PILOTTO, Libero
– Primogenito di quattro figli, nacque a Feltre (Belluno) il 27 marzo 1854, da Giovanni (detto Nane) e Rosa Miliani.
Il padre, di povera famiglia, aveva frequentato il seminario di Feltre, ma presto abbandonò l’antica vocazione sacerdotale e, dopo aver combattuto nella 'crociata' feltrina in difesa di Venezia nel 1848, tornato nel paese natio lavorò come pittore di case e palazzi nobiliari, aiutato alle volte dal figlio più grande. Nel tempo libero Giovanni componeva poesie popolari e patriottiche che furono pubblicate in diverse edizioni e che gli procurarono la stima dei suoi concittadini, alimentando in Libero un sentimento di fierezza; a un certo punto della sua vita, però, finì impiegato al Monte di Pietà. Pur cresciuti in una famiglia di modestissime condizioni economiche, motivo per cui Libero dovette lasciare gli studi ginnasiali, i fratelli Pilotto coltivarono la passione dello studio e dell’arte grazie alla vivacità culturale dei genitori – Rosa venne definita dal figlio Vittorio «donna studiosa e virtuosissima» (Pilotto, 1932, p. 90). La sorella di Libero Ida fu insegnante, dirigente scolastica a Padova e autrice di libri sulla formazione, suo fratello Vittorio musicista, maestro di banda e anch’egli scrittore, Amalia sposò il maestro Bosio di Verona.
Pilotto iniziò a calcare le tavole del palcoscenico già da adolescente in una compagnia di dilettanti del paese. E un genuino talento attoriale dovette mostrare a Belluno, durante una trasferta del gruppo, se poco dopo il cav. Giuseppe Manzoni gli offrì un aiuto finanziario per frequentare il biennio alla r. scuola di declamazione di Filippo Berti a Firenze. Ancora allievo, nel 1871, recitò a Chioggia con la compagnia Giannuzzi, e, conclusa la scuola, iniziò la gavetta nelle più misere compagnie di giro del tempo, come quella di Enrico Silvano. La fame e gli stenti non lo allontanarono dalla vita faticosa e raminga di comico, rafforzando anzi, sempre più in lui, la scelta già determinata di entrare 'nell’arte'.
Fu in questo periodo che Pilotto conobbe la giovanissima Eleonora Duse e interpretò accanto a lei il ruolo di Romeo nel dramma shakespeariano all’Arena di Piacenza con la compagnia Benincasa.
Era il 1874. Il cronista Jarro (Giulio Piccini) raccontò in diverse occasioni un curioso aneddoto in cui i due giovani, tanto affamati, furono costretti a rubare della polenta alla padrona della casa in cui alloggiavano per potersi reggere in piedi durante la messinscena di Giulietta e Romeo.
Passò ancora qualche anno prima che Pilotto venisse scritturato nelle compagnie primarie, più dignitose sia dal lato artistico sia economico, in quel ruolo che i suoi contemporanei solevano chiamare generico primario, e affermandosi più tardi come eccellente caratterista e 'promiscuo' dalla vena comica predominante, mai grottesca. Dopo un periodo nella compagnia di Luigi Pezzana alla fine degli anni Settanta, fu ingaggiato nelle compagnie di Pietro Rossi e soci (1879-80), Luigi Bellotti-Bon (1880-81), Andrea Maggi (1881-82), Giuseppe Pietriboni (1883-86); in quest’ultima conobbe Antonietta Moro, bella e ottima 'seconda donna', che sposò a Firenze il 16 febbraio 1885.
L’anno successivo, e fino al 1888, Pilotto prese la direzione della Compagnia Nazionale, figurandovi anche come attore insieme alla moglie. Gli intenti che animarono il complesso sin dalla nascita nel 1883, quando era direttore Paolo Ferrari, ovvero la stanzialità del gruppo con i vantaggi materiali e artistici che ciò comportava, e la promozione della drammaturgia italiana contemporanea, non si realizzarono nella pratica, e dopo soli cinque anni di vita la compagnia si sciolse.
