Leasing e tutele dell'utilizzatore
Le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno affrontato il problema della tutela dell’utilizzatore parte di un rapporto di leasing, confermando l’orientamento che qualifica l’operazione economica come fattispecie di collegamento fra due contratti autonomi, seppur collegati. L’utilizzatore è pertanto sì legittimato a far valere la pretesa all’adempimento del contratto di fornitura, oltre che al risarcimento del danno conseguentemente sofferto; tuttavia, in mancanza di una specifica clausola contrattuale, con la quale il concedente trasferisca la propria posizione sostanziale, l’utilizzatore non può esercitare l’azione di risoluzione (o di riduzione del prezzo) del contratto di vendita tra fornitore e concedente (rapporto cui è estraneo). In questa prospettiva, le tutele a disposizione dell’utilizzatore restano ancorate alla diligenza del concedente, il quale dovrebbe farsi carico, nel rispetto del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto, di tutelarne i diritti, agendo nel suo interesse.
SOMMARIO 1. La ricognizione 2. La focalizzazione 2.1 Mancata consegna (o rifiuto) del bene 2.2 Vizi occulti
2.3 La tutela dell’utilizzatore/consumatore 3. I profili problematici
La complessità strutturale e soggettiva caratteristica dell’operazione economica di leasing finanziario innesca una serie di problemi operativi1; questi si colgono massimamente sul piano dei rimedi predisposti dall’ordinamento in reazione agli inadempimenti delle parti coinvolte.
La veste giuridica dell’operazione, infatti, prevede l’intrecciarsi di due rapporti (fornitura del bene e concessione in godimento all’utilizzatore), dei quali, tuttavia, solo il concedente è parte comune; il che rende problematica la questione della tutela dell’utilizzatore di fronte all’inadempimento del fornitore del bene concesso in leasing.
Struttura giuridica dell’operazione e tutele disponibili per l’utilizzatore sono sempre stati fortemente interdipendenti nelle ricostruzioni giurisprudenziali sul punto: se si riconosce che all’operazione, unitaria sul piano economico, corrisponde sul piano giuridico un unico contratto fra fornitore, concedente/finanziatore e utilizzatore, si consente a quest’ultimo di rivolgersi direttamente all’inadempiente per ottenere sia l’adempimento, la sostituzione del bene o la riduzione del prezzo, che la risoluzione del contratto; a diverse conclusioni si arriva se, invece, si qualifica l’operazione come collegamento fra due contratti autonomi. In questa seconda prospettiva, il principio di relatività degli effetti del contratto (art. 1372 c.c.), infatti, inibisce all’utilizzatore, parte del solo contratto di leasing, di far valere nei confronti del fornitore le cd. azioni positive (risoluzione del contratto o riduzione del prezzo del bene), capaci di incidere sul rapporto di vendita inter alios (fornitore e concedente).
La questione si pone, in concreto, in questi termini: di fronte all’inadempimento del venditore, quali sono i rimedi attivabili dall’utilizzatore, che ha individuato il venditore e scelto il bene, pur essendone mero detentore qualificato (essendone il finanziatore il proprietario)?
Si sono aperti, nell’evoluzione giurisprudenziale, diversi scenari, sintetizzabili in due orientamenti, il più recente dei quali, con qualche variante, ha trovato conferma nella decisione della Cass., S.U., 5.10.2015, n. 197852.
Il primo scenario muove dal qualificare l’operazione di leasing come contratto a struttura trilaterale, individuando un’unica causa condivisa fra i tre soggetti coinvolti nell’operazione volta al godimento del bene da parte dell’utilizzatore3: il profilo economico e quello giuridico coinciderebbero sul piano tecnico allo scopo – di policy – di tutelare l’utilizzatore, altrimenti costretto a corrispondere i canoni di locazione pur nell’impossibilità di godere del bene. In questa prospettiva, egli sarebbe legittimato ad agire anche per la risoluzione del rapporto fra venditore e concedente; questa posizione, tuttavia, implica conseguenze assai pesanti per il concedente, che si troverebbe, per via della restituzione conseguente alla risoluzione, privo non solo del guadagno auspicato, ma anche della proprietà del bene, cui si associa una funzione di garanzia. Per mitigare questo effetto, la Cassazione, in più occasioni, ha riconosciuto la necessità del litisconsorzio necessario fra venditore e concedente4.
