LIṄGA
Il l., rappresentazione artistica del fallo, è simbolo del dio hindu Śiva (v.). La venerazione del l. costituisce, da tempi remoti, la più importante manifestazione del culto scivaita. La sua prima testimonianza iconografica è da riconoscere in una scena di adorazione da parte di personaggi fantastici, raffigurata su un architrave del I sec. a.C. Il l. è posto sotto un albero, il luogo di culto è delimitato da un recinto in pietra. Così o in modo analogo dovevano apparire nella realtà i più antichi luoghi di culto del liṅga.
La connessione di tale culto, di origine pre-aria, con Śiva è indubbia. Va inoltre sottolineato che nel corso del tempo il l. rimase costantemente ed esclusivamente simbolo di Śiva, senza entrare mai in rapporto con le altre divinità, al contrario di quanto si è verificato nel caso di altri simboli divini. Le ragioni di ciò vanno forse cercate nel senso di disagio o di avversione da parte dell'ortodossia induista nei confronti di questa primitiva simbolizzazione del loro grande dio. Anche la letteratura religiosa esita a trattare di questo culto, introdotto da movimenti di carattere popolare e settario.
La prima testimonianza scritta su di esso, fornita nei capitoli finali del Mahābhārata, è più recente delle sue rappresentazioni iconografiche. Fu probabilmente l'aspetto estremamente naturalistico delle prime raffigurazioni del l. a provocare una sorta di turbamento e reticenza negli autori. Da parte degli ambienti ortodossi fu soltanto una questione di tempo attribuire un nuovo significato al culto e al simbolo.
Come immagine di culto, il l. aveva subito, già dalla fase iniziale, svariate modifiche formali. I l. più antichi riproducevano l'aspetto naturale dell'organo virile: una colonna cilindrica, sovrastante una base quadrata, era coronata da un glande di proporzioni molto accentuate e reso realisticamente. A tale simulacro venivano offerte, in segno di venerazione, ghirlande di fiori; oppure se ne avvolgeva la sommità con panni. Ghirlande e panni decorativi potevano parimenti essere rappresentati a rilievo sul liṅga. Ciò vale per il periodo compreso tra il I sec. a.C. e il 300 d.C. circa. A partire dall'epoca gupta tale genere di decorazione a rilievo diviene inusuale nell'arte indiana (sopravviverà soltanto in Nepal), il che lascia trasparire la volontà di rendere meno evidente la sua naturale forma fallica. In un primo tempo il glande viene come spianato, riducendosi quasi a una fessura, e il l. assume l'aspetto di un fusto dall'estremità superiore foggiata a emisfera. Nelle epoche seguenti esso diviene una semplice colonna, la cui origine sembra essere dimenticata, a tal punto che si è seriamente discussa la possibilità che la forma del simbolo sia da far risalire a quella dello stūpa.
I primi l. erano sprovvisti di un qualsiasi accorgimento che permettesse la raccolta delle acque versate su di esso nel corso del rito. Soltanto a partire da epoca medievale ai l. vennero aggiunti supporti circolari atti a raccogliere le acque lustrali. Questi furono interpretati dalla speculazione religiosa come simboli del sesso femminile (yoṇi) e introdotti nella letteratura puranica. Oltre alle semplici colonne falliche, furono ben presto realizzati l. con una o più teste di Śiva scolpite in rilievo sul fusto, al di sotto dell'estremità superiore, definiti di conseguenza mukhaliṅga (mukha, «viso»), anello di congiunzione tra il l. aniconico e l'immagine antropomorfica di Śiva.
Nel mukhaliṅga, il carattere fallico del simbolo viene come attenuato e il significato dell'immagine si sposta su un nuovo livello spirituale. Le varianti a una o più teste compaiono contemporaneamente e non in successione cronologica; sul culto di queste forme di l. possono essere avanzate soltanto congetture; è tuttavia probabile che i l. a quattro teste venissero orientati ritualmente, ossia con ognuna delle facce volta verso un punto cardinale.
