LICIA (A. T., 88-89)
Regione peninsulare dell'Asia Minore sud-occidentale, montuosa e impervia, costituita nell'interno da un altipiano dell'altezza media di 1000-1200 m., arido e stepposo, d'aspetto quasi carsico e non privo di piccoli laghi salati. Nella parte periferica si hanno invece tre catene montuose, dirette da N. a S., scendenti ripide sul mare, umide e boscosissime, con cime talora superiori ai 3000 m. (Ak Dağ, 3008 m.). Le profonde valli fluviali che le separano si aprono verso S. in ampie pianure alluvionali, sparse di casali e di villaggi, coltivate, dove non sono coperte dalla macchia, a frutta mediterranee, a cotone, mais, miglio, grano e tabacco. Di queste valli le principali sono quelle del Dalaman e di Esen. Esclusi i tratti deltizî, le coste sono alte, rocciose e articolate (Baie di Meğri, di Kalamaki, d'Endifli e di Finike).
Le popolazioni costiere della Licia si segnalarono nell'antichità per una loro propria civiltà. Attualmente la regione designata con la denominazione classica di Licia, ignota nell'uso amministrativo turco, si trova compresa essenzialmente nei kazà di Elmali Finike, Kaş (vilâyet di Adalia, in turco Antalya) e Fethiye (vilâyet di Muğla). La popolazione costiera fino al 1920 circa comprendeva molti Greci; ora tutti gli abitanti sono Turchi musulmani, dediti specie alla pastorizia, al taglio dei boschi e al commercio del legname.
I centri sono piccoli e d'importanza solo locale. Elmali nell'interno è la città principale, circondata di frutteti, vigneti e campi; Finike è il suo porto. Dalaman, sul corso inferiore del fiume omonimo, è un borgo commerciale (legname) e così Fethiye (Meğri), e Endifli (Andifilo), di fronte all'isola italiana di Castelrosso.
Età pregreca. - Della storia più antica della Licia, regione dell'Asia Minore sud-occidentale che comprende principalmente la larga penisola sulla costa meridionale e che confina a ponente con la Caria, a levante con la Panfilia e a settentrione con la Frigia, Erodoto narra che il nome più antico del paese era veramente Milyas e che gli abitanti erano i Solimi e i Termili o Tremiali. Quest'ultimo nome sarebbe stato cambiato da Bellerofonte in Lici. I Lici sarebbero immigrati da Creta. La notizia data da Erodoto sembra corrispondere ai fatti storici, poiché i Lici abitavano soltanto la costa, mentre l'interno del paese era occupato dai Solimi. Comunque, il nome di Licia era antico: esso ricorre già in iscrizioni egiziane, hittite e nelle lettere di Tell el-‛Amārnah. In una lettera diretta al re d'Egitto il re di Alashya (Cipro o la costa della Siria di faccia a Cipro), dichiara che gli uomini del paese Lu-uk-ki gli portano via ogni anno qualche piccola città del suo regno. Sembra dunque che già allora i Lici fossero un popolo guerriero, dedito anche alla pirateria. Ramesse II cita tra i molti popoli che nella battaglia di Qadesh del 1294 combattevano sotto gli ordini del re degli Hittiti anche i Ruku, vale a dire i Lici, assieme ad altre stirpi dell'Asia Minore. Quando il faraone Merneptaḥ ributta un'incursione di popoli terrestri e marittimi nell'angolo occidentale del Delta si trova davanti anche dei Lici. In un trattato hittita si fa menzione di essi nella forma Lugga. Testi hittiti parlano di varie città e di due fiumi che potrebbero essere identici con città e fiumi della Licia: Wiyanawanda potrebbe essere Enoanda, Mira sarà Myra, Kuwaliya forse Cabalia, e i fiumi Siyanta e Ashtarpa hanno riscontro per il nome in nomi di fiumi lici. La Licia è un paese importante nella geografia della leggenda troiana. Pienamente nella luce della storia la Licia entra però soltanto più tardi. Essa fu conquistata dai Persiani di Ciro sotto Arpago e fu aggregata alla prima satrapia dell'impero persiano. Il paese godette però di vasta autonomia e fu retto da principi indigeni dei quali il più antico finora noto portava il nome di Kybernis e fu comandante del contingente navale di cinquanta battelli che faceva parte della flotta di Serse. I dinasti indigeni, dei quali si sono conservate monete, si ressero fino al tempo di Alessandro Magno. Con la conquista greca la Licia perse il suo carattere nazionale.