L’accorgimento processuale non è sembrato sufficiente a rendere conto dell’autonomia della posizione delle parti coinvolte nell’operazione: secondo un altro orientamento, rivelatosi di maggior successo, gli interessi perseguiti dalle parti nei singoli segmenti contrattuali sarebbero eterogenei, di talchè non potrebbe prescindersi dall’individuare chiaramente un’autonoma causa per ciascuno dei rapporti, pur connessi5. Fornitura del bene (fra venditore e concedente/lessor) e concessione in leasing (fra concedente/lessor e utilizzatore/lessee) sarebbero, perciò, contratti autonomi, seppure collegati6.
In questa seconda prospettiva, la tutela dell’utilizzatore passa attraverso la sua legittimazione ad azionare sì adempimento e risarcimento del danno, ma non l’eccezione ex art. 1460 c.c. per sospendere il pagamento dei canoni al lessor, né l’azione di risoluzione o di riduzione del prezzo del bene. A meno che non siano le parti, nell’esercizio dell’autonomia loro propria, a contemplare questa possibilità con apposita clausola di trasferimento sul concedente del rischio di inadempimento del fornitore. Lo schema argomentativo offerto in questa prospettiva si è avvalso, da ultimo, dell’inquadramento dell’operazione nel mandato senza rappresentanza, (art. 1705, co. 2, c.c.): il concedente acquisterebbe il bene al solo scopo di farne godere l’utilizzatore – che lo ha precedentemente individuato – al quale infatti il fornitore lo consegnerebbe. Così, l’utilizzatore, come il mandante, potrebbe azionare direttamente i propri diritti di credito (azione di esatto adempimento e risarcimento per danno da inadempimento) nei confronti del (terzo) fornitore: senza pregiudicare peraltro i diritti del concedente e, quindi, senza potersi attivare per ottenere la risoluzione del contratto di vendita o la riduzione del prezzo7.
Chiamate a pronunciarsi sul contrasto giurisprudenziale, le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno confermato l’inquadramento strutturale da ultimo descritto, qualificando l’operazione di leasing come fattispecie di collegamento fra i contratti di fornitura e di concessione in godimento del bene. Conseguentemente, l’apparato delle tutele a disposizione dell’utilizzatore dipende dal modo in cui l’autonomia privata costruisce il regolamento contrattuale nel rapporto di leasing: se, attraverso specifiche clausole, il concedente trasferisce la propria posizione in capo all’utilizzatore, quest’ultimo trova aperta la via dell’azione diretta nei confronti del fornitore; in mancanza di siffatta pattuizione, spetta al concedente, come si vedrà, farsi carico dell’interesse dell’utilizzatore, in applicazione del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.).
Nei contratti cd. socialmente tipici l’autonomia privata gioca un ruolo decisivo, perché consente alla prassi di ripetere nel tempo e in diversi luoghi modelli contrattuali uniformi, da un lato, e molteplici, dall’altro, adatti perciò alle diverse esigenze. I contratti di leasing contengono spesso clausole che distribuiscono i rischi derivanti da un “mal funzionamento” del contratto di fornitura del bene; talvolta in favore dell’utilizzatore, al quale il concedente trasferisce la propria posizione, e con essa la legittimazione attiva per tutte le possibili azioni nei confronti del fornitore; in altri casi, a “tutela” del concedente, che si libera da tutti i rischi relativi al bene del quale è proprietario. Le Sezioni Unite non solo registrano questa prassi, ma la “ratificano” facendovi ampio riferimento.
In mancanza di una regolazione privata, tuttavia, la posizione dell’utilizzatore risente della qualificazione del leasing come contratto che – sebbene collegato a quello di fornitura del bene – mantiene autonomia. La Corte individua infatti un collegamento «di tipo atecnico», caratterizzato cioè dal solo aspetto oggettivamente funzionale, ma privo dell’elemento soggettivo (la volontà, condivisa dalle parti, di connettere alle vicende dell’uno quelle dell’altro rapporto): ne deriva che nell’operazione di leasing, non c’è spazio per una trasmissione automatica della patologia di un contratto (fornitura) all’altro (concessione in godimento).
