liberalismo
Dottrina, movimento di pensiero e sistema politico affermatisi a partire dal 18° sec. in Europa e, in generale, miranti ad attestare e a tutelare il valore della libertà individuale (➔ anche liberismo). Sono molte le accezioni che hanno connotato questo termine nel corso del tempo e, anche, in uno stesso arco temporale. Si può distinguere un protoliberalismo, risalente al dibattito inglese della Glorious Revolution del 1688, che in Gran Bretagna sarà l’affermazione della monarchia costituzionale; un l. classico, legato ai contributi del settecentesco empirismo inglese e dell’illuminismo continentale, che dal primo prende parziale ispirazione e, al contempo, si differenzia; un l. sociale che, tra il 19° e il 20° sec., trae ispirazione dalla questione sociale; un l. di matrice austriaca, focalizzato sui caratteri epistemologici della dottrina; un neoliberalismo (➔), che si afferma a partire dagli anni 1970.
Il protoliberalismo viene essenzialmente identificato nelle idee espresse da J. Locke (➔) sulla necessità di limitare le prerogative dello Stato assoluto nei confronti dell’individuo attraverso il governo della legge (rule of law). Il costituzionalismo inglese trovò peraltro ulteriori sviluppi nel continente europeo attraverso l’elaborazione della dottrina della divisione dei poteri elaborata da Montesquieu e la declinazione kantiana di Stato di diritto. Nel contesto sociopolitico nato dalla seicentesca rivoluzione inglese, empiristi scozzesi quali D. Hume (➔) e A. Smith (➔) produssero sistemi teorici in cui la libera iniziativa e il libero mercato consentono la piena realizzazione della personalità individuale e del benessere sociale. Nel corso del 19° sec., il dibattito su un possibile intervento statale assunse un peso sempre più significativo sullo sfondo delle difficili condizioni di vita della classe operaia di un sistema industriale concentrato. In considerazione delle posizioni di dominanza che condizionavano sia l’iniziativa economica individuale – attraverso barriere all’entrata (➔ barriera) – sia il processo di distribuzione della ricchezza, il l. vide progressivamente il trasformarsi di alcuni propri caratteri fondamentali nei contributi di J.S. Mill (➔) e in ambienti intellettuali come quello della Fabian Society.
In seguito all’allargamento del suffragio elettorale e all’avvento della società di massa, i sistemi politici liberali conobbero un travaglio che sembrò trovare fine solo nel secondo dopoguerra. Si affermarono allora, essenzialmente, sistemi democratico-parlamentari – almeno in quella parte del mondo occidentale che si opponeva al blocco sovietico – e a economia mista, esito di politiche di crescita e sviluppo fondate sull’intervento statale nell’ambito dell’ampio dibattito sull’economia sociale di mercato (➔), nel quale si distinse, tra gli altri, il giurista W. Roepke (ordoliberalismo). L’ordine politico-economico dell’‘età dell’oro’ trovò peraltro acuti critici in autori come F.A. von Hayek (➔) e K. Popper (The open society and its enemies, 1952), per i quali stabilità e sviluppo non sono mai definitivi, bensì scaturiscono da un dinamico processo di confronto e scoperta di soluzioni economico-sociali possibili solo grazie alla libertà individuale.
Nella prospettiva generale dell’incertezza che caratterizzava il mondo occidentale dagli anni 1970 in poi, si affermò un neoliberalismo identificato da tesi di carattere supply side sul piano politico-economico, ovverosia corrispondenti al concetto politico di Stato minimale di R. Nozick (➔). Sono molteplici i contributi che arricchiscono la discussione, in cui, per es., l’economista J.M. Buchanan (➔) prospetta la necessità di una riformulazione del ‘contratto sociale’ con l’obiettivo di un ridimensionamento dell’intervento pubblico nell’economia.