linguistico coevo (o di pochi decenni precedente), al di là del preziosissimo studio di Paola Manni (1979) e di alcune analisi su testi specifici, non disponiamo di uno strumento (banca dati e vocabolario) analogo al Tesoro della lingua italiana delle origini (TLIO), per cui manchiamo della possibilità di un confronto sistematico. Ai fini del presente tentativo di analisi (che si giova della bibliografia pregressa, dagli studi classici di Fredi Chiappelli, 1952 e 1969, e di Paolo Ghiglieri, 1969, alle osservazioni di Paolo Trovato nell’ed. da lui curata del Discorso intorno alla nostra lingua, 1982, dalle pagine di Giovanni Nencioni, 1983, e di Pier Vincenzo Mengaldo, 2008, alle note di Fabrizio Franceschini, in Cultura e scrittura di Machiavelli, 1998, e al profilo di Carmelo Scavuzzo, 2003) ci si è fondati sulla costituzione di un corpus limitato, ma rappresentativo di autografi raggiungibili, individuati a partire dal contributo di Emanuele Cutinelli-Rendina (2009), visti e riscontrati direttamente (con l’unica eccezione di alcune lettere private); su questa base, si è cercato di individuare una serie di fenomeni di pertinenza fonomorfologica studiati e noti come caratterizzanti del fiorentino ‘argenteo’, e costituenti alcune macrocategorie di indagine (dunque, non un intento complessivamente descrittivo della lingua di M., ma una selezione di tratti organici e strutturali). Com’è noto, di grandi opere machiavelliane (il Principe, la Mandragola, i Discorsi – fatto salvo il minuscolo frammento del proemio –, la maggior parte delle lettere private) non sopravvivono autografi; al problema della valutazione linguistica di questi testi sarà dedicata qualche riflessione nella parte finale di questa esposizione. Rimane disponibile per una interrogazione generale delle opere machiavelliane la Letteratura italiana Zanichelli 4 (LIZ 4.0, 2001, che accoglie, per il Principe, il testo curato da Giorgio Inglese nel 1995 e, altrimenti, l’ed. delle opere di M. curata da Mario Martelli nel 1971), mentre di concordanze parziali (ma non edite) riferiscono Inglese (in N. Machiavelli, De Principatibus, 1994, p. 160 nota 14) e Pasquale Stoppelli (2005, p. 29 nota 22).
Il campo di indagine: un campione di scritture autografe. – Si indicano di seguito gli autografi machiavelliani che sono stati consultati ai fini dello studio fonomorfologico, divisi per cronologia e indicati con le sigle con cui compariranno nell’analisi linguistica.
Primo blocco cronologico. Supplica = Supplica al cardinale Giovanni Lopez, a nome della famiglia Machiavelli. Firenze, Biblioteca nazionale centrale (d’ora in avanti BNCF), Autografi Palatini, Machiavelli, I 57. Primo autografo datato (2 dic. 1497). Sottoscrizione: «Maclavelloru(m) Familia | Pero Nicholò (et) Tucta la famiglia | de’ machiavegli Cives florentini». Cfr. Lettere, pp. 4-5. Becchi = Lettera a Ricciardo Becchi: Ragguagli sulla predicazione di fra Gerolamo Savonarola. BNCF, Machiavelli, I 58. Firenze, 9 marzo 1498; con la sottoscrizione: «Valete datu(m) florentie die viiii martii Mccccxcvii [Vester] | Nicholò di m. b° Ma-|chiavegli». Cfr. Lettere, pp. 5-8.
Secondo blocco cronologico. CP 64, 65, 69 = Firenze, Archivio di Stato, Consigli della Repubblica, Consulte e pratiche: CP 64: mano di M. 2 settembre 1498; CP 65: mano di M. 3 giugno 1499; CP 69: mano di M. 29 maggio 1505-13 agosto 1509. Cfr. D. Fachard, in Consulte e Pratiche, 1988, pp. XIV, XXIV-XXVIII. Pisa = Discorso sopra Pisa. BNCF, Machiavelli, I 75. Prima prosa politica conservata: maggio (o piuttosto inizio giugno) 1499. Cfr. N. Machiavelli, L’Arte della guerra. Scritti politici minori, a cura di J.-J. Marchand, D. Fachard, G. Masi, 2001, pp. 419-24. Cater. 1, 2 = Relazioni della legazione a Caterina Sforza. BNCF, Machiavelli, I 13-14, 15 [Cater. 1 = CM I 13-14; Cater. 2 = CM I 15]. Relazioni del 17, 23, 24 luglio 1499, corrispondenti alla legazione databile intorno al 12 luglio 1499. Cfr. Gerber 1912-1913, p. 5, LCSG, 1° t., pp. 268-72. Parole = Parole da dirle sopra la provvisione del danaio. BNCF, Machiavelli, I 77. Probabile minuta di una orazione del gonfaloniere Piero Soderini per le Consulte. Cfr. N. Machiavelli, L’Arte della guerra, cit., pp. 443-52. Valentino = Come Valentino abbia ucciso Vitellozzo, Oliverotto da Fermo e altri. BNCF, Machiavelli, I 19. Da Sinigaglia, 31 dicembre 1502, al Magistrato dei Dieci.
Terzo blocco cronologico. Cagione = La cagione dell’Ordinanza. BNCF, Machiavelli, I 78. Minuta, datata all’estate-autunno 1506 (o ante dic. 1506). Cfr. N. Machiavelli, L’Arte della guerra, cit., 2001, p. 468. Ghiribizzi = «Ghiribizzi» al Soderini. Biblioteca Apostolica Vaticana, ms. Capponi 107(2), cc. 219r-220v. Datati 19-21 settembre 1506. Cfr. Ridolfi, Ghiglieri 1970.
Quarto blocco cronologico. Palleschi = Ricordo ai Palleschi. Firenze, Archivio di Stato, Manoscritti Torrigiani, filza 6, fascicolo XXV, inserto 13 (numerazione apposta in occasione di questa ricognizione, che ha ricomposto l’inserto XXV). Bella copia, datata all’inizio di novembre 1512. Cfr. Marchand 1975, pp. 533-35; N. Machiavelli, L’Arte della guerra, cit., 2001, pp. 579-84. Modo Valentino = Modo che tenne il duca Valentino [...]. Firenze, Archivio di Stato, Carte Strozziane, Prima Serie, 137, cc. 208(201)-211(204). Copia di lavoro, collocata fra il 1514 e il 1517. Cfr. Gerber 1912-1913, pp. 9, 38-41; N. Machiavelli, L’Arte della guerra, cit., 2001, pp. 594-606.
Quinto blocco cronologico. Discorsi Pr. = primo proemio ai Discorsi. BNCF, Machiavelli, I 74. Datazione incerta: 1514-17, oppure post 1515 o post settembre 1517. Cfr. Gerber 1912-1913, pp. 24-28; N. Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, a cura di G. Inglese, 1984, pp. 55-57. Arte aut. = Arte della guerra, autografo. BNCF, Banco Rari
29. Datato al 1519-20 (1519-21 per Ghiglieri 1969). Esteso frammento autografo dell’Arte della guerra
(cc. 25-118); numerose correzioni, di altra mano. Cfr. Gerber 1912-1913, pp. 10, 48-56; N. Machiavelli, L’Arte della guerra, cit., 2001, pp. 3-395. Favola = Favola di Belfagor arcidiavolo. BNCF, Banco Rari 240 (Magliabechiano VII 335; D 335), cc. 1r12r. Datata al triennio 1518-20 (in N. Machiavelli, Opere, a cura di C. Vivanti, 3° vol., 2005); copiata nel Banco Rari 240 entro il 1520 per Grazzini 1990. Cfr. Gerber 1912-1913, pp. 10, 44-47. Istorie aut. = Istorie fiorentine, frammenti autografi. BNCF, Machiavelli, I 82, cc. 1r-8v (numerazione continua). Attribuiti al periodo 1522-25. Cfr. Gerber 1912-1913, pp. 11, 61-64; N. Machiavelli, Opere storiche, a cura di A. Montevecchi, C. Varotti, t. 2, 2010, pp. 787903.
Le parti dell’ed. corrispondenti ai frammenti autografi qui esaminati sono: libro II i-vii, libro II x-xiv, libro II xxvi-xxxii.
Inoltre, alcune lettere private conservate in autografo, nell’arco temporale 1503-15, sono indicate con la sigla lett. seguita dall’anno. Edizioni di riferimento: Martelli 1988, p. 293; Bausi, Saro 1991, pp. 367-89; Grazzini 1992; Bausi, Masi 1998.
Avverto che la citazione degli esempi è sempre fatta con una campionatura limitata, ma si riferisce a spogli estesi; il rinvio agli studi include la bibliografia pregressa in essi richiamata.
Il fiorentino ‘argenteo’. – M. forma le strutture della sua lingua nella Firenze del secondo Quattrocento, in un contesto caratterizzato da una profonda e sostanziale polimorfia che, da tempo delineatasi, raggiunge ora i livelli massimi. È ben noto infatti che il secondo Trecento e il Quattrocento vedono un rapido evolversi del volgare fiorentino, per una serie complessa di fattori storici e sociali (la crisi causata dalle carestie e dalla peste nera, con lo spopolamento della città e il conseguente inurbamento di ceti umili provenienti dal contado occidentale e meridionale), e culturali, legati alla naturale, libera evoluzione della lingua, e dunque al potenziamento della sua mobilità interna (Palermo 1990-1992; Manni 2008). Il fiorentino acquista caratteri che lo distinguono nel complesso nettamente da quello trecentesco, dall’uso di Dante, Petrarca, Boccaccio, tanto che si è potuto parlare di una fase evolutiva ‘argentea’, che, riverberandosi puntualmente anche a livello letterario nelle grandi esperienze della corte laurenziana (Lorenzo stesso, Pulci, Poliziano, i laurenziani minori), giunge ai primi decenni del Cinquecento. Questo contingente di innovazioni, in un gioco certamente complesso di assestamenti con i caratteri precedenti della lingua, si fa strada nella fonetica e nella morfologia del fiorentino, stabilendovisi a volte in modo definitivo (il caso in questo senso forse più illustre è l’affermazione della prima persona dell’imperf. indic. in -o: ero per era, andavo per andava). La fisionomia complessivamente diversa che il fiorentino assume verrà poi respinta a livello delle scritture dalla retroattiva normalizzazione grammaticale di Pietro Bembo (così a fatica accettata in città), ma rimarrà vitale, fino ai giorni nostri, nel toscano popolare.
