Letjat žuravli
(URSS 1957, Quando volano le cicogne, bianco e nero, 97m); regia: Michail Kalatozov; produzione: Michail Kalatozov per Mosfil′m; sceneggiatura: Viktor Rozov, dal suo omonimo testo teatrale; fotografia: Sergej Urusevskij; montaggio: Marja Timofeeva; musica: Moisej Vajnberg; scenografia: Evgenij Svidetelev; costumi: Leonid Naumov.
Mosca. Veronika e l'operaio Boris sono innamorati. Allo scoppio della guerra Boris parte per il fronte come volontario. Perduti i genitori in un bombardamento, Veronika si trasferisce presso la famiglia di Boris, del quale non si hanno più notizie. La ragazza viene violentata da Mark, cugino di Boris; in seguito i due si sposano, ma il cuore di Veronika è ancora accanto al fidanzato disperso. Intanto Boris muore al fronte all'insaputa della sua famiglia, sognando negli ultimi istanti la vita felice che non potrà più avere. I suoi genitori, così come Veronika, lavorano in un ospedale, dove la ragazza ha modo di constatare quanto i feriti siano sensibili alla fedeltà dei loro cari. Quando Mark, celebre pianista, utilizza i propri appoggi politici per evitare di essere arruolato, Veronika lo lascia. La ragazza, infatti, non crede alla notizia della morte di Boris e continua ad aspettare il suo ritorno. Recatasi alla stazione per accoglierlo, Veronika distribuisce ai soldati che rientrano dal fronte i fiori che erano destinati a Boris.
Letjat žuravli rappresenta il ritorno del cinema sovietico sulla scena mondiale dopo gli anni dello stalinismo. Conquistata la Palma d'oro a Cannes nel 1958, il film divenne infatti uno dei maggiori e più duraturi successi internazionali del cinema sovietico. La reazione di Eric Rohmer fu emblematica: "Per quanto mi riguarda, mi sono sentito progressivamente colpito dalla novità del tono; irritato dalla volontà sistematica e un poco anarchica di eccellere; comunque affascinato dall'ornamentale vivacità della scena degli addii mancati, di quella del bombardamento o, ancora, della morte di Boris; toccato, ma non troppo, dal lato tragico alla Saroyan [lo scrittore armeno-americano William Saroyan rappresentava all'epoca un importante punto di riferimento, nda] di un malinteso molto letterario; emozionato, no-nostante tutto, da ciò che sempre mi affascina in tanti film russi, stalinisti o meno, cioè l'esaltazione del coraggio, della fedeltà, del sacrificio e dei valori spirituali, benché la messa in scena proponga una visione dell'uomo molto più fenomenologica; ma la scena finale del mazzo di fiori possiede quel lirismo e quella bellezza fotografica in cui forma e contenuto raggiungono un'unione da troppo tempo attesa". Rohmer vedeva nel film l'acquisizione di "tutta l'esperienza del cinema occidentale degli ultimi anni"; non sapeva che il regista, a differenza dei giovani Čuchraj, Chuciev, Kulidžanov (i cui esordi erano stati ritardati dalla politica dei 'pochi film'), aveva già alle spalle una carriera che comprendeva anche una parentesi americana. Jay Leyda rivelò all'Occidente il passato di "Kalatozov, il misterioso regista di Letjat žuravli", cineasta georgiano nato nel 1903, e l'esistenza del suo magnifico semi-documentario Sol′ Svanetij (Il sale della Svanezia, 1930), così come del suo film proibito Gvozd′ v sapoge (Il chiodo nella scarpa, 1932). In seguito Kalatozov aveva avuto una carriera piuttosto conformista celebrando eroi sovietici come Valerij Čkalov (1941); negli anni della guerra aveva rappresentato l'URSS a Hollywood frequentando gli intellettuali liberal, da Chaplin alle future vittime delle liste nere. Nel 1954 il suo Vernye druz′ja (Veri amici) aveva rappresentato un timido segnale premonitore di un possibile disgelo del cinema sovietico.
