Le province europee dell'Impero romano. Le province alpine
Le popolazioni dell’arco alpino occidentale (Alpi Cozie, Marittime, Graie, Pennine) furono assoggettate da Augusto con una serie di operazioni sia militari sia diplomatiche: queste acquisizioni completavano quella portata a termine in Raetia et Vindelicia da Silio e da Druso e assicurava il controllo di tutti i valichi e gli itinerari montani.
Dopo le campagne di Cesare in Gallia, le Alpes, cioè il settore alpino occidentale, erano rimaste fuori sia dall’organizzazione della Cisalpina, sia da quella della Lugdunensis e della Narbonensis, malgrado i valichi delle alte valli costituissero una realtà geografico-strategica di grande rilevanza, teatro, in passato, del passaggio di eserciti e di generali romani e stranieri, da Annibale allo stesso Cesare. Cottius, re delle Alpi che da lui prendevano il nome, aveva stabilito buoni rapporti con Roma, fino alla firma di un trattato o foedus; ma nessun’altra popolazione alpina aveva mai riconosciuto ufficialmente la sovranità dell’Urbe. Con una rapida serie di iniziative sia militari, sia politico-diplomatiche, Augusto inserì nell’Impero tutti questi territori: l’atto conclusivo, nel 14 a.C., fu la creazione delle Alpes Cottiae, il cui primo governatore fu il vecchio alleato Cottius, non più re della sua terra ma cittadino e magistrato romano.
Nel II sec. d.C. è nota anche la provincia di Alpes Atrectianae atque Poeninae, che doveva già essere stata costituita in precedenza (anche se non si sa esattamente quando: forse con Claudio) e che comprendeva l’alta valle del Rodano. Con Diocleziano, mantenendo inalterata – sembra – l’estensione, cambia il nome in Alpes Graiae atque Poeninae. Quest’area, dove peraltro era possibile praticare l’agricoltura e l’allevamento, era anche quella più importante dal punto di vista economico, insieme con il territorio dei Salassi con le sue miniere d’oro; le altre aree avevano soprattutto un valore strategico, legato alla sicurezza dei percorsi.
Urbanizzazione
Le Alpes Maritimae, quando fu loro aggregata da Augusto l’area di Nicaea (Nizza), divennero l’unica provincia alpina ad affacciarsi sul mare, fra la Narbonense e la regione italiana della Liguria, comprendendo anche il tratto finale e la foce del fiume Varus (Var).
Immediatamente all’interno di Nizza era la sede del governatore, Cemenelum (Cimiez); non lontano era anche il Templum Herculis Monoeci (Monaco), presso cui Augusto fece costruire nel 7/6 a.C. il celebre trofeo delle Alpi, in corrispondenza dell’odierna La Turbie, sulla via Iulia Augusta che ricalca il tracciato italo-narbonense-iberico della precedente Domizia e che proprio in questo tratto si incrocia con le poche direttrici verso l’interno. Di Nizza in età romana non si conoscono resti significativi; Cemenelum, nata sul luogo di un precedente centro celtico, aveva forse un impianto ortogonale in cui si inseriva un tempio dedicato ad Apollo. Lungo il decumano massimo si allineavano tabernae. Nel III sec. d.C., dopo una fase di sviluppo promossa dai Severi, viene costruito lungo lo stesso decumano un impianto termale costituito da tre nuclei contigui per un’estensione totale di circa 100 m. All’esterno del perimetro urbano è l’anfiteatro, di cui restano avanzi piuttosto notevoli.
Nelle Alpes Cottiae, gli insediamenti si concentrano lungo la via che da Augusta Taurinorum (Torino) porta nelle Gallie, attraverso le valli dei fiumi Duria e Druentia (Dora e Durance) e il passo del Monginevro.
Il centro più importante è Segusio (Susa), antico punto di riferimento per la popolazione dei Segusi e sede di re amici di Roma, l’ultimo dei quali, Cottius, divenne il primo governatore quando fu costituita la provincia. Divenuta così capitale, Segusio ebbe impianto tendenzialmente, ma non completamente regolare (irregolare è, ad es., il perimetro stesso della città, condizionato dalla conformazione del terreno); fu dotata anche di un impianto termale e di un anfiteatro; ma il monumento di maggiore spicco è decisamente il grande arco costruito nel 9/8 a.C.
