LEONE Marsicano (Leone Ostiense)
Nacque poco prima della metà dell'XI secolo, come sembra, da Giovanni e Azza, i cui nomi appaiono segnati tra i lemmi obituari presenti nel Calendario a lui appartenuto (Biblioteca apost. Vaticana, Borg. lat., 211), rispettivamente al 20 e 29 di ottobre. Membro di una nobile famiglia della provincia dei Marsi, L. entrò nel monastero di Montecassino all'età di quattordici anni, accolto e fatto istruire dall'abate Desiderio, il futuro papa Vittore III, in un'epoca compresa fra il 1060 e il 1063.
Questa data si deduce dal fatto che egli ricorda come maestro di noviziato quell'Aldemario che, come notaio di Riccardo (I) principe di Capua, appare documentato almeno fino al 23 ag. 1059 e nel 1063 circa faceva parte della comunità di monaci inviati da Desiderio in Sardegna - su richiesta del giudice di Torres Barisone -, i quali furono poi costretti a ritornare a Montecassino in seguito all'assalto dei Pisani.
Ben presto nel creativo ambiente cassinese L. raggiunse un notevole ruolo in qualità di bibliotecario, se si considera che già nel 1072, tra i ventitré e i ventisei anni d'età, poté sovrintendere alla realizzazione di un Lezionario, il codice Casin., 99 (Montecassino, Archivio dell'Abbazia).
Sulla pagina di dedica del codice (p. 3), che Lowe giudicò non secondo a nessuno nella storia della scrittura minuscola dell'Italia meridionale e dell'ornamentazione delle iniziali, è raffigurato Desiderio che presenta a s. Benedetto il donatore del volume, il monaco Giovanni, futuro vescovo di Sora e zio di L., mentre quest'ultimo è inginocchiato ai piedi del santo nell'atto di porgergli un pezzo di stoffa destinato a proteggere il codice di cui egli stesso aveva curato l'allestimento.
In qualità di responsabile della biblioteca L. svolse una molteplice attività all'interno dello scriptorium, come scriba e supervisore di codici, oltre che come custode della collezione libraria.
Alla sua mano si deve la copia di un capolavoro della scrittura beneventana, il ms. Casin., 442, per l'intera sezione databile non oltre il 1071 (pp. 161-368), che contiene litanie dei santi e orazioni. Quale scriba incaricato della supervisione gli appartengono anche il Reg. Vat., I conservato presso l'Archivio segreto Vaticano, unica copia del Registro di papa Giovanni VIII (databile alla prima metà del 1070), e il codice Casin., 280, recante opere di Alfano e Guaiferio (dopo il 1085). Correzioni autografe di L. si notano nel Casin., 413, che contiene la Vita sancti Mennatis da lui stesso composta intorno al 1094; sezioni di testo e correzioni autografe si rilevano quindi nel celeberrimo codice Clm, 4623 della Bayerische Staatsbibliothek di Monaco, non anteriore al 1099, che contiene la prima redazione della Chronica monasterii Casinensis; è probabile che aggiunte di sua mano siano presenti nel già ricordato ms. vaticano Borg. lat., 211, non anteriore al 1098-99.
Se notevole fu l'influenza di L. sull'assetto e l'arricchimento della biblioteca di Montecassino, non meno spiccata fu la sua abilità di conoscitore dei documenti dell'archivio del cenobio e, al momento opportuno, di difensore dei titoli di possesso e delle prerogative giuridiche della sua abbazia, talché fu presto investito di funzioni di delega e di rappresentanza presso l'autorità pontificia, in particolare, come sembra, al sinodo del Laterano nel novembre 1078, a Melfi nel settembre 1089, ancora a Roma nel 1097 e a Benevento nel settembre 1098.
