Le province bizantine II
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Dopo le grandi perdite territoriali del VII e dell’VIII secolo, l’impero consolida le province rimaste (è il caso dell’Italia meridionale, nonostante si debba rinunciare alla Sicilia) e individua nuove direttive di espansione. Acquistano allora particolare importanza le zone caucasiche e balcaniche, che si riveleranno fondamentali per l’irradiazione verso nord e verso est della civiltà bizantina, soprattutto nei suoi aspetti religiosi e politici.
Dopo la caduta dell’Esarcato nel 751, in Italia rimangono in mano bizantina solo poche zone collocate nell’estremo meridione, oltreché la Sicilia.
La situazione di questi ultimi territori diviene ancora più precaria dopo che gli Arabi, chiamati a supporto di una ribellione locale, iniziano la conquista della Sicilia nell’827; dopo alcuni travolgenti successi iniziali la loro avanzata rallenta, ma continua inesorabile con la caduta di Siracusa (878) e di Taormina (902), con la quale la conquista dell’isola è praticamente conclusa. La perdita della Sicilia avrebbe innegabilmente comportato un brusco calo dell’importanza di tutto il Meridione bizantino, che, privato della sua funzione di raccordo con l’importante provincia insulare, si ritrova a essere sempre più una remota e isolata frangia dell’impero. Gli Arabi, una volta stabilita una testa di ponte in Sicilia, occupano Taranto e Bari; gli esigui territori bizantini sono sostanzialmente lasciati a se stessi fino all’ascesa al trono di Basilio I, che intraprende una politica molto più energica e, dopo aver recuperato Bari, grazie all’abilità del generale Niceforo Foca il Vecchio, amplia notevolmente i confini dell’Italia meridionale bizantina. Negli anni seguenti è soprattutto la tassazione, percepita come eccessiva, che spinge nuovamente la zona all’instabilità, e gli Arabi possono riprendere le proprie incursioni (la conquista di Reggio è del 901).
La situazione si complica ulteriormente quando l’imperatore germanico Ottone I comincia ad avanzare pretese sui territori italiani in mano ai Bizantini e intraprende una serie di campagne militari nel 967-968, nelle quali peraltro deve scontrarsi anche con l’ostilità della popolazione. La reazione di Niceforo II Foca, allora sul trono di Costantinopoli, non si fa attendere. La guerra si concluderà nel 972, con un accordo diplomatico nel quale Ottone, che ottiene la mano della principessa Teofano per il proprio figlio Ottone II, rinuncia alle pretese sui territori bizantini dell’Italia meridionale, nel frattempo riorganizzati sotto l’autorità di un “catepano”, che evidentemente dovrebbe coordinarne la difesa. Dopo la rivolta del nobile barese Melo, la situazione generale dell’impero, particolarmente florida, permette di dirottare parte delle risorse anche sulle neglette province italiane, e in pochi anni si arriva significativamente a imporre la sovranità bizantina ai vari principati longobardi della regione, compreso quello di Capua. Nel 1038 si giunge anche a organizzare una spedizione in grande stile finalizzata alla riconquista della Sicilia, che, dopo un inizio promettente, si risolve tuttavia in un nulla di fatto.
Quando l’impero, in seguito alle invasioni del VII secolo, si trova sostanzialmente ridotto all’altopiano anatolico, la regione dell’Armenia (molto più ampia dell’omonimo Stato moderno, ed estesa anche su buona parte dell’attuale Turchia nordorientale) acquista un’importanza del tutto particolare.