L’utilizzatore individua il bene desiderato e il fornitore, e si rivolge al finanziatore (banca o società di leasing) affinché proceda all’acquisto. Nella fisiologia delle cose, una volta concluso il contratto di compravendita, il fornitore consegna il bene direttamente all’utilizzatore, il quale, verificatane l’integrità, la funzionalità, e, quindi, la conformità alle proprie aspettative, sottoscrive il cd. verbale di consegna.
L’utilizzatore, lo sottolineano le Sezioni Unite, deve agire nel rispetto del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto, il quale si traduce, in concreto, nell’obbligo di instaurare con la sua controparte un canale informativo idoneo a consentirgli di agire nei confronti del fornitore: l’utilizzatore è quindi tenuto a non sottoscrivere il verbale (o a segnalarvi le proprie riserve). D’altra parte, e in sequenza immediata, il principio della buona fede impone al concedente, così informato, di sospendere il pagamento del corrispettivo e, qualora ne sussistano i presupposti, agire nei confronti del fornitore per la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo. Alla eventuale risoluzione del contratto di fornitura (in virtù del collegamento funzionale, che, qui, appare efficace)8 «necessariamente consegue la risoluzione del contratto di leasing. Diversamente, il concedente corrisponderebbe al fornitore il pagamento di un prezzo non dovuto che, come tale, non può essere posto a carico dell’utilizzatore».
Pare preferibile un’altra prospettiva, emersa in dottrina9: nel caso dell’inadempimento “totale” la peculiarità strutturale dell’operazione di leasing non dovrebbe incidere sulla tutela dell’utilizzatore. La soluzione del problema può restare entro il perimetro del solo contratto di leasing, verificandosi un’ipotesi di impossibilità sopravvenuta della prestazione ex art. 1463 c.c., con conseguente risoluzione del contratto di leasing ed eventuale restituzione di quanto già corrisposto. Ciò anche per il caso, potrebbe aggiungersi, in cui il concedente avesse già corrisposto il prezzo del bene al fornitore (senza aver ricevuto il verbale di consegna); il rischio dell’inadempimento “totale”, resterebbe tutto a carico del concedente, senza dover ricorrere a ricostruzioni altre rispetto a quella – bifasica – sostenuta dalle Sezioni Unite.
Qualora, invece, l’utilizzatore sottoscriva senza riserve il verbale di consegna, pur a fronte di una consegna incompleta, o della mancata consegna del bene, «egli pone il concedente nelle condizioni di dover adempiere la propria obbligazione verso il fornitore, sì che all’utilizzatore non può essere consentito di opporre al concedente che la consegna non è stata completa, né di fondare su ciò il diritto di sospendere il pagamento dei canoni»10.
Una volta avviato il rapporto di leasing, è possibile che emergano vizi prima occulti, o taciuti in mala fede dal fornitore.
A questo punto, le tutele disponibili per l’utilizzatore derivano dall’impostazione strutturale prescelta per qualificare il rapporto fra i tre soggetti coinvolti.
L’orientamento che assimila la posizione dell’utilizzatore a quella del mandante riconosce, in applicazione dell’art. 1705, co. 2, c.c., la legittimazione a far valere «i diritti di credito derivanti dall’esecuzione del mandato»: l’utilizzatore/mandante può agire nei confronti del fornitore per domandare l’adempimento, o la sostituzione del bene difettoso, ma non per ottenere la risoluzione del rapporto o la riduzione del prezzo, azioni riservate al concedente/mandatario11.
Già l’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite12 solleva il dubbio sull’accostamento delle operazioni di leasing alla figura del mandato, «in quanto [scegliere questa] trasposizione, sic et simpliciter, significherebbe negare la peculiarità di tale istituto [il leasing] e la stessa sua perfetta sussumibilità sotto la disciplina del mandato senza rappresentanza». Le Sezioni Unite confermano questa perplessità, stralciando dall’argomentare il riferimento allo schema del mandato senza rappresentanza.
