Le iconografie monetali
I romani coniarono moneta fin dal III secolo a.C. e fin da subito mostrarono, rispetto ad esempio ai greci, di prediligere produzioni monetali le cui iconografie fossero molteplici e frequentemente variate. Tali iconografie furono presto utilizzate dai rampolli delle famiglie dell’aristocrazia senatoria per celebrare le proprie origini e rendere evidenti le proprie affiliazioni politiche. Il valore mediale delle monete romane è pertanto assai difficile da mettere in dubbio. Ciononostante, resta aperto il problema di definire, una volta ammessa la natura di messaggio delle iconografie monetali, da chi tale messaggio fosse formulato e per chi, a quali condizioni e con quale validità, tanto nell’estensione geografica che in quella cronologica1. Se nella prima metà del XX secolo si insisteva, ad esempio, sul valore delle monete come mezzo di comunicazione di massa, come ‘newspapers of the day’2, tale impostazione è da condividere solo in parte: i tipi monetali richiedono un certo tempo per essere creati, la coniazione e distribuzione delle monete nuove, pur assai veloce nel mondo romano, non è certo fenomeno istantaneo e informazioni relative a eventi dovevano raggiungere più rapidamente le province in altri modi3; la circolazione simultanea di monete vecchie e nuove non può inoltre garantire che il pubblico di riferimento ricercato venga effettivamente raggiunto con un messaggio univoco.
Nella seconda metà del XX secolo reagirono alla vulgata fin lì diffusa Arnold Hugh Martin Jones e Michael Crawford, autori di due articoli provocatori, che finivano per negare alle monete qualunque valore come fonte storica, se non per specifiche questioni di storia economica e monetaria o per precisazioni cronologiche nella storia evenemenziale4. Jones riteneva, in base a tre elementi, che l’importanza delle iconografie fosse stata sopravvalutata: le fonti letterarie menzionano solo molto raramente tipi monetali; le leggende in latino sarebbero state per la maggior parte della popolazione incomprensibili; le iconografie in sé sono spesso troppo complicate, e non sarebbero state comprese. Le monete non sarebbero dunque state considerate attentamente dai romani di allora, allo stesso modo in cui oggi non si considerano con attenzione le immagini presenti sui francobolli. Crawford riprese questi argomenti aggiungendo che le poche menzioni di monete in fonti letterarie sono spesso di natura indiretta e che la funzione principale delle iconografie monetarie era in realtà l’identificazione univoca dell’autorità emittente. La molteplicità dei tipi coniati nella Roma imperiale sarebbe il prodotto storico della genesi del Principato dalla competitiva oligarchia tardorepubblicana, che aveva utilizzato le monete per la propria autorappresentazione.
Questi argomenti riduttivi non hanno trovato grande consenso: in primo luogo le fonti letterarie, come ammette Crawford, parlano in realtà di monete (non meno di quanto non parlino ad esempio di epigrafi) e le menzioni indirette devono risalire, in qualche modo, a una fonte che abbia visto la moneta e l’abbia ritenuta significativa per un’esposizione storica5. La lingua delle legende è sì il latino, ma in una forma estremamente semplificata e standardizzata; proprio la presenza delle iconografie, inoltre, rende spesso la legenda superflua ai fini della comprensione del messaggio centrale. Quanto alla difficoltà di comprensione delle iconografie, sembra necessario ricordare che ciò che oggi può sembrare complesso non doveva esserlo necessariamente allora e soprattutto che le monete non erano, per gli abitanti dell’Impero, un oggetto ‘isolato’ o inserito in una catena autoreferenziale come per noi. Esse circolavano in un mondo pervaso dalla presenza d’iscrizioni, statue, pitture, eventi performativi, messaggi di altro genere sul cui sfondo – oggi in gran parte perduto – erano da leggere e da comprendere6. D’altro canto restava una conoscenza di tipi del passato a distanza anche di molte generazioni: si vedrà un esempio di coniazioni costantiniane direttamente riprese da Augusto, a oltre trecento anni di distanza. E casi del genere si ritrovano in ogni fase della storia della numismatica romana.
Importante è invece identificare quale fosse il pubblico cui tali messaggi erano indirizzati – che non doveva essere sempre lo stesso. Monete d’oro e di bronzo avevano circolazioni differenti, in contesti sociali ed economici diversi. Bisogna pensare che iconografie monetarie per le coniazioni, ad esempio, del divisionale eneo fossero realizzate con la piena consapevolezza della loro sopravvivenza anche nelle generazioni successive. Le monete prodotte in una particolare zecca avevano inoltre una massima visibilità nell’area geografica circostante. Molti tipi monetali venivano in aggiunta prodotti per essere distribuiti in un’occasione precisa (largizioni, congiari ecc.): potevano dunque farsi portatori di un messaggio molto più puntuale e specifico, mirato a un particolare gruppo in un determinato momento7. Si vedrà, come esempio concreto di questa differenziazione, come tutte le emissioni costantiniane legate all’ordinamento della successione siano solo medaglioni.
Diverso è il problema concernente chi fosse responsabile per la scelta dei tipi in età imperiale: un punto sollevato in particolare da Barbara Levick8, secondo cui l’emittente del messaggio non sarebbe stata la corte imperiale, con la popolazione dell’Impero, l’esercito o altri gruppi come destinatari; l’imperatore sarebbe stato invece il ‘pubblico’ di riferimento, e gli emittenti i tresviri monetales, ossia giovani aristocratici all’inizio della loro carriera, che avrebbero con piaggeria onorato l’imperatore per rafforzare la propria posizione. Un pubblico più ampio sarebbe stato coinvolto solo marginalmente e ‘di risulta’. Anche questa posizione non può però essere mantenuta in questa forma, e Levick stessa ha aggiustato il tiro in una successiva pubblicazione9: se pure la scelta delle iconografie avveniva a un livello inferiore, è chiaro che sarebbero stati scelti dei tipi non contraddittori o dissonanti con i temi e le forme dell’autorappresentazione imperiale. Che ci fosse o meno una specifica indicazione ‘dall’alto’ delle iconografie da adottare (indicazione che in certi casi non può essere mancata, specie quando si considera la coordinazione, in età tardoantica, delle diverse zecche), i temi presentati erano quelli usati dalla corte imperiale nel modellare l’immagine pubblica dell’imperatore e la sua ‘propaganda’. Anche qualora si possa voler respingere quest’ultimo termine a causa delle sue connotazioni fortemente negative, più forti in determinate lingue10, non si può negare che le monete fossero una parte costitutiva dell’intero sistema di rappresentazione del potere e di presentazione della figura imperiale ai diversi gruppi che abitavano e formavano l’Impero romano. Le fonti letterarie che menzionano iconografie monetali le citano sempre come diretta espressione della volontà dell’imperatore, e come tale esse dovevano pertanto essere allora percepite: in questo senso Ada Cheung ha definito le monete come «monumenti in miniatura»11.
Senza queste funzioni comunicative si avrebbe peraltro una grandissima difficoltà a spiegare quella ricchezza tipologica menzionata all’inizio, perfettamente motivata in un complesso sistema di comunicazione che dall’alto proponeva temi e immagini. Questi si articolavano sui diversi metalli e nelle diverse emissioni monetarie, accoppiando messaggi e destinatari delle produzioni monetali e dando così vita a un ampio e variegato contesto, di cui sfuggono in grandissima parte i riferimenti esterni, e che può essere in parte ricostruito solo quando lo si consideri nella sua interezza e nel suo complesso. È ciò che si cercherà di fare nelle prossime pagine in rapporto a Costantino e al suo trentennale regno, nella certezza che la singola moneta perde la maggior parte del suo valore e del suo significato se non è letta almeno sullo sfondo di tutte le altre emissioni precedenti, contemporanee e successive. Una presentazione sistematica di tutte le coniazioni costantiniane è ovviamente impossibile per ragioni di spazio: si cercherà nondimeno di offrire un panorama il più completo possibile dei temi e dei motivi della numismatica costantiniana, inquadrandoli nei loro rapporti specifici e nella loro evoluzione diacronica.
È ovvio che nessuna moneta rappresenti Costantino prima dell’estate del 306. Nel sistema tetrarchico il figlio di Costanzo Cloro non era membro di una dinastia imperiale e pertanto non era previsto come erede al trono, almeno per la prima generazione successiva al padre. Ma quando Costantino accettò il ruolo di Cesare nella cosiddetta ‘terza tetrarchia’, tutte le zecche imperiali presero a coniare a suo nome (con il regolare titolo di nobilissimus Caesar)12 .
Il 28 ottobre dello stesso anno l’usurpazione di Massenzio scompigliò ancora di più le carte, mostrando fin da subito un’asimmetria nella rappresentazione del potere: mentre Costantino, fedele al sistema ‘galeriano’, non coniò alcuna moneta a nome di Massenzio, questi, alla ricerca di alleanze politiche, escluse dalla propria monetazione Galerio, ma vi riconobbe Massimino Daia (per un primo breve periodo, fin quando questi non prese una chiara posizione contro l’usurpatore romano nell’aprile 307) e Costantino, nobilissimus Caesar e princeps iuventutis13?; in suo nome fu ad esempio emessa a Cartagine una moneta che lo celebra come conservator Africae suae. In questo momento Costantino riuscì a sfruttare al meglio l’ambiguità della sua posizione, da un lato non rompendo con Galerio, dall’altro accettando l’alleanza con Massimiano e Massenzio. Tale alleanza portò al matrimonio con Fausta che, celebrato probabilmente nel settembre o nel dicembre 307, coincise anche con l’assunzione, da parte di Costantino, del titolo di Augusto.
Questi elementi hanno fatto pensare che già alla fine del 307 Costantino avesse cessato di intrattenere buone relazioni con i colleghi orientali e con il sistema tetrarchico, e avesse assunto modalità di autorappresentazione che insistevano invece sugli aspetti dinastici e sulla sua natura di principe ‘nato per il regno’14. Il matrimonio con Fausta è celebrato dal panegirico del 307, che se pure evidenzia la discendenza da Costanzo Cloro è però, com’è stato a più riprese evidenziato, ancora fortemente pervaso da un’aura tetrarchica funzionale alla legittimazione delle posizioni di Costantino e Massimiano15. La struttura e la funzione del panegirico sono assai vicine anche ai temi della monetazione contemporanea16.
Si è spesso ritenuto che una rottura con gli stilemi tetrarchici sia visibile ora in due particolari emissioni monetali, che sono dunque da analizzare attentamente. La prima consiste di monete, coniate solo a Treviri nel 307, che rappresentano al verso Fausta, con il titolo di nobilissima femina, e al recto l’iconografia Venus Felix17?. Si tratta certo di un allontanamento dalle tipologie dell’epoca tetrarchica, che mai avevano ospitato donne sui loro coni proprio a enfatizzare il fatto che il collegio imperiale non si componeva per via dinastica; prima di presupporre, però, che si trattasse di una violenta rottura con la tetrarchia, è bene ricordare che l’emissione è di dimensioni ridottissime, consiste solo di piccole monete d’argento e potrebbe essere stata prodotta per una distribuzione celebrativa (un congiarium) in occasione delle nozze. Sembrerebbe pertanto di dover ridimensionare molto il possibile impatto.
La seconda emissione da discutere sono le monete di consacrazione che Costantino fece coniare a Lione nel 306-307 in memoria di Costanzo Cloro18, a loro volta considerate segno di una rottura rispetto al sistema tetrarchico e di una forte sottolineatura del legame dinastico che legava padre e figlio19. Se è certo vero che non si trovano coniazioni analoghe in altre zecche, ed è innegabile che Costantino fosse figlio di Costanzo Cloro (queste coniazioni continuano nel 308, anno in cui Lione conia anche monete a suo nome con la legenda Constantino p(io) Aug(usto) b(ono) r(ei) p(ublicae) nato)20, così come il fatto che funerale e consacrazione costituivano, fin dal tempo di Augusto, il sistema migliore per legittimare la discendenza21, resta problematico definire se tale coniazione fosse del tutto incompatibile con il sistema tetrarchico. Gli altri tetrarchi non avevano ricevuto monete di consacrazione per un motivo banale: non ne era ancora morto nessuno.
Ma alla morte di Galerio, nel 311, monete di consacrazione per lui saranno prodotte da Massimino Daia, da Licinio e persino da Massenzio22, che in Galerio celebravano quell’auctor imperii che, proprio all’interno del sistema tetrarchico, li aveva resi imperatori. Il legame evidenziato da questa classe di monete non è dunque necessariamente di natura familiare e implica il riconoscimento di determinate figure (per Costantino saranno, accanto a Costanzo, Massimiano e Claudio II) come legittimi imperatori, predecessori e auctores imperii. A nessuno sarebbe sfuggito il fatto che Costantino era figlio di Costanzo Cloro, ma proprio in questo risiede l’ambiguità implicita nell’uso di un linguaggio che, al fine di legittimare la presenza di Costantino sul trono imperiale, non rompe con gli stilemi della tetrarchia e con le sue strutture ideologiche, ma implicitamente sottolinea l’esistenza di altre dinamiche parallele23.
Più interessante forse è il cambiamento di stile nel ritratto di Costantino stesso, che abbandona l’iconografia squadrata tetrarchica, che giocava sul principio della somiglianza di tutti gli imperatori, ed era ancora stata utilizzata per Costantino agli inizi del 307: gradualmente si sviluppa anche in questo settore un linguaggio diverso, in cui la raffigurazione diventa non solo più personalizzata, ma più apertamente ispirata a modelli augustei e traianei – due imperatori che giocheranno sempre un ruolo importantissimo nell’autorappresentazione costantiniana24.
