LANDUCCI, Leonida
Nacque a Siena il 30 luglio 1800 dal cavaliere Marco Antonio e da Faustina Pecci. Sposò il 4 febbr. 1837 Anna, figlia del nobile Massimiliano Dufour.
Proprietario terriero e patrizio senese, la sua accertata appartenenza alla nobiltà venne confermata dal conferimento della commenda di grazia da parte dell'Ordine militare di S. Stefano il 19 apr. 1844 (accompagnata da una rendita annua di 400 lire), e dalla concessione di vestire l'abito di cavalier milito come collatario (Arch. di Stato di Pisa, S. Stefano, Provanze di nobiltà).
Indirizzato fin dalla giovinezza verso gli studi economici, il L. fu in continuo contatto con scrittori e scienziati stranieri e divenne compilatore del Giornale agrario toscano, in cui pubblicò numerosi contributi relativi a temi centrali per l'economia granducale (mezzadria, liberismo, credito, trasporti), e dove, in particolare, curò dal 1834 al 1847 la rassegna dedicata alle "Notizie agrarie di Siena".
Attento e appassionato studioso di materia agraria, seguì con grande interesse gli esperimenti condotti nelle tenute modello e nel 1838 pubblicò la Relazione della visita fatta a Meleto, podere sperimentale di proprietà del marchese C. Ridolfi. In quella circostanza i risultati ottenuti dalle innovazioni agronomiche introdotte da Ridolfi furono presentati all'Accademia senese dei Fisiocratici il 22 apr. 1838 (Giornale agrario toscano, 1838, vol. 12, pp. 143-158). Ma senza dubbio le riflessioni più incisive furono dedicate alla mezzadria, un tema al quale il L. aveva già dedicato nel 1832 un contributo (ibid., vol. 7, pp. 505-520) dal titolo Considerazioni sulla povertà del contado toscano. L'intervento si dimostrò così rilevante da innescare di fatto la prima discussione sulla cosiddetta "mezzeria" presso la R. Accademia dei Georgofili. La questione venne nuovamente affrontata dal L. l'anno successivo con un nuovo articolo, Intorno al sistema di mezzeria in Toscana, e più in particolare della provincia senese, in cui espressamente chiedeva "se possa trovarsi altro sistema di coltivazione che congiunto alla mezzadria possa procurare alla Toscana aumento di ricchezza e capitale", e dove chiaramente invitava i proprietari a ritornare nei propri possedimenti per sperimentare nuovi e più incisivi metodi di conduzione agricola.
L'assenteismo di un ceto proprietario sempre più assorbito dalle speculazioni finanziarie e dalla vita politica municipale emergeva qui e altrove (Dell'utilità che risulterebbe all'Italia dal soggiorno dei proprietari in campagna, in Annali di agricoltura, VI [1832], 23, pp. 384-392) come una della cause dell'arretratezza e della bassa produttività della campagna toscana. Convinto che favorendo l'erogazione del credito e razionalizzando il mercato si potesse frenare la disgregazione del sistema agricolo nella provincia senese, nel 1841 il L. fu fra i promotori della costituzione della Cassa di sconto di Siena (Sull'istituzione d'una banca di circolazione in Siena, in Giornale agrario toscano, 1841, vol. 15, pp. 187 ss.). Tre anni più tardi il L. faceva parte anche del gruppo di promotori della Società della Strada ferrata centrale toscana.
Stabilitosi a Firenze, il L. ricoprì vari incarichi pubblici: commissario dell'arcispedale di S. Maria Nuova, contribuì inoltre a numerose iniziative di carattere pedagogico e civile nel settore degli asili infantili e delle scuole di mutuo insegnamento. Membro dell'Accademia dei Georgofili, il 2 genn. 1848 vi espose un importante Rapporto sugli studi accademici dell'anno 1847 (poi in Continuazione degli Atti della R. Accademia economico-agraria dei Georgofili di Firenze, 1848, vol. 27, pp. 220 ss.). Per molti anni resse la carica di provveditore della Camera di sovrintendenza comunitativa di Siena e nel 1848, quando era già da un anno membro della commissione per il riesame delle leggi sulla Consulta e sulla stampa, entrò nella commissione dei quinqueviri incaricata della stesura dello statuto. Durante il periodo costituzionale fu chiamato, dopo la nomina a senatore, a reggere le finanze nel governo Capponi costituito il 17 ag. 1848 ed entrato in crisi dopo poco più di due mesi in seguito alla svolta democratica: svolta che il L. non gradì, tanto da far parte della delegazione recatasi a Gaeta dal granduca per chiederne il rientro. Tornò al potere il 27 maggio 1849 come ministro dell'Interno nel governo di G. Baldasseroni e restò in carica fino alla caduta della dinastia lorenese palesando una colpevole sordità rispetto all'evoluzione del sentimento nazionale in Toscana.