La bibliografia vede allinearsi, intorno al fondamentale Manni 1979, i contributi di Gianfranco Folena (1952, e la sua edizione dei Motti e facezie del Piovano Arlotto, 1953) e di Ghino Ghinassi (1957), e l’esame di singoli autori e opere (Lorenzo studiato da Zanato 1986, Alessandra Macinghi Strozzi da Trifone 1989, Matteo Franco da Frosini nell’ed. delle Lettere del 1990, Leon Battista Alberti da Giuseppe Patota nell’ed. della Grammatichetta e altri scritti sul volgare del 1996); la definizione di fiorentino ‘argenteo’ risale a un ben noto saggio di Arrigo Castellani, Italiano e fiorentino argenteo (1967, poi in Castellani 1980, 1° vol., pp. 17-35).
La grafia. – Gli autografi di M. si dispongono sul trentennio che intercorre fra la Supplica del 1497, i frammenti delle Istorie fiorentine (1522-25) e le ultime scritture cancelleresche (1526-27), tuttavia con una grave ed estesa lacuna, che interessa gli anni 1513-26 (Ghiglieri 1969, p. 7); sono dunque decisamente proiettati nel Cinquecento, ma risentono della prassi scrittoria della Firenze tardoquattrocentesca nella quale M. si formò e della situazione di marcata fluidità grafica che essa presenta, con una libera serie di «opzioni fra tradizione volgare e orientamenti umanistici» (Manni 2008, p. 8): una situazione che puntualmente è stata osservata nelle carte machiavelliane (Ghiglieri 1969, p. 10). Studi sistematici e approfonditi hanno rilevato come, «pur esistendo un divario tra la grafia degli anni 1497/98 e quella degli anni 1526/27, non si presentano per tutto un gruppo di fenomeni periodi precisi di trapasso da una scrizione all’altra», e anzi nell’analisi particolare si può notare «che alcuni fenomeni presentano forma costante, altri direzione evolutiva, altri oscillazione senza netta prevalenza dell’una scrizione sull’altra, altri infine ritorni di consuetudini grafiche già abbandonate» (Ghiglieri 1969, pp. 12-14): specimine – dall’osservatorio grafico – di una più generale situazione di oscillazione e variabilità degli autografi sucui si avrà occasione di tornare. È il vario comporsi di queste spinte che determina il quadro grafico rilevabile in una determinata congiuntura sincronica: per es., in un momento decisivo dell’esperienza biografica e intellettuale machiavelliana, a ridosso della composizione del Principe, l’«aspetto grafico degli anni 1512-1513 presenta queste caratteristiche di maggior rilievo oppositivo: uso costante di gli davanti a vocale (come in voglia e simili); scarsa presenza dell’h superflua; uso della scrizione et come e congiuntiva» (Ghiglieri 1969, p. 68).
Dagli studi di Ghiglieri si sono ricavati alcuni fenomeni esemplari, soggetti a spinte evolutive, e si è raffrontato il comportamento di M. sia con quello di due scriventi dell’età laurenziana (Lorenzo stesso, come esempio di un autore di alta formazione culturale, di cui sono conservati in autografo pochi testi letterari della giovinezza e quindi lettere del trentennio 1461-91; Matteo Franco, scrivente di media formazione, molto attivo nel cenacolo laurenziano, di cui si hanno lettere degli anni 1474-94), sia con quello di autori grosso modo contemporanei, ma di diversa estrazione (Leonardo e Michelangelo). Rimane in ogni caso vero che il paragone sistematico andrebbe fatto in primo luogo con i sodali dell’esperienza cancelleresca, in specie Biagio Buonaccorsi (Ghiglieri 1969, p. 10; Bausi 2005, pp. 352-54).
Occlusiva velare sorda e sonora dinanzi ad a, o, u. I casi di alternanza ‹c›/‹ch›, ‹g›/‹gh›+velare, relativamente frequenti agli inizi della scrittura machiavelliana, divengono via via più sporadici, stabilizzandosi le scrizioni su ‹c› e ‹g›+velare: charnasciale/carnasciale, circha/circa, San Ghodenzo/San Godenzo ecc. (Ghiglieri 1969, pp. 40-45). Questo anche nei casi in cui la presenza di ‹h› può essere attribuita alla variabilità della flessione, ossia all’influenza delle scrizioni ‹ch›/‹gh›+palatale sulle scrizioni ‹ch›/‹gh›+velare, come estensione del paradigma grafico ( fatiche influenza faticha e simili: Ghiglieri 1969, pp. 45-111).
Dominanza di scrizioni con ‹c› negli autografi di Lorenzo e nelle lettere del Franco (Zanato 1986, pp. 81-83; M. Franco, Lettere, a cura di G. Frosini, 1990, pp. 155-56). Invece, nelle scritture giovanili di Leonardo (ante 1482), costanti ‹ch›, ‹gh› (Manni 2008, pp. 16-17). Nella lunga vicenda di Michelangelo, ‹ch› è normalmente usato fino al 1527 circa, intorno al 1527 si ha la definitiva affermazione di ‹c›; per la velare sonora, normalmente ‹g›: come in Guicciardini, il grafema ‹gh› dinanzi a vocale velare è pressoché scomparso (Bardeschi Ciulich 1973, pp. 11-45).
Interessanti i casi in cui ‹ch› corrisponde a una pronuncia intensa della velare: bocha, racholto ecc.: il nesso ‹ch› equivale in questi casi a /kk/, e si ha intercambiabilità grafica tra ‹ch› e ‹cc›, che individuano un medesimo fonema di grado intenso, mentre «il Machiavelli di regola non usa mai il nesso -cch- né davanti a vocale velare né davanti a vocale palatale» (Ghiglieri 1969, pp. 111-30). Diverso il caso della velare sonora, per la quale si rileva in determinate forme verbali (vedere, provvedere, possedere, chiedere e poche altre) una oscillazione delle scrizioni ‹gh›/‹ggh›/‹gg›+velare, anche se dalla metà del 1510 le scrizioni con ‹h› diventano l’eccezione (Ghiglieri 1969, pp. 125-30).
Nelle lettere del Franco il trigramma ‹cch› è pochissimo impiegato (anche qui semmai b(b)ocha alterna con bbocca), e situazione corrispondente si ha negli autografi di Lorenzo (M. Franco, Lettere, cit., p. 161; Zanato 1986, pp. 79-81). In Michelangelo (post 1527-30) si stabilisce una distinzione netta fra ‹c›=/k/ e ‹ch›=/kk/+velare (Bardeschi Ciulich 1973, p. 62).
L palatale, n palatale dinanzi ad a, o, u, e. La resa della laterale palatale costituisce un caso che si può considerare esemplare di alternanze e «ritorni di abitudini grafiche». Il processo diacronico è così ricostruibile (Ghiglieri 1969, pp. 138-55; e v. anche Gerber 1912-1913, p. 4):
• primi autografi › prima metà 1505: ‹gli› pressoché costante
• seconda metà 1505: oscillazione ‹gli›/‹gl›
• 1506-07-08: prevalenza di ‹gl›
• 1509-13: predominanza di ‹gli›
• dal 1517 in avanti: prevale ‹gl›.
Le possibilità alternative sono dunque ridotte a due (‹gli›/‹gl›), con scomparsa dei gruppi grafici più antichi (‹lgl›, ‹lgli›). Il fenomeno è ancora più determinato per la n palatale, che si presenta, dopo una fase di incertezza (1498-1502 circa) coerentemente resa tramite ‹gn›, con casi di ‹gni› solo sporadici (Ghiglieri 1969, pp. 180-85).
La rarefazione delle grafie ‹lgl›, ‹lgli› è chiara già nelle scritture tardoquattrocentesche (Lorenzo, Franco); per n palatale, è rarissima in Lorenzo la scrizione ‹ngn› (tuttavia ancora presente, con ‹ngni›, nel Franco, a testimonianza di una formazione più legata al passato), che si può considerare scomparsa nel secolo successivo (Zanato 1986, pp. 84-86; M. Franco, Lettere, cit., p. 159). E infatti in Michelangelo – come in M. – solo le alternative ‹gli›/‹gl›, ‹gni›/‹gn› (Bardeschi Ciulich 1973, pp. 10, 61-62).
Salda e coerente nel sistema grafico di M. la distinzione (per le parole dotte) fra la zeta di grado tenue, resa con ‹ti› (amicitia, edifitio, gratia, iuditio ecc.), e la zeta di grado forte, resa con ‹cti› (actione, factione, instructione ecc.) e anche ‹tti› (elettione, perfettione ecc.; cfr. Ghiglieri 1969, pp. 274-75). Essa riflette una precisa distinzione fonetica, indicata anche dai grammatici dell’epoca (Migliorini 1957, pp. 209-10).
Analogamente nel Franco (Lettere, cit., pp. 16162), negli autografi leonardiani del periodo milanese (Manni 2008, p. 23) e in Michelangelo (Bardeschi Ciulich 1973, pp. 127-28).
Fonomorfologia del fiorentino di Machiavelli. – Fonologia. Dittongamento di e aperta, o aperta toniche in sillaba libera. Si richiama l’attenzione su alcuni casi particolari; tra questi, la presenza del dittongo nel tipo lieva: si lievi CP 69 52r, si lievino 53r, si lievi 53v (varie volte); anche: segli lievò Favola 6v.12; ma: si levi CP 69 52v (forse scritto levii), con normale oscillazione, documentata anche nel tardo Quattrocento (Castellani Pollidori 1961; M. Franco, Lettere, cit., p. 166); il dittongo dopo suono palatale (la cui tendenza alla riduzione è attestata anche a Firenze fin dalle origini: Castellani 2009, pp. 259-66), che tende a comparire in M. in modo stabile – come segno di una lingua più sorvegliata – negli scritti dalla fine del secondo decennio del Cinquecento: sua devoti‹ssi›mi figlioli Supplica 8; suo figliolo Cater. 1, 7; Spagnoli CP 69 51r, 51v (varie volte), 52r (varie volte) ecc.; assai figlole Favola 3v.15-16; e invece: in luogo di figluolo lett. I.6 (1515); Spagnuoli Arte aut., passim; figluola Favola 3v.19, 8r.6, 8v.8, 8v.20 ecc., tre figluoli maschi 3v.21, l’altre sue figluole 5r.3; figluola Istorie aut. 3r.5, 3r.10 ecc., figluolo 7v.31.
