Le teorie meteorologiche
Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nella scienza greca e romana il campo di indagine della meteorologia include un’ampia gamma di fenomeni naturali, non solo quelli che oggi comunemente indichiamo con questo termine, ovvero venti, precipitazioni, temporali, ma anche fenomeni celesti, quali aurore boreali, comete, Via Lattea, nonché maree, terremoti e vulcani, origine dei metalli e formazione delle rocce. Si tratta di ricerche quasi sempre di carattere empirico, anche se Aristotele offre una trattazione sistematica dei fenomeni meteorologici in un’opera (Meteorologica) in cui la dottrina degli elementi costituisce il fondamento teorico su cui poggiano le indagini empiriche. Aristotele separa i fenomeni meteorologici da quelli celesti, essendo i primi parte di processi di generazione e corruzione che si verificano solo nel mondo sublunare. In età ellenistica fioriscono – soprattutto per l’influenza della fisica stoica – indagini che mettono in relazione meteorologia e astronomia. I cultori di meteorologia sono oggetto di derisione (ad esempio nelle Nuvole di Aristofane), in quanto i loro studi sono destinati a non fornire previsioni attendibili. Tuttavia, l’interesse per la meteorologia è molto diffuso nella Grecia classica, nel mondo ellenistico e a Roma: è studiata per scopi pratici, ma anche in relazione alla medicina, alla divinazione e all’astrologia.
Con il termine meteoros i Greci indicano genericamente ciò che è in alto, in aria, ma progressivamente lo studio delle meteore include un vastissimo campo di fenomeni naturali, celesti, atmosferici, geologici. Aristotele, i cui Meteorologica esercitarono un’influenza duratura, introduce una netta distinzione tra lo studio dei fenomeni meteorologici e quello dei corpi celesti, i quali, costituiti di etere, non sono soggetti a generazione e corruzione.
Le Opere e i Giorni di Esiodo contiene predizioni fondate sull’osservazione dei corpi celesti, dai quali sono fatti dipendere i fenomeni atmosferici. I filosofi presocratici elaborano spiegazioni dei fenomeni meteorologici fondate su basi osservative o su modelli tratti dall’esperienza comune: Anassimandro ritiene che la pioggia abbia origine dal vapore che, sotto l’azione del Sole si innalza dalla Terra. Secondo Talete, i terremoti sono causati dallo scivolamento delle terre sulle acque increspate su cui le terre emerse sono collocate. Per Anassimandro, Anassagora e Democrito i terremoti sono dovuti all’azione dell’aria rinchiusa nelle cavità terrestri. Democrito presenta una spiegazione naturalistica dei fenomeni meteorologici e del ciclo dell’acqua: le nuvole si formano dalle evaporazioni delle acque, esse si infrangono poi contro i monti e danno origine alle piogge, da cui si generano i fiumi e i laghi. I mari, secondo Democrito, non sono eterni, ma subiscono un progressivo prosciugamento e la salsedine ha origine dalla terra. Per Anassagora, la salinità dei mari deriva dai fiumi, le cui acque, filtrando attraverso la terra, ne sciolgono e raccolgono i sali. Anche Platone, nel Timeo, si occupa di fenomeni meteorologici, pur ammonendo che di essi si possono avere solo opinioni probabili (Timeo, 59c-d).
La spiegazione platonica, piuttosto breve e limitata a pochi fenomeni, si fonda sui quattro elementi e sulle loro combinazioni e aggregazioni: nel sottosuolo, le acque si condensano e nella loro forma più perfetta danno origine all’oro; il rame è formato da acqua congelata con l’aggiunta di particelle di terra. Nel V secolo a.C. Diogene di Apollonia stabilisce una corrispondenza tra corpo umano e cosmo, legando le indagini cosmologiche alle teorie mediche. Nel trattato De aere, aquis et locis, che fa parte del Corpus Hippocraticum, le condizioni di salute e malattia sono fatte dipendere da clima e fenomeni atmosferici: “Conoscendo infatti i mutamenti delle stagioni e il sorgere e il tramontare degli astri, e in qual modo tutto ciò accada, prevederà la natura dell’annata a venire. Così chi abbia riflettuto e compreso le circostanze del tempo, possiederà una piena conoscenza di ogni singolo caso. [...] non piccolo, grandissimo anzi è il contributo che l’astronomia reca alla medicina”. Tra i medici è evidentemente presente un vivace dibattito intorno all’utilità dello studio della meteorologia per la medicina, infatti altri trattati presenti nel Corpus Hippocraticum negano la utilità di tali indagini per la medicina.