Se, dunque, il collegamento contrattuale caratteristico del leasing manca di quell’aspetto soggettivo capace di traslare le patologie di un contratto sull’altro, perché i rapporti sono dotati di una causa autonoma, e sorretti quindi da interessi eterogenei, l’utilizzatore non può, per liberarsi dall’obbligo del pagamento al concedente dei canoni del leasing, eccepire l’inadempimento del fornitore, né può agire nei suoi confronti per risolvere il contratto di fornitura, ovvero per ottenere la riduzione del prezzo del bene. La vicenda economica, argomentano le Sezioni Unite, richiede, per sua natura, di riconoscere una netta «separazione tra rischio finanziario e rischio operativo», tale per cui «l’esecuzione del piano di ammortamento del credito sia indipendente da qualsiasi contestazione concernente la qualità e la conformità della fornitura». Per tutte le questioni relative agli aspetti da ultimo indicati, senz’altro il concedente, pur proprietario formale del bene, non è tenuto a rispondere: e infatti l’utilizzatore può agire contro il fornitore per l’eliminazione dei vizi o la sostituzione del bene13.
Qualora, invece, rimedi più radicali sembrino la migliore (o unica) scelta, il principio di relatività degli effetti del contratto si impone sulle iniziative dell’utilizzatore, e soprattutto sulla sua esigenza di sospendere il pagamento dei canoni; egli dovrà rivolgersi al concedente, innescando il circuito virtuoso della buona fede, affinché sia quest’ultimo ad agire domandando la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo. Se il concedente non si attivasse in tal senso, sarebbe inadempiente a un preciso obbligo, quello di agire nell’interesse della sua controparte contrattuale (l’utilizzatore). Nelle more, il rapporto di leasing fa il suo corso, e così resta vivo l’obbligo dell’utilizzatore di corrispondere i canoni per il godimento di un bene in effetti “non goduto”.
Sia in caso di vizi palesi che per l’ipotesi di vizi occulti, l’utilizzatore può agire contro il fornitore per il risarcimento del danno, ovvero per «la restituzione della somma corrispondente ai canoni già pagati al concedente».
Questa scelta, che protegge il concedente da iniziative capaci di incidere sulla propria sfera giuridica – ed economica – in assenza di una sua partecipazione, argomentano le Sezioni Unite, trova un aggancio normativo nella convenzione UNIDROIT di Ottawa del 1988 sul leasing internazionale ove l’utilizzatore può agire direttamente nei confronti del fornitore per l’adempimento del contratto, ma non per la risoluzione senza il consenso del concedente (art. 10 l. 14.7.1993, n. 259, che recepisce la convenzione)14.
Quando l’utilizzatore è un consumatore (persona fisica che agisce al di fuori dell’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta) trova applicazione l’art. 125 quinquies, co. 3, t.u.b. secondo il quale, in caso di inadempimento del fornitore, «il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in mora del fornitore dei beni o dei servizi, può chiedere al finanziatore di agire per la risoluzione del contratto». A differenza di quanto accade per l’utilizzatore professionista, si realizza in tal caso un’osmosi immediata fra i rapporti, perché la richiesta al fornitore fa sorgere il diritto a sospendere il pagamento dei canoni al concedente. Inoltre, «la risoluzione del contratto di fornitura determina la risoluzione di diritto, senza penalità e oneri, del contratto di locazione finanziaria». In applicazione del precedente co. 2, all’uopo richiamato, la risoluzione del contratto di credito comporta: i) «l’obbligo del finanziatore di rimborsare al consumatore le rate già pagate, nonché ogni altro onere eventualmente applicato» e ii) «non comporta l’obbligo del consumatore di rimborsare al finanziatore l’importo che sia stato già versato al fornitore dei beni o dei servizi».
Di questa specifica disciplina si servono le Sezioni Unite per supportare la propria scelta: l’atteggiamento protettivo del legislatore nei confronti del consumatore indicherebbe, a contrario, che all’operatore professionale non solo è impossibile agire direttamente nei confronti del fornitore (come invece è riconosciuto al creditore al consumo in presenza dei presupposti indicati dal combinato disposto degli artt. 121 e 125 quinquies t.u.b.), ma è altresì inibito il rimedio dell’eccezione di inadempimento per sospendere il pagamento dei canoni del leasing.