Diverso il caso del monottongo in vòto (‹ *vogitus ‹ *vocitus), voce che si è «mantenuta intatta a Firenze dalla seconda metà del Dugento fino al Settecento» (Castellani 2009, p. 286): voti Istorie aut. 1r.8, i luoghi voti 1r.12, i paesi voti 1v.11.
Dittongo dopo consonante + r. Il fenomeno della riduzione del dittongo in questo contesto si compie nel fiorentino, per probabile influsso dei dialetti occidentali, in un lungo arco di tempo che va dal Trecento al Cinquecento. Si tratta di un fenomeno progressivo, ma non immediato, non lineare, non omogeneo. Le tendenze di fondo sono: che il dittongo in questa posizione tende a scomparire; che il dittongo uo è in linea generale più tenace e resistente di ie (Manni 1979, pp. 120-22; M. Franco, Lettere, cit., p. 167: anche se il corpus TLIO mostra una significativa emergenza del tipo prova già nella prima metà del Trecento, richiamando a una grande cautela nella valutazione di questo fenomeno, e comunque alla necessità di raffinarne il giudizio). Nelle scritture autografe di M.: forme dittongate: pruova Cater. 1, 78, no(n) truova Parole 2v.12; la si truovi Cagione 1r.2, si truova 1r.22, lo truova 1v.6, e’ si truova 2r.26, si truova Ghiribizzi 73.22; si truovi Palleschi 1r.7, si truova 1v.8; si truova Discorsi Pr. 1v.6, si truova Arte aut. 12r.8, m. Ambruogio Amidei Favola 8r.6-7, 8v.3, 10, no(n) appruovo Istorie aut. 2r.30, pruova 8r.20. Fa eccezione: prove Istorie aut. 6r.18-19 (così anche nella citata ed. delle Istorie fiorentine curata da Montevecchi e Varotti, p. 810; tuttavia la lettura non pare del tutto sicura). Senza dittongo: un breve Becchi 7, breve discorso 26, brevemente 16, 36; prego Cater. 1, 82; io vi preghi lett. IV.5 (1503); Io vi prego lett. I.1 (1505), vi prego lett. I.4 (1505); lettera breve Ghiribizzi 71.7; io ti prego lett. VI.18 (1513); breve ca(m)mino Discorsi Pr. 1v.25, breveme(n)te Istorie aut. 3r.1; i(n) breve tempo 6r.11. Fanno eccezione: vi priegho lett. IV.7 (1503); triegue Istorie aut. 3v.6.
Come si vede, il quadro oppositivo (con sparse deroghe) è piuttosto coerente: al tipo truovo con conservazione del dittongo (saldo ancora fino al secondo-terzo quarto del Cinquecento) si oppone il tipo breve, ormai monottongato.
L’evoluzione del nesso ski- in -sti- (tipo stiaccia per schiaccia): dua stiere Becchi 26; le stiene Valentino 2v.22; Stiatta Uberti Istorie aut. 3v.1; per contrario: et Maschino ‹s.re di Verona› dalla Scala Istorie aut. 8v.18; e il tipo diaccio per ghiaccio: i sangui diacciati Arte aut. 7v.4 (C [= correzione di altra mano]: ghiacciati) sono sconosciuti al fiorentino prequattrocentesco (Manni 1979, p. 123); essi sono ancora nel secondo Quattrocento piuttosto rari, e caratterizzati in senso rusticale (Manni 2008, p. 10). Non così, evidentemente, nell’età di M., in cui queste forme sono penetrate nel fiorentino di città, e non esitano a essere impiegate in opere di elevato impegno, come le Istorie fiorentine e l’Arte della guerra.
Sporadicamente presente in M. un altro fenomeno già di caratterizzazione sociolinguistica bassa nel secondo Quattrocento (Manni 2008, p. 9): il passaggio consonante+l › consonante+r in fragello ‘flagello’ Parole 1r.22, tutto il crero Favola 10v.17 (si veda anche il clero 10v.21, che potrebbe essere corretto su crero), e alcuni casi di sonorizzazione: iudighiamo Supplica 18, Pubbligata Becchi 5 (ma subito prima: pubblicata); Gastrucci Istorie aut. 8r.29 (ma altrove sempre: Castruccio).
Significativa la metatesi attestata in rispiarmo CP 69 52v; non si facci rispiarmo lett. I.5 (1514), che non si rispiarmi lett. I.8 (1514), circa el rispiarmarli lett. I.10 (1514), forma di lunga sopravvivenza – dopo la normativizzazione cinquecentesca – nel toscano popolare (il tipo rispiarmo, rispiarmare è solidamente attestato fin dalle origini in area toscana, e particolarmente fiorentina [corpus TLIO]).
L’esito iod‹r+iod si riscontra nel singolare danaio CP 69 179r, 180v, mentre al plurale solitamente danari; forme notevoli anche per la presenza di an protonico in luogo di en, secondo l’uso fiorentino tradizionale, così come in sanza, per cui non ho visto eccezioni (il corpus TLIO mostra che il primato di sanza è schiacciante nella prima metà del Trecento, ancora ben solido durante tutto il 14° sec.; la forma giunge fino a Michelangelo, Benvenuto Cellini, Guicciardini: Nuovi testi fiorentini del Dugento, 1952, p. 56).
In un caso specifico di complessa evoluzione (gli avverbi formati con aggettivi in -le, in cui l’antico fiorentino prevedeva la sincope solo nel caso in cui l’aggettivo fosse parossitono), forme sincopate e non sincopate si alternano in entrambe le categorie (avverbio su parossitono o proparossitono); ma M. mostra comunque, almeno fino al Modo che tenne il duca Valentino, una significativa sensibilità verso lo status più tradizionale della lingua, con rilevante divergenza dal comportamento degli scriventi già di tardo Quattrocento, che usano ormai soltanto le forme senza -e- (Castellani 1980, 1° vol., pp. 254-79). Esempi: universalmente et particularmente Ghiribizzi 73.16; transversal-|mente Modo Valentino 203v.12-13, p(er)sonalme(n)te 203v.15; ma: p(ar)ticulare mente Cater. 2, 24; honorevoleme(n)te Cater. 1, 80; ma: honorevolmente Arte aut. 8v.11; e poi: facilme(n)te Discorsi Pr. 1v.21, humilmente Favola 10r.11, facilme(n)te Istorie aut. 1r.7, 7v.15.
Morfologia. – Morfologia nominale. Plurale in -e dei sostantivi della 3a classe (le parte) e degli aggettivi della 2a classe (le grande spese).
Esempi: (-e) co(n) ragione [...] efficacissime Becchi 14; delle genti colonnese CP 69 51v, le deliberatione 51v, le gente vostre 53v, Delle commissione 180v; le leggie vechie Cagione 3v.2 (ma sempre armi plurale); certe trave Modo Valentino 201v.2, 500 lancie fra(n)zese 202r.13, le radice 203v.2, da q(ue)ste radice 203v.5, ad le gente sue 203v.16, delle gente di Liverotto 204r.; le leggie civile Discorsi Pr. 1r.29, co(n) arte usurarie Favola 3r.19, le grande spese 4v.18, alcune leggie vechie Istorie aut. 7r.31 (isolato rispetto a molti casi di plurale in -i).
(-i) di q(ue)lle ragioni Supplica 6; Delle genti vostre CP 69 52r, co(n) altre ragioni Pisa 2, le quali 2, p(er) q(ue)ste ragioni 27, i(n) alcune sua expeditioni Cater. 1, 4 (-i corretta su e), ecc., le mutationi Parole 1r.9, delle armi 1r.11, l’armi 2v.6, co(n) le genti (e) artiglierie Valentino 1r.19 e passim; simili patientie lett. I.7 (1505); dalle buone educationi Cagione 4r.2425, le (sua) actioni Ghiribizzi 71.13, 72.1, 73.12, le diverse operationi 73.3, ecc.; co(n) le sue gienti Modo Valentino 201r.4, le gienti sep(ar)ate 202r.12 ecc. (molti ess.); le actioni Discorsi Pr. 1r.4, le quali 1v.3, q(ue)ste mia declarationi 1v.20, ecc., le leggi Arte aut. 10r.3, con le loro legioni 12v.6, le mani 12v.9, delle sua genti 99r.14, ecc., nelle sue orationi Favola 1r.6, alle leggi 1v.16, a tutte le passioni humane 4r.11, nelle quali cose 5r.9, ecc., molte p(ar)ti Istorie aut. 1v.13, le guerre civili 2r.17, varie opinioni 2r.26 e così via.
Questo tipo di plurale analogico si fa strada a Firenze nel tardo Trecento, anche per influsso dei dialetti occidentali, in cui è dominante fin dalle origini (Manni 1979, pp. 126-27). Rimane nella disponibilità morfologica del fiorentino quattro-cinquecentesco, tuttavia spesso minoritario (come già in M. Franco, Lettere, cit., p. 190); in M. come si vede sparsamente presente, e infine in netta regressione in Discorsi Pr., Arte aut., Favola, Istorie aut., dunque soprattutto dal 1519-20 in avanti.