Secondo Aristotele, i fenomeni meteorologici avvengono in natura, ma obbediscono a una minore regolarità di quella che caratterizza i corpi celesti. Di essi non si può dare una spiegazione certa: “Noi riteniamo” – scrive Aristotele nel I libro dei Meteorologica (344a 5-9) – “di render conto in modo razionale di ciò che è nascosto alla sensazione se riusciamo a darne una spiegazione possibile, e riguardo ai fenomeni in esame si può supporre che accadano in massima parte in questo modo”. Aristotele include tra i fenomeni meteorologici non solo quelli atmosferici, ma anche comete e Via Lattea, che a suo avviso si producono nelle zone superiori dell’atmosfera.
Dei fenomeni meteorologici Aristotele fornisce una fondazione teorica, ovvero la teoria dei quattro elementi (terra, acqua, aria, fuoco): la loro causa efficiente è il Sole, mentre le cause materiali sono gli elementi. I raggi solari danno origine sulla superficie della Terra a due esalazioni: quando essi cadono sulla terra secca, si genera un’esalazione calda e secca, molto infiammabile, formata soprattutto di parti di fuoco e di terra; Aristotele la identifica con il fumo. Quando i raggi solari colpiscono l’acqua, si produce un’esalazione umida e fredda, formata di parti di acqua che si trasformano in aria; essa è chiamata esalazione vaporosa. La parte superiore dell’atmosfera contiene solo l’esalazione secca, la parte inferiore, ambedue. Dall’attrito dell’esalazione secca con il quinto elemento (o etere) confinante si formano comete, stelle cadenti e la Via Lattea – che Democrito aveva invece ritenuto essere fenomeni celesti. L’esalazione secca è inoltre causa dei venti, dei fulmini e dei terremoti. Rugiada, brina, neve, pioggia e grandine sono prodotti dalla condensazione dell’esalazione umida. La salinità del mare deriva, secondo lo Stagirita, dall’acqua piovana, che trascina con sé nel mare le parti salate contenute nell’esalazione secca. Aristotele fa uso di osservazioni geografiche per render conto dell’origine dei fiumi, per classificare i venti e per spiegare la diversa densità dell’acqua dei mari.
Teofrasto di Efeso, che succede ad Aristotele nella direzione del Peripato, prosegue le ricerche del maestro sui fenomeni meteorologici dando a tali studi un orientamento fortemente empirico. Di Teofrasto rimangono alcuni frammenti sui venti, che ritiene essere aria in rapido movimento, prodotto dall’azione del Sole. Il suo studio dei venti, dai quali fa dipendere le diverse condizioni atmosferiche, ha soprattutto carattere descrittivo e si basa su informazioni attinte da marinai e agricoltori.
Lo scopo delle ricerche epicuree intorno ai fenomeni naturali è quello di mostrare che non hanno origine dall’ira degli dèi, bensì da cause fisiche. Epicuro non dà spiegazioni precise (Epistola a Pitocle) di fenomeni come terremoti, tuoni, lampi, ma si preoccupa di insistere sulla loro origine da casuali combinazioni della materia, conosciute le quali, non vi sarà più motivo di timore.
Nel De rerum natura Lucrezio ribadisce questa visione, asserendo che la causa dei fenomeni celesti e di quelli terrestri che appaiono essere più rovinosi è di carattere naturale: la forma e i moti degli atomi. Solo per ignoranza gli uomini attribuiscono agli dèi la causa dei fenomeni che li spaventano. Se Giove lancia i fulmini per vendetta, si chiede Lucrezio, perché sprecarli inviandoli su deserti, mari o uomini innocenti? Lucrezio si preoccupa anche di confutare la pratica dei vaticini basata sui fenomeni atmosferici, le cui cause sono del tutto naturali. I tuoni, secondo Lucrezio, possono essere determinati da molteplici fattori fisici: dalla collisione delle nuvole, dal loro strofinarsi, o dal vento che le squarcia. Anche il fulmine può aver origine dalla collisione delle nuvole, come accade quando una pietra colpisce un ferro. Il fulmine è fuoco puro, le cui particelle costitutive sono così piccole da far sì che possa passare attraverso i corpi solidi e fondere l’oro e il bronzo, nonché rovinare il vino in una damigiana, anche se non la infrange. Le trombe d’aria, la pioggia, la grandine e l’arcobaleno sono prodotti dal vento, dal calore e dall’umidità. I terremoti si generano dai venti contenuti nelle cavità della Terra, oppure dal crollo di caverne sotterranee. Lucrezio dà una spiegazione delle eruzioni dell’Etna, affermando che la montagna è cava e in essa circola aria calda che diventa fuoco a contatto con la roccia. L’acqua del mare penetra nelle caverne e spinge il fuoco verso l’alto. Il Nilo e le sue inondazioni erano stati oggetto di studi da parte dei filosofi e geografi greci. Lucrezio ritiene che i venti Etesii, che crede abbiano origine dalle stelle fredde del Nord, facciano ritrarre le acque del fiume che spingono nella direzione opposta (da sud a nord) provocando l’inondazione delle rive. Altra possibile causa, secondo Lucrezio, potrebbe essere la sabbia che, depositata dal mare presso il delta, ne ostacola lo sbocco.
