Legge di conversione del decreto-legge
La conversione consente la stabilizzazione degli effetti del decreto-legge nell’ordinamento, altrimenti circoscritti al sessantesimo giorno dalla sua pubblicazione.
Dopo uno sviluppo non sempre lineare e coerente, la giurisprudenza costituzionale degli ultimi anni ha individuato con una certa chiarezza i limiti costituzionali relativi alla decretazione d’urgenza e all’intervento parlamentare in sede di conversione.
Al riguardo, un passaggio importante è segnato da C. cost., 25.2.2014, n. 32, con la quale la Corte costituzionale ha censurato gli abusi del decreto-legge configurando la legge di conversione quale «legge funzionalizzata alla stabilizzazione di un provvedimento avente forza di legge».
L’ult. co. dell’art. 77 Cost. affronta i due diversi modi in cui può terminare l’esistenza precaria dei decreti-legge: la conversione in legge, entro sessanta giorni dalla pubblicazione, ovvero la decadenza retroattiva, eventualmente temperata dalla legge di sanatoria che regola i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti-legge non convertiti.
La conversione consente la stabilizzazione degli effetti dell’atto governativo nell’ordinamento, altrimenti circoscritti al sessantesimo giorno dalla sua pubblicazione. La dottrina oscilla tra ricostruzioni che considerano la legge di conversione una legge di approvazione (o di ratifica)1 e altre che la assimilano a una novazione2.
Tale distinzione presenta un notevole impatto pratico, incidendo direttamente sulla possibilità che i vizi propri del decreto-legge si trasmettano anche alla conversione.
Al riguardo è stato osservato che «l’effettivo motivo che ha condotto ad una sostanziale inosservanza dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza, e più oltre all’incontrollato proliferare della decretazione d’urgenza, sta nella diffusa ed assolutamente prevalente opinione che i vizi del decreto siano autonomi da quelli della legge di conversione, con la conseguenza che, una volta intervenuta tale legge, questa sanerebbe, quanto al provvedimento del Governo, ogni vizio d’oggetto, di contenuto o di presupposti»3.
A siffatta impostazione ha contribuito non poco la giurisprudenza della Corte costituzionale che per anni ha seccamente e ripetutamente affermato che «l’avvenuta conversione in legge del decreto fa ritenere superate le proposte censure», in maniera tale da ritenere assorbito ogni vizio del decreto nell’efficacia novativa della legge di conversione (sul punto v., tra le altre, C. cost., 23.4.1986, n. 108; C. cost., 6.7.1987, n. 243; C. cost., 15.11.1988, n. 1033; C. cost., 24.6.1994, n. 263).
Tale orientamento giurisprudenziale è peraltro mutato intorno alla metà degli anni ’90, in ragione sia di una prassi sempre più degenerata sia di importanti sollecitazioni dottrinali: in C. cost., 27.1.1995, n. 29 è stata difatti ammessa – come obiter dictum – la possibilità di scrutinare il vizio dei presupposti del decreto-legge, quanto meno nei casi di «evidente mancanza», anche dopo la conversione, negando quindi l’efficacia “sanante” di quest’ultima e sforzandosi, invece, di ricostruire il difetto della straordinaria necessità ed urgenza quale vizio formale, come tale trasmissibile alla legge parlamentare4.
Sebbene da ultimo questa impostazione sia stata più volte ribadita dalla giurisprudenza costituzionale (v. C. cost., 25.11.2003, n. 341; C. cost., 13.1.2004, n. 6; C. cost., 22.6.2004, n. 178), di certo non può ritenersi assolutamente scalfita la funzione (anche) normativa della conversione. Quest’ultima, difatti, risulta strettamente connessa alla prassi (stabilmente ammessa in Italia) degli emendamenti in sede di conversione5, non avendo mai avuto seguito la (corretta) proposta di applicare alla conversione l’idea del «prendere o lasciare» il decreto-legge, atteso che «intatto il potere delle Camere di approvare o bocciare i decreti-legge, non dovrebbe essere consentito ad esse di snaturarne l’essenza attraverso emendamenti, sì da alterare la funzione degli interventi governativi di urgenza (prendere o lasciare)»6.