Palatalizzazione di -(l)li › -gli. Il fenomeno – attestato nelle forme pronominali, sostantivali, e anche nell’articolo – ha numerose attestazioni, distribuite su tutto l’arco degli autografi di M., ma sempreconcorrenziali con l’esito non palatalizzato. È uno dei tratti di provenienza esterna (probabilmente toscano-orientale) entrato con l’immigrazione contadina anche a Firenze; se ne è riscontrata una particolare diffusione nel Quattrocento (Manni 1979, pp. 124-26), pur mostrandosi talvolta una certa resistenza (per es., in M. Franco, Lettere, cit., pp. 190-91). Esempi (indipendenti dal contesto fonosintattico): quegli Supplica 9, 12; q(ue)gli Becchi 31, 50; tucti quegli cittadini Parole 1v.7, cavagli Valentino 2v.21; (e) meglo havendogli visti più volte i(n) viso ch(e) no(n) li havendo visti Cagione 2v.28-29; costante Vitegli nel Modo Valentino 201r.7 e passim, q(ue)gli di drento 201v.3, 2000 cavagli 203r.18, ecc.; et quegli Discorsi Pr. 1r.19, q(ue)gli Arte aut. 7v.6, 9r.12, a gli loro re 11v.10, q(ue)gli carichi Favola 2r.9, q(ue)gli 2r.16, 3r.7, 5v.13 ecc., cavagli 3r.14, frategli 4v.14-15, 5r.6, 6r.9, p(er) gli campi 6v.17, q(ue)gli Istorie aut. 2r.11, 2r.18, cavagli 8v.2.
Riporto a parte gli esempi della forma Machiavegli: Machiavegli Supplica sottoscr., Machiavegli Becchi sottoscr.; Machiavegli CP 69 8r; Nicholò Machiavegli lett. I.10 (1505); Lorenzo Machiavegli lett. VI.15 (1513), Niccolò Machiavegli lett. VI.24; Nicolò Machiavegli lett. VII.27 (1513); Niccolò Machiavegli in Firenze lett. I.14 (1515); Nicholò Machiavegli loro secretario Modo Valentino 201v.15-16.
Forme dell’articolo determinativo: il/el, i/e. Il controllo sugli autografi sottoposti a spoglio mostra come dalla Supplica al Modo che tenne il duca Valentino (e dunque dal 1497 al 1514-17) prevalgano i tipi el/ e, ossia le forme di importazione (occidentale e meridionale), che si erano gradualmente diffuse a Firenze nel corso del Quattrocento, rimanendo tuttavia fino al pieno secolo nettamente minoritarie (il, i prevalgono nelle scritture giovanili di Leonardo: Picecchi 2011-2012, p. 227, e il è attestato nelle lettere del Franco in maniera quasi paritaria rispetto a el, mentre e supera di gran lunga i: M. Franco, Lettere, cit., pp. 164, 191-92; in generale Manni 1979, pp. 128-29). Nella produzione autografa di questi quindici-venti anni M. si mostra quindi sensibile e ricettivo verso la morfologia innovativa dell’articolo. Ancora nel proemio dei Discorsi: el fine 1r.9 (non sicuro el mondo 1v.8; ma si colgono le emergenze di il: il che 1r.14, 1v.7, il cielo, il sole 1v.14.); ‹e quali› 1r.3, da e regni et rep(ubli)ch(e) antiq(ue): da e re 1r.21, e cittadini 1r.27, e medici 1v.3, e lloro iuditii 1v.4, e regni 1v.5, e subditi 1v.6. Poi la situazione cambia, in modo molto netto: e nell’Arte aut., nella Favola (1519-1520), nelle Istorie aut. (1522-25) il/i sono assolutamente dominanti.
È vero che nei testi del primo periodo l’alternanza avviene a stretto contatto: per es., nel Modo Valentino: el duca 203r.7 convive a distanza di poche parole con Donde ch(e) il duca 203r.8, e dunque forme diverse coesistono, quasi segno plastico della polimorfia del sistema linguistico; ed è vero anche che nelle Istorie aut. riemergono esempi di e: e iudicii 6r.12, ire ad e Signori 6v.3; ma si tratta di una assoluta eccezionalità in un quadro ben altrimenti definito di stabilità dei tipi il/i (le forme sono centinaia). Risulta perciò confermato in maniera inequivocabile il quadro indicato già da Adolf Gerber (1912-1913, p. 4), e quindi da Franceschini (in Cultura e scrittura di Machiavelli, 1998, pp. 371-73), e più volte richiamato (per es., Stoppelli 2005, p. 31), come uno dei casi più interessanti di evoluzione della morfologia machiavelliana: evoluzione che certamente ci fu, verso il recupero delle forme classiche dell’articolo, ma è da ricondurre comunque nel quadro di quella polimorfia e sopravvivenza della tradizione che abbiamo visto attive anche nei decenni di massima espansione delle forme nuove.
Nell’impossibilità di riportare un quadro complessivo degli esempi, si presenta la situazione delle alternanze nel Modo Valentino, e lo spoglio della Favola.
el/il Modo Valentino: el duca (Valentino) 201r.1, 201r.8, 20, 202r.9 ecc., el suo dominio 201r.6, el cardinale 201r.11, el comune inimico 201r.19, el castellano 201r.24, el po(n)te 201v.3, el duca vechio 201v.6, el partito 201v.13, el quale 201v.17 (forse quele), el re di Fra(n)cia 201v.22, el mestiere 201v.23, el ducato d’Urbino 202r.21, el nimico 202v.3, el disegno 203r.10, el fare del giorno 203r.18, el fiume 203v.9 ecc.; p(er) il duca 201r.23, 203r.8, 203v.15, 204r.29, il castellano 202v.17, il tirare 203v.5;
e/i Modo Valentino: e Vitegli 201r.7, 201v.14, e Bentivogli 201r.17, 202r.18, e fiorentini 201r.17, 201v.14, e quali 201r.24, 201v.8, 201v.22, 203r.10, e co(n)giurati 201v.2, e soldati sua 201v.19, e nimici 201v.24, e p(ro)vedime(n)ti 202r.10, e luoghi 202r.12, e mo(n)ti 203v.2, 203v.9 ecc.; i(n)tra i quali 201r.21 (lettura non sicura).
il Favola: il quale 1v.18, 2v.12, 3v.20, 9r.9, il modo 2r.11, il ch(e) 4r.15, 4v.12, il marito 4v.6, il suocero 4v.14, il parentado 4v.15, il grande amore 4v.16, il suo Roderigo 5r.17, il tempo 6r.18, il romore 6v.8, 6v.13, 7v.9, il paese 6v.19, il modo co(n) il quale 7v.18, il male 8r.15, il partito 8v.10, il Re 9r.8, 9r.20, 9v.19, 10r.6, 11r.14, il benificio 10r.13, il crero (‘clero’) 10v.17, il palco 10v.18, 11r.16, 11v.18, il clero 10v.21 (clero potrebbe essere corretto su crero), il bel pensiero 11v.7, il ce[n]no 11v.14, il cappello 11v.14, il nome 12r.6, il diavolo 12r.19; i Favola: i quali 2v.21, 5v.14, 6v.9, 7r.9, 8r.20, 11r.9, i carichi 3r.4, i frategli Favola 4v.15, i tempi 5v.3, i creditori 6r.15, 6v.8, a i magistrati 6v.9, i cursori 6v.10, a i buoi 7r.7, a i suoi aversarii 7r.14, i suoi perseguitatori 7v.2, i parenti 8r.3, 8r.9, i peccati 8r.19, i remedi 8v.5, tucti i tuoi baroni 10v.16, tutti i tuoi pri(n)cipi et baroni 10v.22.
Il sistema dei possessivi. Costituisce un caso interessante (segnalato già da Gerber 1912-1913, p. 4). Delle due possibilità francamente eversive rispetto alla tradizione che presenta la morfologia ‘argentea’, dovute a processi di evoluzione interna, il sistema di mie, tuo, suo invariabili e di mia, tua, sua plurali maschili e femminili (Manni 1979, pp. 131-35), M. sembra cogliere solo la seconda (a differenza di quanto accade in uno scrivente di una generazione grosso modo anteriore, e quindi di età pienamente laurenziana, come Matteo Franco, o in Alessandra Macinghi Strozzi: M. Franco, Lettere, cit., pp. 19798; meno in Poliziano; è indubbiamente la serie più forte, di lunga sopravvivenza nel toscano popolare).
Esempi: sua devoti‹ssi›mi figlioli Supplica 8, le sua p(re)dich(e) Becchi 11, e sua seguaci 15, 26, le sua bugie 53; alcune sua expeditioni Cater. 1, 4, per li meriti sua 27, e (?) mia meriti a’ suoi meriti 42, le sua terre Valentino 1r.26; le sua actioni Ghiribizzi 73.12; mia lettere lett. VI.2 (1513); le cose mia lett. I.6 (1515); e soldati sua Modo Valentino 201v.19, gli amici sua 202v.4, le sua genti 202v.5, 204r.1, ad octo sua 203r.10, le genti sua 203r.17; q(ue)ste mia fatiche Discorsi Pr. 1r.9, q(ue)ste mia declarationi 1v.20; q(ue)sti mia amici Arte aut. 7r.17 (C: miei), le mia ragioni 9r.10 (C: mie), I mia romani 12r.16 (C: miei), delle sua genti 99r.14 (non corretto da C), delle sua legioni 99v. 18 (non corretto da C), di sua masnade Favola 3r.14, tutte le sua facultà 3v.6, alle cose sua 5v.13, di sua mercata(n)tie 6r.12, sua cerimonie 8v.12, le mia mani 10r.19, nelle tua forze 10v.12, delle sua actioni 12r.14, le forze sua Istorie aut. 3v.9, delle actioni sua 8r.3.
Sempre però con una forte concorrenzialità interna, che non vede mai, su tutto l’arco delle scritture autografe, la scomparsa delle forme tradizionali (in specie dei maschili miei, tuoi, suoi, a differenza di quanto accade, ad es., in Franco).
Esempi indicativi: degli adversarii suoi Becchi 49, e suoi morsi 52; co’ suoi agenti Cater. 1, 15, suoi meriti 36, gli exerciti suoi Parole 2v.25, q(ue)sti suoi inimici Valentino 1r.8, e suoi capi 1v.3, a’ nimici suoi 1v.13, ecc.; e suoi exerciti Ghiribizzi 72.4, e disegni suoi 72.15 ecc.; nelle mie lettere lett. I.28 (1514); a’ tuoi piaceri lett. I.6 (1515); q(ue)sti suoi nuovi inimici Modo Valentino 201v.17, e p(ro)vedime(n)ti suoi 202r.10, a’ suoi inimici 202r.14 ecc.; ai suoi nimici Arte aut. 9r.1, i suoi subditi /o/ suoi cittadini 9v.9-10, i suoi poderi 10v.1, i suoi lavoratori 10v.2, i suoi campi 10v.7 ecc., nelle sue orationi Favola 1r.6, dilettissimi miei 1v.9, i suoi sup(er)iori 3r.3, i suoi danari 3r.19, l’altre sue figluole 5r.3, de’ suoi nimici 7r.9, i suoi aversarii 7r.14, i suoi perseguitatori 7v.2, i tuoi baroni 10v.17 ecc., i mercati suoi Istorie aut. 1v.21, delle sue mani 7v.16, de’ suoi cattivi co(n)sigli 7v.24.