Monumenti principali
L’arco di Susa e il trofeo di La Turbie costituiscono una coppia di monumenti che celebrano in maniera diversa lo stesso evento storico e cioè appunto l’assoggettamento da parte di Augusto dei popoli alpini. Per quanto riguarda l’arco, si apprende dall’iscrizione che fu proprio Cottius, insieme con 14 di queste popolazioni (fra cui i Salassi), a far erigere il monumento a celebrazione del foedus stabilito con Augusto. L’arco era forse all’inizio di una strada che portava al Moncenisio e che il re divenuto magistrato romano aveva fatto costruire in aggiunta a quella per il Monginevro. Rivestito con pietra bianca, è a un solo fornice, con agli angoli semicolonne (anzi, 3/4 di colonne) corinzie su alto plinto, provvisto inoltre di architrave, fregio, cornice, attico: si può stabilire un collegamento con gli archi dell’Italia settentrionale e della Gallia meridionale.
I rilievi del fregio hanno invece un sapore diverso. Raffigurano un sacrificio compiuto da Cottius alla presenza dei Romani (lato nord), lo stesso re e un magistrato romano che stipulano il foedus accogliendo i rappresentanti delle popolazioni locali (lato ovest), un altro sacrificio a cui presenziano, stavolta, anche i Dioscuri (lato sud), l’adempimento di atti giuridico-amministrativi (lato ovest, in parte perduto). Il re è immedesimato nella sua nuova veste di magistrato romano; dal punto di vista stilistico i rilievi, eseguiti peraltro probabilmente da mani diverse, hanno in comune un certo disinteresse per l’organicità delle figure e per la loro disposizione nello spazio (esse appaiono allineate paratatticamente) e l’esigenza, invece, di rendere ben leggibili gli elementi che danno un senso a ciò che viene rappresentato: significative, in questo senso, le enormi proporzioni degli animali destinati al sacrificio, cerimonia che suggella gli importanti eventi politici in corso.
Il Tropaeum Alpium di La Turbie, costruito non molto tempo dopo, reca in un’ampia targa marmorea la dedica ad Augusto (è la menzione delle sue cariche che ci consente la datazione al 7/6 a.C.) e una lista di 45 popolazioni sottomesse. La targa è collocata sul lato ovest di un solido basamento a pianta quadrangolare; a questo basamento se ne sovrappone un secondo, pure a pianta quadrangolare ma più piccolo; a questo si sovrappone a sua volta una tholos composta da un corpo interno cilindrico, con nicchie destinate a contenere statue, e da un colonnato esterno, costituito da colonne lisce con capitelli dorici. La copertura era assicurata da una piramide esagonale a gradoni, sulla cui sommità era una statua bronzea di Augusto fra barbari prigionieri. Trasformato nel Medioevo in torre fortificata, il monumento (che fu realizzato con marmo lunense e pietra locale) è stato parzialmente restaurato negli anni Trenta e Quaranta del XX secolo: ricalca nelle sue linee generali lo schema del mausoleo, ampiamente testimoniato, sia pure con numerose varianti, in Gallia Narbonense (Glanum) e soprattutto in Italia settentrionale. Insieme con il trofeo di Traiano ad Adamclisi (in Moesia Inferior, come vedremo), è l’unico monumento di questo genere di cui sia possibile proporre una ricostruzione sufficientemente ampia e attendibile: trofei di questo tipo sono da distinguere, ovviamente, dai trofei antropomorfi che, come abbiamo visto in più occasioni, sono altra cosa (un tronco su cui sono montate, come su un fantoccio, le armi tolte al nemico vinto) e che fra l’altro sono presenti anche qui, raffigurati alle estremità della targa con iscrizione.
Un altro trofeo di cui abbiamo parlato, quello di Lugdunum Convenarum in Aquitania, è noto per la qualità delle sculture superstiti, ma non conserva quasi nulla delle strutture architettoniche.
Apparentemente, il luogo prescelto per questi monumenti è legato non tanto a riferimenti topografici con l’evento celebrato (o con un episodio di questo), quanto all’esigenza di una visibilità da lunga distanza, che renda efficacemente avvertibile il “monito” della presenza romana.
