LICURGO (Λυκοῦργος, Lycurgus)
1°. - Personaggio mitico connesso con le vicende del ciclo di Dioniso (v.).
In Omero (Il., vi, 129 ss.) L. è ricordato come significativo esempio del castigo divino che colpisce chiunque osi sfidare gli dèi: infatti il κρατερὸς Λυκόοργος (come lo definisce Omero) perseguì, armato della sua scure (βουπλής), Dioniso fanciullo, costringendolo a cercar rifugio presso Teti nel mare, e ugualmente il seguito del dio: per tali azioni L. fu reso cieco da Zeus (cfr. anche per questa versione Quint. Smyrn., ii, 439). Con i tragici del V sec., la personalità di L. viene maggiormente delineandosi: nella tetralogia ora perduta di Eschilo - la Λυκουργίαa - L. è figlio di Dryas (Nonno, invece, lo dirà poi figlio di Ares) e re degli Edoni in Tracia: egli si sarebbe opposto al passaggio, attraverso la regione, di Dioniso che col suo seguito marciava contro gli Indi, e avrebbe catturato baccanti e satiri, costringendo lo stesso Dioniso - non più, come in Omero, fanciullo, ma adulto - a fuggire in mare. Sempre secondo la versione eschilea, il thìasos dionisiaco fu miracolosamente liberato dai legami, e L. impazzì, riacquistando la ragione solo dopo che ebbe ucciso, colpendolo con la scure, il figlioletto Dryas da lui scambiato per un ramo di vite. Dalle versioni precedenti differiscono quelle di Apollodoro (Bibl, iii, 5), di Igino (Fab., 132) e di Diodoro Siculo (i, 20). Secondo quest'ultimo gli episodi di L. contro Dioniso sarebbero avvenuti non in Tracia, ma a Nysa in Arabia. La leggenda dionisiaca dovette infatti subire profondi mutamenti in età ellenistica, forse ad opera dei filologi alessandrini, certo in ambiente greco-egizio, a contatto con leggende affini egizie o asiatiche: solo nelle fonti di epoca romana, ma per le quali si devono ammettere precedenti testi di epoca ellenistica, appare infatti l'episodio, ignoto nella Grecia classica, della metamorfosi in vite della ninfa Ambrosia (v.) assalita da L , e il supplizio di L. soffocato dalla vite stessa. Questa versione appare in Longo (Pastor., iv, 3, 2), in un poemetto di Nestore di Laranda del III sec. d. C. e soprattutto nel lungo passo di Nonno di Panopoli (Dionisiache, xx-xxi), scrittore di epoca tetrarchica o costantiniana. Differente è invece la versione nota da un papiro greco del III sec. d. C. già della Collezione Golenišev [edito da G. F. Cereteli, in Boll. Acc. Scienze U.R.S.S. (in russo), 1918, p. 873 ss. e da D. L. Page, Select Papyri III (Literary Papyri), Londra 1950, p. 520 ss.]: la vicenda è ambientata in Asia Minore e manca l'episodio di Ambrosia.
Le rappresentazioni figurate del mito o del solo personaggio di L. sono numerose. In esse l'iconografia del personaggio rimane fissa: L. appare sempre barbuto e irsuto, di notevoli proporzioni, vera immagine del Trace selvaggio della tradizione letteraria; porta per lo più le embàdes, tipica calzatura trace, ed è sempre caratterizzato dalla scure (bipennifer lo chiama Ovidio: Met., iv, 22). Il contenuto delle raffigurazioni cambia invece nei varî periodi, in accordo col variare della tradizione letteraria.