L'ultima fonte che documenta L. ancora semplice monaco non è databile oltre il 1101 (cfr. Regesto di S. Angelo in Formis); di lì a poco, tra il 1102 e il 1107, fu nominato da papa Pasquale II cardinale vescovo di Ostia e di Velletri. In tale veste emerge per la prima volta in un atto pontificio del 7 sett. 1109 (cfr. Liber censuum), apparendo poi pienamente coinvolto nella crisi politico-ecclesiastica scoppiata a Roma nel 1111.
Il 4 febbr. 1111 a Sutri Enrico V confermò un patto, concordato pochi giorni prima dai suoi legati, in base al quale nel giorno dell'ormai prossima incoronazione imperiale sarebbe stato intimato all'episcopato tedesco di restituire tutti i beni imperiali al re, mentre questi rinunciava all'investitura dei vescovi. Il 12 febbraio Pasquale II dava lettura in S. Pietro dell'accordo, provocando l'opposizione del clero e dei principi tedeschi sia laici sia ecclesiastici e la successiva dichiarazione da parte del re di ineseguibilità dell'atto. Alla resistenza del papa seguì il suo arresto e, due mesi dopo, l'11 apr. 1111, il pontefice, insieme coi cardinali con lui detenuti, sottoscriveva gli "accordi di ponte Mammolo", riconoscendo al sovrano germanico il diritto di conferire l'investitura mediante il pastorale e l'anello.
Contro questo privilegio L. dovette esprimere il suo dissenso, come mostra la reazione di Pasquale II, che il 5 luglio 1111 deplorò tale atteggiamento in una lettera nella quale sono accomunati L. e il cardinale Giovanni di Tuscolo. Sfuggiti evidentemente alla cattura da parte del re, sia L. sia Giovanni di Tuscolo erano estranei ai patti conclusi in aprile e avevano organizzato l'opposizione dei Romani al re tedesco. Tuttavia il contegno assunto da L. non lo collocò sulle posizioni più estreme, assunte sia dal vescovo di Tuscolo sia da Bruno vescovo di Segni; quest'ultimo peraltro dal novembre 1107 aveva assunto anche la carica di abate di Montecassino e, in tale veste, espresse a chiara voce le sue rimostranze contro l'accordo sottoscritto dal papa.
Il più discreto L., invece, nel settembre 1111 veniva incaricato da Pasquale II di comunicare ai monaci cassinesi la volontà del papa di deporre dalla carica abbaziale il vescovo di Segni, perché si eleggesse un nuovo abate, come avvenne in ottobre nella persona di Gerardo.
Il 24 genn. 1112 L. consacrò un altare nella chiesa di S. Lorenzo in Lucina e, a differenza di Giovanni di Tuscolo e di Bruno di Segni, partecipò alla sessione del concilio Lateranense nella quale, insieme con altri cardinali, sottoscrisse la condanna del privilegio (pravilegium) concesso a Enrico. Il suo prudente atteggiamento gli permise di restare vicino al papa e alla Curia, seguendone gli spostamenti: attestato nel 1113 (11-12 febbraio e 16 ottobre), L. sottoscrisse in più occasioni documenti emessi dal pontefice nel 1114 (25 febbraio, 28 maggio, 5 luglio).
La morte colse L. nella residenza romana della comunità cassinese, il monastero di S. Maria in Pallara sul Palatino, dove abitualmente risiedeva, come informa il continuatore della Chronica, Guido; proprio nel Martirologio del codice Vat. lat., 378 (ultimi decenni dell'XI secolo), appartenuto a quel monastero, è segnato, a c. 28r, l'obitus di L. al 22 maggio 1115.
Questa data è riportata anche nel Necrologio del ms. Casin., 47 (metà XII secolo), dove l'anonimo copista, segnalandone la scomparsa, ricorre a una formula: "obiit venerande memorie domnus Leo Hostiensis episcopus" (c. 291r), che ricorre all'interno del testo solo altre cinque volte per Paolo Diacono, Pier Damiani, l'abate Desiderio, l'abate e cardinale Oderisio e papa Anastasio IV.
A tale feconda operosità L. aveva affiancato un'intensa attività letteraria in campo specialmente agiografico e storiografico.