La fine del 307 e l’inizio del 308 sono anche i mesi in cui si consuma la rottura tra Massimiano e Massenzio, in seguito alla quale il primo si trasferisce alla corte di Costantino e il secondo scompare, ovviamente, dalle coniazioni del padre e del cognato. Massimiano, che fino a questo momento aveva esercitato sì la sua autorità, ma dalla sua posizione di senior Augustus, che aveva acquisito con il ‘ritiro’ del 1° maggio 305 (visibile ad esempio sulla serie providentia deorum quies Augustorum, che celebrò gli Augusti ‘ritirati’), passa nuovamente alla completa titolatura di un imperatore ‘attivo’. Le monete di Treviri dell’estate 307 avevano ancora celebrato i vota decennali dei due Cesari (Costantino e Massimino Daia) e i vota trentennali dei due Augusti (Diocleziano e Massimiano)25, rispettando sostanzialmente la regola tetrarchica ma ‘saltando’ la generazione di Galerio e Severo, e raffigurando al recto, accanto a Costantino, il solo Massimiano. Con la fine dell’anno 307, il matrimonio tra Costantino e Fausta e la nomina di Costantino ad Augusto le titolature invece si modificano: lo stesso panegirico del 307 mostra un Massimiano tornato al potere in seguito alle preghiere di Roma stessa.
Quest’evoluzione portò a un necessario riavvicinamento di Costantino e Massimiano ai colleghi orientali: le monete del tipo genio populi romani, che fin dall’età dioclezianea avevano costituito il modo più evidente di indicare quali membri del collegio imperiale si ritenessero legittimi ed erano strettamente legate al sistema tetrarchico, al punto da venire abbandonate in momenti di distanziamento da quella forma politica26, vengono coniate ora nelle aree controllate da Costantino e Massimiano anche a nome di Galerio e Massimino Daia. Galerio è altresì presente, accanto a Costantino e Massimiano, sul recto dei folles di Lione, prodotti nella prima metà del 308, che al verso celebrano la concordia felix dd nn o la concordia perpet dd nn27. Chiaramente sorprende vedere come tali emissioni, in nome di tre Augusti, ne menzionino in legenda solamente due, che vengono anche mostrati in campo mentre si stringono le destre e con le sinistre reggono lo scettro. Dunque, pur in un complesso assestamento, il tema della concordia, centrale nella tetrarchia, e lo schema ‘binario’ della figurazione sembrano riferirsi ancora a una ricerca di legittimazione nell’ambito del sistema tetrarchico, con cui non collide in realtà nemmeno l’assunzione da parte di Costantino del titolo di Augusto: Costantino poteva aspirare di diritto a tale titolo in seguito alla morte violenta del ‘suo’ Augusto Severo, ucciso nel settembre 30728.
Al tempo stesso appare evidente il tentativo di Massimiano e Costantino di rivendicare, da Lione, la necessità di un ritorno al ruolo attivo degli Augusti seniores, non solo nella riapparizione, sui menzionati folles del 308, di una titolatura Maximianus Iunior per Galerio29, di cui si evidenziava così l’inferiorità gerarchica rispetto a Massimiano Erculio, ma anche nel cambiamento della titolatura di Diocleziano da senior a Aetern(us) Aug(ustus)30. Ancora una volta un riscontro si trova nel panegirico del 307, che insiste in modo molto chiaro sul fatto che gli Augusti siano tali per sempre31, e nelle altre fonti letterarie, secondo cui a Carnuntum Massimiano, come peraltro anche Galerio, chiese a Diocleziano di tornare al potere, unico evento che avrebbe giustificato la sua iniziativa32. E non è un caso se Massimino Daia, l’unico a coniare nei suoi territori a nome di Massimiano Erculio, continuò invece a chiamarlo senior Augustus, che non vuol dire affatto, come pensò erroneamente Patrick Bruun, che lo riconoscesse come Augusto attivo, ma al contrario che ne ammetteva la posizione gerarchica, attribuendogli però al tempo stesso quel titolo e quel ruolo che aveva assunto il 1° maggio 30533.
Fino all’incontro di Carnuntum, pertanto, le iconografie monetali costantiniane non mostrano alcuna netta rottura con gli stilemi e con l’‘ideologia’ tetrarchica: pur nell’insistenza sulla discendenza da Costanzo Cloro e nonostante la celebrazione del matrimonio con Fausta, Costantino cerca ancora la propria legittimazione attraverso un linguaggio iconografico che allude sempre a un potere imperiale di natura collegiale e spesso mostra ancora caratteri identici o compatibili con le forme della propaganda tetrarchica.
L’incontro di Carnuntum però, che deluse le aspettative di Massimiano quanto quelle di Costantino e di Massimino Daia, portò a un rinnovato allontanamento da Galerio: se questi continua a coniare a nome di Costantino, membro legittimo della ‘quarta tetrarchia’, prima con il titolo di Cesare e poi, dal 309, con il nuovo titolo di filius Augustorum, introdotto probabilmente proprio nel tentativo di placare almeno in parte lo scontento di Costantino e Massimino34, Galerio scompare completamente dalle coniazioni costantiniane. È bene ricordare che Costantino si rifiutò anche di convalidare le nomine dei consoli per il 309 proposte da Galerio, benché fosse lui stesso uno dei due consoli designati. Allo stesso modo non compare Massenzio, contro cui Costantino si apprestava a muovere35. Vengono invece riconosciuti dalle zecche costantiniane tanto Licinio, nominato proprio perché si contrapponesse a Massenzio, quanto Massimino Daia, ‘collega’ di pari grado, cui infatti Costantino non tarda nel 310 ad attribuire il titolo di Augusto, quando questi se ne appropria contro la volontà di Galerio – in sostanza Costantino lo equipara a sé nelle aspirazioni e nelle posizioni36.
È con il 310 che si consuma una più evidente rottura di Costantino con il linguaggio tetrarchico. La morte di Massimiano e la preparazione della guerra contro Massenzio non potevano che portare a evitare l’immagine ‘erculea’. La costruzione di una nuova legittimazione si fa evidente nel panegirico del 310, che assume toni completamente diversi da quello del 307, specialmente nel celebre passaggio della visione avuta presso il santuario di Apollo. Se già il panegirico del 307 aveva in realtà presentato una discreta abbondanza di immagini solari37, queste si fanno ora vistosamente più presenti, e vengono consacrate proprio dalla descrizione della visione. Apollo/Sol, divinità pressoché assente dal sistema religioso tetrarchico38, si impone rapidamente come divinità specificamente personale di Costantino, che lo mette in connessione diretta con gli imperatori illirici. Ancora Giuliano ricorderà il legame precipuo tra il Sole e la famiglia dei Secondi Flavii, criticando Costantino per aver abbandonato per il cristianesimo una tradizione di culto tipicamente familiare39. È vero che il testo descrive un’epifania di Apollo, un dio che non può essere completamente sovrapposto a Sol, che ha, soprattutto in Gallia, spiccate caratteristiche epicorie e che in questo passo si presenta con una corona d’alloro e in compagnia di una Vittoria, attributi non tipicamente solari; ciononostante non si può respingere del tutto l’assimilazione40. Bisogna al contrario ritenere che proprio i forti aspetti epicori portino l’autore del panegirico, a sua volta di area gallica, a spostare l’accento sulle caratteristiche locali del culto apollineo. E le monete sono su questo punto dirimenti. Esse non presentano mai figurazioni di Apollo, ma cominciano in questo momento a usare il tipo soli invicto comiti, coniato anche, più raramente, a nome di Massimino e Licinio (in emissioni londinesi il Sole non a caso è detto comiti aavvgg, o anche comiti avgg nn41: la ‘tutela solare’ è dunque estesa ai colleghi accettati e riconosciuti, in un sistema di potere che è ancora esplicitamente propagandato come collegiale), e solo sporadicamente nelle province orientali. Anche in questo caso non si assiste comunque a una violenta rottura: il tema solare, che comincia ora a essere introdotto, diventa assolutamente preponderante solo alcuni anni dopo, con il 313.42
Allo stesso modo, nel panegirico del 310 viene proposto per la prima volta il tema della discendenza diretta da uno dei più celebri imperatori illirici, Claudio II: monete di consacrazione in nome di quest’ultimo compariranno solo più tardi, ma non si può non notare come le già esaminate monete di consacrazione di Costanzo Cloro, che continuano a essere prodotte, richiamino talora proprio quelle di Claudio II43. Se avesse ragione François Chausson nel sostenere che Costantino era realmente discendente di Claudio II44, assumerebbe ovviamente una rilevanza ancora maggiore il fatto che tale legame di parentela fosse pubblicizzato solamente ora; se, come pensa ancora la maggioranza assoluta della critica, tale legame fu inventato, è significativo che ciò accada in questo momento, nel corso di quegli ultimi spasimi della tetrarchia, durante i quali anche Licinio inventò, a detta dell’Historia Augusta, una discendenza da Filippo l’Arabo45.
Accanto all’elemento dinastico è la celebrazione delle vittorie militari: la sottomissione dei franchi e degli alamanni viene celebrata in coniazioni del tipo gavdivm romanorvm, recanti al recto il solo Costantino con la legenda vbiqve victor o victor omnivm gentivm46. Solo in un secondo momento la formulazione plurale vbiqve victores verrà utilizzata anche per Licinio e Massimino Daia47.
L’opposizione diretta a Massenzio e i preparativi della campagna d’Italia sono in questi anni anche un tema centrale dell’iconografia monetale. Se Massenzio si era esplicitamente allontanato, fin dall’inizio, dalle iconografie e dall’ideologia tetrarchiche, insistendo su Roma e sulla romanitas come temi centrali della sua autorappresentazione (in alcuni casi sono ad esempio raffigurati i Dioscuri, che secondo la tradizione erano intervenuti in aiuto dei Romani nel corso della battaglia del Lago Regillo, insieme alla lupa con i gemelli), si trova ora sulle monete costantiniane, che mai vengono coniate a nome di Massenzio, un chiaro tentativo di ‘sottrazione’ di tipici temi massenziani. Se dunque l’usurpatore a Roma coniava prima di tutto la dea Roma, e in seconda battuta Marte, un dio dalle forti ascendenze romulee e augustee, ma relativamente poco presente sulle monete tetrarchiche (e generalmente più occidentale che orientale, in particolare in collegamento con Costanzo Cloro, dato che poteva giustificare con la discendenza l’appropriazione costantiniana)48, si vede ora come Marte assuma un ruolo rilevantissimo nelle coniazioni costantiniane di Londra, Lione e Treviri, sempre solo su monete recanti al recto Costantino e non altri membri del collegio imperiale49. La campagna d’Italia e lo scontro con Massenzio si preparavano anche con l’appropriazione numismatica dell’iconografia del dio tutelare dell’avversario.
Dopo la battaglia di ponte Milvio e la sconfitta di Massenzio, il processo di appropriazione del linguaggio politico di quest’ultimo si fece ancora più evidente, con l’intento marcato di sostituirsi al defunto cognato nel governo di Italia e Africa, e ancora più di delegittimarne ex post l’azione di governo rivendicando a sé quelli che erano stati i temi fondamentali della propaganda massenziana: la centralità di Roma, le tradizioni romulee, i rapporti con il Senato. Proprio il consolidamento dei rapporti con l’aristocrazia senatoria è un tema fondante di questi anni, come mostrano non solo la prosopografia delle cariche urbane (spesso lasciate a titolari dell’establishment massenziano)50 e l’arco eretto nel 315, ma anche, appunto, le iconografie monetali51. In questo senso è da interpretare, per esempio, il richiamo sempre più insistente al modello traianeo, visibile nell’acconciatura di Costantino52, ma soprattutto nell’emissione, iniziata nel 311 a Treviri ed estesa con l’ottobre 312 alle zecche italiane, di monete recanti al verso la legenda spqr optimo principi, accompagnata dalla raffigurazione di tre stendardi sormontati da aquila, mano e corona53, identiche a un tipo emesso appunto dall’imperatore spagnolo54.
Ma l’appropriazione della propaganda massenziana si muove ovviamente soprattutto intorno a Roma, la città su cui Massenzio aveva costruito gran parte della sua propaganda, al punto da fare della sua personificazione il tema più rappresentato nella sua produzione monetale55. Se questi, in opposizione alla trascuratezza dei tetrarchi per l’Urbe, si era presentato sui coni come suo «conservatore», «salvatore» con il celebre tipo conservatori vrbis svae, Costantino se ne fa invece il «liberatore» dall’usurpatore e dal tiranno (odiatissimo dalla popolazione cittadina, ovviamente, a dire della propaganda costantiniana) con i tipi liberatori vrbis svae e restitvtor vrbis svae, entrambi coniati a Roma nel 31356. Queste produzioni non restano però solamente nell’Urbe, ma vengono coniate anche in altre zecche, facendo così del tema ‘romano’ un punto più generalmente centrale dell’autorappresentazione costantiniana: i tipi romae aeter avgg e romae restitvtae vengono prodotti a Londra57, recvperatori vrbis svae ad Arles, dove nel 313 Costantino fece trasferire la zecca di Ostia58. Si trattava però di un tema non destinato a una lunga sopravvivenza: tutte queste produzioni sono già state dismesse nel 315, quando ancora Ticinum e Treviri coniano un tipo restitvtori libertatis che ‘universalizza’ la lotta contro Massenzio59. Anche se l’imperatore riceve al verso il globo da Roma personificata, la guerra del 312 è assurta nella propaganda costantiniana al ruolo di più generico scontro per la libertà e contro il tiranno.
Al tempo stesso Ostia (dal 313 Arles) conia alcune monete che mostrano ancora un certo richiamo tetrarchico in quanto incentrate su temi erculei: hercvli victori ancora a Ostia, dopo il trasferimento un tipo virtvs avgvsti accompagnato dalla clava e dal leone60. È possibile che questo tardivo (e sporadico) richiamo alla discendenza erculea sia rivolto ai colleghi orientali, in vista di un riconoscimento dell’operato svolto eliminando Massenzio. Dall’altro lato, però, imperatori erculei erano stati Costanzo Cloro e Massimiano, padre e auctor Imperii di Costantino, che poteva così rivendicare la legittimità del proprio potere, specie nelle aree fino a poco prima controllate dal figlio di Massimiano che, se pure aveva prodotto monete di consacrazione per il padre61, non aveva però mai adottato temi erculei sulle proprie monete. Anche per Costantino si tratta d’altronde della prima adozione di questi simboli62. Il leone appare in aggiunta, anche nella sua connotazione erculea, un vero e proprio tema dinastico e compare sulle monete del tipo memoriae aeternae con cui Costantino celebrò in questi anni coloro che egli riconobbe come propri antenati e predecessori, nella costruzione di una chiara discendenza, reale o fittizia che fosse63.