Ci si potrebbe domandare se la disposizione menzionata trovi applicazione al leasing abitativo, recente tipizzazione della figura in esame per opera dell’art. 1, co. 76, l. 28.12.2015, n. 208 (legge di stabilità 2016). Si tratta di un contratto con il quale il finanziatore, su scelta e secondo le indicazioni dell’utilizzatore, si obbliga ad acquistare o a far costruire l’immobile «da adibire ad abitazione principale». L’utilizzatore assume su di sé «tutti i rischi, anche di perimento», dell’immobile, mentre ne gode «per un dato tempo verso un determinato corrispettivo che tenga conto del prezzo di acquisto o di costruzione e della durata del contratto», avendo poi, alla scadenza, la facoltà di acquistarne la proprietà.
Se l’acquisto della casa di abitazione qualifica l’agire dell’utilizzatore come consumer oriented, occorre tener presente che l’ambito di applicazione oggettivo della disciplina contenuta nel capo II del titolo VI del t.u.b. copre una finestra relativa al valore del finanziamento che va dai 200 ai 75.000 euro. Il che mal si concilia con il valore generalmente associato ai beni immobili residenziali.
La soluzione offerta dalle Sezioni Unite al quesito posto dall’ordinanza di rimessione, pur definendo il contrasto giurisprudenziale sotto il profilo dell’inquadramento strutturale dell’operazione di leasing, lascia aperti alcuni problemi.
Il primo esplode da un’occasione perduta: l’occasione era buona per un’indagine sistematica sul meccanismo “collegamento negoziale”, scelto come opzione qualificatoria dell’operazione di leasing; ma è andata perduta in una mera ripetizione di massime ormai consunte nella rievocazione del combinarsi dell’elemento oggettivo e di quello soggettivo; solo quando le parti l’abbiano voluto e manifestato (elemento soggettivo), all’inadempimento del fornitore segue la legittimazione dell’utilizzatore ad agire nei suoi confronti. Sarebbe stato opportuno soffermarsi su questi due evocati elementi; la Cassazione, invece, pur valorizzando la prassi cristallizzata nelle clausole di distribuzione del rischio da inadempimento del fornitore, non approfondisce il contesto nel quale questa prassi si forma e, quindi, non considera quali strumenti le parti hanno a disposizione effettivamente per confezionare (o decidere di omettere) quelle clausole. Le quali, tuttavia, sono spesso sbilanciate in favore del concedente che, pur mantenendo la garanzia della proprietà formale del bene, si libera ex ante di tutti i rischi a esso relativi. Qui di queste clausole non si verifica il merito, che invece impegna la giurisprudenza sul versante di operazioni di finanziamento analoghe, ma soggettivamente connotate dalla presenza di un consumatore (operazioni di credito al consumo). La ragione è intuibile: il contratto di leasing coinvolge due operatori professionali, di talché non c’è spazio per un controllo sulla eventuale vessatorietà, strumento che protegge il solo consumatore, «soggetto sicuramente meritevole di maggior tutela rispetto all’imprenditore».
Ma allora l’utilizzatore, nella misura in cui sia un operatore professionale (e, sebbene consumatore, per finanziamenti di importi superiori ai 75.000 euro) resta sempre obbligato al pagamento dei canoni di leasing, fintantoché il concedente non abbia chiesto e ottenuto la risoluzione del contratto di fornitura.
Mancando, nell’argomentare delle Sezioni Unite, pur molto attento alla prassi, la sensibilità di un’indagine sulle reali posizioni delle parti (banche/società di leasing e professionisti, piccoli imprenditori), l’elemento soggettivo del collegamento contrattuale, al quale si ancorano effetti così significativi, perde corpo, annacquandosi nel concetto neutro di parte contrattuale. L’approfondimento di questo aspetto avrebbe invece costretto le Sezioni Unite ad affrontare il dibattito sul cd. contratto asimmetrico, quello fra parti diversamente partecipi delle informazioni e del know-how utili a quel contrattare15; anche al di là del binomio business/consumer, per immaginare un contesto sistematico più ampio per il collegamento contrattuale, libero dalle ormai tradizionali connotazioni soggettive di “consumatore vs professionista”16.