Cultura. - La Licia era un paese selvaggio, arretrato nella civiltà; aveva però alcune sue caratteristiche e una civiltà sua propria, i cui monumenti sopravvivono ancora nelle tombe scavate nella roccia e nelle iscrizioni. I costumi dei Lici erano simili a quelli dei Carî. Una caratteristica della loro civiltà era il sistema matriarcale. Essi legittimavano le unioni tra una cittadina e uno schiavo, ma non riconoscevano alcun diritto al figlio nato da un cittadino e una schiava (Erod., I, 173).
L'arte dei Lici è simile a quella degli Hittiti. Le loro tombe rupestri imitano nella costruzione le case di legno del paese; hanno però uno stile proprio. Esse risalgono fino al sec. VI. Nella scultura si fa sentire col progresso del tempo sempre più l'azione della scultura greca.
Lingua. - Noi conosciamo la lingua licia per circa 150 iscrizioni, per lo più sepolcrali. Il monumento più ampio è la stele di Xanto: un alto pilastro in pietra, ricoperto su tutti quattro i lati da epigrafi; sul lato nord è inserito nel testo licio un epigramma greco. L'iscrizione del lato ovest e della parte inferiore del lato nord denota una lingua che si scosta dal licio usuale e che riappare solo in un'epigrafe di Antifello: essa è ritenuta un dialetto particolare oppure una lingua poetica arcaica. Alcune epigrafi bilingui, licio-greche, rendono possibile intendere in qualche modo questa lingua, la quale è però oggetto di molte controversie. Il licio mostra caratteri prevalentemente non indoeuropei, anzitutto nel lessico, che differisce talmente dall'indoeuropeo da rendere impossibile l'interpretazione della grande iscrizione di Xanto. Per esempio, il licio tideimi "bambino"; kbatra "figlia"; tuhes "nipote"; ebe, accusativo ebẽnñe, pronome dimostrativo; se "e". Estraneo all'indogermanico è anche l'accusativus genitivi, cioè l'aggiunta del suffisso dell'accusativo -n al genitivo in -h, dipendente da un accusativo in -n: Prijenubehñtuhesñ "la nipote (accus.) di Prijenuba" nonché l'affissione dello stesso -n dell'accusativo alla forma verbale, quando l'oggetto precede: per esempio Pajawa prñnawate "Pajawa edificò", ma ebẽñnẽ kupã men prñnawatẽ Trijẽtezi "questa tomba edificò Trijetezi". All'oggetto che precede viene aggiunta spesso una particella mene, meti o simile; al soggetto, al primo posto, un ti. Queste sono tutte caratteristiche non indoeuropee che hanno piuttosto il loro parallelo nelle lingue caucasiche meridionali. D'altra parte, però, il licio presenta pure alcuni fenomeni, che hanno tutta l'apparenza indoeuropea: così p. es. la declinazione: nom. lada; gen. ladah(e); dat. ladi (come nell'hittita anni da anna-); aec. ladã, ladu (da temi in -s tuhesñ), acc. pl. ladas, e la flessione verbale 3ª pers. sing. prnñawate, 3ª pers. pl. prnñawãte (da -ante). La parola lada "donna, moglie" riappare tanto in altre lingue dell'Asia anteriore (caldico lutu) quanto nelle slave (russo, ucraino lada "moglie", lado "marito"). Per quanto le nostre limitate cognizioni del licio ne permettano un giudizio, questa lingua sembra non indoeuropea con qualche infiltrazione indoeuropea. Poiché i Lici sono trasmigrati, secondo Erodoto (I, 173), da Creta sotto il nome di Termili e avevano quindi usi in parte cretesi, in parte carî, e poiché le iscrizioni furono trovate quasi tutte in vicinanza della costa, si può affermare che il licio non è una lingua dell'Asia Minore vera e propria, bensì un miscuglio di elementi cretesi e asianici.