Il successo di Letjat žuravli va attribuito a un lavoro collettivo (insieme al regista vanno infatti ricordati lo sceneggiatore Viktor Rozov e l'operatore Sergej Urusevskij), ed è anche e soprattutto all'interno dell'URSS che il film si rivelò importante. Girato contemporaneamente al 20° Congresso del PCUS in cui Chruščëv denunciò i crimini di Stalin, il film uscì un anno più tardi. Pur non trattandosi del primo film del 'disgelo' ‒ seguiva infatti Sorok pervyj (Il quarantunesimo, 1956) di Čuchraj e Vesna na Zarechnoj ulice (Primavera in via Zarecnaja, 1956) di Chuciev e Mironer ‒ si rivelò comunque il più importante e quello che meglio espresse le contraddizioni dell'epoca. "Letjat žuravli illustra bene il nuovo sguardo sulla guerra: tono serio, dubbi, domande, risposte incerte. Al posto del geniale stratega, soldati in ritirata" (F. Navailh). Navailh ricorda lo schema preso a prestito da Guerra e pace ‒ dove il personaggio di Veronika corrisponde a quello di Nataša Rostova ‒ e il riaffiorare di concetti cristiani ("peccato, colpa, caduta, pentimento, perdono"). Come osservava Rohmer, il film di Kalatozov colpisce non soltanto per la libertà dei sentimenti che manifesta, ma anche per il suo legame con la tradizione sovietica. "Lavoro, famiglia, patria socialista", nota ancora Navailh: il film esalta le convenzionali virtù sovietiche (altra contraddizione, il nome a evidente connotazione semita di Mark, personaggio negativo). Il segreto del suo successo è dunque da ricercarsi altrove: per esempio nel ricorso a forme melodrammatiche all'epoca presenti soprattutto nei film indiani, assai diffusi nelle repubbliche asiatiche dell'URSS, o in un linguaggio cinematografico fatto di eccessi, come le numerose inquadrature grandangolari o le carrellate audaci che fungono da contrappunto allo scatenarsi delle passioni e della natura. E qui entra in gioco il determinante contributo dell'operatore Urusevskij, pittore e cineasta che avrebbe poi sistematizzato questo stile nei suoi film successivi, realizzati da Kalatozov o da lui stesso. È questa, secondo Naum Kleiman, la lezione da trarre a posteriori dal film: "È in contrasto con il passato, come una sorta di promessa. Letjat žuravli, con il suo stile soggettivo, oggi può sembrare barocco, ma all'epoca era un simbolo di protesta. La libertà non emerge dal soggetto, e nemmeno dalle idee, ma da questo diverso modo di fare cinema, dallo stile. Lo stile visivo... una promessa sulla quale non ci si può ricredere". Infine, questa esuberanza plastica ed emotiva che si rafforzerà nelle successive collaborazioni tra Kalatozov e Urusevskij ‒ Neotpravlennoe pis′mo (La lettera non spedita, 1960), film totalmente nichilista, e Ja Kuba ‒ Yo soy Cuba (Io sono Cuba, 1964), che invece segna il ritorno alla speranza nel senso della rivoluzione ‒ è riuscita a influenzare un'intera generazione di cineasti americani: Francis Ford Coppola e Martin Scorsese hanno promosso il restauro di Letjat žuravli e di queste ultime due opere, per poi distribuirle in formato DVD.
Interpreti e personaggi: Tat′jana Samojlova (Veronika), Aleksej Batalov (Boris), Vasilij Merkur′ev (Fëdor Ivanovič), Aleksandr Švorin (Mark), Svetlana Charitonova (Irina), Konstantin Nikitin (Volodja), Valentin Zubkov (Stepan), Antonina Bogdanova (la nonna), Boris Kokovkin (Černov), Jekaterina Kuprjanova (Anna Michailovna), Galina Stepanova, Valentina Vladimirova, Saša Popov.
J. Doniol-Valcroze, Par la grâce du formalisme, in "Cahiers du cinéma", n. 85, juillet 1958.
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Gels et dégels. Une autre histoire du cinéma soviétique 1926-1968, a cura di B. Eisenschitz, Paris 2002.