Il l. a una sola testa (ekamukhaliṅga) è la forma più frequente di mukhaliṅga. Esso riporta uno dei quattro aspetti di Śiva, di cui il più antico, attestato finora su un solo ekamukhaliṅga, è lo Śiva diademato principe degli dei (Uṣṇīṣin); successivamente, in epoca kusāna, questo tipo di testa cede il posto alla rappresentazione di Śiva come Yogin, caratterizzato dalla capigliatura a trecce dell'asceta (jaṭāmukuṭa). In epoca tardo-kusāna si affaccia l'aspetto terrifico del dio (Aghora, Ugra), ritratto con i denti sporgenti agli angoli della bocca. Sugli ekamukhaliṅga appare molto di rado il quarto tipo di testa, raffigurante uno Śiva dai tratti pacifici. In esso va probabilmente riconosciuto lo Śiva Brahmacārin, ossia l'asceta colto. Gli aspetti Aghora e Yogin, che più tardi diverranno gli unici attestati sugli ekamukhaliṅga, possono essere caratterizzati da un terzo occhio rappresentato al centro della fronte, simboleggiarne la saggezza divina di Śiva, oppure dai baffi. La capigliatura ascetica dello Yogin (a trecce), peculiare alla prima fase, si trasforma in epoca gupta in artistica pettinatura raccolta. Su di essa è spesso visibile il crescente lunare, simbolo del cielo e del regno dei morti. Nei casi in cui sia rappresentato, il collo dello Yogin è sempre ornato da un rosario di bacche rudrākṣa, utilizzato durante le meditazioni.
C'è da chiedersi se la rappresentazione di quattro facce diverse sugli ekamukhaliṅga dipendesse da una scelta libera oppure avesse un senso preciso. Dal momento che tali aspetti si ritrovano anche sui l. a quattro facce e sono regolati da una concezione di carattere cosmologico e religioso-filosofico, probabilmente anche gli ekamukhaliṅga assolvevano a una funzione precisa. Con ogni probabilità, a seconda dell'aspetto che incarnavano, i l. erano rivolti verso un determinato punto cardinale.
Di eccezionale interesse sono due l. sul cui fusto non è raffigurata soltanto la testa di Śiva, ma la sua intera figura, rispettivamente nei due aspetti Uṣṇīṣin e Yogin. In entrambe le rappresentazioni, risalenti all'epoca kusāna (II-III sec. d.C), Śiva figura nella sua originaria forma a due braccia e itifallico. A tal proposito è da citare uno Śivaliṅga da Guḍimallam (v.), ritenuto spesso il più antico l. dell'India. Di grande pregio artistico, esso mostra Śiva, non itifallico, con ascia e ariete come attributi, stante su una figura demoniaca accovacciata. Il pezzo rivela un'impronta stilistica certamente antica, tuttavia la sua datazione al I sec. a.C., di frequente proposta, non può essere accettata. Il l. di Guḍimallam è opera realizzata in uno stile sincretistico attribuibile a un eminente artista di epoca leggermente più tarda.
Tra i numerosi mukhaliṅga ve n'è soltanto uno a due facce (dvimukhaliṅga), di epoca tardo-kusāna. Su un lato esso mostra Śiva nel suo aspetto di Yogin, sull'altro probabilmente uno Śivagaṇa. In realtà si tratta non di un vero e proprio dvimukhaliṅga, di un l. cioè che riporta due aspetti di Śiva, quanto di un ekamukhaliṅga in cui l'immagine di Śiva come Yogin è accompagnata da un accolito, un Gaṇa.