Tenendo presente che, mentre nelle operazioni di finanziamento al consumatore, quest’ultimo, oltre a scegliere il bene ne diventa proprietario, nel leasing la proprietà del bene resta formalmente in capo al concedente, che ne trae una funzione di garanzia. La Cassazione avrebbe potuto, allora, esprimersi più apertamente di quanto non sia emerso sotto un profilo di policy, valutando se l’emersione piena della trilateralità che caratterizza l’area dei contratti dei consumatori possa essere accordata anche in quest’altro ambito; pur nella consapevolezza che scegliere di costruire un sistema di collegamento negoziale fondato esclusivamente su indici oggettivi (il nesso obiettivamente funzionale, prescindendo dalla volontà espressa dalle parti) significherebbe decidere a priori che il rischio dell’inadempimento va assorbito in ogni caso dal finanziatore17.
Nell’ordinamento francese, la Cassazione sul leasing finanziario18 ha prospettato una soluzione interessante, affermando che i contratti compresi in un’operazione che include una locazione finanziaria sono interdipendenti, e che le clausole incompatibili con questa interdipendenza si intendono come non scritte. D’altra parte, questa interdipendenza può essere recisa, e quando uno dei contratti è caducato (con atto formale, giudiziale o stragiudiziale), anche gli altri, in un effetto domino, vengono meno19. Questo approccio, peraltro, non pare aver trovato conferma nella recente riforma del Code civil, ove l’art. 1186 percorre l’orizzonte dell’esecuzione di contratti tra loro connessi e non sembra accettare lo scenario dell’interdipendenza (sempre e comunque) che la Cassazione aveva sposato. Vi si dispone, infatti, che «[l]orsque l’exécution de plusieurs contrats est nécessaire à la réalisation d’une même opération et que l’un d’eux disparaît, sont caducs les contrats dont l’exécution est rendue impossible par cette disparition déterminante du consentement d’une partie». Nella nuova disposizione codicistica, il collegamento funziona in relazione all’esecuzione dei contratti (l’esecuzione dell’uno è necessaria per l’esecuzione del secondo) e la caducazione di uno dei contratti si estende anche agli altri connessi solo se l’esecuzione di questi ultimi è resa impossibile dal venire meno del contratto connesso: è dunque possibile, in questo contesto, che l’interdipendenza, sul piano dell’esecuzione dei contratti connessi, non sia assoluta, quando l’operazione economica può stare in piedi anche senza uno dei contratti su cui è stata costruita. La soluzione, allora, non è più generalizzata e astratta, ma va ricavata caso per caso, anche attraverso la ricostruzione della volontà espressa dalle parti nei negozi collegati: in questo senso, la stessa giurisprudenza francese successiva alla decisione del 2013, sembra richiedere, affinché la caducazione di un contratto si riverberi anche su quelli collegati nell’ambito dell’unica operazione economica, che i contraenti abbiano accettato il rischio della caducazione del proprio contratto in conseguenza di quella di un altro contratto connesso, accettazione che, naturalmente, deve emergere dall’insieme delle pattuizioni contrattuali20.
Nasce allora un altro auspicio: che sul problema dell’interdipendenza e dei suoi effetti il dibattito si estenda anche alla giurisprudenza e al legislatore, oltre che ai pensieri degli studiosi.
Un secondo profilo problematico, lasciato aperto dalla decisione delle Sezioni Unite, si coglie ragionando sulle conseguenze dell’eventuale inadempimento da parte del concedente dell’obbligo di agire in buona fede nell’interesse dell’utilizzatore contro il fornitore per la risoluzione del contratto di vendita.
Le Sezioni Unite dettano il principio, ma non si pongono questo problema: cosa accade se il concedente, pur sollecitato, non agisce tempestivamente nell’interesse dell’utilizzatore?
L’unica tutela possibile è reagire con un’azione di risarcimento del danno, che andrà commisurato ai canoni già corrisposti e/o compensato con il debito per i canoni maturandi nelle more.
L’ipotesi appare tutt’altro che fantasiosa, se si ritiene che alla fonte di questo “obbligo di agire nell’interesse dell’utilizzatore” vi sia un principio – la buona fede – al quale, al di là della regola dettata dalla Cassazione, sembra azzardato assegnare un ruolo solidaristicamente così connotato, soprattutto in contesti imprenditoriali organizzativamente complessi.