Età ellenistica e romana. - Con la spedizione asiatica di Alessandro Magno la Licia passò dal dominio dei satrapi persiani sotto quello del nuovo conquistatore. Egli, separata la Licia dalla Caria, ne formò con la Panfilia una particolare satrapia nella quale lasciò come governatore Nearco (334/3-331 a. C.). Richiamato Nearco presso Alessandro, la Licia non costituì più una provincia a sé, ma fu probabilmente riunita alla Grande Frigia. I Lici mandarono dieci triremi in aiuto di Alessandro contro Tiro, e truppe licie furono condotte ad Alessandro da Nearco. Una conseguenza della conquista macedone fu la fine della civiltà indigena; dalla fine del secolo IV a. C., in poi non si ha più nessuna iscrizione licia, e l'influenza greca predomina sia nella scultura sia nelle monete. Per la divisione dell'impero di Alessandro fatta con Perdicca a Babilonia (323 a. C.), la Licia insieme con la Grande Frigia, la Panfilia e la Pisidia fu assegnata ad Antigono Monoftalmo, il quale sostanzialmente la conservò fino alla sua morte (301 a. C.). Allora la Licia fu contesa da Demetrio, Plistarco e Lisimaco, il quale forse ne rimase padrone; ma presto Tolomeo I riuscì a impadronirsi di varî tratti della costa dell'Asia Minore. Il dominio tolemaico fu scosso da Antioco III di Siria, il quale ritolse a Tolomeo V, sconfitto a Panion, i possessi dell'Asia Minore e anzitutto la Licia dove occupò Limira, Andriace, Patara (che era stata denominata Arsinoe) e Xanto (197 a. C.). Il dominio di Antioco fu breve; dopo la sconfitta inflittagli dai Romani a Magnesia, la Licia con la pace di Apamea (188 a. C.) gli fu tolta per darla ai Rodî. Ma il contegno ambiguo tenuto dai Romani che diedero qualche affidamento agli Iliesi che intercedevano per la Licia, contribuì ad alimentare la speranza di indipendenza dei Lici e la resistenza che essi opposero ai Rodî. Questi, durante la lotta in cui si stancarono per lunghi anni a partire dal 187 a. C., invocarono da Roma una decisione, ma i Romani nulla fecero a favore della repubblica rodia, la quale gelosa della propria libertà non aveva ancora subita l'alleanza romana. Anzi, quando la guerra terminò con la sottomissione della Licia a Rodi, i Romani intervennero a risolvere la contesa che da tempo si trascinava davanti al senato dichiarando che la regione non era stata ceduta ai Rodî in pieno dominio, ma solo come territorio amico e alleato. I Lici allora, così incoraggiati da Roma, ripresero la lotta e durante la lunga guerra che continuava ancora nel 174 a. C., i possessi rodî della Perea furono molestati anche dai presidî che Eumene, re di Pergamo, aveva a Telmesso. Dopo la vittoria di Pidna (168 a. C.) i Romani dichiararono liberi i Lici e i Carî, privando così Rodi di quei territorî per il possesso dei quali aveva combattuto così a lungo e con tanta tenacia.
Per lungo tempo sulla Licia non abbiamo altre notizie; funzionava però la confederazione licia che s'era costituita probabilmente durante il dominio tolemaico. Durante la prima guerra mitridatica la Licia fu razziata da Mitridate, ma dopo la pace di Daidano (85 a. C.) Silla proclamò libera la regione rimasta fedele, che ebbe anche ampliamenti territoriali nella Cabalia e nella Pisidia (Enoanda, Bubone, Balbura, Telmesso) per opera di L. Licinio Murena (82 a. C.). Come altre coste asiatiche così anche quelle della Licia servivano come stazioni e rifugi di pirati, e nella Licia orientale il potente principe pirata Zenicete teneva le forti località di Olimpo, Corico, Faselide che furono occupate da Publio Servilio (79 a. C.). La Licia soffrì molti danni nelle lotte seguite alla morte di Cesare; tanto che fu occupata da M. Bruto; ma la sua fedeltà fu riconosciuta da Ottaviano e da Antonio. Così fra la Licia e Roma si rinsaldarono gli stretti rapporti, di cui son prova la dedica fatta a Roma dalla confederazione licia di una statua della dea Roma (81 a. C.), la costruzione di un tempio di Cesare dopo la battaglia di Filippi, e di un tempio di Roma in Licia, l'invio di grano a Roma al tempo di Verre, e più tardi l'istituzione del culto di Roma e degli Augusti.
Per opera dell'imperatore Claudio la Licia insieme con la Panfilia fu trasformata in provincia romana (43 d. C.), ma questo ordinamento non fu definitivo e forse la Licia tornò ancora libera sotto Nerone o sotto Galba. A Vespasiano si deve la costituzione della Licia-Panfilia come provincia imperiale. Adriano la scambiò con la Bitinia e ne fece una provincia senatoria (135 d. C.); ma può darsi che questo scambio sia avvenuto più tardi. Nella divisione fatta da Diocleziano non è menzionata la Licia, ma solo la Panfilia; quindi le due regioni rimasero unite sotto lo stesso governatore fino al 313 d. C. Tutte e due le provincie appaiono come consolari presso Ierocle, il quale ci dà un elenco degli episcopati della Licia. Riunite sotto una comune amministrazione in un'unica provincia, la Licia e la Panfilia si mantennero separate fra loro come due distinte nazionalità, costituendo due κοινά corrispondenti ai due ἔϑνη.
