Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Modelli meccanici e vitalistici orientano le ricerche biologiche secentesche. Lo studio della generazione muta nei contenuti e modi di indagine: accanto a nuove teorie, emergono nuove tecniche di sperimentazione e si afferma l’uso del microscopio, con il quale si registrano significativi risultati, come la scoperta degli spermatozoi. Tuttavia, tali scoperte non dirimono in maniera definitiva le dispute teoriche sulla generazione. La dottrina della generazione spontanea comincia a essere confutata sperimentalmente, ma non è del tutto abbandonata.
Modelli del vivente
Il modello della macchina, che nel Seicento assume una funzione centrale nelle scienze fisiche, è introdotto, grazie soprattutto a Descartes, nello studio degli organismi viventi e in particolare del corpo umano. Descartes riconduce la biologia alla meccanica facendo a meno delle facoltà dell’anima, poteri o virtù occulte. La sua spiegazione del funzionamento degli organismi viventi si basa solo sulla disposizione degli organi e sull’interazione meccanica tra corpuscoli dotati di moto, grandezza e forma. Il corpo umano, secondo Descartes, è una macchina, e la vita consiste nel movimento, in particolare nel calore, un fuoco senza fiamma contenuto nel cuore. Qui ha luogo un processo fermentativo comunque ricondotto al moto e infatti generato da una continua agitazione dei corpuscoli.
Accanto alla concezione meccanicistica degli organismi viventi, si afferma quella iatrochimica, la cui origine è nell’opera di Paracelso. I sostenitori delle concezioni iatrochimiche affermano che nel corpo umano si verificano reazioni chimiche, al pari di ciò che accade in un laboratorio. Le principali funzioni dell’organismo sono definite non in termini quantitativi (geometrico-meccanici), bensì in termini qualitativi: sono cioè determinate dai principi chimici (sale, zolfo, mercurio e acqua, terra). Presuppongono inoltre che in natura e nel corpo umano operino principi attivi, come gli archei (che presiedono al funzionamento del corpo umano), gli spiriti (che sono la causa del moto e del calore vitale) e i fermenti (da cui dipende la digestione). Un aspetto saliente delle concezioni iatrochimiche è l’attribuzione alla natura di un principio di attività, sia esso interno alla materia stessa o introdotto da principi immateriali. Quest’ultima è la concezione adottata da Jean Baptiste van Helmont che, opponendosi alle dottrine aristoteliche e galeniche, postula l’esistenza di principi attivi e forze di carattere immateriale e ad esse riconduce l’origine della vita e le principali funzioni dell’organismo.
Benché sussistano evidenti differenze tra la visione meccanicista cartesiana e quella iatrochimica, nella seconda metà del XVII secolo i confini tra le due concezioni divengono piuttosto labili e numerosi medici e filosofi adottano una sintesi di concezioni meccanicistiche e chimiche nello studio dei processi vitali. Medici e scienziati come Boyle, Willis, Borelli e Malpighi, sostengono che il corpo umano costituisce una complessa macchina idraulico-pneumatica e spiegano i fenomeni fisiologici sia in termini di forma, grandezza e moto delle parti, sia in termini di reazioni chimiche.
Francesco Redi
Come giungono i vermi alla morte e specie di scorpioni
Esperienze intorno alla generazione degli insetti. Ma tralasciata questa lunga digressione...
Ma tralasciata questa lunga digressione, per tornare al primo filo fa di mestiere ch’io vi dica che, quantunque a bastanza mi paresse d’aver toccato con mano che dalle carni degli animali morti non s’ingenerino i vermi se in quelle da altri animali viventi non ne sieno portate le semenze, nientedimeno per tor via ogni dubbio ed ogni opposizione che potesse esser fatta per cagione delle prove tentate ne’ vasi serrati, ne’ quali l’ambiente aria non può entrare e uscire né liberamente in quegli rinnovarsi, volli ancora tentar nuove esperienze col metter le carni ed i pesci in un vaso molto grande, e, acciocché l’aria potesse penetrarvi, serrato con sottilissimo velo di Napoli e rinchiuso in una cassetta, a guisa di moscaiuola, fasciata pure con lo stesso velo; e non fu mai possibile che su quelle carni e su quei pesci si vedesse né meno un baco: se ne vedevano però non di rado molti aggirarsi per di fuora sopra il velo della moscaiuola, che, tirati dall’odor delle carni, talvolta dentro di quella penetravano per i sottilissimi fori del fitto velo; e, chi non fosse stato lesto a cavargli fuora, sarebbon forse ancora arrivati ad entrar nel vaso, con tanto studio ed industria facevano ogni loro sforzo per arrivarci; ed una volta osservai che due bachi, avendo felicemente penetrato il primo velo ed essendo caduti sopra il secondo che serrava la bocca del vaso, anco su questo s’erano tanto aggirati che già con la metà del corpo l’avevano superato, e poco mancava che non fossero su quelle carni andati a crescere. [...]