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Alpes Graiae atque Poeninae:
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Il nome di Raetia et Vindelicia designa in età romana l’area posta a nord delle Alpi Lepontine, Retiche e Tridentine, estesa fino al Danubio e, a partire dalla seconda metà del I sec. d.C., anche oltre il grande fiume: in sostanza, si possono considerare retiche le vallate alpine a sud e vindelicio il grande altopiano bavarese a nord. La conquista e la romanizzazione di questo territorio si inquadrano nella serie di operazioni condotte da Augusto per rinforzare e proteggere i confini settentrionali dell’Italia e portare più a nord il limite dell’Impero: operazioni che si svolgono (come si è visto) anche nelle Alpi occidentali (Maritimae, Cottiae, Graiae), ma che venivano chiaramente considerate come parti di un unico progetto, tanto che nell’iscrizione del trofeo di La Turbie, insieme con gli altri popoli alpini assoggettati o annessi, sono ricordati anche i Raeti e i Vindelices.
Rispetto alle Alpi occidentali, il settore retico era stato sottomesso leggermente prima, insieme con il Noricum: alle spedizioni condotte da Silio nel 16 a.C. fecero seguito le campagne di Tiberio nei valichi alpini e quelle di Druso nell’alto Reno, viste a loro volta nel quadro dell’ambizioso progetto (questo, però, poi non realizzato) di conquista della Germania. Il territorio fu coinvolto solo marginalmente nelle rivolte pannoniche del 6-9 d.C. e nella guerra civile del 69 d.C.
In un primo momento la Raetia et Vindelicia fu affidata al governatore della Narbonensis, poi, con Tiberio, fu denominata semplicemente Raetia e costituita in provincia a sé. Fu Domiziano a portare il confine settentrionale oltre il Danubio, parallelamente all’acquisizione degli agri decumates nella Germania Superior. Continuazione, pertanto, del limes germanico è il limes retico; come quello è in posizione avanzata rispetto al Reno, così questo lo è rispetto al Danubio. Poco dopo, in compenso, fu distaccata la Vallis Poenina (Vallese) per essere annessa alle Alpes.
Capitale della provincia fu fin dall’inizio Augusta Vindelicum (Augusta, Augsburg). Coinvolta nelle campagne di Caracalla contro gli Alemanni (213 d.C.), la provincia fu divisa da Diocleziano in Raetia I (parte alpina), con capitale Coira, e in Raetia II (parte bavarese), che mantenne come capitale Augusta Vindelicum. Abbandonati i territori oltre il Danubio, le due Raetiae rimasero una sorta di antemurale a protezione dell’Italia: svolsero questo ruolo sia nelle campagne transdanubiane di Costanzo II, sia nelle lotte contro il capo indigeno Vadomaro, sia nelle operazioni condotte all’inizio del V sec. d.C. da Stilicone. Il limes è di nuovo costituito qui dal Danubio e in Germania (abbandonati gli agri decumates) dal Reno; un ulteriore tratto è attestato lungo un fiume meno noto, l’Iller (linea Reno-Iller-Danubio). Mentre un tempo il definitivo ritiro dalla Rezia si attribuiva allo stesso Stilicone, ora (sulla base di ritrovamenti di fortezze ancora in uso nel V sec. d.C. e di testimonianze della Notizia dignitatum, una specie di “manuale illustrato” dello Stato romano risalente a quello stesso secolo) si sa che tale ritiro coincise, in pratica, con la fine dell’Impero d’Occidente (476). Questa fase finale è caratterizzata dal progressivo imporsi del cristianesimo, nel cui ambito domina, in queste regioni, la figura di s. Severino (morto nel 482), predicatore e fondatore di comunità nella Rezia e nel vicino Norico.
Romanizzazione, organizzazione di strade e fortezze, urbanizzazione
In questa provincia creata per assicurare la protezione dell’area più settentrionale d’Italia e l’utilizzabilità dei valichi e transiti alpini, il sistema di strade e fortificazioni riveste particolare importanza. La rete delle vie di comunicazione, che viene completata con Adriano, è composta soprattutto da strade che varcano le Alpi e si dirigono a incrociare il Danubio (Curia-Brigantium, oppure Vipitenum- Veldidena) e la via che segue il corso di questo fiume; e da strade che, rispetto a quelle, seguono percorsi trasversali (Brigantium- Cambodunum fino a Castra Batava).