Note
1 Cavazzuti, F., Leasing: I) Diritto privato, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990, 1 ss.
2 Alle quali è stato chiesto un intervento chiarificatore da Cass., 4.8.2014, n. 17597.
3 In questo senso, Cass., 26.1.2000, n. 854, nonché le più risalenti Cass., 16.5.1997, n. 4367, Cass., 30.5.1995, n. 6076 e Cass., 17.5.1991, n. 5571.
4 Così ad es. Cass.,12.3.2004, n. 5125 e Cass. n. 854/2000.
5 Cfr. in questa prospettiva De Nova, G., Nuovi contratti, II ed., Torino, 2000, 280.
6 L’orientamento è espresso ad es. da Cass., 29.9.2007, n. 20592, Cass., 30.3.2005, n. 6728, Cass., 1.10.2004, n. 19657, Cass., 2.11.1998, n. 10926.
7 Scelgono l’inquadramento nella figura del mandato, fra le varie, Cass., 27.7.2006, n. 17145, Cass., 1.10.2004, n. 19657 e Cass., 2.11.1998, n. 10926.
8 Con incongruenza colta da Maugeri, M., Inadempimento del fornitore e tutela dell’utilizzatore nel leasing finanziario, in Banca borsa, 2016,
9 Così Di Rosa, G., La tutela dell’utilizzatore nel contratto di leasing finanziario, in Contratti, 2016, 224 ss.
10 Così Cass., 23.5.2012, n. 8101.
11 Ciò in applicazione di quanto affermato in tema di mandato senza rappresentanza da Cass., S.U., 8.10.2008, n. 24772, secondo cui se alla regola generale secondo la quale i terzi non hanno alcun rapporto con il mandante può darsi un’eccezione, essa va interpretata in senso restrittivo, e senz’altro non estesa alle azioni contrattuali derivanti dal contratto concluso dal mandatario.
12 Cass., 4.8.2014, n. 17597.
13 Quella descritta è l’impostazione delle Sezioni Unite. Cfr. però, in senso contrario, Cass., S.U., 13.11.2012, n. 19702, in Annuario del contratto 2012, diretto da A. D’Angelo e V. Roppo, Torino, 2013, 170, secondo la quale «il compratore non dispone – neppure a titolo di risarcimento del danno in forma specifica – di un’azione “di esatto adempimento” per ottenere dal venditore l’eliminazione dei vizi della cosa venduta, rimedio che gli compete soltanto in particolari ipotesi di legge (garanzia di buon funzionamento, vendita dei beni di consumo) o qualora il venditore si sia specificamente impegnato alla riparazione del bene».
14 La Cassazione spesso richiama la disciplina dettata dalla Convenzione come esempio di «tipizzazione» del contratto di leasing. Ne è esempio Cass., 16.11.2007, n. 23794, la quale, confermando l’orientamento che assimila la posizione dell’utilizzatore a quella del mandante, ne afferma la legittimazione ad «agire nei confronti del fornitore con domanda di accertamento negativo delle maggiori pretese fatte valere in via stragiudiziale, e, quindi, di accertamento del corrispettivo in realtà spettante a questo ultimo».
15 Dibattito innescato da Roppo, V., Contratto di diritto comune, contratto del consumatore, contratto con asimmetria di potere contrattuale: genesi e sviluppi di un nuovo paradigma, in Il contratto del duemila, III ed., 2011, 65 ss.; v. anche Benedetti, A.M., Contratto asimmetrico, in Enc. dir., Annali, V, Milano, 2012, 370 ss.
16 Lo auspica Macario, F., Collegamento negoziale e principio di buona fede nel contratto di credito per l’acquisto: l’opponibilità al finanziatore delle eccezioni relative alla vendita, in Foro it., 1994, I, 3112.
17 Simile prospettiva manca, per adesso, di dati normativi sui quali fondarsi, secondo Maugeri, M., op. cit.
18 Cass., ch. mixte, 17.3.2013, n. 11-22927, in D., 2013, 1273.
19 Cass. com., 4.11.2014, n. 13-24270, in Revue des contrats, 2015, 268.
20 Cass. civ., 6.5.2015, n. 13-26723; sul punto v. anche Laithier, YM., L’indivisibilité contractuelle entre le prêt et la vente: l’effet subliminal du Code de la consommation, in Revue des contrats, 2016, 16 ss.