Ercole non doveva durare però a lungo come iconografia, e nemmeno Marte, che sparisce dalle emissioni romane nel 315, da quelle di Pavia e Treviri nel 31664. L’importanza di questo dio nella propaganda massenziana – e dunque nella contropropaganda costantiniana – può far ritenere singolare il fatto che tale iconografia scompaia prima da Roma; si tratta però di una differenza cronologica piuttosto ridotta, che potrebbe anche essere spiegabile con l’importanza del culto di Marte nell’area gallica, che a Pavia e Treviri faceva riferimento per il rifornimento monetale.
Le scelte religiose costantiniane e le loro ripercussioni in campo politico sono in questo momento visibili sui coni monetali solo in parte: messa sostanzialmente in dubbio la datazione al 315 del cosiddetto medaglione di Ticinum, su cui si tornerà, la visione del 312 e un’eventuale conversione al cristianesimo non hanno lasciato sulle monete alcuna traccia. Inoltre, in nessun modo viene ricordato sui coni l’editto di Milano, anche se l’incontro di Costantino e Licinio nel 313 nella città viene celebrato con un medaglione di Ticinum da 9 solidi, recante al verso il tipo felix adventvs avgg nn e al recto i ritratti di Costantino e del Sole, affiancati e somiglianti65.
Il panorama di questi anni è infatti dominato in maniera incontrastata dal Sole: in perfetta continuità con gli anni precedenti, e riprendendo temi e stilemi degli imperatori del III secolo, Sol Invictus emerge in forme enoteistiche come divinità suprema, che protegge e accompagna in particolare l’imperatore, di cui è comes66?. In emissioni auree di Ticinum del 315 e del 316 (medaglioni e solidi con la legenda liberalitas xi imp iiii cos p p, che mostrano indubbiamente di essere stati prodotti per distribuzioni alle truppe, e medaglioni del già citato tipo restitvtori libertatis) il dio, definito comis constantini avgvsti, si sposta ancora una volta al recto, ove si affianca a Costantino e mostra un volto incredibilmente simile a quello dell’imperatore67. Tale somiglianza fisica implica un ‘riconoscersi nel dio’, come dice il panegirico del 310, e fa del Sole il protettore e il ‘compagno invisibile’ dell’imperatore68. Anche questa non era un’invenzione costantiniana: si riprendeva così un’iconografia che era già stata utilizzata dall’imperatore Probo, rafforzando ancora una volta i legami diretti che, scavalcando la tetrarchia, si andavano istituendo con le modalità di autorappresentazione degli imperatori illirici della seconda metà del III secolo69. Il Sole appare intanto nella forma soli invicto comiti in tutte le zecche dell’Impero anche sul bronzo, e diventa pertanto in questi anni un’iconografia davvero pervasiva.
Ancora nel 314, quando Costantino organizzò ad Arles il concilio per affrontare il problema donatista, l’evento potrebbe essere stato celebrato dalla zecca cittadina con l’emissione di solidi, a nome anche di Licinio, recanti al verso la legenda principis providentissimi sapientia (quest’ultima parola scritta su una colonna) e gli attributi di Minerva (civetta, elmo, lancia, scudo70. La dea non è rappresentata, e questo potrebbe riflettere un’attenzione particolare per la circostanza specifica, ma non vi è neppure alcun riferimento alla religione cristiana, bensì solo alla saggezza e alla cura dell’Augusto nell’affrontare i problemi che travagliavano l’Impero71.
La storiografia ha ormai ampiamente superato l’idea di un’evoluzione della religiosità nel corso del III secolo, che avrebbe portato a una diffusione sempre maggiore di culti enoteistici e monoteistici e a uno sviluppo, finora inaudito, di culti misterici e forme sincretistiche. Si è messo invece sempre più in evidenza come la rappresentazione iconografica degli imperatori di questo periodo insieme a divinità tutelari (e in particolare al Sole) servisse, in un momento in cui la legittimità del potere imperiale era in fortissima discussione e in assenza di vere e proprie strutture dinastiche, a rafforzare carismaticamente la rappresentazione della figura imperiale72. Non a caso questo tipo di iconografia fu introdotto da Postumo nell’Impero gallico, quindi adottato, come si è detto, da Probo. Costantino, che già poteva in realtà presentare il figlio Crispo, nato nel 302, come potenziale successore, non utilizzava pertanto in questo momento elementi esplicitamente dinastici nella propria autorappresentazione, specie in emissioni prodotte per essere distribuite ai soldati e dunque atte a rafforzare l’idea di una protezione soprannaturale per l’imperatore; l’accompagnamento divino come forma di ‘dinastia a grado zero’ prevale ancora fino alla guerra cibalense.
L’esistenza di un contatto diretto tra Augusto e divinità è fortissima anche negli elementi di dettaglio: non tanto nell’uso della solare corona radiata73, di per sé poco significativo perché tradizionale in moltissime emissioni già dal III secolo, quanto piuttosto nella sua sostituzione, a partire dal 315, con il nimbo, utilizzato nell’arte classica in riferimento alle figure divine e, sui coni, forse per Antonino Pio, quindi per Geta e sporadicamente in età tetrarchica. Precedenti letture che vedevano nel nimbo un chiaro elemento di natura solare sono state più recentemente superate a favore di una interpretazione che vi riconosce piuttosto un segno celeste, ispirato dalle formazioni circolari visibili intorno alle stelle, insegna di un potere predestinato e personale, concesso direttamente dalla sfera divina74.
L’elemento astronomico e astrologico concorre in effetti alla definizione di un potere imperiale di tipo carismatico e voluto dall’alto, che evidenzia il destino dell’Augusto ‘nato per il regno’ e di fatto anticipa gli sviluppi della teologia politica eusebiana. Lo si vede bene anche in un ulteriore solido di Ticinum, coniato nel corso della guerra cibalense e che, pertanto, contro la collegialità finora espressa dai coni costantiniani, definisce l’imperatore rector totivs orbis, mostrandolo in vesti militari e incoronato dalla Vittoria mentre regge lo Zodiaco75. Tale controllo sulle stelle e sul destino implica ancora una volta la celebrazione di un potere costantiniano trascendente, che in forme assai analoghe è esaltato negli stessi anni anche in forma letteraria nella Mathesis di Firmico Materno76.
Fu proprio la guerra cibalense a causare uno sconvolgimento notevole negli equilibri di potere esistenti e a implicare anche un reindirizzamento delle iconografie adottate nelle produzioni monetali. Con la nomina dei Cesari nel 317 le ultime vestigia del sistema tetrarchico vennero meno77: a essere nominati furono ora i figli degli Augusti, indipendentemente dalla loro età; una scelta che, peraltro, spostava l’ago della bilancia decisamente a favore di Costantino, padre di due dei nuovi Cesari ma anche zio del terzo (non si dimentichi che Licinio aveva nel 313 sposato Costanza)78. Compatibilmente con questa rottura finale con la tetrarchia, sparisce, dal 316, il tipo genio popvli romani, che già era abbinato quasi esclusivamente a Licinio e che si riaffaccerà brevemente solo in un’emissione argentea romana del 32679.
Licinio era ben consapevole di questa situazione che, a detta dell’Anonimo Valesiano, fu creata in sua assenza80: egli si limitò nella sua parte di Impero a coniare monete in nome dei membri del collegio imperiale e, a detta di un anonimo continuatore di Dione Cassio, sembrerebbe aver rifiutato di accettare nella sua pars monete celebranti la vittoria sarmatica di Costantino II81. Costantino invece cominciò ora, con le emissioni del 317-318, ad attuare una politica dinastica sempre più esplicita. Centro furono ancora una volta le monete di consacrazione, di nuovo emesse in enormi quantità in tutte le zecche, con i tipi memoriae aeternae e reqvies optimorvm meritorvm, e celebranti Costanzo Cloro, Claudio II82, l’avo attribuitogli, come si è visto, già dal 310, e l’ormai riabilitato Massimiano, suocero e auctor Imperii83?. A detta della Historia Augusta (lo si è già accennato) Licinio avrebbe risposto propagandando una sua supposta discendenza da Filippo l’Arabo. Sempre nel 318-319 Tessalonica conia anche monete a nome di Elena e Fausta84: la celebrazione delle donne della famiglia imperiale è ovviamente connessa con un intensificarsi del messaggio dinastico, necessario nel momento in cui la preparazione allo scontro con Licinio porta alla definitiva rottura con qualunque modello di collegialità imperiale, o meglio, come si vedrà più nel dettaglio in seguito, con qualunque modello di collegio imperiale composto da membri di diverse famiglie.
D’altro canto in questa fase è assolutamente evidente una decisa militarizzazione dei tipi, come a richiamare lo scontro imminente: le campagne sul Reno, fra 313 e 315, erano ovviamente state celebrate sui coni, ad esempio con il celebre medaglione aureo da due solidi recante al verso, con legenda avgg gloria, la fortezza di Deutz, presso Köln, sul Reno, e due barbari seduti fuori dalle mura85. Ma in modo ancor più evidente tra il 318 e il 320 le coniazioni bronzee sono dominate dal tipo victoriae laetae, non connesso a eventi specifici86, al contrario delle monete in bronzo sarmatia devicta che negli anni 322-324 sono emesse a loro volta in gran numero (mentre in oro simili monete sono coniate solo a nome di Costantino II Cesare, con legenda principia ivventvtis sarmatia – si tratta dei già menzionati coni che Licinio avrebbe rifiutato di accettare nella parte di Impero da lui controllata)87. Il busto imperiale, come si vede nella stessa illustrazione, assume anche chiari tratti militari, con l’elmo e il paludamentum. A questo tipo si aggiunge dal 320 circa anche quello virtvs exerc, di cui si è supposta una produzione, almeno in partenza, come donativo per le truppe88: Costantino sembra, in vista dell’ultimo scontro civile, ricordare nella sua autorappresentazione che l’esercito è il fattore che gli ha garantito il successo e che lo ha portato al potere. Non sorprende pertanto assistere anche alla sparizione di Licinio e di suo figlio dalle emissioni monetali di area costantiniana: da Londra già dal 317, da Lione dal 320; Sirmium, aperta in quell’anno, non conia mai a nome dell’Augusto di Oriente. Le altre zecche interrompono invece queste produzioni con il 321, dopo le celebrazioni del quinquennale dei Cesari e dei quindici anni di regno di Costantino – celebrazioni in occasione delle quali fu tenuto anche il panegirico di Nazario, che mai nomina la famiglia imperiale residente in Oriente89.
Gli anni Venti e la preparazione della guerra contro Licinio comportano anche, come è noto, il rafforzamento delle prese di posizione filocristiane, tanto nella legislazione, quanto nella propaganda, che progressivamente finisce per rappresentare il collega e nemico con i tratti del persecutore90. Così si assiste alla progressiva scomparsa dai coni del Sole: un processo che è comunque lungo e complesso, compatibilmente con l’importanza che questo dio aveva avuto nella propaganda costantiniana nel decennio precedente; le ultime coniazioni sistematiche con Sol sono di Arles, e daterebbero secondo Bruun al 322-32391. Più recentemente si è proposto di vedere la quasi completa cessazione di coniazioni enee con tale iconografia in corrispondenza della riforma del numerario dell’anno 318: il Sole sarebbe stato sostituito dal menzionato tipo virt exerc. La riforma inoltre avrebbe comportato il ritiro e la riconiazione delle vecchie monete, provocando dunque un’effettiva sostanziale sparizione del Sole dalla valuta enea circolante92.
Questo non vale in ogni caso per l’oro, su cui iconografie solari (indirizzate dunque agli alti gradi dell’esercito e agli strati sociali più alti, non alla circolazione generale) continuarono sicuramente a essere coniate ancora negli anni 32093. Un solido che rappresenta, con legenda soli comiti avg n, il dio che consegna a Costantino una Vittoria, con allusione alla definitiva sconfitta di Licinio, è ad esempio emesso ancora nel 324-325 ad Antiochia, la città del grande santuario apollineo di Dafne94. Solo con il 325, dunque con il consolidamento dopo la vittoria su Licinio, e presumibilmente con la definitiva fissazione della versione ufficiale legata all’evento, le iconografie solari vengono abbandonate una volta per tutte.
Nello stesso frangente, inoltre, appaiono su alcune monete i primi simboli cristiani. Essi non sono però parte integrante dell’iconografia: al contrario, si tratta di alcuni di quei segni complementari, aggiunti dalle zecche anche allo scopo di poter ricostruire e controllare le emissioni, che arricchiscono il tipo e il campo95. In un primo momento si tratta in particolare solo di cristogrammi inseriti al centro dell’elmo dell’imperatore al recto su emissioni della zecca di Siscia: ne sono noti tre esemplari, tutti da ricollegare solo alla terza emissione dell’officina B. Altre emissioni delle officine A e B mostrano in quella posizione una croce greca; è però assai difficile capire se si tratti di un segno con connotazione religiosa o solo di un segno geometrico96. Il cristogramma appare ancora in questa città in emissioni del 320, quindi a Ticinum, Aquileia e Tessalonica. In abbinamento con il tipo beata tranqvillitas, quindi, al recto viene talora mostrato Crispo con uno scudo; esso contiene simboli diversificati che includono, a Treviri, anche il cristogramma.
Di fronte a questi segni non si può pertanto condividere l’idea di Andreas Alföldi, secondo cui questi anni mostrerebbero già una fortissima cristianizzazione delle iconografie monetali, e sembra cogliere più nel vero Patrick Bruun quando minimizza il loro ruolo – specie laddove altri segni, come croci greche o stelle (lette da Alföldi come ‘degenerazioni’ del cristogramma97), possono essere semplici segni geometrici e non hanno un necessario e univoco rimando alla fede cristiana98. Tali segni, come Bruun ha notato, non sono parte delle iconografie disposte ‘centralmente’ e devono essere stati scelti, o perlomeno approvati, al livello locale dalla zecca99. Ciononostante è necessario ammettere che una tale scelta – o approvazione –, a prescindere dall’appartenenza religiosa del singolo coniatore o del procurator della zecca, oggi non ricostruibile, implica in ogni caso un clima politico (e politico-religioso) che permetta di abbinare ‘impunemente’ simboli cristiani al volto e alla propaganda imperiale100. In sostanza, se anche questi segni non sono parte integrante dell’iconografia monetale e non possono pertanto essere considerati segno di una cristianizzazione dell’autorappresentazione costantiniana, essi non dovevano dispiacere all’Augusto. In particolare a Siscia, dove il monogramma è apposto sull’elmo, essi sembrano inoltre alludere in effetti a un segno personale e distintivo di Costantino, alla natura del suo ‘nuovo’ protettore celeste che gli garantisce successo e vittoria. Il cristogramma diviene in sostanza gradualmente signum di Costantino, simbolo del suo potere e della sua predestinazione al regno – e a buona parte della popolazione doveva essere chiaro in quale tradizione religiosa tale signum si situasse101.