Ho veduto un’altra spezie di scorpioni alquanto differente dalle due suddette, e me l’ha mandata dal regno di Tunisi, dov’al presente si trova, il dottor Giovanni Pagni celebre professore di medicina nella famosa Accademia Pisana. Tutto ’l regno di Tunisi produce fecondissimamente questi scorpioni, chiamati in lingua barbaresca akrab; ma particolarmente se ne trova un’infinita moltitudine in una piccola città, detta Kisijan; e son molto più lunghi e molto più grossi di que’ d’Egitto. Ne pesai due de’ vivi, e ciascuno di essi arrivò alla quinta parte d’un’oncia, ed è credibile che fossero smagriti e scemati di peso, essendo stati più di quattro mesi senza mangiare: uno de’ quali vive ancora tre altri mesi dopo, non si cibando. Il lor colore è per lo più verdegiallo dilavato e quasi trasparente, come d’ambra, fuorché nel pungiglione e nelle due forbici o chele, che son di color più sudicio e simile alla calcidonia oscura; la cuspide però del pungiglione è affatto nera. Se ne trovano talvolta alcuni de’ bianchi; ma de’ neri non se ne vede se non di rado. Il tronco delle forbici è di quattro nodi o congiunture. Le gambe son otto, e le due prime vicine a’ tronchi delle forbici son più corte di tutte, le due seconde son più lunghe delle prime, e le terze più delle seconde, siccome le quarte son più lunghe di tutte l’altre e son composte di sette fucili, e tutte l’altre suddette di sei solamente. Tutto ’l dorso è fabbricato di nove commessure per lo più in foggia d’anelli, e sovr’esso dorso, in quella parte ch’è tra’ due tronchi delle forbici, scorgonsi due piccolissime eminenze ritonde, nere e lustre. Sotto ’l ventre, ch’è composto di cinque commessure, veggonsi due lamette dentate che paion appunto due seghe, le quali quando lo scorpione cammina le distende e le dibatte, com’egli se ne volesse servire quasi che fossero due ali. La coda ha sei vertebre o spondili, e l’ultimo d’essi è il pungiglione molto grande e uncinato: l’altre cinque vertebre nella parte superiore sono scanalate, e con orli o sponde dentate, e per di sotto tondeggiano, e son convesse e rigate per lo lungo con alcune linee rilevate composte di punti nericci. Questi scorpioni di Barberia non solo quando stanno rannicchiati, ma ancora quando camminano, tengon la coda alzata e piegata in arco, il che per lo più è comune quasi a tutte l’altre generazioni.
Francesco Redi, Scienziati del Seicento, a cura di M.L. Altieri Biagi e B. Basile, Milano-Napoli, Ricciardi, 1980
Teorie ed esperimenti sulla generazione degli esseri viventi
Nella prima metà del Seicento le ricerche sulla generazione acquistano una nuova dimensione: accanto ai mutamenti di carattere teorico, si affermano nuove tecniche di sperimentazione e in particolare l’uso del microscopio.
Le teorie secentesche sulla generazione degli organismi viventi possono essere raggruppate in tre differenti concezioni. 1) L’epigenesi: sostiene che all’origine vi è un uovo o seme, a partire dal quale le parti si differenziano progressivamente. Questa teoria è sostenuta da Harvey e da Descartes. 2) Il preformismo: asserisce che l’animale è già formato nel seme o nell’uovo e che lo sviluppo dell’embrione non è altro che un accrescimento di parti già formate. La scoperta delle uova nei vivipari e degli spermatozoi costituisce un argomento a favore del preformismo, ma i più validi microscopisti sono piuttosto cauti nel trarre conseguenze generali dalle proprie osservazioni. Tra i sostenitori del preformismo possiamo distinguere due differenti posizioni: una ovista, secondo cui nell’uovo è presente una struttura preformata dell’organismo e l’altra, detta animalcolista, che fa iniziare il processo di generazione da un minuscolo animale già formato, identificato con lo spermatozoo. 3) La preesistenza dei germi (che ha alcuni aspetti in comune con la teoria precedente, ma non coincide con essa): attribuisce la generazione a un germe già formato, non originato dai genitori, ma al momento della Creazione, mentre i genitori si limiterebbero a custodire e a nutrire germi preesistenti. La preesistenza riconduce a una creazione unica tutti gli esseri nati o nascituri. Le prime formulazioni di questa dottrina sono quelle di Jan Swammerdam e dei francesi Nicolas Malebranche e Claude Perrault. Secondo Malebranche, le leggi del moto possono render conto dell’accrescimento delle parti dei corpi già organizzati, ma non sono in grado di spiegare la formazione di una macchina così complessa come l’organismo vivente. Malebranche sostiene la preesistenza poiché si adatta meglio di altre teorie a un rigoroso creazionismo.