La confederazione licia (Λυκίων τὸ κοινόν) costituitasi regolarmente nel corso del sec. III a. C., sul modello delle leghe greche, comprendeva nel sec. III a. C. 23 città: Patara, Olimpo, Mira, Tlos, Xanto, Pinara, Antifello, Aperle, Aricanda, Crago, Cianee, Limira, Masicito, Fello, Podalia, Rodiapoli, Trebenna, e forse Apollonia, Arassa, Telmesso, Bubone, Faselide e Balbura. Gli affari comuni della lega erano trattati dal sinedrio. Vi erano pure tribunali federali. La Licia ebbe un sistema monetario unico. La confederazione si era costituita avendo per centro il tempio di Leto, Apollo ed Artemide presso Xanto, una delle tre metropoli della Licia, accanto a Tlos e Patara. Nell'età imperiale si aggiunse il culto di Roma e poi quello degli Augusti. La confederazione licia continuò ad esistere fin verso la fine del sec. V d. C.
Bibl.: Della Licia pregreca trattano brevemente le storie dell'antichità, E. Meyer, Geschichte des Altertums, II, i, 2ª ed., pp. 545-46 e in altri luoghi; Cambridge Ancient History, II, p. 9; Th. Kluge, Die Lykier. Ihre Geschichte und ihre Inscriften, in Der Alte Orient, XI, ii, Lipsia 1910; O. Treuber, Geschichte der Lykier, Stoccarda 1887; T. A. B. Spratt e E. Forbes, Travels in Lycia, Milyas and the Cibryatis, 1847; O. Benndorf e G. Niemann, Reisen in Lykien und Kibryatis, Vienna 1889; V. Thomsen, Études lyciennes, Copenaghen 1899; J. Garstang, The Hittite empire, Londra 1929, pp. 180-82. - Per le iscrizioni licie, per un saggio della lingua e per la letteratura fino al 1900: E. Kalinka, in Tituli Asiae Minoris, I, Vienna 1901. Per il carattere non indoeuropeo: P. Kretschmer, in Einleitung in die Gesch. der. griech. Sprache, Gottinga 1896, p. 370 segg.; per i tratti caucasici: Th. Kluge, in Das Verhältnis des Lyk. zu den kaukas. Sprachen, in Muséon, 1909, p. 155 segg.; id., Die Lykier, ihre Geschichte und ihre Inschriften, Lipsia 1910; F. Bork, Skizze des Lükischen (sic!), Könisberg 1926. Per il carattere indoeuropeo della lingua licia si pronunzia H. Pedersen, in Nord. Tidsskrift f. filologi, VII, p. 68 segg.; VIII, p. 17 segg.
Per l'età ellenistica e romana, v.: G. Fougères, De Lyciorum communi, Parigi 1898; T, Mommsen, Storia di Roma antica, trad. di L. di San Giusto, Torino 1903-05, I, pp. 708, 732; II, pp. 44, 225, 237, 253; III, p. 39; B. Niese, Geschichte der griech. und mak. Staaten, Gotha 1893-1903, I, pp. 66 segg.; II, pp. 85, 102, 729 segg.; III, pp. 80 segg., 194 segg.; J. Beloch, Griechische Geschichte, IV, ii, 2ª ed., Lipsia e Berlino 1927, pp. 311 seg., 335 seg.; G. De Sanctis, Storia dei Romani, IV, Torino 1923, pp. 122, 257, 270; J. Marquardt, Organisation de l'Empire Romain, II, Parigi 1892, p. 303 segg.; E. Meyer, Die Grenzen der hellenistischen Staaten in Kleinasien, Zurigo-Lipsia 1925, indici; E. Kalinka, Tituli Asiae Minoris, I, Tituli Lyciae, I e II, Vienna 1901-1930; R. Cagnat, Inscript. graecae ad res romanas pertinentes, III, Parigi 1906, pp. 141 segg., 512 segg.; W. Dittenberger, Orientis Graeci Inscriptiones, Lipsia 1903-05, nn. 54-58, 551 segg., 727; Hondius, Supplem. epigr. graecum, Leida 1924-1932, I, p. 121; II, p. 123 segg.; VI, p. 124 segg.; B. V. Head, Historia Numorum, 2ª ed., Oxford 1911, p. 688 segg.; C. F. Hill, British Museum. Catalogue of the Greek coins, XX: Lycia, Pamphylia and Pisidia, Londra 1897.