Nella morfologia nominale, con riferimento a tratti caratterizzanti del fiorentino quattro-cinquecentesco, si è dunque osservato nelle scritture di M. che: il plurale in -e è minoritario; la palatalizzazione di -(l)li in -gli è concorrenziale rispetto all’esito non palatalizzato; le forme dell’articolo determinativo el, e alternano in una prima fase con il, i, per poi lasciare il posto alle forme classiche; il sistema dei possessivi recepisce una sola tipologia di innovazione, e con forte concorrenza interna. Tuttavia, la qualificazione saldamente ‘argentea’ anche della morfologia del nome è assicurata poi da una sottile e fitta tramatura di altri fenomeni, attestati su tutto l’arco degli autografi: l’uso dei pronomi lui, loro in funzione di soggetto (Motti e facezie del Piovano Arlotto, cit., p. 369; Ghinassi 1957, p. 28; M. Franco, Lettere, cit., p. 193): ch(e) lui pensassi Valentino 2r.16; trova(n)dosi maxime lui armato Cagione 1v.23-25; Bastivi che lui dice lett. VII.25 (1513); credessi lui essere q(ue)llo Favola 7v.22; loro ha(n)no ad riconoscere Cagione 3v.14; loro p(ro)messono Modo Valentino 202r.21; la riduzione -que › -che in congiunzioni e indefiniti (Manni 1979, pp. 130-31, tipo di impronta occidentale, già affermato nel Quattrocento): Adu(n)ch(e) Supplica 5, 14, adunch(e) Becchi 11, 21; addu(n)ch(e) Pisa 28, du(n)ch(e) Cater. 1, 8; qualu(n)ch(e) .S.ria Istorie aut. 5v.30;
l’affollato sistema dei numerali, con la forma dua masch. e femm., solidamente attestata in tutte le scritture esaminate (Manni 1979, pp. 135-37, a riscontro M. Franco, Lettere, cit., p. 198; per M. già Gerber 1912-1913, p. 4): dua cose Parole 1r.14, dua mesi 1r.16, 1r.22, di dua /o/ di tre città 2r.8; i(n) dua modi Modo Valentino 201v.22, dua di loro 203r.13, dua città 203r.25, dua migla 203v.4; dua pensieri Arte aut. 8r.10 (C: due), dua capi 8v.7 (C: due), dua cose 9v.6 (C: due), dua ragioni 109v.21 (C: due), dua vescovi Favola 11r.19, /o/ dua /o/ 3 Istorie aut. 7r.28, dua mesi 7v.1, dua co(n)sigli 8r.32 ecc. (molti ess. nei vari testi), ma anche, per il masch., dui: dui rectori forestieri Istorie aut. 3v.23 e soprattutto duoi: duoi Supplica 1 (non sicuro), duoi buoi Istorie aut. 4v.1 (incerto; così anche nell’ed. di Montevecchi e Varotti, 2010, p. 804), duoi a(n)ni Istorie aut. 5r.20, duoi mesi 5r.30, duoi di loro 6v.24: si tratta di forme specialmente cinquecentesche (Manni 1979, p. 135 nota 4), sulle quali M. si rivela dunque ben aggiornato. Il più antico due è invece assai raro: due Becchi 1 (non sicuro); queste due cose Parole 1r.7;
la fitta serie delle congiunzioni, preposizioni, avverbi, per i quali influenze esterne e fenomeni di evoluzione interna al fiorentino determinano un assetto profondamente diverso rispetto a quello classico (Manni 1979, pp. 166-69): manco: mancho Supplica 14; CP 69 52v, no(n)dima(n)cho Cater. 1, 43; manco Palleschi 2r.12, Modo Valentino 202r.15, 203r.6; Discorsi Pr. 1r.4, 1v.4, 1v.23, ma(n)co Favola 2r.5, no(n) dimanco 4r.3 (notevole, invece, nei più tardi anni: no(n) di meno Favola 1v.13, 2v.13, no(n)dimeno Istorie aut. 1v.4, 2v.16, 7v.29 ecc.); fuora: da e Colonnesi in fuora CP 69 10r, fuora di sé 53r, da la cittadella i(n) fuora Valentino 1r.18, 2r.21, 2r.25; di Firenze o di fuora lett. I.21 (1514); fuora dello alloggiamento Modo Valentino 204r.15; fuora di sua volontà Arte aut. 11r.2, fuora di p(ro)posito Arte aut. 100r.16, trasse fuora Istorie aut. 6r.2, (di) fuora 7r.16, 7v.4, 8r.5, 8r.25, 8v.23 (ma: fuori Favola 4r.18);
drento: Cater. 2, 20, Valentino 2r.23; Modo Valentino 201v.4, 203r.15; Istorie aut. 7r.14, 8v.22 (ma anche: dentro Istorie aut. 8r.6);
tipo drieto/dreto, indreto: p(er) lo addrieto Parole 2r.4; drieto Favola 6v.12; e: i(n)dreto Becchi 10, 1819, indreto CP 69 52r, dreto CP 69 52v, i(n)dreto (?) Parole 1r.16, 1r.23; i(n)dreto Cagione 1r.5, 19; per l’adreto lett. I.2 (1515) (e anche: drietro Favola 3r.9, p(er) lo adrietro Favola 9v.20; ma: dietro Arte aut. 100r.7, p(er) lo adietro Favola 2v.10-11, i(n)dietro Favola 4r.7); in su: in su lo ’mborsare lett. VII.11 (1513); i(n) sul ponte Modo Valentino 201v.4, i(n) su l’oferta Modo Valentino 201v.20, i(n) sul Metauro Modo Valentino 203r.19, 21, i(n) su la riva Modo Valentino 203r.25 ecc.; i(n) sul palco Favola 11r.18, i(n) sul poggio Istorie aut. 2r.2, i(n) sul Ceruglio 8v.2.
È certo il settore della morfologia verbale quello più compatto e importante. Nelle scritture autografe spogliate si ritrovano praticamente tutte le categorie morfoverbali individuate da Paola Manni come proprie del sistema fiorentino ‘argenteo’: categorie che formano un insieme così potentemente innovativo rispetto alla tradizione trecentesca da conferire al volgare cittadino del Quattro-Cinquecento la sua propria specificità. Insomma, il sistema ‘argenteo’ si riconosce e si qualifica innanzitutto come sistema morfoverbale; e la lingua di M. vi aderisce in modo pieno. Questa adesione è tale, che permane anche nelle ultime Istorie aut., dove la morfologia nominale ‘argentea’ appare in regresso (si veda il caso degli articoli, o dei possessivi) e invece quella verbale è solida.
Iniziando dai temi (Manni 1979, pp. 139-44): il tipo sete per siete (prudente sete Becchi 54; voi sete stati Parole 1v.15; voi sete vissuti Cagione 1r.14; voi sete ofitioso lett. VII.23 - 1513); il tipo missi (e messi) per misi (p(ro)misse Modo Valentino 202r.18, p(ro)messono 202r.21, co(m)misse 203r.11; co(m)misse Arte aut. 100r.8, si misse Favola 6v.20, promisse 8v.7, messe Istorie aut. 3v.2, p(er)misse 6r.23); il futuro e condizionale arò, arei per avrò, avrei: forma diffusissima, estranea al fiorentino antico, e di provenienza occidentale (harete deliberato CP 69 52r, e’ no(n) harà Parole 2r.13, egli harà 2r.16; harete facto lett. IV.4 (1503); harò lett. I.5 (1515); harete Cagione 1r.4; io harò Arte aut. 7v.10 [senza intervento di C], harai Favola 10v.13; harebbono Becchi 43; harebbe CP 69 179v ecc.; harei saputo Cater. 1, 81; harebbe Ghiribizzi 73.20, 74.3; harebbono Modo Valentino 204v.1; harebbe Arte aut. 10v.6, 8, 19, 20, Favola 8r.2; hareno ‘avremo’ Favola 10v.11); il tipo – anch’esso di provenienza occidentale – fussi per fossi, assolutamente dominante, a proposito del quale credo di aver visto un’unica emergenza contraria: fosse Istorie aut. 5v.17 ( fussi Becchi 5, 13, fussino 15, CP 69 52v, fussi 51r [più volte], 52v ecc.; io fussi Cater. 2, 6, fussi Valentino 1r.12; fussi Cagione 3v.4; fussi Palleschi 1r.15; fussi lett. I.23 (1514); fussi Modo Valentino 201v.9, 11, 202r.7 ecc.; io fussi Arte aut. 7r.1 [C: fossi], fussi Arte aut. 109v.4 [C: fusse], Favola 1v.4, 2v.19 ecc., fussero Istorie aut. 1v.21, 2r.3, fusse 2r.27 ecc.).