Il legame tra questo signum e la vittoria militare di Costantino è evidente: lo è nella tradizione relativa a ponte Milvio, ma anche in questo intensificarsi della presenza di simboli cristiani negli anni di escalation della tensione con Licinio, presentato dalla propaganda filocostantiniana appunto come persecutore – e la presenza particolarmente consistente di questi segni a Siscia potrebbe forse spiegarsi con la posizione geografica della città, vicina al territorio controllato da Licinio102.
La sconfitta definitiva di Licinio a Crisopoli lasciava Costantino unico Augusto, supportato dai suoi figli in qualità di Cesari: l’Impero era di nuovo nelle mani di un’unica famiglia. Dal punto di vista dei temi di propaganda, e di conseguenza dell’adattamento delle iconografie monetali, due sono le innovazioni centrali: un’insistenza sempre più marcata, e ovviamente comprensibile alla luce di quanto si è detto, sugli elementi dinastici e una sempre più esplicita assunzione di iconografie cristiane.
La celebrazione dinastica mira ancora da un lato a giustificare, a posteriori, l’assunzione costantiniana del potere. Questo avviene però prevalentemente tramite altri media: esemplare è il caso di Eusebio, che sottolinea come gli inizi del potere di Costantino siano contraddistinti, in sostanza, dalla doverosa richiesta di succedere al proprio padre – che implicitamente significa rafforzare la legittimità dei propri figli in vista di una successione. Non si deve dimenticare, infatti, che nel 324 Costantino aveva già una cinquantina d’anni: il problema di definire per tempo che cosa sarebbe accaduto alla sua morte doveva pertanto cominciare a porsi.
In questo stesso anno, segnato dalla vittoria su Licinio, sia Elena che Fausta vengono innalzate di rango, da nobilissimae feminae ad Augustae (per la prima volta dopo Galeria Valeria), e monete in loro nome vengono coniate in tutte le zecche dell’Impero103. La madre dell’imperatore – la cui presenza sui coni aurei fu rilevata come segno di particolare onore anche da Eusebio di Cesarea104 – è raffigurata in abbinamento con il verso secvritas reipvblicae, ove Securitas, in piedi, regge un ramo105. Il messaggio è chiaro: Elena, in quanto madre di Costantino e benché consorte non legittima di Costanzo Cloro, ha garantito a quest’ultimo una discendenza, e dunque la sicurezza allo Stato romano. Fausta, a sua volta progenie imperiale, è invece colei che deve garantire la transizione alla generazione successiva, dando a Costantino dei figli. In questo senso non sorprendono le iconografie che le sono riservate al verso, la spes reipvblicae e la salvs reipvblicae, spesso accompagnate dalla rappresentazione di una personificazione stante con due bambini in braccio: allegoria della fertilità, ma anche esplicito riferimento a Fausta, Costantino II e Costanzo II (che nel 324 era stato nominato Cesare, accanto a Crispo e Costantino II, a sostituire Liciniano).
A Fausta è dedicata ancora una serie di medaglioni aurei da Treviri, raffiguranti al verso, con la legenda pietas avgvstae, l’imperatrice assisa in trono (per la prima volta nella storia romana)106, con un bambino in braccio, accompagnata da Felicitas, Pietas e due Geni107. Medaglioni bronzei da Roma la mostrano invece, con legenda pietas avgvsti, stante, con un bambino in braccio, mentre con l’altra mano gli offre una mela108. Lo stesso tipo si trova anche in abbinamento con Elena al recto109?, e deve pertanto non essere considerato un riferimento specifico a un figlio di Costantino, quanto una generica rappresentazione di maternità e di pietas familiare. Fausta appare in questo senso, ancora nel 324, come garante della concordia familiare: un medaglione da due solidi di Treviri, che al recto reca volto e nome di Crispo, la mostra al verso al centro, tra Crispo e Costantino II, mentre poggia le mani sulle spalle di entrambi, e questi si stringono la mano. La significativa legenda è felix progenies constantini avg110.
Proprio i Cesari sono un altro elemento centrale della propaganda dinastica: una serie di emissioni, che inizia con un medaglione aureo da un solido e mezzo prodotto a Siscia nel 317, continua con emissioni consolari del 321 e del 324 (quando erano consoli Crispo e Costantino II) e prosegue ancora nel 326 con pezzi argentei da Costantinopoli e un medaglione bronzeo da Antiochia del 326, mostra al recto l’Augusto e al verso i volti affrontati di due Cesari (Crispo e Costantino II nelle prime emissioni, Costantino II e Costanzo II nelle coniazioni del 326)111. Il richiamo evidente è da un lato alle monete di età severiana che raffiguravano Caracalla e Geta bambini così affrontati112, dall’altro a monete consolari tetrarchiche in cui Diocleziano e Massimiano comparivano entrambi nella stessa posizione. Si tratta in ogni caso di un messaggio di concordia, intensificato proprio nel 326, l’anno dell’esecuzione di Crispo ma anche dell’anticipazione del decennale di quest’ultimo e di Costantino II, perché lo si potesse festeggiare contemporaneamente al ventennale del padre.
Un’emissione bronzea del 326-327, infine, viene prodotta a nome di Costanza, sorella di Costantino, nobilissima femina, con un verso pietas pvblica, consistente nella semplice legenda scritta all’interno di una ghirlanda circondata dall’indicazione soror constantini avgvsti113. Il senso di questa emissione è dubbio: Costanza, moglie di Licinio e madre di Liciniano, doveva essere in quegli anni almeno in parte un personaggio scomodo per Costantino. Si tratta di un’emissione di tipo dinastico, il cui senso si potrebbe identificare nella necessità di garantire la validità delle monete di Licinio e Liciniano ancora rimaste in circolazione114.
La vittoria contro Licinio segna d’altra parte l’inizio di un linguaggio iconografico che assume ormai tratti marcatamente cristiani. Particolarmente celebri sono i bronzi della serie spes pvblica, coniati tra il 327 e il 328 nella nuova zecca di Costantinopoli: al recto è Costantino, al verso un serpente trafitto da un labaro, su cui il monogramma cristiano è visibile in modo evidente115. Un’iconografia molto simile fu realizzata negli stessi anni, a detta di Eusebio di Cesarea, per un affresco probabilmente collocato sulla Chalké nella nuova capitale:
Si rese chiaramente riconoscibile sia imprimendo il proprio volto sull’emblema della salvezza sia mostrandosi fiero del trofeo della vittoria, che fece riprodurre anche in un quadro esposto in alto davanti all’ingresso del palazzo imperiale perché fosse ben visibile a tutti e nel quale, sopra il capo dell’imperatore, era rappresentato il segno salvifico mentre la fiera nemica e ostile che aveva perseguitato la Chiesa di Dio era stata raffigurata in basso con l’aspetto di un drago. Infatti le Scritture nei libri dei profeti di Dio la chiamavano drago e sinuoso serpente. Pertanto anche l’imperatore la volle mostrare, in questo dipinto a encausto, sotto i piedi suoi e dei suoi figli, trafitta da un dardo proprio nel mezzo del corpo e gettata negli abissi del mare, e in questo modo rappresentava allegoricamente il nemico invisibile del genere umano, ritrattosi nei gorghi della rovina in virtù della potenza divina del trofeo salvifico, sospeso sopra il suo capo. A questo alludeva la varietà dei colori del quadro116.
Lo stesso Costantino, in una lettera scritta a Eusebio e da lui riportata, definì l’ex collega appunto come un «drago»117.
Il riferimento evidente è alla sconfitta di Licinio118, raffigurato come male per eccellenza (il serpente era già stato usato a simboleggiare la parte avversa in una guerra civile in una celebre emissione cesariana del 49 a.C., che così rappresentava Pompeo e i pompeiani119). Ciò che però è più rilevante è che la connotazione della vittoria di Costantino a Crisopoli come vittoria del bene contro il male, dell’ordine contro il disordine, come il frutto della protezione speciale dell’Augusto e della sua predestinazione alla vittoria e al regno, assume da questo momento tratti inequivocabilmente cristiani.
È importante rilevare ancora due punti: queste monete sono emesse solo a Costantinopoli e sono piuttosto rare; tuttavia non si può ipotizzare, con Bruck, che esse siano state ritirate per le proteste dei pagani (anche per via dell’esistenza della medesima iconografia nell’affresco)120. Più verosimile appare che si tratti di monete coniate per un’occasione specifica, forse una sparsio alla popolazione locale. In questo senso bisogna anche fare attenzione al fatto che si tratta di coniazioni enee: non ci si trova dunque al livello più ‘elevato’ dei medaglioni aurei o in occasione di distribuzioni a strati sociali più alti121. Si tratta di un’innovazione importante nelle modalità dell’autorappresentazione, che viene però inaugurata su monete di valore inferiore, destinate a una circolazione più ampia ma di prestigio più scarso – il che farebbe di nuovo pensare a un congiario alla plebe urbana.
Nondimeno, un medaglione aureo del 326-327, coniato a Siscia e destinato probabilmente agli alti quadri dell’esercito, raffigura in modo sempre esplicito, ma più legato alle iconografie tradizionali, un Costantino stante in paludamentum che, accompagnato dalla legenda gloria secvli, regge con la sinistra una lancia, con la destra uno stendardo con un cristogramma, che appare però assai meno visibile122.
Né si può dimenticare il cosiddetto medaglione di Ticinum, forse la più celebre emissione costantiniana123. Questo famoso medaglione argenteo, del peso di circa 6,5 grammi, è stato a lungo attribuito all’anno 315 e alla zecca di Ticinum (donde il nome). Studi più recenti hanno però messo in discussione questa attribuzione, che poggia in realtà su basi molto labili, legate in sostanza solo a un confronto stilistico con monete ticinesi di quegli anni124. Il medaglione non ha marchi di zecca né reca altri elementi datanti. Al recto è Costantino, corazzato, con un cavallo di cui regge le briglie e uno scudo su cui si vedono la lupa e i gemelli. Sul suo elmo è evidente il simbolo del cristogramma. Al verso, la legenda salvs reipvblicae accompagna una scena di adlocutio a nove soldati, di cui almeno tre a cavallo. La lettura tradizionale vi vede la guardia del corpo costantiniana, e connette questa scena con l’adlocutio raffigurata, appunto nel 315, sull’arco di Costantino.
Eppure tale lettura non convince: non solo una così esplicita presenza di un simbolo cristiano non trova confronti in data così risalente125 (e non si può pensare con Berhard Overbeck che il simbolo sia troppo piccolo per offendere i pagani126, come se la dimensione avesse un rilievo in questi casi), né il collegamento automatico tra le due adlocutiones può assumere valore probante. Se Valeriana Maspero ha suggerito di vedere nelle nove figure le diocesi costantiniane (e si tratterebbe dunque di un’allusione al controllo su tutto l’Impero)127, si può anche vedervi una scena topica, in cui l’imperatore si presenta davanti a tutto l’esercito (se parte delle figure non fosse a cavallo, potrebbe trattarsi di una rappresentazione sintetica di cavalleria e fanteria). Peraltro è da notare come il cristogramma non sia il simbolo descritto, all’incirca nel periodo della datazione tradizionale, da Lattanzio, secondo cui a Costantino sarebbe invece apparso uno staurogramma128. Il medaglione, in sostanza, mal si inquadra nel 315 e molto meglio sembrerebbe inserirsi negli anni che seguono la sconfitta di Licinio: la lupa sullo scudo potrebbe in questo caso alludere alla visita a Roma in occasione dei vicennali del 326, mentre il confronto con le altre emissioni già menzionate, tra cui quelle del tipo spes pvblica, e in particolare con il medaglione di Siscia, si farebbe allora assai stringente129.
Di questo medaglione si conoscono inoltre tre esemplari (a Vienna, San Pietroburgo e Monaco di Baviera), provenienti da tre coppie di coni diverse: ciò parla a favore di una produzione piuttosto abbondante130; si tratta però pur sempre di un medaglione argenteo e non aureo che, in considerazione delle iconografie ivi rappresentate, dovette essere coniato per una distribuzione alle truppe. Il cristogramma sull’elmo si configura pertanto, ancora una volta, come un signum che indica in modo inequivoco donde origina la protezione divina che assicura a Costantino un destino di successo militare e gli garantisce il regno131. È importante notare che, là dove Costantino adotta per le proprie monete un segno cristiano, questo è sempre il cristogramma e mai la croce: l’affermazione di Sozomeno, secondo cui il primo imperatore cristiano avrebbe apposto la croce su tutte le monete e in generale ovunque in connessione con la propria immagine132, deve pertanto essere respinta come erronea, e dettata probabilmente dalla temperie culturale della corte di Teodosio II133.