In tal modo la legge di conversione sembra aver sempre mantenuto la duplice natura di bill d’indennità7, ma anche di atto di normazione sostanziale pro futuro, anche con contenuti ulteriori rispetto al decreto (non essendo mai stata considerata la legge di conversione come una funzione legislativa specializzata).
Dopo uno sviluppo non sempre lineare e coerente, la giurisprudenza costituzionale degli ultimi anni pare aver individuato con una certa chiarezza i limiti costituzionali relativi alla decretazione d’urgenza e all’intervento parlamentare in sede di conversione.
Al riguardo, un passaggio importante è certamente segnato da C. cost., 25.2.2014, n. 32, con la quale la Corte costituzionale ha censurato gli abusi del decreto-legge configurando la legge di conversione quale «legge funzionalizzata alla stabilizzazione di un provvedimento avente forza di legge» (Considerato in diritto § 4.1).
2.1 Il contributo della giurisprudenza costituzionale negli anni ’90
Il giudice costituzionale è stato tradizionalmente ritroso nel controllo formale sulla sussistenza dei presupposti del decreto-legge (v., ad es., C. cost., 11.10.1983, n. 307; C. cost., 23.4.1986, n. 108).
A metà degli anni ’90 la Corte costituzionale ha tentato di sindacare l’evidente mancanza dei presupposti del decreto-legge anche dopo la conversione, negando l’efficacia sanante di quest’ultima e inquadrando il difetto della straordinaria necessità e urgenza del decreto-legge quale vizio formale, come tale trasmissibile alla legge di conversione (v. C. cost., 27.1.1995, n. 29).
L’argomento dell’efficacia sanante della legge di conversione è riemerso negli anni successivi con una giurisprudenza costituzionale segnata da pronunce contraddittorie che ora hanno negato ora hanno ammesso il vaglio dei presupposti del decreto-legge dopo la conversione in legge (v. C. cost., 13.10.2000, n. 419; C. cost., 28.11.2001, n. 376; C. cost., 25.2.2002, n. 29).
Tale fase di incertezza è stata nuovamente superata quando la Corte costituzionale ha riaffermato la possibilità di sindacare i presupposti di necessità e urgenza del decreto-legge solo nei limiti dell’«evidente mancanza» degli stessi, anche dopo la conversione in legge, enucleando in maniera compiuta gli indicatori sintomatici attraverso i quali verificare la sussistenza del vizio (il preambolo del decreto-legge; la relazione governativa di accompagnamento del disegno di legge di conversione; il contesto normativo in cui il decreto-legge va a inserirsi)8.
Ma in nessun caso – sino al 2007 – la Corte si è spinta sino ad annullare un decreto-legge per mancanza dei presupposti.
2.2 La svolta nel 2007
Nel 2007 la Corte ha difatti iniziato a sindacare le norme “intruse” in sede di conversione in legge. Nello specifico, con C. cost., 23.5.2007, n. 171 è stata colpita una disposizione tesa a risolvere un problema di ineleggibilità del sindaco diMessina in un decreto-legge concernente la finanza degli enti locali, sulla base dell’assunto che «la norma censurata si connota, pertanto, per la sua evidente estraneità rispetto alla materia disciplinata dalle altre disposizioni del decreto legge in cui è inserita» (Considerato in diritto § 6).
Successivamente, in C. cost., 30.4.2008, n. 128, il Giudice delle leggi ha ritenuto costituzionalmente illegittimi gli artt. 18, co. 2 e 3, e 2, co. 105 e 106, d.l. 3.10.2006, n. 262, nel testo sostituito in sede di conversione, nella parte in cui dispongono l’esproprio del teatro Petruzzelli in favore del Comune di Bari. In tale pronuncia la Corte – incentrando la propria motivazione sulla carenza dei presupposti, lasciando sullo sfondo il fatto che si trattasse di una norma intrusa – ha ritenuto che l’introduzione di una norma nella conversione di un decreto-legge «non può essere sostenuta da un’apodittica enunciazione della sussistenza dei richiamati presupposti, né può esaurirsi nella eventuale constatazione della ragionevolezza della disciplina» (Considerato in diritto § 8.2).