Nelle pitture vascolari del V e IV sec. a. C. L. appare mentre, in preda alla pazzia, uccide il figlioletto o, meno spesso, il figlio e la madre sua. Più raramente è raffigurato mentre assale una menade (bronzetto 4291 del Museo del Louvre). Insieme a quello di Penteo appariva il supplizio di L. nella decorazione del nuovo tempio di Dioniso ad Atene (Paus., i, 20, 3). Su monumenti di epoca romana, ma spesso di chiara derivazione ellenistica, L. appare o solo mentre vibra colpi ai rami di una vite, o mentre assale Ambrosia già trasformata o che va trasformandosi in vite. Per quanto riguarda la scena del primo gruppo, è incerto se la rappresentazione illustri l'episodio eschileo della pazzia di L. che vede il figlio sotto forma di vite, o se l'eroe trace meni colpi ai rami di vite che lo soffocano; in questo secondo caso sarebbe sottinteso il trasformarsi di Ambrosia, e sarebbe quindi presupposta la conoscenza della versione ellenistica. Secondo l'ipotesi del Coche de La Ferté bisognerebbe infatti in questo caso presupporre un archetipo in cui apparivano sia L. che Ambrosia, dal quale dipenderebbero poi le scene in cui si è separata la sola figura di L. con intento decorativo. A questo gruppo appartengono un bassorilievo a Roma, proveniente dalla via Labicana, il mosaico di St. Colombe-lez-Vienne e alcune comaline intagliate, quali gli esemplari di Boston (diversamente interpretato da Harden e Toynbee), di Berlino, di Leningrado. Al secondo gruppo appartiene un numero di raffigurazioni molto unitario, derivato probabilmente da un unico archetipo: è raffigurato L. che minacciosamente assale con la scure Ambrosia che accenna alla metamorfosi in vite: così una pittura da Pompei, i mosaici di Ostia, di Narbonne, Ercolano e Gemila-Cuicul e il sarcofago nel giardino di Villa Borghese a Roma. Un'altra classe, sempre appartenente a questo gruppo, mostra invece rappresentazioni molto più complesse del mito, con momenti diversi o giustapposti o conseguenti: la trasformazione della ninfa è qui ormai quasi interamente avvenuta. Così sono il fregio dell'àdyton del tempio di Bacco a Baalbek, la cui esegesi è stata convincentemente proposta da Ch. Picard (Mélanges syriens R. Dussaud, Parigi 1939, p. 319 ss.), i mosaici di Antiochia e di Piazza Armerina, monete bronzee di Alessandria dell'epoca di Antonino Pio, i pilastri di un portico di Apamea e lo straordinario bicchiere di vetro, di ancor discussa datazione, già di proprietà Rothschild, ora al British Museum, che è la descrizione più vicina a quella fatta da Nonno. La scena dell'assalto alla ninfa e del supplizio di L. è accompagnata dalla presenza di Dioniso, di un Pan danzante e di una figura caratterizzata dal pedum (bastone ricurvo dei pastori) e da un sasso nella sinistra, forse Melikertes, il fedele compagno di Dioniso.
Monumenti considerati. Per i monumenti di età classica si veda l'articolo in Pauly-Wissowa. Per i monumenti di epoca romana si rimanda allo studio di Coche de La Ferté, cit. in bibl. Bronzetto 4291 del Louvre: Ch. Picard, in Mon. Piot, xlv, 1951, p. 15 ss.
Bibl.: Héron de Villefosse, Lycurgue et Ambroisie, in Ann. Éc. pratique Hautes Études, 1908, p. 5 ss.; Marbach, in Pauly-Wissowa, XIII, 1926, c. 2433 ss., s. v. Lykurgos; D. Levi, Antioch Mosaic Pavements, I, Princeton 1947, p. 178 ss.; Ch. Picard, in Mon. Piot, XLV, 1951, p. 30 s.; E. Coche de La Ferté, La Verre de Lycurgue, in Mon. Piot, XLVIII, 1956, p. 131 ss., con bibl. prec.; D. B. Harden-J. M. C. Toynbee, The Rothschild Lycurgus Cup, in Archaeologia, XCVII, 1959, p. 179 ss.; G. Becatti, Scavi di Ostia, IV, Mosaici e pavimenti marmorei, Roma 1961, mosaico n. 408, pp. 214-15. Per il corrispondente di L. in Siria e per i culti attribuiti in Oriente a L.: R. Dussaud, in Révue Hist. Religions, CIII-CIV, 1931, p. 401 ss.; id., in Syria, XXIII, 1942-3, p. 67 ss.