La sua produzione è attestata da Pietro Diacono nella scheda bio-bibliografica che gli dedica al capitolo XXX del suo Liber illustrium virorum archisterii Casinensis: "Leo Hostiensis episcopus et biblyothecarius […], fecit sermones de Pasca, de Nativitate; Ystoriam peregrinorum; Ystoriam Casinensis archisterii divisam in libros quadtuor; Vitam sancti Mennatis et alia quamplurima que in nostram non venere notitiam" (codice Casin., 361, p. 140). Sono da ritenere perduti i Sermones de Pasca, de Nativitate, mentre della Ystoria peregrinorum - narrazione degli eventi legati alla prima crociata - sopravvive, come sembra, un riflesso in Chronica, IV, 11.
Intorno all'anno 1094 L. aveva composto la Vita sancti Mennatis facendola precedere dal racconto della Translatio del santo nella cattedrale di Caiazzo, avvenuta in quell'anno per volontà del conte d'Alife e Caiazzo, Roberto.
Proprio per solennizzare l'avvenimento il conte chiese all'abate Oderisio di Montecassino di affidare a qualcuno dei suoi monaci il compito di redigerne memoria, come appunto avvenne per opera di L., il quale specialmente nel proemio, rivolgendosi all'abate, colse l'occasione per mostrare con artifici retorici la solidità dei legami tra l'ambiente cassinese e quello normanno. Il manoscritto Casin., 413 contiene pure una seconda Translatio delle spoglie di Menna, questa volta da Caiazzo alla cappella comitale di Sant'Agata dei Goti e inoltre i Miracula del santo, alla cui composizione L. dovette attendere tra il 1102 e il 1107.
All'incirca nella metà dell'ultimo decennio del secolo L. aveva redatto anche la Narratio de consecratione ecclesiae Casinensis conservata nel codice Casin., 47, come pure la Breviatio de monasterio Sanctae Sophiae.
Quest'ultimo lavoro, probabilmente preparatorio della Chronica, riflette l'impegno profuso da L. nel sostenere dinanzi all'autorità pontificia la dipendenza giurisdizionale del monastero beneventano di S. Sofia da Montecassino.
Fra le più importanti opere della storiografia medievale italiana, infine, la Chronicamonasterii Casinensis, che nella prima stesura risale agli anni immediatamente successivi al 1099. Alla morte di L. la Chronica restò interrotta alla metà del periodo di governo dell'abate Desiderio (III, 33: settembre 1075), senza quindi in alcun modo trattare del successore di quest'ultimo, l'abate Oderisio (1087-1105), su commissione del quale L. aveva lavorato a quell'impresa.
Guido, probabilmente già allievo di Alberico senior e poi maestro di Pietro Diacono, si assunse il compito di proseguire l'opera ampliando la narrazione degli eventi fino all'anno 1127 (IV, 95). Sarà Pietro Diacono ad accreditarsi come unico e immediato erede dell'opera di L., continuandola fino al 1138.
Se in un primo tempo Pietro nella vita di Guido (Liber illustrium virorum, ms. Casin., 361, p. 142) riconosceva come quest'ultimo, già suo maestro, "que in Ystoria Casinensi deerant, a temporibus sci[licet] Oderisii primi usque ad hunc diem adiuncxit", più tardi nel prologo al libro IV della Chronica scriveva di sé: "Et quia abbatum series a patris Benedicti temporibus usque ad renovationem ecclesie beati Martini a predicto Leone fuerat exarata, nos ab eiusdem ecclesie renovatione scribendi sumentes initium ea, que de sanctissimi Desiderii vita descripta non erant, eidem Historie adiungere curavimus, ne ex maxima parte tertius liber detruncatus videretur" (ed. Hoffmann, p. 459). In tal modo Pietro Diacono annullava la reale portata del contributo di Guido, la cui continuazione, pur rimaneggiata da Pietro, ci è tuttavia giunta nella seconda redazione della Chronica di L., conservata nel solo codice Casin., 450, mentre la prima versione, contenuta nel già ricordato codice monacense Clm, 4623, non va oltre il libro II, cap. 92.