Quanto alle desinenze, elenco alcuni casi ben noti, solidamente attestati negli autografi machiavelliani:
la 1a persona singolare dell’imperfetto indicativo in -o, desinenza analogica sul presente indicativo (Manni 1979, pp. 146-48): io mi p(er)suadevo Cater. 2, 9; Io dicevo lett. VII.16 (1513); io me la havevo presupposta Arte aut. 9r.19-20 (C: haveva); la 3a persona singolare e la 3a persona plurale del congiuntivo presente in -i, -ino (Manni 1979, pp. 156-59), dovute – al pari della categoria seguente – a forti spinte analogiche del paradigma verbale: dei molti esempi, cito i primi e gli ultimi: vadi CP 65 28r, 118r, habbi CP 69 51, 69 52v, 69 118r (e molte altre volte); facci Arte aut. 7v.1 (C: faccia) (forme contrarie: che si faccia CP 69 52r, habbia CP 69 118r; cosa che si habbia ad fare lett. VI.12). Per la 3a plurale: temino Becchi 54; tolghinsi CP 69 10r, tenghino CP 69 51r, nuochino CP 69 51r, habbino CP 69 51r, 118r, et faccinsi venire CP 69 53r, vadino CP 69 53r, 179r ecc., si tolghino CP 69 53r; constri(n)ghino Arte aut. 7v.6 (C: -ghano), faccino Arte aut. 8r.3 (C: facciano), possino Arte aut. 8r.9 (C: possano), sappino Arte aut. 9r.14 (non corretto da C); la 3a persona singolare e la 3a persona plurale del congiuntivo imperfetto in -i, -ino (Manni 1979, pp. 159-61): moltissimi esempi con emergenze contrarie appena rilevabili (rincorasseno CP 69 53r; fusse Istorie aut. 2r.27, seguisse Istorie aut. 8r.22). Cito gli esempi di Arte aut. e Favola: (3a singolare) vi si potessi Arte aut. 8v.4 (C: potesse), si vedessi 8v.19 (C: vedesse), si facessi 9r.21 (C: facesse), sperassi 10r.16 (C: sperasse) ecc.; fussi Favola 1v.4, 2v.8, 2v.19, 4r.1, 2 ecc., si mandassi 2r.21, 2v.5, conoscessi 2r.22-2v.1, prehendessi 2v.7, dichiarassi 2v.9, cadessi 2v.11, piglassi 2v.12-13, se ne liberassi 3r.12, exercitassi 3r.19, abu(n)dassi 3v.13, sup(er)assi 5r.18 ecc.; (3a plurale) usassino Arte aut. 9v.10 (C: usassono), tenessino 10v.16 (C: tenessono) ecc.; fussino Favola 2v.20, potessino 3v.2, 5v.9, facessino 7v.3. Fra le tipologie desinenziali che appaiono di particolare interesse segnalo quelle che seguono: la 3a persona plurale del presente indicativo: -ono per la 1a classe, -ano per le altre classi (Manni 1979, pp. 144-45; Manni 2008, p. 21). Si hanno esempi di -ono in vari autografi machiavelliani (Supplica, Becchi, CP, Parole, lett., Cagione, Ghiribizzi, Palleschi, Modo Valentino, Discorsi Pr., Arte aut., Favola, Istorie aut.), sempre come alternativa alla desinenza etimologica. Cito i casi in cui questa coesistenza di varianti alternative è di strettissima vicinanza: e tristi mancono et e buoni multiplicano Becchi 36; le cose [...] si mutano spesso, et li huomini non mutono le loro fantasie Ghiribizzi 73.16-17; e alcuni esempi di alternanza nel medesimo testo: si honorono Favola 5r.15, ma: si travaglano Favola 6r.6, atraversano 6v.19; abbo(n)dono Istorie aut. 1r.26, 27, chiamono 2v.2, ma: ma(n)cano Istorie aut. 1r.26, 27, habitano 2r.13. Le varianti appaiono dunque a M. intercambiabili, e coesistono in testi di diversificato livello: segno che si tratta di opzioni dinamiche, interne e coerenti al sistema, una delle quali (-ono) è ormai svincolata da una marcatura sociolinguistica di stampo popolare, che poteva avere ancora al momento della sua diffusione nel fiorentino di città.
I seguenti esempi di desinenza -ano in classi diverse dalla 1a mi paiono casi di presente indicativo: no(n) discernano Becchi 33; ma(n)tengano Parole 1r.7 (ma subito prima: co(n)ducono 1r.6); come vi commettano e Dieci lett. I.2 (1505); si riempiano Istorie aut. 1v.11.
Una parallela situazione di alternanza si ha per la desinenza della 3a persona plurale dell’imperfetto indicativo: l’esito -ono (influenzato dalla desinenza del presente indicativo e dall’uscita in -o della 1a persona singolare dell’imperfetto: Manni 1979, pp. 148-49; anche M. Franco, Lettere, cit., pp. 201-02) è ben presente negli autografi machiavelliani (anche nella forma di ‘essere’ erono). Presento alcuni spogli a confronto dagli autografi più tardi: andavono Arte aut. 8v.2 (C: andavano), havevono 8v.9 (C: havevano), usavono 9r.8 (C: usavano), si ritiravono 109v.13; ma: erano 9v.18, 10r.12, 10v.2, tornavano 10r.11, deponevano 10r.13, piglavano 10r.13, havevano 10r.15, andavano 12v.5 ecc. (è prevalente -ano); da notare vicinissimi: et dicevano ch(e) andavono 110r.18 (C: corr. andavano);
si dolevono Favola 1r.10, andavono 11v.17; ma: morivano 1r.9, havevano 1r.14-15, 3v.15, davano 1r.17, erano 2r.20, 3v.22, 5r.19, 5v.7, 8r.14, offerivano 3v.16, nascevano 5v.10, seguitavano 7r.10, trovavano 10r.1, temevano 10r.2; potevono Istorie aut. 1r.7, chiamavono 1r.9, rendevono 1r.10, si ma(n)tenevono 1r.12, nascevono 1v.16, crescevono 1v.17, volevono 2r.18-19, ma(n)davono 4v.3, traevono 4v.4, co(n)ducevono 4v.5, co(n)segnavono 4v.5, ecc.; ma: erano 1r.14, 2r.30, 3r.2 ecc., si chiamavano 2r.31, habitavano 3v.4, si q(ui)etavano […] si acce(n)devano 3v.7, tenevano 4v.4, appiccavano 4v.6, co(n)ducevano 4v.8 ecc.: nelle Istorie aut. le desinenze -ono e -ano coesistono.
Notevoli gli esiti del tipo avieno, aveno (che si affacciano già in epoca antica nel fiorentino: Rohlfs 1966-1969, § 550, Grammatica dell’italiano antico, 2010, pp. 1437-38), attestati da Cater. a Istorie aut.: eglino havieno mosso l’armi Modo Valentino 202r.5; havieno Istorie aut. 3v.18; se rendeno Cater. 2, 18; cittadini ch(e) haveno prima poco stimato Parole 2v.17; dove haveno facto testa Modo Valentino 202r.1, haveno lasciato 203v.17; viveno Istorie aut. 2v.12; haveno in Istorie aut. 6v.20 può essere di lettura leggermente dubbia (l’ed. curata da Montevecchi e Varotti, 2010, p. 811, legge avieno).
Largamente presenti le desinenze della 3a persona plurale -orono, -orno nei perfetti deboli dei verbi della 1a classe (con estensione alla 3a, 4a classe e al verbo ‘essere’); -ono nei perfetti forti (mentre -eno è ormai isolata). Si conferma in M. una situazione di rilevante polimorfia (Grammatica dell’italiano antico, 2010, pp. 1443-44), nota nel fiorentino quattro-cinquecentesco, e dovuta al sommarsi di spinte analogiche e influenze toscano-occidentali (Manni 1979, pp. 151-54; per M. già Gerber 1912-1913, p. 4). Emerge dagli esempi come nei primi due decenni del secolo (da Valentino a Favola) -orno prevalga su -orono, mentre la forma non sincopata è propria delle Istorie fiorentine.
Esempi: consiglorono CP 65 28r, approvorno CP 69 99r, furno Cater. 1, 61, Parole 1r.8, Credernolo Parole 1v.7, comi(n)ciorno Valentino 2v.8; edificorno Ghiribizzi 72.12; deliberorno Modo Valentino 201r.16, ma(n)dorno 201r.18, 201v.11, appostorno 201v.1, saltorno 201v.4, pensorno 201v.9, adherirno loro, ma ma(n)dorno 201v.15, 202r.8, furno 202r.2 ecc. (molti esempi); si ragunorno Arte aut. 8v.1 (C: ragunarono), si chiamorno 8v.2 (C: si chiamarono), furno 9v.6, 15 (C: furono), acq(ui)storno 9v.16, 18 (C: acq(ui)starono), usorno 9v.22 (C: usarono), s’indirizorno Favola 2v.5-6, deliberorno 2v.8, se ne tornorno 7v.7, passorno 8r.5, mancorno 8r.9, dive(n)torono Istorie aut. 2r.6, multiplicorono 2r.6-7, signoreggiorono 2v.12, comi(n)ciorono 2v.19, cacciorono 3v.11, pensorono 3v.18, op(er)orono 3v.19, tornorono et pacificoro(n)si 3v.19 ecc. (molti ess.). Da notare: stierono ‘stettero’ Istorie aut. 5v.11.
Desinenza -ono nei perfetti forti: feciono Becchi 47; vollono Cater. 1, 22, credettono Parole 1v.6, feciono 2v.16, corsono 2v.20, viddono 2v.29, feciono Valentino 1r.7, si mossono 1r.15-16, ve(n)nono 1r.17, 2v.9, 2v.18; disfeciono Ghiribizzi 72.11, apersono 73.32; feciono Modo Valentino 201r.10, 201v.10, 201v.24-202r.1, co(n)ve(n)nono 201r.11, p(re)sono 201r.21, 24, ve(n)nono 202r.1 ecc. (molti ess.); hebbono Arte aut. 8v.6 (non corretto da C), presono 9v.20
(C: presero), p(er)messono 12r18 (C: p(er)messero), elessono Favola 5v.15, si ristri(n)sono 6r.15-16, co(n)clusono 6r.19, si missono 6v.11, sopradgiu(n)sono 7v.2, trassono 7v.4, dettono 11v.16, ve(n)nono 11v.17, co(n)corsono Istorie aut. 1v.5, 1v.8, feciono 1v.9, 2v.17, Sursono 2r.17, si divisono 2r.21, posono 2r.22 ecc. (frequentissima).
Desinenza -eno: si ristri(n)seno Istorie aut. 4r.18. Infine, la 1a persona plurale in -no anziché in -mo, qui attestata nel futuro indicativo: noi potreno fare CP 69 180v, examinereno Pisa 6, noi ricorrereno Parole 2v.7; a distanza di tempo riemerge in: vi i(n)terrompereno Arte aut. 7r.20 (corretto da C: -emo; ma G [la stampa giuntina del 1521]: -eno, caso esemplare di variabilità morfologica e compresenza di opzioni diverse e contestualmente disponibili); la vostra maestà et io hareno Favola 10v.11. Si tratta di un tipo molto antico, che progressivamente risale nel corso del Quattrocento da un livello marcatamente popolare (molti esempi nelle lettere di Alessandra Macinghi Strozzi, nessuno negli autografi laurenziani o nelle lettere del Franco) a uno medio (Manni 1979, pp. 161-62; Manni 2008, p. 10).