La durezza eccessiva della sua politica interna fu sottolineata persino dal barone Carl A. von Hügel, rappresentante austriaco a Firenze, al quale parve che fosse "quelquefois plutôt nécessaire de le retenir dans ses mesures que de le pousser à l'énergie" (R. Moscati, Austria, Napoli e gli Stati conservatori italiani. 1849-1852, Napoli 1942, p. 92 n. 23). Rivelatrici di una sua graduale adesione a una linea di totale chiusura erano la "resistenza di carattere confessionale" (Coppini, p. 410) da lui opposta alle tesi industrialiste di Ridolfi e la spedizione ordinata contro la tipografia Barbera, rea di aver pubblicato un opuscolo che denunziava lo sfruttamento della Toscana da parte dell'Austria.
L'attività ministeriale del L. non si sostanziò, tuttavia, di sole misure repressive. In relazione alla riforma del diritto minerario leopoldino, già nel 1852 si disse, insieme con N. Lami, favorevole a una nuova legge in grado di regolare il diritto di proprietà del sottosuolo e del suo sfruttamento, chiedendo l'abolizione del diritto di regalia all'Elba e nel resto dei territori dell'ex Principato di Piombino; ma su questa proposta incontrò l'opposizione di Baldasseroni.
In seguito alla rivoluzione del 27 apr. 1859 il L. fu costretto a riparare a Roma presso un fratello. Dallo Stato pontificio continuò a tenersi in contatto con il partito lorenese e con gli antiunitaristi, nella speranza che in nome del legittimismo Napoleone III garantisse il ritorno al trono di Ferdinando IV, con il quale il L. mantenne un carteggio durante il biennio 1860-61. Dopo due anni di vita ritirata a Roma decise di ritornare in Toscana, stabilendosi a Foiano e poi in una località presso Pescia.
Il L. morì il 17 marzo 1871 nella sua residenza di Villa Croci presso Castelnuovo Berardengo.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Ministero delle Finanze, 191; Protocollo granducale, n. 20, affare 60 bis, (28 ott. 1856); Arch. di Stato di Pisa, S. Stefano, Apprensioni d'abito, 1190 bis, c. 15v; Provanze di nobiltà, 456, ins. 7; lettere del L. a G.P. Vieusseux si conservano presso la Biblioteca nazionale di Firenze, CarteVieusseux, cass. 55, 166-172, 174-200; cass. 56, 1-117; Lettere inedite a Cosimo Ridolfi nell'archivio di Meleto, a cura di R.P. Coppini - A. Volpi, I (1817-1835), Firenze 1994, ad ind.; II (1836-1840), ibid. 1999, ad indicem.
G. Baldasseroni, Leopoldo II granduca di Toscana e i suoi tempi. Memorie…, Firenze 1871, p. 235; M. Lupo Gentile, Le disgrazie di un ministero granducale, in Rass. stor. del Risorgimento, XXV (1938), pp. 988-997; G. Baldasseroni, Memorie 1833-1859, a cura di R. Mori, Firenze 1959, ad ind.; C. Pazzagli, L'agricoltura toscana nella prima metà dell'Ottocento. Tecniche di produzione e rapporti mezzadrili, Firenze 1973, pp. 385-457; Id., La terra delle città. Le campagne toscane dell'Ottocento, Firenze 1992, pp. 151-157, 189-209; S. Vitali, Stato, proprietà fondiaria e industria mineraria in Toscana nella prima metà dell'Ottocento, in La Toscana dei Lorena. Riforme, territorio, società. Atti del Convegno, Grosseto… 1987, a cura di Z. Ciuffoletti - L. Rombai, Firenze 1989, pp. 164 ss.; D. Barsanti, Le commende dell'Ordine di S. Stefano attraverso la cartografia antica, Pisa 1991, pp. 7-50; Id., Organi di governo, dignitari e impiegati dell'Ordine di S. Stefano dal 1562 al 1859, a cura di R. Bernardini - D. Marrara, Pisa 1997, pp. 213-228; R.P. Coppini, Il Granducato di Toscana, III, Dagli "anni francesi" all'Unità, Torino 1993, ad ind.; Diz. del Risorgimento nazionale, III, p. 337 (E. Michel).