Le terapie ippocratiche
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La terapia ippocratica è un processo che inizia, spesso, prima del manifestarsi della malattia; infatti, la prevenzione e il mantenimento di un corretto stile di vita sono, per il medico di Kos, parti fondamentali dell’approccio medico al malato. Se la prevenzione e la dieta falliscono, il medico può tentare di riportare il corpo all’equilibrio che ha perduto attraverso la somministrazione di principi contrari a quelli che hanno generato il male (contraria contrariis curantur), o, come ultima strategia, può costringere il corpo a liberarsi degli umori guasti o in eccesso attraverso il salasso, la coppettazione, il clistere, i farmaci vomitivi o gli evacuanti.
Vincenzo Di Benedetto ritiene che i trattati sulle Epidemie rappresentino un momento importante nel discorso ippocratico che delinea singoli quadri di malattia e definisce gruppi nosologici omogenei. In questi trattati il malato acquista una posizione centrale nell’ambito di quello che è stato chiamato il “triangolo ippocratico” (Danielle Gourevitch): “L’arte ha tre fattori, la malattia, il paziente e il medico. Il medico è il servo dell’arte. Combatta il malato assieme al medico contro la malattia” (Corpus Hippocraticum, Epidemie, I, 2). Il medico, servitore della sua competenza tecnica, è chiamato, come alleato, ad affiancare il paziente, reale protagonista della lotta.
Tuttavia, ci ricorda Di Benedetto, i libri delle Epidemie riservano una parte assolutamente marginale alla terapia, fino ad arrivare all’affermazione che la vera medicina è nella spontanea capacità di sanare della natura (Epidemie, VI, 5.1). Questo costituisce, in effetti, il gradino iniziale a cui fa riferimento la gran parte dei trattati del Corpus; escluso radicalmente il ricorso alle terapie magiche, condannate violentemente nel trattato Sull’epilessia, la prima strategia terapeutica è l’attenzione preventiva al cibo che si assume, alla qualità delle acque di cui ci si serve, al clima, all’attività fisica, a tutti gli elementi che possono indurre un’alterazione dello stato equilibrato del corpo. La correzione della dieta (diaita), intesa come insieme di abitudini e stili di vita, è quindi il primo gradino di intervento terapeutico possibile, il più corretto e meno invasivo, in una strategia di approccio graduato ai disordini del corpo. Essa deve tener conto delle condizioni del singolo paziente, della sua capacità di reazione, modulata anche in base all’appartenenza di genere e all’età della vita. Infatti, come è scritto nel trattato Sulla natura dell’uomo, gli uomini, avendo una costituzione umorale più calda delle donne, sono più resistenti ad alcune malattie e alcune stagioni dell’anno sono loro più favorevoli; viceversa accade alle donne, i cui corpi tendono naturalmente ad accumulare umidità. I bambini e i vecchi sono più fragili e più soggetti degli adulti alla metabolé patologica, gli uni per eccesso di umidità, gli altri di secchezza.
Alcune malattie non sono, però, correggibili per sola via di regime e dieta; esse hanno bisogno di un intervento medico più diretto, talvolta aggressivo, che gli Aforismi presentano in una scala graduata di intervento: “Quello che non guariscono i rimedi, lo guarisce il ferro; quello che il ferro non guarisce, lo guarisce il fuoco; e quello che il fuoco non riesce a guarire, deve essere ritenuto incurabile” (Aforismi, VII, 87).
Il rimedio è il farmaco, cioè un principio attivo (in genere erbe o sostanze dal regno animale) in grado di imprimere al corpo una modificazione uguale e contraria alla causa di malattia. Esso è in grado indifferentemente di guarire o di nuocere; il suo effetto dipende unicamente dall’abilità del medico che sa valutare il kairos, l’opportuno, e regola la forza del rimedio, somministrandolo in dosi opportune. Tutto può essere farmaco: erbe del Mediterraneo, sostanze di importazione orientale, ma anche cibi di normale utilizzo. Il trattato sul Regime elenca tutta una serie di alimenti, crudi o cotti, che possono correggere il corpo. Anche il vino può essere usato a scopi terapeutici.