Questa esemplificazione non esaurisce certamente il ventaglio ricchissimo della morfologia verbale, nella quale si segnalano altri tratti di rilievo (per es., la 1a persona plurale del perfetto con m desinenziale scempia: Manni 1979, pp. 149-51; M. Franco, Lettere, cit., p. 202; la 2a persona plurale coincidente con la 2a singolare: Manni 1979, pp. 163-64; la polimorfia del condizionale, anche in -ia, -è, -ebbono: Manni 1979, pp. 155-56; M. Franco, Lettere, cit., pp. 203-04), congrui con la fase ‘argentea’. Così come nella sintassi si rileva l’omissione di che pronome relativo e congiunzione, tratto ben diffuso nei testi fiorentini quattro-cinquecenteschi che, con molti altri fenomeni (il che ‘polivalente’; le dislocazioni a sinistra, le concordanze ad sensum e le sconcordanze, i periodi ipotetici ‘misti’, la paraipotassi, le costruzioni dilemmatiche e parallele, le escursioni lessicali dai latinismi crudi alle formulazioni sentenziose e proverbiali), contribuisce a definire l’infinita ricchezza e varietà, la forza e l’efficacia del dettato machiavelliano, dalle prime prove delle Consulte e Pratiche al Modo che tenne il duca Valentino alle grandi opere successive (Scavuzzo 2003, pp. 9-20).
Autografi, autografi corretti, non autografi. – La frequente variabilità che si è potuta rilevare induce a grande cautela nel ragionare a proposito della lingua di M. in termini semplicemente evolutivi (come peraltro aveva già notato Ghiglieri a proposito della grafia): bisognerà invece ammettere un elevato grado di compresenza di fattori dinamici interni al sistema della scrittura autografa, che possono variamente combinarsi su oscillazioni, ritorni e, naturalmente, anche cambiamenti più netti. Fattori dinamici, appunto: ossia elementi della tradizione classica del fiorentino ed elementi più recenti, evolutivi di quella lingua, che, come tutte le lingue naturali, era andata cambiando, e profondamente: elementi non di rado di provenienza esogena, ma infine integrati nel comune tessuto, e che anzi avevano finito per perdere la connotazione marcatamente ‘popolare’ con cui alcuni di essi si erano presentati, entrando liberamente nel circuito delle scritture, anche di elevata letterarietà, così che testi cancellereschi e letterari, argomentativi e teatrali potevano stringersi nella condivisione di tratti fonomorfologici e anche sintattici di rilievo. A questo indice di variabilità linguistica degli autografi gli studi guardano ormai con attenzione (da Vàrvaro 1985 a Beltrami 2010; e v. anche Frosini 2012), riconoscendo l’uso dell’autore «oscillante in molti dettagli, come quello dei manoscritti» (Beltrami 2010, p. 177), e insomma le scritture autografe meno regolari, meno intimamente coerenti, meno stabili di quanto si potrebbe pensare.
La variabilità linguistica dell’autografo è naturalmente cosa distinta dalla pratica della correzione dell’autore sul proprio testo. Il problema si pone per M., com’è noto, in particolare per l’Arte della guerra, l’unica delle opere pubblicate quando l’autore era ancora in vita (in Firenze per li Heredi di Philippo di Giunta, 16 ag. 1521: G). Dell’Arte della guerra si conserva un’ampia parte autografa (qui: Arte aut.), che contiene varianti d’autore, e che fu sottoposta anche a una revisione esterna, con correzioni (C) certamente di altra mano (Ghiglieri 1969, pp. 329-32; G. Masi, in N. Machiavelli, L’Arte della guerra. Scritti politici minori, a cura di J.-J. Marchand, D. Fachard, G. Masi, 2001, pp. 344-50). Ancora da Paolo Ghiglieri e Giorgio Masi sono stati rilevati due punti fondamentali: le correzioni di C non hanno inciso sui successivi interventi di M. sulle sue proprie carte; le correzioni di C sono riportate a testo da G (con poche eccezioni). Esaminando sotto un’ottica linguistica gli apparati forniti da Masi (in N. Machiavelli, L’Arte della guerra. Scritti politici minori, cit., pp. 339-49) degli interventi autografi di M. e delle correzioni di C, emerge con chiarezza che: le varianti d’autore di prima fase non intaccano mai il tessuto fonomorfologico della lingua e nemmeno la superficie grafica (si tratta di interventi su scorsi di penna, o lezioni sostitutive; ci sarebbe un solo caso, ma è incerto, perché la lettura non è sicura: IV 139 priega] scritto sopra altre lettere cassate: prega q-). Quando corregge, M. corregge all’interno del suo sistema linguistico: è sovranamente coerente con sé stesso. All’opposto, gli interventi di C incidono sulla sostanza fonomorfologica del sistema linguistico ‘argenteo’ (nei settori dei plurali in -e, dei possessivi, dei numerali, nell’intero sistema della morfologia verbale ecc.), riportandolo a una maggiore aderenza al fiorentino classico. Gli interventi autografi di M. riconosciuti posteriori a C riguardano solo la sostanza del testo (aggiunte/cancellature), non la lingua: M. non segue la veste formale di C, ma la sua propria abitudine. In questo modo, il ms. Banco Rari 29 dell’Arte della guerra viene a essere testimone di due sistemi linguistici diversi, che conserva affrontati, fianco a fianco, come due sistemi opzionali (e l’opzione fu in effetti esercitata da G).
È noto che le opere principali di M. non sono conservate in autografo; esse rimangono perciò escluse da questo esame, che ha per oggetto gli scritti di mano del Segretario. Tuttavia, non si potrà fare a meno di notare come varie di esse siano trasmesse in testimonianze cronologicamente e geograficamente prossime (o vicinissime) agli originali: il codice-base assunto nell’ed. Inglese (1994) del Principe è il ms. di Monaco, Universitätsbibliothek, 4° cod. ms. 787, fiorentino, del primo quarto del Cinquecento (per l’ed. Martelli del 2006, invece, è il codice Laurenziano Pluteo XLIV 32, di mano di Biagio Buonaccorsi, ancora del primo quarto del secolo [anzi, secondo Inglese, nella nuova ed. del 2013, p. VI, addirittura da datare «circa il 1515»]); il testimone di riferimento dei Discorsi e unico completo (ed. Inglese del 1984; ed. Bausi del 2001) è l’Harley 3533 della British Library di Londra, della prima metà del Cinquecento, copiato da un fiorentino; il solo ms. noto della Mandragola (ed. Ridolfi del 1965; Stoppelli 2005) è il Laurenziano Redi 129, datato 1520; l’edizione delle Istorie fiorentine (in Opere storiche, a cura di A. Montevecchi, C. Varotti, 2010) si fonda linguisticamente sul codice della Biblioteca nazionale centrale di Firenze, Magliabechiano II III 64, datato al 1525-26 e copiato dal fiorentino Lodovico Bonaccorsi per Paolo Vettori. Certamente, i codici della tradizione non testimoniano a rigore se non le abitudini linguistiche dei copisti che li hanno esemplati, e ci restituiscono dunque la facies con la quale le opere di M. vennero lette e furono diffuse da Firenze negli anni successivi alla loro composizione. Tuttavia, è pur sempre vero che per esse non si verifica fra produzione e tradizione quello scarto geografico né quella differenza cronologica ampia che si registra in tanti altri casi: Biagio Buonaccorsi, il frater Blasius talmente sodale con il M. della cancelleria da poter apparire interscambiabile nella redazione delle Consulte, il copista definito «colto» da Domenico De Robertis dell’unico manoscritto della Mandragola, Francesco Baroncini che nell’ottobre 1520 copia la Vita di Castruccio nel cod. Palatino 537 della Nazionale di Firenze, gli altri copisti fiorentini, non ci possono apparire – pur con tutte le cautele imposte dalla delicata congiuntura storica e culturale, e con lo scarto imposto dai diversi livelli della lingua – estranei alle abitudini linguistiche dell’autore che copiano; sono al contrario generazionalmente vicini a M. e possiamo pensare complessivamente non troppo lontani dalle tendenze della sua lingua.
Una lingua «naturale» e «tutta intera». – Il volgare fiorentino ‘argenteo’ è assunto da M. nella sua pienezza, e nella ricchezza della sua variabilità e articolazione interna: nei suoni, nelle forme, nei diversi e più vari registri del lessico, e disposto in una sintassi forte e argomentativa, lucida e piena come un cristallo. Questo volgare è in primo luogo ‘naturale’ nel senso che risponde alla realtà della natura e della storia, e attinge alla linfa vitale della tradizione linguistica e letteraria volgare; di essa si sostanzia lo «stupendo volgare» di M. (Martelli, in Cultura e scrittura di Machiavelli, 1998, p. 300; Bausi, in Cultura e scrittura di Machiavelli, 1998; già Pozzi 1975). Il concetto della naturalità della lingua si collega certamente alla centralità della natura nel pensiero di M., ma si configura anche (è osservazione di Paolo Trovato nell’introduzione all’ed. del Discorso intorno alla nostra lingua, 1982, pp. XVI-XXV) come reazione alla posizione di quei fiorentini gravitanti intorno agli Orti Oricellari che con gli intellettuali settentrionali ammettevano una codificazione grammaticale e stilistica del volgare letterario su basi diverse da quelle del fiorentino quattro-cinquecentesco, fondata invece sul fiorentino trecentesco di Dante, Petrarca, Boccaccio, via e segno della prevalenza della letteratura sulla continuità della tradizione linguistica.