Conclusa l’esperienza con la Nazionale, Pilotto passò nella compagnia di Cesare Rossi (1888-91), in quella di Giovan Battista Marini diretta da Virginia Marini (1891-94) per poi formare squadra in società con Ermete Zacconi (1894-97), condividendo con il grande attore un programma piuttosto innovativo rispetto all’organizzazione del sistema teatrale italiano dell’epoca in cui predominavano le compagnie di stampo mattatoriale.
Pilotto, però, a differenza di Zacconi, andava cauto nelle sue dichiarazioni a proposito dell’abolizione dei ruoli definendo se stesso e il socio «rivoluzionari tiepidissimi» e «buoni evoluzionisti» (Di Martino, s.d., p. 73) e sostenendo che «Per seguire passo a passo il movimento odierno della letteratura drammatica, noi siamo convinti che basti, per ora, togliere ai così detti ruoli ogni immobilità ed ogni assolutismo […]» (ibid., p. 74). Uomo saggio e misurato, Pilotto sapeva bene che un’azione radicale sarebbe stata prematura per i suoi tempi, quando le loro idee ancora da molti attori erano considerate delle «apostasie» (ibid.).
Anche questa esperienza capocomicale si concluse, e nel 1897 Pilotto ritornò a essere un semplice scritturato nella compagnia Tina Di Lorenzo - Flavio Andò con cui rimase fino alla morte prematura. La sua ultima interpretazione fu nel febbraio 1900 al teatro Manzoni di Milano ne La corsa al piacere di Enrico Annibale Butti.
Le sue condizioni fisiche non buone, dovute a problemi respiratorii e al diabete, peggiorarono molto nel mese di marzo tanto che alla richiesta di seguire il complesso in America Latina, Pilotto rispose negativamente, e così sua moglie, che lo accompagnò nella nativa Feltre, dove morì il 6 maggio 1900 a soli 46 anni.
I funerali, con la banda musicale in alta uniforme, furono organizzati e finanziati dal Comune di Feltre, che gli assegnò un posto d’onore nel cimitero. Le maggiori testate giornalistiche gli dedicarono sentiti necrologi, l’Associazione operaia lo ricordò quale socio d’onore e una recita commemorativa si tenne poco dopo a Milano con gli amici Giacosa, Novelli, Praga, Rovetta, Illica, Bracco, Zacconi.
Pilotto lasciava quattro figli piccoli. Il maggiore Camillo (Roma, 6 febbraio 1888 - 27 maggio 1963) fu attore versatile e schietto, primo attore ma specialmente caratterista come suo padre, nel teatro e nel cinema. Le collaborazioni di Camillo sin da giovanissimo furono innumerevoli e prestigiose, basti ricordare che esordì con Ermete Zacconi (1903) e lavorò con Dina Galli, Irma Gramatica, Tina Di Lorenzo, con la stabile del teatro Manzoni di Milano diretta da Marco Praga, in ditta con Emma Gramatica, con la Dannunziana, mentre nel dopoguerra collaborò a spettacoli del Piccolo Teatro di Milano, del Quirino di Roma, e fu interprete di spettacoli all’aperto. Prestò, inoltre, la sua voce intensa e suadente per il doppiaggio e per alcune trasmissioni radiofoniche.
Figura alta e robusta, Libero fu soprannominato dagli amici 'paciocco' per le guance paffute che ne accentuavano il suo carattere buono, onesto, pacifico e simpatico. Queste qualità umane egli trasferì nei personaggi che interpretò in una maniera sobria, semplice, e con una ««verità di recitazione» che lo contraddistinse (Rasi, p. 296). Era un «attore che suscitava simpatia per la cordialità espressiva e la trasparente onestà del fondo umano» (Palmieri, 1961, p. 136), pregi che si guadagnò attraverso uno studio serio e appassionato. Egli non cercava il facile applauso, pur conoscendo i trucchi del mestiere; il suo fine era sempre quello di far emergere il carattere del personaggio, non a discapito degli altri, ma in concerto con essi. Rodolfo Protti individuò il suo principale merito proprio nel fatto «d’aver portato del metodo, di aver portato germe di osservazione nella pratica della scena; di aver curato che la interpretazione di un personaggio drammatico ne manifesti la essenza verace, anche nelle più lievi sfumature dello abbigliamento e del linguaggio» (Protti, 1901, pp. 9 s.). Era un attore 'creativo' nella costruzione dei personaggi, ritratti con «un colore come fosse concezione della sua mente, cosicché i più insigni autori moderni ebbero in lui […] più che un interprete, un collaboratore» (Mazzucchetti, in Pilotto, 1901, pp. 17 s.).