Tre sono le classi di codici, corrispondenti ad altrettante redazioni della Chronica di L., individuate da Hoffmann (1973): la prima è quella contenuta nel monacense, di cui si servì L. per aggiunte e correzioni e che, in seguito, nel 1137, fu portato da Montecassino in Germania; la seconda stesura, non pervenuta nella forma originale di L., si conserva nel solo ms. Casin., 450; la terza redazione, infine, prima che nel 1137 fosse portata via dall'abate Guibaldo di Stavelot, era disponibile in un codice vergato intorno al 1100 a Montecassino e oggi, a eccezione di alcuni frammenti, perduto. Di quest'ultimo codice resta comunque una copia diretta nel ms. Casin., 202, vergato in minuscola intorno al 1140 nello scriptorium di Stavelot ed esemplato con tutta evidenza sulla terza stesura della Chronica. Questo sembra il vero motivo per cui Pietro Diacono da una parte, allorché attese a rimaneggiare e poi a continuare l'opera di L. e di Guido, poté utilizzare solo la seconda redazione leoniana, dall'altra, quando alcuni anni prima, tra il 1131 e il 1133, aveva lavorato alla preparazione e alla realizzazione del Registrum (Montecassino, Archivio dell'Abbazia, Reg., 3), aveva potuto invece servirsi non solo della prima e della seconda ma anche della terza redazione della Chronica.
Irrinunciabile per la conoscenza delle vicende dell'Italia centromeridionale specialmente nei secoli XI-XII, la Chronica leoniana rivela una cospicua ricchezza di fonti e riferimenti culturali che ne caratterizzano stile e contenuto. Oltre che dalla Bibbia, dalla liturgia, dai Padri della Chiesa, dai classici, L. attinse soprattutto alla tradizione storiografica di origine cassinese o che godeva di maggior credito a Montecassino: la Regola di Benedetto, i Dialogi di Gregorio Magno, Paolo Diacono, Erchemperto e i Chronica sancti Benedicti, i Dialogi dell'abate Desiderio, testi del poeta e agiografo cassinese Guaiferio, probabilmente Amato; a questi si possono aggiungere Sulpicio Severo (Vita Martini), Beda, Pier Damiani.
Fra i tanti profili della cronachistica di L. emerge più di altri, per originalità, la sua interpretazione della renovatio desideriana, intesa come recupero di Roma, dell'arte romana, dei suoi modelli architettonici e decorativi, talché si è ipotizzato (Toubert) che sia stato proprio L. a ideare il programma di decorazione relativo ai mosaici dell'abside di S. Clemente a Roma, capolavoro che più di altri appare in piena sintonia con quell'ideale di rinnovamento dell'arte paleocristiana descritto da L. nella Chronica quale esperimento artistico compiutosi a Montecassino. Proprio sollecitando l'inclinazione leoniana a esaltare la Chiesa delle origini, il cardinale Anastasio di S. Clemente, promotore del restauro degli edifici di quel titolo, commissionò a L., quando questi era cardinale vescovo di Ostia e Velletri, la composizione di una trilogia in onore del martire Clemente.
Il testo, conservato in un codice del XIV secolo (Praga, Archivio del Castello, Biblioteca del Capitolo metropolitano, N XXIII), originariamente si componeva del De origine beati Clementis, di un De ordinatione seu Cathedra sancti Clementis, andato quasi interamente perduto, e della Translatio corporis sancti Clementis.
Nella prefazione al De origine, L. sembra voler indicare d'essersi ispirato alle cosiddette Recognitionespseudo-Clementinae nella versione latina curata da Rufino, ma in realtà egli utilizzò il rifacimento delle Recognitiones compiuto alla fine del IX secolo da Giovanni Immonide e continuato dopo la morte di questo da Gauderico vescovo di Velletri.
