La libertà di iniziativa economia privata, prevista all’art. 41, co. 1, Cost., rientra a pieno titolo nella c.d. costituzione economica, cioè in quella parte della Costituzione italiana che disciplina i rapporti economici. Nell’interpretazione di questo articolo, un primo problema riguarda le attività tutelate dalla disposizione costituzionale: secondo un primo orientamento, la libertà di Iniziativa economia privata si riferirebbe soltanto all’esercizio di un’attività imprenditoriale, laddove, secondo un orientamento diverso, ripreso dalla giurisprudenza costituzionale, essa comprenderebbe anche altre attività economiche, tra cui la stessa autonomia contrattuale, con l’eccezione del lavoro (subordinato e/o autonomo), la cui tutela andrebbe cercata in altre disposizioni costituzionali (artt. 4 e 35 ss. Cost.). Un orientamento ulteriore, infine, basandosi su alcune sentenze della Corte costituzionale, estende questa libertà anche ad ogni attività da cui possa derivare un vantaggio economico per chi la svolge, ivi compreso il lavoro subordinato e/o l’esercizio di una professione.
Per quanto riguarda gli ulteriori profili di discussione, ci si è chiesti se l’iniziativa economia privata sia un diritto o, se, invece, in virtù dei penetranti limiti a cui è assoggettata dallo stesso art. 41, co. 2, Cost. (non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale né recare danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana; inoltre, la legge può determinare i programmi e i controlli per indirizzarla e coordinarla a fini sociali), degradi a mero interesse, ovvero addirittura ad una funzione, come, ad esempio, per C. Mortati (il quale parlava esplicitamente di funzionalizzazione dell’intera attività economica privata). Quest’ultima tesi, tuttavia, non è stata fatta propria alla giurisprudenza costituzionale, in quanto finisce per affidare l’iniziativa economia privata dei privati alle scelte insindacabili del legislatore, laddove, invece, nessuno può essere costretto, fosse anche per legge, ad iniziare una qualche attività economica contro la sua volontà. La stessa Corte costituzionale ha infatti ammesso che i limiti all’iniziativa economia privata non posso essere «tali da renderne impossibile o estremamente difficile l’esercizio».
Strettamente legata alla questione precedente è la discussione sul fatto se l’art. 41 Cost. imponga un modello economico dirigistico, oppure se i limiti previsti dall’art. 41 Cost., pur lasciando ampi spazi al legislatore, escludano ogni forma di pianificazione economica. La tesi maggioritaria è oggi la seconda, anche perché l’art. 41 Cost. utilizza il termine «programmi» in luogo di «piani», mostrando, però, di ritenere la programmazione, appunto, lo strumento costituzionalmente privilegiato per la disciplina pubblica dell’economia.
Va detto, comunque, che, pur non essendo mancati programmi a livello settoriale, è fallito l’unico tentativo, operato con la l. n. 685/1967, di programmazione economica generale. È opinione comune che l’art. 41 Cost. configuri dunque un sistema di economia misto, cioè un sistema in cui convivono soggetti pubblici e soggetti privati, senza che si possano sopprimere integralmente gli uni o gli altri. In questo senso, vi è chi ha visto nelle limitazioni alle attività economiche la necessità di realizzare un’economia sociale di mercato, cioè di un mercato corretto e indirizzato a fini sociali, e chi, invece, un modello terzo, diverso da capitalismo e collettivismo. Il margine di azione del legislatore rimane comunque ampio, visto che l’art. 41 Cost. ha operato in contesti economici assai diversi – dall’accentuato interventismo economico degli anni sessanta e settanta del Novecento (ad esempio, con la nazionalizzazione dell’energia elettrica operata nel 1962), alle privatizzazioni dell’ultimo decennio del XX secolo – senza che si sia mai effettivamente posto il problema di un eventuale contrasto della legislazione con tale disposizione costituzionale.
Si discute, infine, se l’art. 41 Cost. ricomprenda o meno la tutela della libera concorrenza: secondo una prima tesi, il principio della libera concorrenza non troverebbe alcuna garanzia nell’art. 41 Cost., ma solo nei trattati istitutivi della Comunità europea, i quali verrebbero recepiti nell’ordinamento costituzionale attraverso gli artt. 11 e 117, co. 1, Cost.; secondo una diversa ricostruzione, la tutela della concorrenza non sarebbe un limite alla libertà di iniziativa economica privata, ma una garanzia della libertà medesima, poiché essa, quale diritto spettante a tutti i soggetti, non avrebbe senso in un mercato dominato da posizioni monopolistiche o oligopolistiche (così anche la l. n. 287/1990). La giurisprudenza costituzionale, da parte sua, è stata uniforme nel collegare la concorrenza con il limite dell’utilità sociale, limite che, peraltro, può portare a una limitazione della stessa concorrenza.