Quanto all’organizzazione del limes, il momento delle realizzazioni più impegnative è quello in cui, ai tempi di Domiziano, la linea del confine è spostata oltre il Danubio, più a nord, mentre quella del limes della Germania Superior viene avanzata a est del Reno. I due tratti di limes “artificiale” (consistente cioè in opere di ingegneria militare e non in elementi naturali, come il corso dei fiumi stessi), quello germanico e quello retico, si raccordano presso Lauriacum (Lorch): quello retico prosegue verso est fino a riconvergere con la linea del Danubio presso Castra Regina (Regensburg, Ratisbona). Complessivamente, la lunghezza del limes germanico-retico è di circa 530 km, controllata (intorno alla metà del II sec. d.C.) da circa 22.000 legionari e 38.000 ausiliari. Fra i resti più noti di questo sistema difensivo, è da ricordare il castellum nella città detta oggi Aalen (il nome antico è sconosciuto), base di un’ala di cavalleria, la II Flavia Miliaria, e sede oggi di un notevole Museo del limes.
Nell’insieme, comunque, la conformazione orografica della regione fa sì che la romanizzazione vera e propria sia abbastanza limitata: riguarda la zona prealpina, alcune vallate più ampie e le aree meno aspre verso il Danubio, ma non le regioni alpine più alte. L’urbanizzazione, conseguentemente, non conosce grande sviluppo. Da ricordare però la capitale Augusta Vindelicum, definita da Tacito splendidissima Raetiae colonia, importante sia dal punto di vista politico sia da quello strategico (è di poco arretrata rispetto alla linea del limes): restano avanzi di mura e di una porta, mentre all’interno l’impianto urbanistico presenta un aspetto alquanto irregolare. Fra le altre città, da ricordare Cambodunum (Kempten), che fu anche sede di una sorta di culto federale dei Vindelices per Augusto e Roma; Brigantium (Bregenz), sul Lago di Costanza, dove sono stati individuati resti di un complesso impianto portuale su più livelli; e soprattutto la città di Castra Regina (Regensburg, Ratisbona), sviluppatasi da un originario insediamento militare. Sono da ricordare almeno (anche se inseriti in strutture del XV-XVI sec.) i resti di una porta a due fornici, con due torrioni ai lati e con una loggia-galleria in facciata: vagamente paragonabile alla celebre Porta Nigra di Treviri, questo monumento è probabilmente databile fra la fine del I e l’inizio del II sec. d.C.
I luoghi di culto della Rezia romana presentavano situazioni interessanti, anche se spesso le testimonianze sono esigue. A Faimingen, nel distretto di Dillingen sul Danubio, esisteva un grande santuario dedicato al culto sincretistico di Apollo Grannus; a Mühlthal, nel distretto di Rosenheim sul fiume Inn, era un importante Mitreo; sono testimoniate in vari luoghi colonne di Giove e dei Giganti, tipo di monumento assai noto in area gallo-germanica.
Arti figurative
Le sculture più significative della provincia sono i rilievi, funerari e non, di Augusta Vindelicorum (Augsburg), di Vindonissa (Windisch), di Castra Regina (Regensburg) e di altre località, in cui sono presentati con efficacia e immediatezza, anche se con qualche semplificazione, momenti della vita quotidiana.
In particolare, ad Augusta, la stele funeraria con coppia di coniugi e il pilastro con figura di servo curvo per il carico trasportato; a Windisch una bella stele funeraria con figura di donna dal capo coperto da un lembo del mantello; a Castra Regina una vivace scena di taverna: sulla sinistra un uomo si allunga a prendere da uno scaffale un grosso contenitore che evidentemente intende mescere, sulla destra si svolge una scena di esplicito corteggiamento, protagonisti un uomo e una donna in atto di appartarsi dietro una tenda, mentre l’uomo tende la mano per un’audace carezza.
In generale:
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Römer an Donau und Iller. Neue Forschungen und Funde (Catalogo della mostra), Sigmaringen 1996.
Limes, castra, organizzazione militare:
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Der römische Limes in Bayern. 100 Jahre Limesforschung (Catalogo della mostra), München 1992.
Spätrömische Befestigungen in den Rhein- und Donauprovinzen. Beiträge der Arbeitsgemeinschaft “Römische Archäologie” bei der Tagung des West- und Süddeutschen Verbandes der Altertumsforschung in Kempten, 8.6. - 9.6.1995, Oxford 1998.
Alpi e Reti:
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