Se dunque monete bronzee costantinopolitane e alcuni medaglioni, specie in contesto militare, non mostrano più alcuna riserva nell’esplicito riconoscimento della fede dell’imperatore, così non è con altre emissioni destinate a un altro pubblico: celebre è in questo senso un medaglione bronzeo da Roma del 325 che mostra, con legenda gloria saecvli virtvs caess, l’Augusto nelle vesti di Giove, con lo scettro, mentre offre a un Cesare, presumibilmente Crispo, vincitore della battaglia navale dell’Ellesponto, il globo sormontato dalla fenice134. Il figlio, stante, con un trofeo sulla spalla, ha ai piedi una pantera, animale sacro a Dioniso-Bacco: Alföldi ha pertanto interpretato il tutto come un’allegoria della consegna dell’Oriente nelle mani di Costantino da parte di Crispo135. Questa spiegazione sembra ancora la più convincente; Walter ha invece voluto spostare la datazione al 337 e interpretare il medaglione come una forma di celebrazione della divinizzazione di Costantino136. Fermo restando che le monete costantiniane di consacrazione, come si vedrà, hanno tutt’altra iconografia, non risulterebbe chiaro, tra le altre cose, perché Costantino, in questo caso, al recto non sia velato e non sia definito divus. Una datazione poco dopo la battaglia di Crisopoli potrebbe inoltre contribuire a spiegare l’identificazione tra Giove e Costantino come, ancora una volta, una forma di appropriazione dei temi propagandistici cari al nemico sconfitto: Licinio, fin da Carnuntum, aveva infatti fortemente insistito, nella propria autorappresentazione, sulla vicinanza a Giove, sommo dio pagano nonché dio di Diocleziano, specialmente con le ampie serie monetali iovi conservatori137, intitolate a lui e a suo figlio anche dalle zecche sul territorio costantiniano.
Più neutro sembra anche il tipo, inaugurato nel 325, che in questi anni domina le produzioni monetali bronzee, in tutte le zecche, a nome tanto di Costantino Augusto quanto dei tre Cesari: si tratta della raffigurazione di un accampamento militare dall’esterno, con due torrette, sormontato da una stella e dalla legenda providentiae avgg o caess a seconda di chi è raffigurato al recto138?. Il riferimento alla provvidenzialità del potere imperiale nelle mani di Costantino e della sua famiglia (il tema ha, fin da età flavia, una chiara natura dinastica) assume in sostanza in queste emissioni un tono neutro, che si distanzia dalla tematica religiosa per insistere, nell’iconografia, sulla componente militare della provvidenzialità di Costantino e dei suoi figli, sempre vincitori grazie a una qui non meglio identificata protezione trascendente (la stella). Proprio il titolo victor diviene ora elemento centrale della titolatura imperiale, ove sostituisce invictus, forse per il legame troppo forte che questo appellativo aveva con il culto solare139.
La rappresentazione costantiniana del potere imperiale assume dunque segni sempre più chiari, legati all’esistenza di una volontà trascendente, di una protezione divina, di un vero e proprio destino – anche quando questo accade in termini non necessariamente e non esplicitamente cristiani. Due elementi di questo genere vengono ora introdotti: entrambi sono di diretta derivazione ellenistica, e si ricollegano all’immagine trascendente, autocratica e unica della regalità tipica di quel periodo. In primo luogo è da notare l’introduzione, dal 325, del diadema, che sostituisce nei ritratti imperiali le corone d’alloro e le corone radiate (queste forse ancora una volta ritenute inappropriate per la loro evidente connessione con il culto solare)140. Il secondo elemento è il reindirizzamento dello sguardo imperiale nei ritratti del recto: Costantino ora non guarda più davanti a sé, ma verso l’alto. Questa innovazione non sfugge a Eusebio di Cesarea, che ne fa menzione nella Vita di Costantino e la interpreta in senso prettamente cristiano – un terreno su cui è stato seguito da un buon numero di storici moderni:
Quale fosse la forza della fede in Dio che sosteneva la sua anima lo si può comprendere anche dal fatto che sulle monete d’oro fece incidere la propria effigie che appariva nell’atto di rivolgere lo sguardo al cielo, nel modo in cui si prega Dio con le mani tese verso l’alto. Monete di questo genere circolavano in tutto l’impero romano141.
Se è vero però che tale iconografia insiste ora in modo particolare sul contatto diretto e personale dell’imperatore con il divino, con il suo ‘protettore trascendente’142, è vero altresì che questo non accade in un modo connotato in senso chiaramente cristiano ed è vero soprattutto che questa raffigurazione richiama direttamente le modalità del ritratto di Alessandro Magno sulle prime monete ellenistiche143. L’imitatio Alexandri di Costantino si fa in verità in questi anni evidente, anche nella rappresentazione della sua biografia come ‘conquista dell’Oriente’ (rafforzando così la possibilità che il già discusso medaglione bronzeo di Roma sia da intendere nel senso voluto da Alföldi) e in preparazione della campagna di Persia, che non avrebbe mai avuto luogo. In un altro punto fondamentale Costantino imitò Alessandro Magno e i sovrani ellenistici: nel farsi fondatore di una città che recasse il suo nome e che perpetuasse, come vero monumento alla sua persona, il ricordo della vittoria su Licinio – ob insignis victoriae memoriam, dice l’Anonimo Valesiano144. Costantinopoli non venne fondata a seguito delle problematiche relazioni tra Costantino e il Senato romano, come vuole la storiografia pagana e come ha ritenuto parte della critica: si tratta invece di un passo perfettamente coerente con la costruzione di questa nuova immagine della regalità, così legata al precedente ellenistico145. La personificazione della città diviene così anche un tema centrale tra le iconografie monetali costantiniane. Essa compare ad esempio su un medaglione argenteo del 330, coniato proprio a Costantinopoli per celebrare l’inauguratio della città: al verso la legenda d n constantinvs max trivmf avg si accompagna alla raffigurazione di una figura femminile (la Tyche cittadina), in questo caso seduta in trono, con i suoi tipici attributi, ovvero la corona turrita, la cornucopia in una mano e il piede poggiato sulla prua di una nave – allusione a quella battaglia navale dell’Ellesponto, vinta da Crispo, che fu il punto cruciale della guerra contro Licinio perché permise a Costantino di passare lo stretto146. Proprio questo medaglione rende peraltro evidente la derivazione ellenistica di questi temi e di queste iconografie: la legenda non è disposta circolarmente intorno alla figura, ma in due righe verticali ai lati, esattamente come accadeva con le tetradracme di età ellenistica147.
Sempre nel 330 medaglioni aurei di Eraclea e Costantinopoli mostrano al verso Costantino che viene incoronato dalla Vittoria e riceve da una donna con copricapo turrito il globo, a sua volta sormontato dalla Vittoria; la legenda è salvs et spes rei pvblicae148. Già prima del 330 una serie di bronzi di Costantinopoli aveva mostrato una Vittoria in piedi su una prua con la legenda libertas pvblica, a rimarcare la connessione diretta tra la battaglia dell’Ellesponto e la riconquistata libertà: quest’iconografia poco dopo diverrà appunto quella più tipicamente accostata alla nuova capitale149. In questo frangente, sembra dunque difficile riconoscere in tale personificazione la res publica, come riteneva Toynbee150, e sembra piuttosto probabile che si tratti ancora una volta di una raffigurazione della personificazione della città appena inaugurata151; lo stesso vale per i medaglioni aurei, coniati nel 330 a Nicomedia e nel 335 a Treviri, che mostrano, con legenda pietas avgvsti nostri, Costantino, sempre incoronato dalla Vittoria, di fronte a una donna turrita inginocchiata, presentatagli da un soldato152. Si deve trattare di Bisanzio-Costantinopoli, ‘umiliata’ da Licinio e da Costantino, assistita e innalzata al rango di capitale, che ritorna in forma simile anche su un medaglione bronzeo da Roma, con Costantinopoli raffigurata anche al recto e la legenda restitvtor reip che accompagna la stessa figurazione, con una donna (forse Roma) al posto del soldato. Un’iconografia simile e la legenda pietas avgvsti n ricorre su un medaglione aureo prodotto a Nicomedia nel 324-325153, ovvero nella zecca più vicina alla nuova capitale a ridosso del momento della sua fondazione.
È impossibile sapere se questa iconografia riproducesse la statua della Tyche cittadina che, come si apprende da Zosimo, Esichio di Mileto e Giovanni Lido, fu realizzata alterando un’antica statua di Rea: molte altre monete raffiguranti la città mostrano un’immagine leggermente diversa, che conferma però gli attributi fondamentali della personificazione come erano visibili in città154. Così, a partire dal 330, un’ampia serie di emissioni monetali e medaglioni bronzei fa della città un tema di grande diffusione in tutto l’Impero. Spesso Costantinopoli è raffigurata anche al recto, al posto della figura imperiale, in genere in armi; al verso essa è generalmente stante e sempre con un piede sulla prua di una nave. In molti casi essa assume anche le ali, confondendosi così con l’iconografia della Vittoria. In un medaglione romano in bronzo del 333-335 Costantinopoli al recto si affianca al verso a un’altra raffigurazione della città mentre viene incoronata dalla Vittoria, e la legenda è victoriae avgvsti155: la vicinanza delle due figure è in sostanza indubitabile, e questo non fa che confermare che la fondazione di Costantinopoli fu senza dubbio un atto di celebrazione connesso con la vittoria militare contro Licinio e non, come si è voluto in passato ritenere, frutto del desiderio di avere una capitale cristiana, non contaminata dagli antichi culti156.
Negli stessi anni, però vengono prodotte anche emissioni parallele dedicate alla città di Roma, come a indicare che le due città si collocano effettivamente su un medesimo piano e che l’Urbs, sede dell’Impero e sua origine, si affianca alla nuova città fondata dall’imperatore in proprio nome come propria residenza e monumento a se stesso. L’affratellamento delle due capitali appare ad esempio su un medaglione bronzeo romano del 333-335, parallelo a quello sopra descritto, che mostra al recto la vrbs roma, al verso invece, con legenda victoria avgvsti, Costantinopoli in trono con tutti i suoi attributi157. Ma ampie serie monetali da tutte le zecche producono monete in bronzo recanti l’Urbs Roma al recto e al verso praticamente sempre la raffigurazione anepigrafa della lupa con i gemelli. Solo la zecca di Roma abbina su medaglioni bronzei questo recto anche ad altre forme di verso: secvritas romae, virtvs avg o ancora, sempre nell’ottica di una celebrazione delle origini della città, la raffigurazione di Enea, Anchise e Ascanio158. Negli anni 336-337 il recto Urbs Roma e quello Constantinopolis si accompagneranno nelle zecche orientali anche al più consueto rovescio delle monete bronzee, il gloria exercitvs, su cui si tornerà in seguito.
La diadi Roma-Costantinopoli si configura dunque come una coppia di città ai vertici dell’Impero, in un’immagine che, se innalza la città sul Bosforo ben al di sopra del livello garantito in età tetrarchica alle residenze imperiali (che mai ebbero un loro Senato, ad esempio, al di là delle iconografie monetali), non umilia però Roma facendola ricadere nella trascuratezza dell’età tetrarchica da cui Massenzio aveva tratto importanti elementi per costruire la propria propaganda. La culla dell’Impero, la sua origine, si affianca alla città dell’imperatore, fondata nel suo nome, nella tradizione dei monarchi ellenistici, per celebrare le proprie virtù belliche159.
I rapporti tra Costantino e Roma – o meglio tra Costantino e l’aristocrazia senatoria romana – però, come è noto, non furono facili160. L’ultima visita dell’Augusto nell’Urbe, nel 326, compiuta per celebrarvi, pur con un anno di ritardo, i ventennali del regno, è unanimemente riconosciuta come un fallimento politico e diplomatico. Eppure la preparazione della visita sembrava far presagire il meglio, nonostante l’appoggio riservato da alcuni circoli senatori a Licinio nel 324161: a Treviri (che era stata sede dell’appena giustiziato Crispo) un medaglione da due solidi mostra Costantino II e Costanzo II, consoli di quell’anno, in un processus consularis, su una quadriga di elefanti e accompagnati da littori; la legenda celebra l’aeterna gloria senatpqr162. Ancora più significativamente, Costantino fece coniare a Nicomedia, Tessalonica e Roma, città che si trovavano lungo il suo percorso nel 325-326163, medaglioni aurei che lo raffiguravano togato con globo e scettro entro la legenda senatvs164. A queste si accompagnavano a Nicomedia e Tessalonica serie parallele mostranti l’Augusto a cavallo, con la destra alzata, e la legenda eqvis (o eqves) romanvs165. Costantino, dunque, inaugura la sua visita romana con una completa celebrazione della romanitas (richiamata anche dal già menzionato recupero su monete argentee del tipo del Genio del popolo romano) e con un esplicito riconoscimento della partizione augustea dei ceti dirigenti romani nei due ordini senatorio ed equestre. Al di là dei problemi connessi con la riforma costantiniana del Senato e del ceto equestre, il punto centrale sembra essere proprio il richiamo ad Augusto e alla sua ristrutturazione della società romana.
Se infatti, come già si è detto, negli anni 320 è forte nella propaganda costantiniana l’imitazione di Alessandro Magno, a partire dalla visita romana, per la quale evidentemente Costantino assumeva le vesti del primo imperatore, vincitore delle guerre civili, conquistatore dell’Oriente e riformatore della società e dello Stato, e nel corso di tutto il decennio successivo, assai presente e pervasiva si fa la presenza del modello augusteo, ancora una volta oggetto di una sistematica e voluta imitatio166?.
L’imitazione augustea si fa sempre più forte negli ultimi anni, e particolarmente scoperta nel 336, l’anno del trentennale di regno di Costantino. Ai già esistenti, e già introdotti, motivi che Costantino poteva avere per accostarsi ad Augusto si aggiungeva ora il dato anagrafico: era divenuto l’unico, dalla morte del primo imperatore, a raggiungere questo traguardo: un fattore di stabilità e sicurezza degno certamente di essere celebrato sulle emissioni monetali e non solo (non a caso vi insiste Eusebio nel discorso per il tricennale di regno). In questa circostanza, così, le zecche di Lione, Arles, Siscia, Tessalonica, Costantinopoli e Nicomedia coniano multipli argentei recanti al recto l’imperatore accompagnato non da una titolatura completa ma dal solo termine avgvstvs, mentre al verso una corona d’alloro accompagna la legenda caesar167. Si tratta di un’esplicita ripresa da una serie di assi e sesterzi efesini a nome del primo imperatore, che recava, al contrario, al recto il busto con legenda caesar, al verso la corona con il nome avgvstvs168.