Soltanto più tardi ‒ con C. cost., 16.2.2012, n. 22 – la Corte costituzionale è arrivata a chiarire i limiti dell’emendabilità nel procedimento parlamentare di conversione.
In quell’occasione il Giudice è stato chiamato a scrutinare l’art. 2, co. 2-quater, d.l. 29.12.2010, n. 225 aggiunto dalla l. di conversione 26.2.2011, n. 10 e introduttivo dei co. 5-quater e 5-quinquies, primo periodo, nell’art. 5, l., 24.2.1992, n. 225, al fine di regolare i rapporti finanziari tra Stato e Regioni in materia di protezione civile. In questa occasione, la Corte (non ha seguito la linea della verifica dei presupposti della disposizione aggiunta, ma) si è concentrata nel limitare la stessa possibilità di emendare il decreto in base alla funzione della conversione: «In definitiva, l’innesto nell’iter di conversione dell’ordinaria funzione legislativa può certamente essere effettuato, per ragioni di economia procedimentale, a patto di non spezzare il legame essenziale tra decretazione d’urgenza e potere di conversione. Se tale legame viene interrotto, la violazione dell’art. 77, co. 2, Cost. non deriva dalla mancanza dei presupposti di necessità e urgenza per le norme eterogenee aggiunte, che, proprio per essere estranee e inserite successivamente, non possono collegarsi a tali condizioni preliminari (sent. n. 355 del 2010), ma per l’uso improprio, da parte del Parlamento, di un potere che la Costituzione gli attribuisce, con speciali modalità di procedura, allo scopo tipico di convertire, o non, in legge un decreto-legge» (Considerato in diritto § 4.2)9.
2.3 Le novità in C. cost., 25.2.2014, n. 32
Con la più recente C. cost., 25.2.2014, n. 32 la Corte costituzionale si è pronunciata riguardo il (solo) profilo della fuoriuscita della legge di conversione dal nesso funzionale con il decreto-legge, sindacando non un “esercizio improprio” di un potere, ma la “carenza” dello stesso10.
Oggetto del decisum sono state alcune norme del d.l. 30.12.2005, n. 272, che reca un novero eterogeneo di disposizioni, relative alla sicurezza e al finanziamento delle allora imminenti Olimpiadi invernali di Torino, all’amministrazione dell’Interno e al recupero di tossicodipendenti recidivi. Quest’ultima previsione ripristinava (rispetto alla l. 5.12.2005, n. 251 che l’aveva soppressa) la sospensione dell’esecuzione della pena nei confronti dei tossicodipendenti con un programma terapeutico in atto. Legato a siffatta previsione fu introdotto, in sede di conversione del decreto-legge, un insieme di articoli aggiuntivi, riscriventi il testo unico sugli stupefacenti (d.P.R. 9.10.1990, n. 309) e il trattamento sanzionatorio dei reati in esso previsti (nonché le correlative tabelle delle sostanze stupefacenti o psicotrope).
Alla Corte costituzionale è giunta la questione di legittimità costituzionale relativa alle sole disposizioni (tra le numerose inserite nel corso della conversione) parificanti il trattamento sanzionatorio delle droghe “leggere” (tabelle II e IV) e delle droghe “pesanti” (tabelle I e III).
La Corte ha accolto la questione «per difetto di omogeneità, e quindi di nesso funzionale, tra le disposizioni del decreto-legge e quelle impugnate, introdotte nella legge di conversione». Infatti «l’inclusione di emendamenti e articoli aggiuntivi che non siano attinenti alla materia oggetto del decreto-legge, o alle finalità di quest’ultimo, determina un vizio della legge di conversione in parte qua» (Considerato in diritto § 4.1).
In altre parole, nell’ipotesi in cui la legge di conversione spezza la connessione della legge al decreto (per attinenza alla materia o alla finalità del decreto) si determina un vizio di procedura ossia un vizio di formazione della disposizione di legge per violazione dell’art. 77, co. 2, Cost.