Di tale rifacimento ci è pervenuta la sola Vita sancti Clementis, conservata nel codice Casin., 234 (XI secolo), molto probabilmente la stessa fonte utilizzata almeno inizialmente da L., anche se va sottolineato che il cronista cassinese non sempre cita i testi di cui si serve e che, inoltre, come dimostra l'esame del rifacimento leoniano, egli non omise di ricorrere pure direttamente alla versione di Rufino.
Questo deve essere tenuto in giusta considerazione per meglio valutare la terza parte della trilogia, la cosiddetta Legenda Italica, costituita dalla Translatio, che descrive il ritrovamento delle reliquie del santo a opera di s. Cirillo, il dono che questi ne fece al papa quando su invito di Niccolò I giunse a Roma insieme con Metodio poco dopo la scomparsa dello stesso pontefice, avvenuta il 13 nov. 867, e infine la deposizione delle reliquie da parte di Adriano II nel titolo di S. Clemente. Proprio in corrispondenza di tale sezione finale, il rifacimento dell'Immonide e di Gauderico è andato perduto mentre sopravvive quello di L., talché mancando il termine di confronto si è ben ipotizzato che egli possa essersi rifatto anche a ulteriori fonti, cronologicamente posteriori e quindi ignote ai due precedenti rielaboratori del testo di Rufino.
Anche da cardinale L. dovette utilizzare testi conservati nell'antica sede cassinese, ma almeno due prodotti di quella straordinaria fucina di manoscritti egli portò certamente con sé nella nuova dimora cardinalizia di Ostia e Velletri: un Messale (Borg. lat., 211) e un rotolo di Exultet (Velletri, Archivio diocesano, cfr. Pace), entrambi riflesso non solo della sensibilità letteraria ed estetica, dell'acuto senso della memoria e dell'equilibrio del diplomatico ma anche e in primo luogo della pietas del monaco e cardinale.
Edizioni delle opere: Breviatio de monasterio Sanctae Sophiae: in E. Gattola, Historia abbatiae Cassinensis per saeculorum seriem distributa, Venetiis 1733, pp. 54-56; Narratio de consecratione ecclesiae Casinensis: a cura di T. Leccisotti, in A. Pantoni, Le vicende della basilica di Montecassino attraverso la documentazione archeologica, Montecassino 1973, pp. 215-225 (trad. italiana in Leone Marsicano, Cronaca di Montecassino [III 26-33], a cura di F. Aceto - V. Lucherini, Milano 2001, pp. 86-95). Chronica monasterii Casinensis: a cura di A. de Nuce, Lutetiae Parisiorum 1668; a cura di W. Wattenbach, in Mon. Germ. Hist., Script., VII, Hannoverae 1846; a cura di H. Hoffmann, ibid., XXXIV, ibid. 1980. Vita sancti Mennatis: G. Orlandi, Opera inedita di Leone Marsicano, in Rendiconti dell'Istituto lombardo di scienze e lettere, classe di lettere, scienze morali e storiche, XCVII (1963), pp. 467-490. Translatio sancti Mennatis: B. de Gaiffier, Translations et miracles de S. Mennas par Léon d'Ostie et Pierre du Mont Cassin, in Analecta Bollandiana, LXII (1944), pp. 5-32; G. Orlandi, De origine beati Clementis: Iohannis Hymmonidis et Gauderici Veliterni, Leonis Ostiensis, Excerpta ex Clementinis recognitionibus a Tyrannio Rufino translatis, Milano-Varese 1968. De ordinatione seu Cathedra sancti Clementis: P. Meyvaert - P. Devos, Autour de Léon d'Ostie et de sa Translatio S. Clementis (Légende Italique des Ss. Cyrille et Méthode), in Analecta Bollandiana, LXXIV (1956), pp. 189-240. Translatio corporis sancti Clementis: P. Meyvaert - P. Devos, Trois énigmes cyrillo-méthodiennes de la "Légende Italique" résolues grâce à un document inédit, ibid., LXXIII (1955), pp. 375-461.
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