Non è questa la posizione di M.: per lui, nato in età laurenziana, addestrato per mestiere all’uso insieme diretto e ufficiale della lingua – in cui la lingua della realtà quotidiana è trasportata nella codificazione cancelleresca –, per lui che dichiarava di amare la patria sua «più dell’anima», il fiorentino contemporaneo non è, non può essere, una lingua morta o indeclino. È lingua viva proprio in quanto ‘naturale’, ossia rispecchia la naturale evoluzione di un organismo vivente. In questa lingua dell’uso quotidiano si può scrivere, al lessico corrente si può largamente attingere per ogni esigenza (cfr. Bruni 2012, a proposito della debole tecnicizzazione della terminologia politica). È M. che ha scritto (nel Discorso, § 62): «gl’è impossibile che l’arte possa più che la natura». All’opposto degli intellettuali degli Oricellari, per M. il primato di Firenze era «linguistico prima che letterario», e proprio al vigore ininterrotto di quella lingua bisognava continuare ad attingere (Dionisotti 1980, pp. 332-33). Con la sua scrittura da «cittadino letterato», con la sua «prosa teorica, storica e comica, gettata in nuove o rinnovate forme letterarie» (Nencioni 1983, p. 210), M. propone un modello che non è pensabile se non in Toscana, e che infatti non si affermerà: contro Gian Giorgio Trissino e Bembo difende la dignità del fiorentino d’uso come lingua nazionale (N. Machiavelli, La vita di Castruccio Castracani, a cura di R. Brakkee, 1986, p. 33; Mengaldo 2008, rist. 2010, p. 64), l’idea di una lingua tutta e intera, voce della cultura alta e della cultura popolare, in cui il piano letterario e il piano dell’uso coincidono nella variazione intralinguistica. È grazie a questa «spregiudicata naturalità della lingua» (Nencioni 1983, p. 210), che trascorre dalle vette dell’elaborazione del pensiero alle battute spericolate ai non meno arditi accostamenti fra lessico colto e lessico popolare (Chiappelli 1952), che il volgare può uscire potente e vittorioso dal confronto con il latino, nel serrato dialogo con gli antichi, che nelle sere di Sant’Andrea in Percussina fu gloriosamente condotto.
Bibliografia: Edizioni critiche: La Mandragola di Niccolò Machiavelli. Per la prima volta restituita alla sua integrità, a cura di R. Ridolfi, Firenze 1965; Tutte le opere, a cura di M. Martelli, Firenze 1971; Discorso intorno alla nostra lingua, a cura di P. Trovato, Padova 1982; Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, introduzione di G. Sasso, premessa al testo e note di G. Inglese, Milano 1984; La vita di Castruccio Castracani, a cura di R. Brakkee, saggio introduttivo di P. Trovato, Napoli 1986; De Principatibus, testo critico a cura di G. Inglese, Roma 1994; Il Principe, nuova ed. a cura di G. Inglese, Torino 1995; L’Arte della guerra. Scritti politici minori, a cura di J.-J. Marchand, D. Fachard, G. Masi, Roma 2001; Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, a cura di F. Bausi, Roma 2001; Il principe, a cura di M. Martelli, corredo filologico a cura di N. Marcelli, Roma 2006; Opere storiche, coord. di G.M. Anselmi, a cura di A. Montevecchi, C. Varotti, Roma 2010; Il Principe, nuova ed. a cura di G. Inglese, Torino 2013.
Testi di altri autori: Motti e facezie del Piovano Arlotto, a cura di G. Folena, Milano-Napoli 1953; Consulte e Pratiche 1505-1512, a cura di D. Fachard, Genève 1988; M. Franco, Lettere, a cura di G. Frosini, Firenze 1990; L.B. Alberti, Grammatichetta e altri scritti sul volgare, a cura di G. Patota, Roma 1996; LIZ 4.0. Letteratura italiana Zanichelli, cd-rom dei testi della letteratura italiana, a cura di P. Stoppelli, E. Picchi, Bologna 20014.
Per gli studi critici si vedano: A. Gerber, Niccolò Machiavelli. Die Handschriften, Ausgaben und Übersetzungen seiner Werke im 16. und 17. Jahrhundert, Gotha-München 1912-1913 (rist. anast. Torino 1962); F. Chiappelli, Studi sul linguaggio del Machiavelli, Firenze 1952; G. Folena, La crisi linguistica del Quattrocento e l’Arcadia di I. Sannazaro, Firenze 1952; Nuovi testi fiorentini del Dugento, a cura di A. Castellani, Firenze 1952; G. Ghinassi, Il volgare letterario nel Quattrocento e le Stanze del Poliziano, Firenze 1957; B. Migliorini, Note sulla grafia italiana nel Rinascimento, in Id., Saggi linguistici, Firenze 1957, pp. 197-225; O. Castellani Pollidori, Lievaleva, «Studi linguistici italiani», 1961, 2, pp. 16768; G. Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, 3 voll., Torino 1966-1969; F. Chiappelli, Nuovi studi sul linguaggio del Machiavelli, Firenze 1969; P. Ghiglieri, La grafia del Machiavelli studiata negli autografi, Firenze 1969; R. Ridolfi, P. Ghiglieri, I Ghiribizzi al Soderini, «La bibliofilia», 1970, 1, pp. 53-74; L. Bardeschi Ciulich, Costanza ed evoluzione nella grafia di Michelangelo, «Studi di grammatica italiana», 1973, 3, pp. 5138; J.-J. Marchand, Niccolò Machiavelli. I primi scritti politici (1499-1512). Nascita di un pensiero e di uno stile, Padova 1975; M. Pozzi, Machiavelli e Guicciardini. Appunti per un capitolo di storia della prosa italiana, in Id., Lingua e cultura del Cinquecento. Dolce, Aretino, Machiavelli, Guicciardini, Sarpi, Borghini, Padova 1975, pp. 49-72; P. Manni, Ricerche sui tratti fonetici e morfologici del fiorentino quattrocentesco, «Studi di grammatica italiana», 1979, 8, pp. 115-71; A. Castellani, Saggi di linguistica e filologia italiana e romanza (1946-1976), 3 voll., Roma 1980; C. Dionisotti, Machiavelli e la lingua fiorentina, in Id., Machiavellerie, Torino 1980, pp. 267-363; G. Nencioni, Il volgare nell’avvio del principato mediceo, in Id., Di scritto e di parlato. Discorsi linguistici, Bologna 1983, pp. 208-29; A. Vàrvaro, Autografi non letterari e lingua dei testi (sulla presunta omogeneità linguistica dei testi), in La critica del testo. Problemi di metodo ed esperienze di lavoro, Atti del Convegno, Lecce 22-26 ott. 1984, Roma 1985, pp. 255-67; T. Zanato, Gli autografi di Lorenzo il Magnifico. Analisi linguistica e testo critico, «Studi di filologia italiana», 1986, 44, pp. 69-207; M. Martelli, Un autografo machiavelliano, «Interpres», 1988, 8, p. 293; P. Trifone, Sul testo e sulla lingua delle lettere di Alessandra Macinghi Strozzi, «Studi linguistici italiani», 1989, 1, pp. 65-99; F. Grazzini, Machiavelli narratore, Roma-Bari 1990; M. Palermo, Sull’evoluzione del fiorentino nel Tre-Quattrocento, «Nuovi annali della facoltà di Magistero dell’Università di Messina», 1990-1992, 8-10, pp. 131-56; F. Bausi, G. Saro, Per l’epistolario di Niccolò Machiavelli, «Interpres», 1991, 11, pp. 367-89; F. Grazzini, L’autografo di una lettera machiavelliana (Houghton Library, Harvard University, fMS ENG. 1343 [13]), «Interpres», 1992, 12, pp. 327-30; M. Martelli, Edizione nazionale delle Opere di Niccolò Machiavelli, Roma 1997; Cultura e scrittura di Machiavelli, Atti del Convegno, Firenze-Pisa 27-30 ott. 1997, Roma 1998 (in partic. F. Bausi, Machiavelli e la tradizione culturale toscana, pp. 81-115; M. Martelli, Machiavelli e i classici, pp. 279-309; F. Franceschini, Lingua e stile nelle opere in prosa di Niccolò Machiavelli: appunti, pp. 367-92); F. Bausi, G. Masi, Un autografo machiavelliano riapparso: la lettera a Giovanni Vernacci del 18 agosto 1515, «Interpres», 1998, 17, pp. 309-15; C. Scavuzzo, Machiavelli.
Storia linguistica italiana, Roma 2003; F. Bausi, Machiavelli, Roma 2005; P. Stoppelli, La Mandragola: storia e filologia. Con l’edizione critica del testo secondo il Laurenziano Redi 129, Roma 2005; P. Manni, Percorsi nella lingua di Leonardo: grafie, forme, parole, Firenze 2008; P.V. Mengaldo, Attraverso la prosa italiana. Analisi di testi esemplari, Roma 2008, rist. 2010; A. Castellani, Nuovi saggi di linguistica e filologia italiana e romanza (1976-2004), a cura di V. Della Valle, G. Frosini, P. Manni, L. Serianni, 2 voll., Roma 2009; E. Cutinelli-Rendina, Niccolò Machiavelli (Firenze 1469-1527), in Autografi dei letterati italiani, Il Cinquecento, 1° vol., a cura di M. Motolese, P. Procaccioli, E. Russo, Roma 2009, pp. 271-83; P.G. Beltrami, A che serve un’edizione critica? Leggere i testi della letteratura romanza medievale, Bologna 2010; Grammatica dell’italiano antico, a cura di G. Salvi, L. Renzi, 2 voll., Bologna 2010; P. Picecchi, Analisi linguistica degli autografi leonardiani del periodo giovanile, tesi di dottorato, XXII ciclo, Firenze 2011-2012; F. Bruni, Sul lessico politico di Guicciardini. Primi assaggi, in La Storia d’Italia di Guicciardini e la sua fortuna, Atti del Convegno, Gargnano del Garda 4-6 ott. 2010, a cura di C. Berra, A.M. Cabrini, Milano 2012, pp. 221-58; G. Frosini, La parte della lingua nell’edizione degli autografi, «Medioevo e Rinascimento», 2012, 23, pp. 149-72.
Si veda inoltre la banca dati per la redazione del Tesoro della lingua italiana delle Origini, Istituto Opera del Vocabolario Italiano del CNR, Firenze, all’indirizzo di rete: www.vocabolario.org; http://gattoweb.ovi.cnr.it (Corpus OVI dell’Italiano antico dell’Istituto Opera del Vocabolario Italiano).