Divisa fin dall’Antichità tra le sfere d’influenza della Persia e dell’Impero romano, e raramente unita sotto un’unica autorità, l’Armenia si converte al cristianesimo agli inizi del IV secolo, e in seguito respinge maggioritariamente le decisioni del concilio di Calcedonia, separandosi così dalla Chiesa universale. In seguito, i piccoli principati armeni fungono da Stati cuscinetto tra Bisanzio e il califfato, e nel corso del X e dell’XI secolo la combinazione di operazioni militari e, soprattutto, la caratteristica cooptazione di numerosi esponenti della nobiltà locale all’interno dell’aristocrazia bizantina, anche ai più alti livelli, contribuisce al sostanziale assorbimento della regione, organizzata in una serie di “temi”, all’interno dell’impero, che, significativamente, nella sua espansione verso Oriente supera persino i confini di epoca giustinianea. Tale annessione è tuttavia di breve durata, giacché dopo la battaglia di Manzikert, nel 1071, l’Armenia passa sotto il controllo di dinastie musulmane e finisce sostanzialmente per allontanarsi dall’orbita dell’impero.
Sempre nell’area del Mar Nero merita una menzione il tema bizantino di Cherson, incentrato intorno all’omonima città della Crimea meridionale. Questa piccola e remota provincia (che in alcuni periodi sfugge alla sovranità bizantina, e che nel XIII secolo entra nell’orbita dell’Impero di Trebisonda) ha importanza soprattutto in quanto tramite culturale e commerciale tra l’impero e le popolazioni che si avvicendano nell’area dell’attuale Ucraina: i Cazari, potenti alleati di Bisanzio, fino al X secolo, e successivamente la Rus’ di Kiev. Secondo una tradizione, lo stesso epocale battesimo di Vladimiro I di Kiev, nel 988/989, ha luogo a Cherson.
In questa regione l’impero inizia a riguadagnare terreno nella seconda metà del IX secolo. I Balcani meridionali sono lentamente recuperati e le popolazioni slave convertite al cristianesimo. Anche il regno di Bulgaria, pur rimanendo fieramente indipendente e continuando anzi a essere una grave minaccia per i Bizantini, entra nell’orbita religiosa dell’impero, con la conversione del khan Boris intorno all’864 e, dopo una serie di trattative finite in nulla con il papa di Roma, con la sua decisione di far dipendere il metropolita a capo della neonata Chiesa bulgara dal patriarca di Costantinopoli, nell’869.
Negli anni successivi, la conversione della popolazione risulta facilitata dall’arrivo dalla Moravia dei discepoli dei due fratelli Cirillo e Metodio, che si avvalgono di un alfabeto adattato alle lingue slave nel quale sono immediatamente tradotti i principali testi ecclesiastici. È peraltro importante sottolineare come queste missioni fossero sempre dirette e pianificate dai vertici dell’apparato statale ed ecclesiastico bizantino, secondo un’intelligente e lungimirante politica di espansione e assimilazione culturale tipica di quel vero e proprio melting pot costituito dall’impero, così aperto e ricettivo verso i sudditi (o i possibili sudditi) di origine eterogenea.
Anche nei decenni successivi la Bulgaria continua a essere una spina nel fianco dell’impero, in particolare sotto lo zar Simeone I. I rapporti di forza stanno tuttavia cambiando e, attraverso una serie di durissime campagne, prima Giovanni I Zimisce e poi, definitivamente, Basilio II, nel 1018, riescono a assoggettare l’intera Bulgaria, che viene riorganizzata in due ducati; alla regione è peraltro garantita una certa autonomia, e si arriva anche a tenere conto, con la riscossione delle tasse in natura, della sua economia arcaica.
Una menzione finale, in ambito balcanico, dev’essere riservata all’importante emporio di Ragusa (oggi Dubrovnik), fondato dagli esuli della città dalmatica di Epidauro, distrutta da Avari e Slavi agli inizi del VII secolo. Fin dall’inizio, almeno nominalmente, sottoposta a Costantinopoli, Ragusa è salvata da un assedio arabo per intervento di Basilio I, nell’866-867, e a partire da questa data l’influenza bizantina sulla città perdura (salvo brevi parentesi) fino al 1205, quando passa nelle mani dei Veneziani per poi evolvere in città-stato autonoma, che sopravviverà alla stessa Costantinopoli, con la quale manterrà, fino alla fine, rapporti amichevoli.