Gli ultimi anni del regno di Costantino sono in ogni caso caratterizzati, dal punto di vista delle emissioni monetali, da due nuclei tematici ricorrenti: una consistente e sempre più marcata militarizzazione dei tipi, forse connessa ai piani di guerra contro la Persia, ma anche alla situazione sul Danubio e alle nuove campagne sarmatiche, particolarmente evidente sulle ‘normali’ monete in circolazione, soprattutto quelle enee, e il problema di organizzare la propria successione, che domina invece sui medaglioni.
Costantino aveva naturalmente celebrato le proprie vittorie militari, e quelle dei suoi Cesari, lungo tutto l’arco del suo regno: già si è detto, ad esempio, dei coni legati alle guerre sarmatiche. Allo stesso tempo l’Augusto, consapevole del ruolo dell’esercito, non si era mai trattenuto dal celebrarlo nelle proprie emissioni monetali, ad esempio nelle serie virtvs exerc, anch’esse già trattate. Altri tipi, mostranti l’imperatore mentre trascina un barbaro per i capelli (debellatori gentivm barbararvm) o un barbaro inginocchiato tra l’imperatore e un soldato, sono talmente espliciti nel loro messaggio da non rendere necessario alcun ulteriore chiarimento169. Ciononostante una certa riduzione tipologica rende, negli anni 330, questa militarizzazione dei tipi ancora più vistosa.
Tra il 327 e il 332 è il fronte danubiano a occupare l’attenzione imperiale: un grosso medaglione bronzeo da Roma, del peso di 35 grammi, raffigura il ponte a tre arcate fatto costruire nel 328 sul fiume; su di esso avanzano Costantino stesso e la vittoria. Di fronte all’imperatore è un barbaro supplice, sotto la personificazione del Danubio stesso, menzionato anche dalla legenda salvs reip danvbivs, che lo celebra come fonte e garante della sicurezza imperiale170. Il richiamo quindi sembra essere all’altro importante modello di Costantino, Traiano, sulle cui monete nel corso delle guerre daciche era in effetti stato raffigurato il Danubio personificato. Nel medesimo anno, la costruzione della fortezza di Dafne è celebrata a Costantinopoli con emissioni in tutti e tre i metalli, recanti la legenda constantiniana dafne171; la Vittoria con palma, accanto a un trofeo, si erge sopra un barbaro a terra. Non mancano su alcuni pezzi di conio le esplicite indicazioni delle vittorie di riferimento, quelle gotiche e alamanniche. A partire dal 332-333 la produzione enea si riduce inoltre in sostanza – escludendo le serie ‘urbiche’ – a un unico tipo per tutti i membri del collegio imperiale: il tipo gloria exercitvs, raffigurante due soldati che reggono al centro uno o due stendardi (su cui talora compaiono anche simboli cristiani).
Più complesso è invece ricostruire le evoluzioni in questi anni della politica dinastica, per la cui analisi, peraltro, le monete e i medaglioni costituiscono l’unica fonte a nostra disposizione172. Tra il 326 – anno dell’uccisione di Crispo e di Fausta – e il 333 le emissioni di natura dinastica mostrano Costantino affiancato dai suoi due Cesari, Costantino II e Costanzo II, con legende che alludono ora alla stabilità che essa garantisce all’Impero (salvs et spes rei pvblicae)173, ora alla concordia della famiglia imperiale e alla sua rappresentatività dell’intero Stato (gavdivm romanorvm). In un medaglione aureo di questo secondo tipo coniato a Costantinopoli nel 330 Costantino II è vistosamente più grande di Costanzo II174: per età anagrafica e per anzianità ‘di servizio’ si doveva dunque inizialmente ritenere che egli avrebbe, alla morte del padre, assunto un livello gerarchico superiore rispetto al fratello, come unico Augusto o come maximus Augustus. Costantino II è in questo medaglione incoronato dalla Vittoria, Costanzo dalla Virtus e Costantino I da una mano divina che scende dall’alto, a mostrare la gerarchia del collegio imperiale anche nell’articolazione delle figure che accompagnano i suoi membri.
Agli anni 326-329 deve risalire anche un medaglione rinvenuto a Nantes e pubblicato da Lafaurie, recante tracce di doratura, che mostra, senza legenda, in un registro superiore un volto maschile e uno femminile affrontati e separati da un cristogramma (presumibilmente Costantino ed Elena); nel registro inferiore sono invece tre volti più piccoli: quello centrale, maschile, di dimensioni leggermente maggiori, deve rappresentare Costantino II, a destra l’altro personaggio maschile deve essere Costanzo II, mentre la figura femminile sulla sinistra potrebbe essere la sorella di Costantino, Costanza, nel cui nome, come si è detto, furono coniate monete nel 326-327175. Un’unica emissione romana in argento del 326, connessa con la festa dei vicennali, mostra Costantino con tutti e tre i suoi figli (incluso Costante, non ancora nominato Cesare), ognuno con scettro e globo; la legenda è felicitas romanorvm. Tuttavia la coniazione celebra non progetti dinastici ma, presumibilmente, la visita alla città in quell’anno della famiglia imperiale176.
Negli anni 330 si aggiungono altri due Cesari: nel 333 Costante, figlio di Costantino e Fausta, e nel 335 Dalmazio, figlio di Dalmazio Seniore, che era, in quanto figlio di Costanzo Cloro e Teodora, fratellastro dell’Augusto e nipote di Fausta. Anche questi due nuovi Cesari ricevono, come è ovvio, coniazioni che li mostrano con ritratto e titolatura al recto. L’assunzione al cesarato di Costante viene celebrata nel 333 da una serie di pezzi aurei di varie dimensioni (fino al peso di 9 solidi) prodotta a Costantinopoli, in cui al recto sono presenti il nome e il ritratto del nuovo membro del collegio imperiale, al verso la legenda secvritas perpetva e una rappresentazione dell’Augusto laureato, stante, con parazonium e stendardo, affiancato da tre figure (evidentemente i Cesari) in abbigliamento militare. Mentre due, però, recano uno scettro, il terzo, sulla sinistra, è a mani vuote177. Sembra dunque che l’inserimento di Costante abbia avuto come conseguenza una ristrutturazione dei piani dinastici: ora Costantino II e Costanzo II, Cesari più anziani, appaiono esattamente sullo stesso piano (e il primo perde, per non riacquistarla su alcuna altra coniazione, la sua preminenza), mentre Costante si colloca su un livello inferiore. Da questo momento appare evidente come Costantino pensasse di organizzare una successione di tipo collegiale178.
L’introduzione di Dalmazio nel collegio sembra aver causato un’ulteriore stratificazione: questi si colloca infatti apparentemente in alcune figurazioni a un livello ancora inferiore rispetto a quello di Costante. È il caso di un altro medaglione aureo dello stesso peso e dalla stessa zecca, coniato due anni dopo il precedente e recante la medesima legenda179. Al recto è Costanzo II (ma non si può escludere che ne esistessero anche a nome degli altri tre Cesari); al verso Costantino, nimbato, siede in trono. Attorno a lui stanno i Cesari, in piedi: i due esterni, di grado superiore, recano parazonium e spade; i due interni invece una semplice veste militare. Uno di questi ultimi reca però il globo, l’altro uno scudo. A confermare tale differenziazione di rango tra Costante e Dalmazio viene un altro medaglione aureo, dello stesso anno e ancora una volta dello stesso peso, prodotto a Tessalonica. Con legenda salvs et spes rei pvblicae si trova ancora una volta l’Augusto in trono, nimbato. Ora però tre Cesari sono in veste militare (e si tratta naturalmente di Costantino II, Costanzo II e Costante), mentre Dalmazio regge delle aste180. Quest’ultimo che, a detta dell’Anonimo Valesiano, era destinato a controllare solo la ripa Gothica181?, spesso non compare nelle epigrafi accanto agli altri tre Cesari, a ulteriore conferma di un suo ruolo subordinato.
Medaglioni da 9 solidi vengono coniati in quest’anno anche a Nicomedia: questi rappresentano però solo due Cesari in veste militare, con lancia e scudo, accanto a Costantino Augusto: insistono pertanto sulla ‘superiorità’ gerarchica dei Cesari più anziani. Al recto si trovano in effetti solo Costantino I e Costantino II, ma si può forse ipotizzare un’emissione parallela per Costanzo II, considerando che gli unici due esemplari noti vengono dallo stesso rinvenimento di un tesoro182. Le emissioni del 335 sembrano dunque molto esplicite nell’indicare quali piani Costantino avesse elaborato per la propria successione: nonostante le insistenze di Eusebio di Cesarea sulla monarchia come perfetta forma di potere, l’Augusto aveva presumibilmente pensato di farsi sostituire, alla morte, da un collegio imperiale di quattro membri, due di rango superiore, due di rango inferiore, forse anche con una gerarchizzazione all’interno delle coppie, che si vede in maniera più evidente al livello di Costante e Dalmazio. Dunque di Eusebio è piuttosto da richiamare il riferimento a una «quadriga di Cesari»183.
In sostanza appare chiaro, da questa descrizione, che Costantino non aveva dimenticato da dove era venuto, e da quale sistema aveva ricevuto originariamente il suo potere: e così proponeva per la propria successione niente di meno che una sorta di tetrarchia – ma una tetrarchia composta ora solo da membri di una sola famiglia, di una vera e propria dinastia, e non da persone tenute insieme solo da legami familiari fittizi o di natura matrimoniale. Se del sistema tetrarchico Costantino aveva visto i punti di forza (la collegialità e la sicurezza della successione), egli ne aveva visto, o meglio operato, la crisi puntando sulla sua più grande debolezza: i legami di sangue, che potevano essere sfruttati, come lui stesso aveva fatto184. E non a caso anche la scultura di questo periodo riacquisisce stilemi tetrarchici in particolare nella rappresentazione di quella somiglianza tra i membri del collegio imperiale che ora non è più solo segno di concordia, ma anche di appartenenza alla medesima famiglia185.
Nel 335, anche il fratello di Dalmazio, Annibaliano, fu inserito nel sistema di potere. Egli non divenne però Cesare, bensì «re dei re»: dopo aver sposato Costantina, figlia dell’Augusto, egli fu nominato re del Ponto e mandato, in preparazione della guerra contro la Persia che non avrebbe mai avuto luogo, a prendere controllo dell’Armenia con un titolo che, almeno teoricamente, lo poneva sullo stesso livello del sovrano persiano. All’interno dell’Impero è solo la zecca di Costantinopoli a coniare sporadicamente in suo nome, sempre con tipologie a sé stanti e mai in connessione con i quattro Cesari. Nel 335 fu coniata un’emissione argentea con legenda felicitas pvblica e la personificazione dell’Eufrate, poggiato su un’anfora da cui sgorga acqua, con pesce e timone186; nel 336-337 la legenda secvritas pvblica accompagna su emissioni enee l’Eufrate personificato con uno scettro187. È probabile che si tratti di monete prodotte solo in occasione di distribuzioni e congiarii; Annibaliano non risulta in ogni caso coinvolto nei piani di successione: egli appare come un sovrano vassallo che deve occuparsi della sicurezza dei confini dell’Impero sul fronte dell’Eufrate188. E non a caso egli è escluso dalle emissioni celebrative del trentennale di regno di Costantino, prodotte invece a nome di tutti e quattro i Cesari189.
La legittimazione di Dalmazio e Annibaliano potrebbe essere stata ricercata anche con un’altra produzione monetale: si tratta di bronzi a nome di Flavia Teodora, la moglie di Costanzo Cloro e matrigna di Costantino, ora celebrata sulle coniazioni con un verso pietas romana ove Pietas/l’imperatrice regge un bambino in braccio. Queste emissioni sono generalmente datate al 337-340 ma, come ha mostrato Callu, possono essere più probabilmente riconducibili agli anni 335-337190. In questo caso anche la loro funzione politica diverrebbe più evidente: Teodora, madre di Dalmazio seniore e nonna di Dalmazio iuniore e Annibaliano, serviva a legittimare dinasticamente il quarto Cesare (e forse anche il re del Ponto) richiamando la discendenza, comune anche a Costantino e ai suoi figli, da Costanzo Cloro191.
Anche questo non bastò, e i piani per la successione che Costantino aveva accuratamente elaborato e pubblicizzato tramite le emissioni monetali non si dovevano realizzare: la strage che seguì la sua morte avrebbe portato alla divisione del potere imperiale tra Costantino II (con il titolo di maximus Augustus), Costanzo II e Costante, e all’uccisione di Dalmazio e Annibaliano, insieme a molti altri membri della famiglia imperiale.
Costantino moriva il 22 maggio 337 a Nicomedia. Come era normale, apparvero in circolazione sue monete di consacrazione che, rappresentandolo come divus, rassicuravano sul suo destino glorioso, legittimavano i suoi discendenti (così come le monete di consacrazione di Costanzo Cloro avevano fatto per lui) e forse avevano anche una funzione di stabilizzazione dei prezzi, nel tentativo di evitare che, dopo la morte di un imperatore che aveva regnato 31 anni e le cui monete erano ovunque, si innescassero meccanismi inflativi192. D’altro lato però le monete di consacrazione non potevano essere le stesse: specie dopo il battesimo ricevuto dall’Augusto prima di morire, non si poteva celebrare la sua divinizzazione con i tipi tradizionali. In oro a Costantinopoli, in bronzo a Lione, Treviri e Arles appaiono così pezzi che al recto recano secondo tradizione il busto velato di Costantino, definito nella legenda divus; al verso invece mostrano l’imperatore defunto su un carro (forse quello di Elia), mentre dall’alto appare, accanto a una stella, la mano di Dio193. Un’iconografia insomma che, senza essere esplicitamente cristiana (la mano poteva anche essere intesa come quella di Giove)194, ammiccava però alla religione dell’imperatore e della sua famiglia, tanto da piacere a Eusebio di Cesarea:
Furono coniate anche delle monete che sul recto raffiguravano il sovrano benedetto con il capo coperto da un velo e sul verso lo rappresentavano su una quadriga nelle vesti di un auriga che veniva sollevato in cielo da una mano protesa verso di lui195.