A detta dei critici coevi, Pilotto si distinse più nel repertorio italiano che non in quello francese. Fra le interpretazioni più ricordate: il giornalista Marino ne La realtà di Gerolamo Rovetta, il maggiordomo ne La scalata all’Olimpo di Giannino Antona-Traversi, l’avvocato Serra ne La corsa al piacere di Butti, il prete ne La morale della favola di Marco Praga, il conte Arcieri in Tristi amori di Giuseppe Giacosa. Nel 1892 Pilotto interpretò in Spettri di Ibsen i due personaggi opposti del falegname Giacobbe Engstrand, prototipo del vilain, e del pastore Manders, il buono, della cui interpretazione Giovanni Pozza scrisse, però, che non seppe cogliere tutta l’umanità ma solo l’aspetto più squisitamente comico.
Parallelamente alla carriera di attore e capocomico, Pilotto si affermò come autore drammatico, situandosi in quello che Piermario Vescovo ha chiamato «bilinguismo fondativo del teatro del secondo Ottocento, tra dialetto e lingua», di cui facevano parte drammaturghi più famosi come Giacinto Gallina e Riccardo Selvatico (Vescovo, in L. P. Scena dialettale…, 2006, p. 11). I suoi drammi furono rappresentati dalle compagnie più accreditate del tempo (Bellotti Bon, Moro Lin, Maggi, Zago-Privato, Pietriboni, Rossi, Novelli, e via enumerando), ma molti rimasero in forma di copione. Fra questi Le macchie del sole (1892) e Figli d'Ercole (1898), scoperti da Silvia Cibien nel 2005 negli archivi della Biblioteca teatrale SIAE del Burcardo. Anche per questo motivo il numero della produzione drammatica di Pilotto è stato più volte ridefinito. Il più recente studio di Roberto Cuppone ha individuato trentatré titoli di opere, in lingua e in dialetto, solo dieci edite, di cui sette autografe e tre postume derivanti da copioni più tardi della compagnia Micheluzzi. Queste ultime commedie, in dialetto, sono le più fortunate, confluite oggi nel repertorio di compagnie amatoriali venete.
La sua prima opera, Un amoreto de Goldoni a Feltre, fu scritta nel 1880 in un tradizionale veneziano, su sollecitazione del collega Roncoroni. Pilotto stava leggendo le Memorie di Goldoni e trasse il soggetto di questo atto unico da un episodio della vita del drammaturgo che lo vedeva a Feltre come coadiutore della Cancelleria criminale. La prima fu a opera della compagnia Bellotti Bon, con una indimenticabile Pia Marchi Maggi nel ruolo della servetta.
Pilotto alternò opere in lingua a opere in un dialetto veneto più generico, che ben si confaceva alle situazioni e alle ambientazioni provinciali da lui tratteggiate, all’interno delle quali emergevano i problemi sociali dell’Italia unita, le ingiustizie e i soprusi, ora di un prete – figura ricorrente – ora di un sindaco disonesto, ora di un prepotente direttore di scuola; come nel dramma a tinte forti Il maestro Zaccaria, in cui l’autore toccò coraggiosamente un tema d’attualità, denunciando le difficili condizioni di lavoro dei maestri elementari. Lo spettacolo, anche a causa del recente caso Donati, ebbe molta risonanza, procurandogli il conferimento del titolo di cavaliere da parte del ministro della Pubblica Istruzione, Paolo Boselli.