La legge di conversione – si legge in C. cost. n. 32/2014 – segue un iter parlamentare semplificato e accelerato, costituzionalmente ritagliato sulla «sua natura di legge funzionalizzata alla stabilizzazione di un provvedimento avente forza di legge, emanato provvisoriamente dal Governo e valido per un lasso temporale breve e circoscritto. … Dalla sua connotazione di legge a competenza tipica derivano i limiti alla emendabilità del decreto-legge. La legge di conversione non può, quindi, aprirsi a qualsiasi contenuto ulteriore. Diversamente, l’iter semplificato potrebbe essere sfruttato per scopi estranei a quelli che giustificano l’atto con forza di legge, a detrimento delle ordinarie dinamiche di confronto parlamentare » (Considerato in diritto § 4.1).
Dunque con la pronuncia in questione la Corte costituzionale ha individuato nella legge di conversione la «natura di legge funzionalizzata alla stabilizzazione di un provvedimento avente forza di legge», la «connotazione di legge a competenza tipica», il «legame essenziale tra decreto-legge e legge di conversione», la «interrelazione funzionale tra disposizioni del decreto-legge e quelle della legge di conversione ex art. 77, co. 2, Cost.».
Con la pronuncia appena citata la Corte costituzionale ha di fatto ridimensionato la prospettiva che il Governo – una volta intervenuto con decreto-legge – possa disporre della propria maggioranza parlamentare per “coprire” gli abusi della decretazione che tali rimangono anche se trasfusi nella legge di conversione.
Ciò accade se sono convertiti decreti-legge non supportati dai presupposti costituzionali o sono regolamentate materie ad esso precluse,ma anche ogni volta che la legge di conversione sostanzia l’espediente «per lasciarsi alle spalle qualsiasi interrelazione funzionale con il decreto originario e per occupare liberamente ogni altro “spazio normativo” abusando della corsia preferenziale e degli snellimenti procedurali che caratterizzano l’iter di conversione»11.
Tale rischio si corre – evidentemente – ogni volta che la conversione in legge sostanzia qualcosa in più rispetto alla semplice stabilizzazione della disciplina del decreto-legge provvisoriamente in vigore.
Rispetto all’evidente trasformazione della conversione in legge in una procedura parlamentare accelerata, finalizzata ad approvare provvedimenti che mantengono spesso un fragile collegamento con il contenuto iniziale dei decreti (essendo questi ultimi modificati significativamente dalla maggioranza, spesso su sollecitazione dello stesso Governo), anche alla luce del più recente approdo giurisprudenziale può oggi ritenersi prevedibile una reazione ex post del giudice costituzionale.
Ma nei prossimi anni prevarrà davvero questo atteggiamento penetrante ed efficace della Corte o si perpetuerà l’incomprensibile lassismo procedurale delle Camere?
1 V. Romano, S., Saggio di una teoria sulle leggi di approvazione, in Filangieri, 1898, ora in Zanobini, G., a cura di, Scritti minori, I, Milano, 1950, 47 ss.
2 V. Crisafulli, V., Lezioni di diritto costituzionale, Padova, 1993, 89.
3 Così. Sorrentino, F.-Caporali, G., Legge (atti con forza di), in Dig. pubbl., IX, Torino, 1994, 123.
4 Cfr. Celotto, A., L’«abuso» del decreto-legge, Padova, 1997.
5 Cfr. art. 96 bis, VIII c., R.C. e art. 97, I c., R.S.
6 Così Sandulli, A.M., La Costituzione, 1974, inNuova antologia, 1974, 35.
7 Cfr. Treves,G., Bill d’indennità, in Enc. dir., V,Milano, 1959, 481.
8 Cfr., tra le altre, C. cost., 25.11.2003, n. 341 e C. cost., 7.7.2005, n. 272.
9 Meno aderente a quest’orientamento è C. cost., 19.7.2013, n. 220.
10 Cfr. Celotto, A., Uso e abuso della conversione in legge, in www.federalismi.it, 11.7.2004.
11 Cfr. D’Andrea, A., «Convertire in legge i decreti del Governo»! Aspetti problematici di un “dato preoccupante” e prospettive istituzionali, Audizione presso la Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati sulla decretazione d’urgenza, 19.6.2014, in www.federalismi.it.