In realtà, l’intero dibattito sulla generazione è segnato da motivi di carattere filosofico e teologico. Ciò è inevitabile, in primo luogo perché si tratta di questioni che difficilmente possono essere risolte per via puramente sperimentale, sulla base cioè delle tecniche microscopiche e di preparazione allora disponibili; in secondo luogo poiché i temi trattati inevitabilmente mettono in gioco punti di vista filosofici e religiosi, come l’animazione del seme e quello più generale dell’attività della materia e dell’origine della vita.
La generazione spontanea
Uno dei temi principali su cui si confrontano gli scienziati e i filosofi del secolo è la generazione spontanea. La teoria della generazione spontanea afferma che gli insetti e gli organismi più semplici nascono direttamente dalla materia, non da individui della stessa specie. È una teoria centrale nella biologia aristotelica ed è generalmente condivisa dagli aristotelici del primo Seicento. Fortunio Liceti, nel De spontaneo viventium ortu, ritiene che una materia qualsiasi, priva di vita, possa produrre una varietà di esseri viventi attraverso un processo di putrefazione reso possibile dal calore. La generazione spontanea è generalmente accettata dai filosofi atomisti, che danno a questa dottrina una differente interpretazione. Per i seguaci di Epicuro e Lucrezio (come l’inglese John Evelyn), che rifiutano il ricorso alle cause finali, la generazione spontanea costituisce il modello della produzione di tutti gli organismi viventi in quanto indica la presenza nella materia di una intrinseca capacità di organizzarsi. Dal fortuito concorso di atomi ha origine una inesauribile varietà di forme. Alcuni atomisti, come Daniel Sennert, e Pierre Gassendi, reinterpretano la generazione spontanea in chiave creazionista, al fine di evitare esiti materialistici. Sennert esclude che la vita derivi da un fortuito incontro di atomi, sostenendo che da determinate sostanze (formate di atomi di un certo genere) si producano sempre gli stessi animali. Gassendi, che riafferma l’origine divina della vita, riconduce i processi di generazione spontanea a germi creati da Dio al momento della creazione. Cartesio spiega la generazione spontanea come l’opera del calore che agisce sul corpo in putrefazione e agita le particelle di materia sottile, che si trasformano in spiriti vitali, e quelle più grosse che generano il sangue. Dall’incontro di queste due si generano gli organismi viventi. Il primo a mettere in discussione per via sperimentale la generazione spontanea è Francesco Redi, che in Esperienze intorno alla generazione degli insetti (1668) attribuisce la nascita di larve di mosche a uova deposte nella carne putrescente. Pone carne di vari animali in contenitori chiusi con della tela così da impedire il contatto con le mosche e altra carne in contenitori aperti (in modo da verificare la correlazione). La carne lasciata a contatto con le mosche produce larve, che invece non compaiono nell’altra, anche se in ambedue i campioni si era prodotta una putrefazione. Con un esperimento simile Antoni van Leeuwenhoek giunge, indipendentemente da Redi, ad analoghe conclusioni. Tuttavia, neanche Redi abbandona interamente la teoria della generazione spontanea, in quanto continua a credere che alcuni parassiti si generino spontaneamente nell’organismo ospite, come la cinipe che produce la formazione di galle, le cui uova sono poi osservate al microscopio dall’olandese Jan Swammerdam e da Malpighi. Le reazioni all’esperimento di Redi non sono unanimi: i Gesuiti Athanasius Kircher e Filippo Buonanni, ad esempio, sostengono la dottrina della generazione spontanea, asserendo che non vi è prova dell’esistenza di semi o uova di muschi, funghi, alghe, coralli, così come di numerosi insetti, di anguille e testacei.
Tuttavia, sul finire del secolo, gran parte dei medici e dei filosofi naturali è convinta che gli ovuli sono fecondati dal liquido seminale, che mette in moto i rudimenti del feto predelineati nell’uovo.