Passando dal registro melodrammatico, a quello realista e ibseniano, il miglior lato di Pilotto si rivelò probabilmente nelle commedie tipo pochade, con caricature di mariti in fuga dalla famiglia, prive di quel fine moralistico tipico dei suoi lavori, ottenuto attraverso una rappresentazione essenzialmente manichea della vita e dei personaggi. Credeva il nostro autore, fervente patriottico, che lo scopo fondamentale del teatro fosse proprio l’educazione del popolo d’Italia.
L’essere attore influenzò molto la sua scrittura, tanto che «il dialogo comico del Pilotto è vivo, fresco, facile, come quello che è scritto da un uomo di teatro, che della scena conosce tutte le malizie e tutti i segreti: […] non è elegante, ma interessa, non è letterario, ma “prende”, non si fa leggere, ma si fa ascoltare» (Levi, 1910, p. 7).
Attore cólto, capocomico attento, autore sensibile, Pilotto visse immerso nel teatro del suo tempo, preoccupandosi non solo dei problemi artistici che investivano le compagnie italiane, ma anche di quelli più strettamente materiali. Divenuto nel 1891 socio fondatore della Società di previdenza fra gli artisti drammatici, negli anni avanzò diverse proposte per migliorare le condizioni di lavoro dei comici: fra queste la modifica delle date d’inizio e fine dell’anno comico, dal 1° settembre al 30 giugno, spostando quindi il tradizionale periodo di ricambio della Quaresima, con il vantaggio per gli attori di avere due mesi di riposo. Fu consigliere, inoltre, della Società italiana degli autori.
Opere: Un amoretto de Goldoni a Feltre (1a rappr. 1880; ed. Milano 1883), Dall'ombra al sol (1880, Venezia 1978; ma Dall'ombra al sole, 1881, Milano 1883), Il tiranno di San Giusto (ibid. 1883), Cesarina (1885, ibid. 1886), Il maestro Zaccaria (1888, ibid. 1889), L’Onorevole Campodarsego (1889, ibid. 1893, più volte rist., Venezia 1976), I pelegrini de Marostega (1893, più volte rist. ibid. 1977), Carlo Goldoni da Gian Giacomo Rousseau (con Camillo Antona Traversi, mai rappresentato, 1894).
Fonti e Bibl.: Jarro (Giulio Piccini), L. P., in L’illustrazione Italiana, XV (1888), 31, pp. 50 s.; G. Di Martino, I nemici del teatro di prosa in Italia. La scoperta della vita scenica. Altri studii e profili, Napoli s.d.; V. Pilotto, L. P. Memorie raccolte dal fratello Vittorio, edite a cura degli amici nel primo anniversario dalla morte, Feltre 1901; R. Protti, Commemorazione di L. P. letta nel teatro comunale di Feltre il dì 5 maggio 1901…, Feltre 1901; L. Rasi, P. L., in I comici italiani: biografia, bibliografia, iconografia, II, Firenze 1905, pp. 296 s.; G. Cauda, Chiaroscuri di palcoscenico. Ricordi, aneddoti, impressioni, Savigliano 1910, pp. 174 s.; C. Levi, Il teatro di L. P., in L’Ateneo Veneto, XXXIII (1910), 2, marzo-aprile, pp. 3-24; V. Pilotto, Macchiette e figure, Feltre 1932, ad ind.; Enc. biografica e bibliogr. «Italiana», N. Leonelli, Attori tragici attori comici, Roma 1944, II, pp. 224 s.; E.F. Palmieri, Il teatro veneto, Milano 1948, ad ind.; Id., P. L., in Enc. dello spettacolo, VIII, Roma 1961, pp. 135-137; P.D. Giovanelli, La società teatrale italiana fra Otto e Novecento, Roma 1984, III pp. 1474 s.; N. Mangini, Schede per una storia della drammaturgia veneta: L. P., in Otto/Novecento, 1985, 1, pp. 97-110; L. P. Scena dialettale e identità nazionale, Atti del convegno, Feltre… 2004, Roma 2006. Database on line: Archivio riviste arti del teatro (A.R.A.T.), http://arat.uniroma1.it; Archivio multimediale attori italiani (A.M.At.I.), http://amati.fupress.net.