La tendenza a interpretare in maniera diversa ciò che all'origine era un semplice simbolo fallico raggiunge l'apice nel concetto di l. a quattro teste (caturmukhaliṅga), rappresentate, come nel caso dell'ekamukhaliṅga, al di sotto della terminazione superiore del simbolo. Tra il I sec. a.C. e il V sec. d.C. sono attestati, nei caturmukhaliṅga, sette diversi tipi di teste. La loro utilizzazione e l'ordine sequenziale in cui compaiono sui /. documentano lo sviluppo delle idee religioso-filosofiche. I sei aspetti sono i seguenti: Yogin, Aghora, Uṣṇīṣin, Brahmacārin, Umā e Ardhanārīśvara. Si tratta dunque di cinque aspetti pacifici e uno terrifico (Aghora). Proprio quest'ultimo è l'unico dei sei che occupi una posizione fissa rispetto allo schema di suddivisione spaziale: esso simboleggia il fuoco ed è sempre rivolto verso S. L'asse del caturmukhaliṅga è inoltre determinato dall'orientamento dell'edificio di culto e si trova sempre sulla linea E-O. Lo Yogin incarna il Signore (egli è Maheśvara) e la sua collocazione nei punti cardinali è in direzione dell'entrata del tempio. Essendo quest'ultima situata a E o a O, il lato del l. raffigurante lo Yogin poteva essere volto verso una delle due direzioni. I due restanti lati non sono occupati in modo fisso da un aspetto determinato.
Il caturmukhaliṅga più antico, nel Museo Nazionale di Nuova Delhi, può essere considerato come un modello. L'Aghora guarda verso S, lo Yogin è invece rivolto a E. Sul lato O è rappresentato l’Uṣṇīṣin diademato, mentre sul lato Ν troviamo il Brahmacārin.
Risulta dunque il seguente schema:
FIGURA ALLEGATA
In esso si riflette un sistema filosofico nel quale lo Yogin simboleggia la terra, l’Aghora il fuoco, l'Uṣṇīṣin l'aria e il Brahmacārin l'acqua. Al di sopra di essi si trova la parte terminale del l. che simboleggia il cielo (etere). Il caturmukhaliṅga simboleggia perciò la creazione cosmica quale manifestazione di Śiva, il cui processo si svolge a partire dalla materia più fine, l'etere, fino a quella più grossolana, la terra. Tale processo è ripercorso a ritroso dal credente che aspiri alla realizzazione, mediante la meditazione sui suddetti simboli: partendo dalla terra, egli raggiunge l'unità con l'assoluto, con Dio.
Sebbene il fondamento religioso-filosofico rimanga idealmente lo stesso, gli aspetti, cioè i diversi tipi di teste, a eccezione di Yogin e Aghora, possono cambiare. Un'importante novità è costituita dalla sostituzione dell'aspetto maschile e pacifico del Brahmacārin con l'immagine femminile pacifica di Umā (Umāvaktra). In tale scambio emerge una più forte accentuazione dell'aspetto femminile nel culto di Śiva. Il secondo cambiamento riguarda l’Uṣṇīṣin.
La sua testa diademata, già attestata nel più antico esemplare di ekamukhaliṅga, cessa di essere rappresentata sui caturmukhaliṅga al più tardi in epoca kusāna. In un primo tempo compare al suo posto il volto di Ar- dhanârlsvara, ma si tratta di una sostituzione effimera, in quanto a partire dal IV-V sec. d.C. l’Uṣṇīṣin è definitivamente sostituito da una testa che per via dell'acconciatura è assimilabile a quella dello Yogin, sebbene non presenti le trecce ricadenti. Inoltre al suo collo non troviamo la collana di bacche di rudrākṣa ma un pendaglio principesco. In questa testa va probabilmente riconosciuta una semplice variante iconografica dell’Uṣṇīṣin, poiché entrambi rappresentano l'aspetto maestoso di Śiva (Nandivaktra).
I concetti filosofici su cui si fonda il caturmukhaliṅga sono ancor più chiaramente espressi in una scultura realizzata nei decenni a cavallo dell'era cristiana, spesso considerata il l. più antico, ossia il l. a cinque teste proveniente da Bhīṭā. È più esatto interpretare quest'opera come uno Śiva a cinque facce. Sostanzialmente essa si avvicina al caturmukhaliṅga, sebbene in esso lo Yogin, come Mahādeva, vi predomini, anche figurativamente, sugli altri aspetti: il suo busto corona il l. che al di sotto di esso mostra le raffigurazioni di Aghora Uṣṇīṣin, Brahmacārin e di un altro aspetto pacifico. È questa l'unica rappresentazione nota di tal genere. Lo sfondo ideologico è più complesso di quello che è alla base del caturmukhaliṅga e trova probabilmente un suo seguito nelle Maheśamūrti plurifigurate.
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(H. Härtel)