Ma la presenza di Costantino sulle monete non finì nemmeno allora. Il primo imperatore cristiano, in seguito santo della Chiesa d’Oriente, era troppo ingombrante per poter sparire in questo modo: la sua figura rimaneva dominante sul piano ideologico (come mostra la frequente ripresa del suo nome) e il suo modello, pertanto, doveva a sua volta rimanere sulle produzioni monetali come segno di legittimità e di continuità196. Le produzioni bizantine mostrano così assai di frequente l’iconografia della croce197 e sotto Costante II, dall’inizio del regno fino al 658, la titolatura imperiale al recto è sostituita in alcune emissioni di divisionale di Costantinopoli e Cartagine dalla legenda en touto nika198?, alludendo così in modo del tutto esplicito alla vita di Costantino. È con Alessio III (1195-1203) però che Costantino, in veste di santo, ricompare sulle monete costantinopolitane, insieme all’imperatore vivente, ancora una volta al fine di legittimare l’ascesa al potere di una nuova famiglia, quella degli Angeli199. Da quel momento Costantino rimane sulle iconografie monetali dell’Impero latino così come dell’Impero di Nicea, e su coni costantinopolitani ancora al tempo di Giovanni V (1347-1376) e Manuele II (1391-1425), accompagnando dunque l’Impero bizantino fino alla vigilia della sua fine.
Nel Medioevo bizantino erano diffusi anche i cosiddetti konstantinata, monete forate o incastonate che assumevano un valore religioso e apotropaico poiché recavano una raffigurazione di Costantino ed Elena con la vera croce200. Un medaglione conservato nel Tesoro di Mersine, oggi a Leningrado, potrebbe anche mostrare l’esistenza di simili amuleti già tra VI e VII secolo201. Anche il pettorale di provenienza egiziana conservato a Berlino e prodotto nel VII secolo reca al centro il ritratto di un imperatore che è forse da identificare in Costantino, così come invocazioni apotropaiche; e la lettera 33 di Michele Italico conferma il valore e il potere profilattico attribuiti a oggetti simili nel XII secolo202. I konstantinata raggiunsero quindi una grande diffusione con l’età dei Comneni, per rimanere in utilizzo per parecchi secoli. Ancora in Età moderna erano loro assegnate virtù terapeutiche; si credeva ad esempio che, posti in acqua di fonte, i konstantinata potessero trasformare il liquido in una bevanda contro l’epilessia, e ancora oggi essi sono creati e prodotti da disegnatori di gioielli ispirati dalla tradizione greca. Nell’Oriente ellenico Costantino rimase lungo l’intero arco dei secoli, e rimane ancora oggi, una presenza costante anche sulle monete e gli oggetti monetali.
1 Su questo argomento in generale si veda F. Carlà, M.G. Castello, Questioni tardoantiche. Storia e mito della “svolta costantiniana”, Roma 2010, pp. 31-61.
2 RIC I, p. 22. Si veda anche M. Grant, Roman History from Coins, Cambridge 1958, p. 11.
3 G.A. Crump, Coinage and Imperial Thought, in The Craft of the Ancient Historian, ed. by J.W. Eadie, J. Ober, Lanham 1985, pp. 425-441, in partic. 428-429.
4 A.H.M. Jones, Numismatics and History, in Essays in Roman Coinage Presented to Harold Mattingly, ed. by R.A.G. Carson, C.H.V. Sutherland, Oxford 1956, pp. 13-33, ristampato in The Roman Economy, ed. by P.A. Brunt, Oxford 1974, pp. 61-81; M. Crawford, Roman Imperial Coin Types and the Formation of Public Opinion, in Studies in Numismatic Method Presented to Philip Grierson, ed. by C. Brooke et al., Cambridge 1983, pp. 47-64.
5 In particolare sulle fonti letterarie relative a monete costantiniane, si veda C. Odahl, Constantinian Coin Motifs in Ancient Literary Sources, in Journal of the Rocky Mountain Medieval and Renaissance Association, 7 (1986), pp. 1-15.
6 J. DeRose Evans, The Art of Persuasion. Political Propaganda from Aeneas to Brutus, Ann Arbor 1992, p. 20; W.E. Metcalf, Whose Liberalitas? Propaganda and Audience in the Early Roman Empire, in Rivista Italiana di Numismatica, 95 (1993), pp. 337-346, in partic. 344-345.
7 W.E. Metcalf, Whose Liberalitas?, cit.; O. Hekster, Coins and Messages: Audience Targeting on Coins of Different denominations?, in The Representation and Perception of Roman Imperial Power, ed. by L. De Blois et al., Amsterdam 2003, pp 20-35; M. Beckmann, The Significance of Roman Imperial Coin Types, in Klio, 91 (2009), pp. 144-161.
8 B. Levick, Propaganda and the Imperial Coinage, in Antichthon, 16 (1982), pp. 104-116.
9 B. Levick, Messages on the Roman Coinage: Types and Inscriptions, in Roman Coins and Public Life under the Empire, ed. by G.M. Paul, M. Ierardi, Ann Arbor 1999, pp. 41-60.
10 B. Levick, Propaganda, cit., p. 106.
11 A. Cheung, The Political Significance of Roman Imperial Coin Types, in Schweizer Münzblätter, 48 (1998), pp. 53-61.
12 Tra gli altri, si vedano Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus. Herrschaftspropaganda in der zeitgenössischen Überlieferung, Stuttgart 1990, pp. 15-16; M. Humphries, From Usurper to Emperor: The Politics of Legitimation in the Age of Constantine, in Journal of Late Antiquity, 1 (2008), pp. 82-100, in partic. 87-88.
13 Th. Grünewald, Constantinus, cit., pp. 23-24; M. Cullhed, Conservator Urbis Suae. Studies in the Politics and Propaganda of the Emperor Maxentius, Stockholm 1994, pp. 38-41.
14 Ad esempio A. Marcone, Pagano e cristiano. Vita e mito di Costantino, Roma-Bari 2002, p. 43.
15 C.E.V. Nixon, Constantinus Oriens Imperator: Propaganda and Panegyric. On Reading Panegyric 7 (307), in Historia, 42 (1993), pp. 229-246, in partic. 242-244.
16 Su questo, cfr. F. Carlà, Le iconografie monetali e l’abbandono del linguaggio tetrarchico: l’evoluzione dell’autorappresentazione imperiale (306-310 d.C.), in Costantino prima e dopo Costantino, Convegno internazionale (Perugia-Spello 27-30 aprile 2011), a cura di G. Bonamente, N. Lenski, R. Lizzi Testa, in corso di stampa.
17 RIC VI, p. 216, n. 756. Cfr. B.H. Warmington, Aspects of Constantinian Propaganda in the Panegyrici Latini, in Transactions of the American Philological Association, 104 (1974), pp. 371-384, in partic. 374.
18 RIC VI, p. 256, n. 202. Nell’immagine è però rappresentata una moneta della zecca di Treviri, posteriore di circa un anno.
19 Ad esempio L. Cracco Ruggini, Apoteosi e politica senatoria nel IV s. d.C.: il dittico dei Symmachi al British Museum, in Rivista Storica Italiana, 89 (1977), pp. 425-489, in partic. 427-429; P.N. Schulten, Die Typologie der römischen Konsekrationsprägungen, Frankfurt a.M. 1979, pp. 145-147; Th. Grünewald, Constantinus, cit., p. 22.
20 Monete di consacrazione successive: RIC VI, p. 218, nn. 789-790; p. 132, n. 110. Coniazione di Lione: RIC VI, p. 261, n. 252. Questa titolatura è nota anche da iscrizioni: Th. Grünewald, Constantinus, cit., p. 55.
21 S.G. McCormack, Art and Ceremony in Late Antiquity, Berkeley 1981, p. 95. Ma si vedano le pp. 106-115 sul cambiamento di significato della consecratio in epoca tetrarchica e sul valore attribuito a quella di Costanzo Cloro.
22 Roma: RIC VI, pp. 382-383, nn. 246-248; 253-255; 271. Ostia: RIC VI, p. 404, nn. 30-31. Siscia: RIC VI, pp. 480-483, nn. 205-206; 223-224; 226. Tessalonica: RIC VI, p. 518, n. 48. Cizico: RIC VI, p. 591, n. 75. Alessandria: RIC VI, p. 682, n. 133.
23 M. Humphries, From Usurper, cit., p. 85.
24 H.P. L’Orange, Das spätantike Herrscherbild von Diokletian bis zu den Konstantin-Söhnen, Berlin 1984, pp. 50-51; D.H. Wright, The True Face of Constantine the Great, in Dumbarton Oaks Papers, 41 (1987), pp. 493-507, in partic. 494-496 e 505; N. Hannestad, The Ruler Image of the Fourth Century: Innovation or Tradition, in Acta ad Archaeologiam et Artium Historia Pertinentia, 15 (2001), pp. 93-107, in partic. 95-96; J. Elsner, Perspectives in Art, in The Cambridge Companion to the Age of Constantine, ed. by N. Lenski, Cambridge 2006, pp. 255-277, in partic. 261-262. In generale sui ritratti monetali di Costantino cfr. C. Walter, The Iconography of Constantine the Great, Emperor and Saint, with Associated Studies, Leiden 2006, pp. 12-15.
25 RIC VI, p. 214, nn. 748-754.
26 C.H.V. Sutherland, Some Political Notions in Coin Types between 294 and 313, in Journal of Roman Studies, 53 (1963), pp. 14-20, in partic. 17.
27 RIC VI, pp. 260-261, nn. 246-250. P. Bastien, Constantin et Maxence. Émission de Concordia à Lyon en 308, in Rivista Italiana di Numismatica, 75 (1973), pp. 159-174, ha sostenuto che quest’emissione celebrasse la concordia tra Costantino e Massenzio, ma poiché non sono noti pezzi a nome di quest’ultimo tale lettura pare inaccettabile.
28 F. Carlà, Le iconografie monetali, cit.
29 RIC VI, p. 260, n. 247.
30 RIC VI, p. 261, n. 258; p. 263, n. 280.
31 R. Rees, Layers of Loyalty in Latin Panegyric, AD 289-307, Oxford 2002, pp. 172-173.
32 Ps. Aur. Vict., Epit. 39, 6; Zos. II 10,4-5.
33 RIC VI, p. 678, n. 102. P. Bruun, The Late Roman Imperial Coin Portraits – Objects of Research and Tools of the Scholar, in Litterae Numismaticae Vindobonenses, 4 (1992), pp. 215-230, in partic. p. 219. Cfr. F. Carlà, Le iconografie monetali, cit.
34 A. Stefan, Un rang impérial nouveau à l’époque de la quatrième tétrarchie: filius Augustorum, in Antiquité Tardive, 12 (2004), pp. 273-291.
35 Th. Grünewald, Constantinus, cit., p. 42.
36 C.H.V. Sutherland, Some Political Notions, cit., p. 17. Nonostante l’avvicinamento di Costantino a Licinio e lo scontro sempre più evidente tra quest’ultimo e Massimino Daia dopo la morte di Galerio, Costantino continuò formalmente a coniare in nome di Massimino Daia fino alla sua morte; Massimino stesso coniò a sua volta a nome di Costantino anche dopo aver espulso Licinio dai propri tipi. Costantino e Massimino ricoprirono infine anche il consolato insieme nel 313. Cfr. F. Carlà, M.G. Castello, Questioni tardoantiche, cit., pp. 79-80.
37 R. Turcan, Images solaires dans le Panégyrique VI, in Hommages à Jean Bayet, éd. par M. Renard, R. Schilling, Bruxelles 1964, pp. 697-706.
38 M. Bergmann, Konstantin und der Sonnengott. Die Aussagen der Bildzeugnisse, in Konstantin der Große. Geschichte – Archäologie – Rezeption, hrsg. von A. Demandt, J. Engemann, Trier 2007, pp. 143-161, in partic. 146-147.
39 Iul., Or. VII, Contr. Her. Cyn. 228D-229A.
40 M. Wallraff, Christus verus Sol. Sonnenverehrung und Christentum in der Spätantike, Münster 2001, pp. 127-128.
41 RIC VI, pp. 135-136, nn. 150-192.
42 B.H. Warmington, Aspects, cit., p. 378.
43 P. Bruun, The Consecration Coins of Constantine the Great, in Arctos, 1 (1954), pp. 19-31, in partic. 24. Secondo A. Lippold, Constantius Caesar, Sieger über die Germanen-Nachfahre des Claudius Gothicus?, in Chiron, 11 (1981), pp. 347-369, e Id., Kaiser Claudius II (Gothicus), Vorfahr Konstantins d. Gr., und der römische Senat, in Klio, 74 (1992), pp. 380-394, la discendenza da Claudio II era un tema propagandistico usato addirittura già da Costanzo Cloro nel 305. Tale ricostruzione non ha però alcun punto d’appoggio.
44 F. Chausson, Stemmata aurea. Constantin, Justin, Théodose: revendications généalogiques et idéologie impériale au IVe s. ap. J.-C., Roma 2007, pp. 25-95.
45 h.A. Gord. 34,5.
46 P. Bruun, Constantine’s Dies Imperii and Quinquennalia in the Light of the Early Solidi of Trier, in Numismatic Chronicle, 9 (1969), pp. 177-205.
47 RIC VI, p. 220, nn. 799-800; p. 222, n. 817.
48 F. Carlà, M.G. Castello, Questioni tardoantiche, cit., pp. 76-78.
49 RIC VI, pp. 131-132, nn. 107-109 (Londra); pp. 212-213, nn. 724-732 e 739-742; pp. 217-218, nn. 772-779; p. 223, n. 820; pp. 225-227, nn. 829-834; 854-864; 877-885; 896-897 (Treviri); p. 260, nn. 240-243; p. 265, n. 304 (Lione).
50 A. Fraschetti, La conversione. Da Roma pagana a Roma cristiana, Roma-Bari 1999, pp. 78-79.
51 A. Marcone, Costantino e l’aristocrazia pagana di Roma, in Costantino il Grande dall’Antichità all’Umanesimo, a cura di G. Bonamente, F. Fusco, II, Macerata 1993, pp. 645-658, in partic. 653-655.
52 M.R. Alföldi, Die constantinische Goldprägung, Mainz 1963, pp. 57-60; N. Hannestad, Roman Art and Imperial Policy, Aarhus 1986, p. 327.