I farmaci hanno il compito primario di riportare il corpo all’equilibrio attraverso il suo “svuotamento”; essi possono essere evacuativi “dall’alto” (farmaci che inducono il vomito, ma anche sostanze irritanti che causano lo sternuto, come il pepe) o “dal basso” (clisteri, diuretici, purganti). Gli umori in eccesso sono veicolati all’esterno dall’espulsione forzata attraverso gli escreti. Ogni sostanza naturale, proveniente dal mondo animale o vegetale, può avere il potere di attrarre uno o più umori del corpo e di veicolarli all’esterno (Sulla natura dell’uomo, 5). Ogni farmaco può essere usato in dosi proporzionate all’effetto che si desidera ottenere: un uso spregiudicato può arrivare a causare la morte del paziente. Il ricorso a un certo tipo di farmaco può essere legato a particolari simbologie (per esempio, nelle terapie ginecologiche, i farmaci a base di escrementi animali per “fertilizzare” un utero sterile) o alla dimensione cultuale (Heinrich von Staden ha studiato le relazioni tra pratiche di fumigazione e riti religiosi di purificazione dai miasmi). In qualche caso è possibile supporre la conoscenza su base empirica dell’effettiva efficacia terapeutica di certi principi attivi: Guido Majno ha dimostrato, per esempio, il potere antibiotico della combinazione tra miele e rame e John Riddle ha studiato l’efficacia contraccettiva e abortiva di alcuni preparati a base di piante.
Il medico ippocratico, in genere, agisce seguendo un principio teorico, quello dell’intervento attraverso gli opposti (si usa ciò che è “ostile” al principio-causa della malattia): “Le malattie causate dall’eccesso si curano con lo svuotamento; quelle causate dallo svuotamento, con il riempimento. Quelle causate dal troppo esercizio, con il riposo; quelle che sono causate dall’inattività, con l’esercizio” (Sulla natura dell’uomo, 9). Se l’intervento farmacologico fallisce, si ricorre al ferro, cioè all’incisione della vena per causare l’emissione di sangue (salasso). Per consentire la sua corretta esecuzione, il trattato Sulla natura dell’uomo descrive i vasi sanguigni sui quali è possibile praticare l’incisione: sono sedi privilegiate le braccia, le gambe, le vene che scorrono sotto la lingua, le tempie. Il salasso è in genere una terapia “maschile”: per le donne, che conoscono attraverso la mestruazione una forma di purificazione ciclica, esso è prescritto quasi esclusivamente in caso di difficoltà del parto (Malattie delle donne, I, 77). Anche il salasso va praticato dopo attenta considerazione delle condizioni generali del corpo, che non può esserne eccessivamente indebolito.
Se anche il salasso si rivela fallimentare (Affezioni interne, 28), il medico applicherà come ultima ratio il cauterio; si tratta di bruciare parti più o meno estese del corpo attraverso strumenti chirurgici o cucchiai arroventati, o bastoncini di legno di bosso immersi nell’olio bollente, come descritto nei trattati sulle Affezioni interne e sulle Malattie (Di Benedetto). Il cauterio è un rimedio utilizzato per una grandissima quantità di disturbi e patologie, dall’infiammazione dei vasi alle ferite del capo, dalle tumefazioni agli ascessi, sino alle malattie polmonari. Il libro Sulle fratture sconsiglia il metodo nell’intervento sui tessuti fibrosi, che non sono in grado di riprendersi; il V libro delle Epidemie ne segnala la pericolosità, se utilizzato in modo eccessivamente esteso sul corpo e non rispettoso della debolezza di alcuni ammalati (Epidemie, V, 7).
Malgrado il fatto che la vera novità della medicina ippocratica sia rinvenibile nella terapia come regolazione generale della vita – Platone descrive la medicina dietetica di Ippocrate come opposta a quella farmacologica omerica – essa è stata percepita, nella tradizione storica, come un sistema aggressivo e violento, fondato essenzialmente sul “tagliare e bruciare”: il temuto interventismo a base di salasso e cauterio costituirà a Roma il principale motivo di opposizione alla medicina greca da parte dei conservatori, Catone in testa.