Le dottrine fisiche comunemente definite stoiche sostengono in realtà punti di vista molto differenti sui vari temi della filosofia della natura, tuttavia le loro ricerche sui fenomeni meteorologici sono accomunate da una concezione monistica, dinamica e finalistica dei fenomeni naturali. Fin dagli inizi, la Stoà ha considerato il mondo come un organismo vivente, tra le cui parti – tenute insieme dalla tensione del pneuma – sussiste una corrispondenza. Secondo gli stoici, che negano la contrapposizione aristotelica tra corpi terrestri e celesti, tutte le parti del cosmo si trovano tra loro in intimo contatto e tutte sono dotate di un’energia vitale.
Posidonio di Apamea, tra i principali filosofi della Media Stoà, viaggia a lungo a scopo di studio e raccoglie informazioni sulla geografia, le popolazioni, il clima e la natura di molte parti dell’ecumene. A Cadice studia le maree, che attribuisce all’azione della Luna, che interpreta in termini di “simpatia”. Per Posidonio, vi è una corrispondenza e interazione tra la Terra e i corpi celesti: dalla superficie della Terra salgono verso l’alto – sotto forma di vapori e di esalazioni secche – particelle di aria, acqua e fuoco che portano nelle regioni superiori del cosmo il nutrimento di cui i corpi celesti hanno bisogno. Poi, dall’alto il Sole rimanda giù sulla Terra i suoi raggi infuocati, producendo così vapore, che, condensato, dà origine alle piogge. Posidonio compone un’opera di meteorologia, nella quale afferma che l’atmosfera è la regione dei venti, in perpetuo movimento e in essa si generano piogge, temporali e l’arcobaleno. Quest’ultimo, secondo Posidonio, è causato dal riverbero del Sole in una nuvola in cui è presente umidità. Posidonio, in un’opera dal titolo Dell’Oceano e delle terre a esso adiacenti, ammette, come già aveva sostenuto Stratone di Lampsaco, che l’acqua esercita un’azione di erosione modellando parti della superficie terrestre; ma ritiene che ancor maggiore dell’acqua è l’azione dei vulcani e dei terremoti. Spiega i terremoti sostenendo che nelle viscere della terra è contenuta aria, che quando incontra ostacoli si apre a forza la via producendo scosse nella terra. Se l’aria sotterranea incontra rocce ricche di fuoco, si generano esplosioni e le fiamme si muovono verso l’alto, portando con sé materiale incandescente. Secondo Posidonio, terremoti ed eruzioni vulcaniche inghiottono città, separano terre da terre, e hanno causato la separazione della Sicilia dall’Italia.
Seguace dello stoicismo, Lucio Anneo Seneca invita allo studio della meteorologia perché distoglie la mente dalle cose mondane e mostra quanto sia caduca la vita umana. Pur riconoscendo la complessità dei fenomeni meteorologici, Seneca sprona il lettore a intraprendere con sottigliezza e umiltà la loro indagine. Lo studio dei fenomeni naturali – ammonisce Seneca – deve essere perseguito per amor di conoscenza, non per i possibili vantaggi che esso può arrecare. Le Naturales quaestiones di Seneca sono una delle principali opere di meteorologia dell’antichità. Seneca definisce (Naturales quaestiones, II, 2) la meteorologia come la disciplina che studia i fenomeni che hanno luogo tra il cielo e la Terra, dove si generano nubi, piogge, nevi e tutte le alterazioni che l’aria provoca o subisce e che noi chiamiamo meteore, in quanto hanno luogo al di sopra della Terra. Stelle cadenti, comete e aurore boreali sono prodotte dall’infiammazione dell’aria a causa di forti attriti e da corpuscoli che la terra espelle e spinge nelle regioni superiori, dove nutrono i fuochi celesti. L’origine dell’arcobaleno è spiegata dalla presenza di goccioline d’acqua nell’aria: “l’arcobaleno – scrive Seneca nelle Naturales quaestiones (I, 3, 10-12) – è un’immagine del Sole che ha origine da una nube rugiadosa e concava”.