53 RIC VI, p. 222, n. 815; p. 297, n. 114; p. 390, nn. 345-352; p. 407, n. 69; p. 410, nn. 94-99; RIC VII, p. 235, nn. 7-12.
54 RIC II, p. 259, n. 228. La legenda spqr optimo principi era già stata riutilizzata da Domizio Alessandro, ma non in accompagnamento di questa iconografia: Th. Grünewald, Constantinus, cit., p. 45.
55 W. Oenbrink, Maxentius als conservator urbis suae. Ein antitetrarchisches Herrschaftskonzept tetrarchischer Zeit, in Die Tetrarchie. Ein neues Regierungssystem und seine mediale Präsentation, hrsg. von D. Boschung, W. Eck, Wiesbaden 2006, pp. 169-204; H. Leppin, H. Ziemssen, Maxentius. Der letzte Kaiser in Rom, Mainz 2007, pp. 31-32.
56 RIC VI, pp. 387-388, nn. 303-304 e 312. Cfr. B.H. Warmington, Aspects, cit., p. 379.
57 RIC VI, p. 140, nn. 269-274.
58 RIC VII, pp. 235-237, nn. 13 e 33-34. Cfr. P. Bruun, Studies in Constantinian Chronology, New York 1961, p. 11; M.R. Alföldi, Die constantinische Goldprägung, cit., p. 37. Sul trasferimento si veda ancora P. Bruun, The Constantinian Coinage of Arelate, Helsinki 1953; M.R. Alföldi, Die constantinische Goldprägung, cit., pp. 35-36.
59 RIC VII, pp. 165-166, nn. 22-26; p. 363, nn. 31-32. Cfr. M.R. Alföldi, Die constantinische Goldprägung, cit., p. 42 (che data queste emissioni al 313).
60 RIC VI, p. 409, n. 79; VII, p. 234, n. 4.
61 RIC VI, p. 382, nn. 243-245 e 250-251; p. 404, nn. 24-26.
62 Th. Grünewald, Constantinus, cit., pp. 39-41.
63 RIC VII, pp. 311-312, nn. 120-128.
64 RIC VII, p. 173, nn. 108-118; p. 366, n. 47. Cfr. P. Bruun, The Disappearance of Sol from the Coins of Constantine, in Arctos, 2 (1958), pp. 15-37, in partic. 17 e 22.
65 RIC VI, p. 296, n. 111. Cfr. Th. Grünewald, Constantinus, cit., pp. 96-97.
66 M. Wallraff, Christus, cit., p. 129.
67 RIC VII, p. 363, n. 32; p. 368, n. 53. Cfr. C. Walter, The Iconography, cit., p. 24.
68 P. Brown, The Cult of the Saints. Its Rise and Function in Latin Christianity, Chicago 1981, pp. 51-52.
69 Ad es. RIC V/2, p. 80, n. 596.
70 RIC VII, p. 234, nn. 1-3 (Arles). Cfr. M.R. Alföldi, Die constantinische Goldprägung, cit., pp. 37-38; H.G. Thümmel, Die Wende Constantins und die Denkmäler, in Die konstantinische Wende, hrsg. von E. Mühlenberg, Gütersloh 1998, pp. 144-185, alla p. 151.
71 Il tema sapientia principis è diffuso in quegli anni anche su monete di Roma e Treviri, recanti al verso però la raffigurazione di un altare con aquila, lancia ed elmo.
72 M. Horster, The Emperor’s Family on Coins (Third Century): Ideology of Stability in Times of Unrest, in Crises and the Roman Empire, ed. by O. Hekster, G. De Kleijn, D. Slootjes, Leiden-Boston 2007, pp. 291-309, in partic. 300-302.
73 C. Walter, The Iconography, cit., pp. 24-26.
74 A. Ahlqvist, Cristo e l’Imperatore romano: i valori simbolici del nimbo, in Acta ad Archaeologiam et Artium Historiam Pertinentia, 15 (2001), pp. 207-227.
75 RIC VII, p. 368, n. 54.
76 Firm. Mat., Math. I 10,13-14.
77 H. Chantraine, Die Nachfolgeordnung Constantins des Großen, Stuttgart 1992, pp. 4-5; P. Cara, La successione di Costantino, in Aevum, 67 (1993), pp. 173-180, in partic. 173-174; A. Marcone, Pagano e cristiano, cit., pp. 110-111.
78 Nella parte occidentale dell’Impero, Licinio II veniva non a caso celebrato proprio come nipote di Costantino: AE 1969-1970, 375B.
79 RIC VII, p. 327, n. 276.
80 Orig. Const. V 19.
81 FHG IV, p. 199, 14.1. Cfr. F. Carlà, M.G. Castello, Questioni tardoantiche, cit., p. 97.
82 P. Bruun, The Constantinian Coinage, cit., pp. 39-42; P.N. Schulten, Die Typologie, cit., pp. 147-152. Cfr. F. Chausson, Stemmata, cit., pp. 39-41. Costantino si presenta ora come nepos divi Claudii anche sulle iscrizioni (cfr. CIL VI, 31564 e XI, 9).
83 B.H. Warmington, Aspects, cit., pp. 376-377; P. Bastien, Les émissions dynastiques de Constantin: deux solidi inédites de Consantinople, in Essays in Honour of Robert Carson and Kenneth Jenkins, ed. by M.J. Price, A. Burnett, R. Bland, London 1993, pp. 263-266; M. Humphries, From Usurper, cit., p. 93.
84 RIC VII, pp. 504-505, nn. 48-51. Cfr. M.R. Alföldi, Helena nobilissima femina. Zur Deutung der Trierer Deckengemälde, in Jahrbuch für Numismatik und Geldgeschichte, 10 (1959-1960), pp. 79-90, in partic. 82-83 (che attribuisce, in modo non convincente, queste emissioni a Elena Minore, moglie di Crispo); J.W. Drijvers, Helena Augusta. The Mother of Constantine the Great and the Legend of Her Finding of the True Cross, Leiden 1992, pp. 39-41.
85 RIC VII, p. 162, n. 1. Si è a lungo ritenuto che questo medaglione raffigurasse la città di Treviri; questa interpretazione è stata però dimostrata erronea e corretta da M.R. Alföldi, Das Trierer Stadtbild auf Constantins Goldmultiplum: ein Jahrhundertirrtum, in Trierer Zeitschrift, 54 (1991), pp. 239-248.
86 P. Bruun, The System of Vota Coinages (1956), in Id., Studies in Constantinian Numismatics, Roma 1991, pp. 27-35, a p. 29; J.P.C. Kent, The Pattern of Bronze Coinage under Constantine I, in Numismatic Chronicle, s. 6, 17 (1957), pp. 16-77, in partic. 34.
87 RIC VII, p. 195, n. 358; p. 204, n. 446; p. 215, n. 532.
88 RIC VII, p. 58.
89 B.H. Warmington, Aspects, cit., p. 381; B.S. Rodgers, The Metamorphosis of Constantine, in Classical Quarterly, 39 (1989), pp. 233-246, in partic. 245.
90 Eus., v.C. II 1-4. Su questo si veda da ultimo R. Cristofoli, Religione e strumentalizzazione politica: Costantino e la propaganda contro Licinio, in Istituzioni, carismi ed esercizio del potere (IV-VI secolo d.C.), a cura di G. Bonamente, R. Lizzi Testa, Bari 2010, pp. 155-170.
91 P. Bruun, The Constantinian Coinage, cit., p. 45.
92 J. Wienand, Der Kaiser als Sieger. Metamorphosen triumphaler Herrschaft unter Constantin I., Berlin 2012.
93 RIC VII, p. 471, n. 21.
94 RIC VII, p. 685, n. 49.
95 Questi simboli furono ritenuti da A. Alföldi, The Conversion of Constantine and Pagan Rome, Oxford 1948, pp. 39-41, segno di una forte cristianizzazione dei coni già in questi anni. Questa posizione è stata nel corso degli anni ridimensionata, soprattutto grazie ai contributi di P. Bruun, The Christian Signs on the Coins of Constantine, in Arctos, 3 (1962), pp. 5-35; Id., Early Christian Symbolism on Coins and Inscription, in Atti del VI Convegno Internazionale di Archeologia Cristiana, Ravenna 1965, pp. 527-535. Cfr. anche G. Bruck, Die Verwendung christlicher Symbole auf Münzen von Constantin I. bis Magnentius, in Numismatische Zeitschrift, 76 (1955), pp. 26-32; S. De Caro Balbi, Comparsa di simboli cristiani sulle monete dell’Impero in età costantiniana, in Annali dell’Istituto Italiano di Numismatica, 16-17 (1969-1970), pp. 143-169; L. Travaini, La croce sulle monete da Costantino alla fine del Medioevo, in La croce. Iconografia e interpretazione (secoli I-inizio XVI), a cura di B. Ulianich, II, Napoli 2007, pp. 7-40.
96 Su questi esemplari si veda C. Odahl, Christian Symbols on Constantine’s Siscia Helmet Coins, in Society of Ancient Numismatics, 8 (1977), pp. 56-58.
97 A. Alföldi, The Conversion, cit., pp. 41 e 66.
98 P. Bruun, The Christian Signs, cit., pp. 6-7.
99 RIC VII, p. 62.
100 C. Ehrhardt, Roman Coin Types and the Roman Public, in Jahrbuch für Numismatik und Geldgeschichte, 34 (1984), pp. 41-54, in partic. 53; C. Odahl, Christian Symbols, cit., pp. 57-58.
101 F. Carlà, M.G. Castello, Questioni tardoantiche, cit., pp. 102-103. Sul cristogramma nella numismatica costantiniana si veda anche P. Bastien, Le chrisme dans la numismatique de la dynastie constantinienne, in Collectioneurs et collections numismatiques: monnaies, médailles et jetons, Paris 1968, pp. 111-119.
102 Cfr. S. De Caro Balbi, Comparsa di simboli, cit., p. 148, che collega la distribuzione di questo simbolo nelle zecche menzionate con le necessità militari dell’area illirica, confermando come questo signum fosse connesso alla virtù militare di Costantino; C.M. Odahl, Christian Symbols in Military Motifs on Constantine’s Coinage, in Society for Ancient Numismatics, 13 (1983), pp. 64-72.
103 Th. Grünewald, Constantinus, cit., pp. 138-139; J.W. Drijvers, Helena, cit., pp. 41-42; M. Clauss, Die Frauen der diokletianisch-konstantinischen Zeit, in Die Kaiserinnen Roms. Von Livia bis Theodora, hrsg. von H. Temporini, G. Vitzthum, München 2002, pp. 340-369, alle pp. 351-352; C. Walter, The Iconography, cit., pp. 20-21.
104 Eus., h.e. III 47.
105 RIC VII, p. 53; J.W. Drijvers, Helena, cit., p. 42.
106 M. Clauss, Die Frauen, cit., p. 352.
107 RIC VII, pp. 203-204, nn. 443-445.
108 RIC VII, p. 323, n. 251.
109 RIC VII, p. 323, n. 250.
110 RIC VII, p. 203, n. 442.
111 RIC VII, p. 427, n. 26; p. 570, n. 6; p. 608, n. 51; p. 612, n. 68; p. 682, n. 37; p. 689, n. 70.
112 RIC IV/1, p. 215, n. 25a.
113 RIC VII, p. 571, n. 15.
114 F. Carlà, M.G. Castello, Questioni tardoantiche, cit., p. 143.
115 RIC VII, pp. 572-573, nn. 19 e 26. Cfr. É. Demougeot, La symbolique du lion et du serpent sur les solidi des Empereurs d’Occident de la première moitié du Ve siècle, in Revue Numismatique, s. 6., 28 (1986), pp. 94-118, in partic. 96-97; F. Ntantalia, Bronzemedaillons unter Konstantin dem Großen und seinen Söhnen, Saarbrücken 2001, pp. 145-146; C. Walter, The Iconography, cit., pp. 29-30.
116 Eus., v.C. III 3,1-2. Trad. it. Eusebio di Cesarea, Vita di Costantino, a cura di L. Franco, Milano 2009.
117 Eus., v.C. II 46,2.
118 P. Bruun, The Christian Signs, cit., pp. 21-23; Id., Victorious Signs of Constantine: A Reappraisal, in Numismatic Chronicle, 157 (1997), pp. 41-59, in partic. 45-46. Non è accettabile l’ipotesi di H.G. Thümmel, Die Wende, cit., p. 152, che la moneta faccia riferimento all’uccisione di Crispo e Fausta.
119 RIC, p. 461, n. 443.
120 G. Bruck, Die Verwendung, cit., p. 27; questa teoria è ora riproposta da L. Travaini, La croce, cit., pp. 10-11.
121 S. De Caro Balbi, Comparsa, cit., p. 152.
122 RIC VII, p. 451, n. 207.
123 RIC VII, p. 364, n. 36. La letteratura sul medaglione è smisurata. Si vedano a titolo di esempio A. Alföldi, The Helmet of Constantine with the Christian Monogram, in Journal of Roman Studies, 22 (1932), pp. 9-23; Id., The Initials of Christ on the Helmet of Constantine, in Studies in Roman Economy and Social History in Honor of Allan Chester Johnson, ed. by P.R. Coleman-Norton, Princeton 1951, pp. 303-311; K. Kraft, Das Silbermedaillon Constantins des Großen mit dem Christusmonogramm auf dem Helm, in Jahrbuch für Numismatik und Geldgeschichte, 5-6 (1954-1955), pp. 151-178; N. Hannestad, Roman Art, cit., pp. 328-329; B. Overbeck, Das Silbermedaillon aus der Münzstätte Ticinum, Milano 2000; Id., Das Münchner Medaillon Constantins des Großen, in Mitteilungen der Österreichischen Numismatischen Gesellschaft, 45 (2005), pp. 1-15; C. Walter, The Iconography, cit., pp. 22-23; L. Travaini, La croce, cit., pp. 8-10.
124 B. Overbeck, Das Münchner Medaillon, cit., p. 4.
125 Un’insoddisfazione per la datazione tradizionale in questo senso era già stata espressa da H. von Schönebeck, Beiträge zur Religionspolitik des Maxentius und Constantin, Leipzig 1939, pp. 64-65.
126 B. Overbeck, Das Silbermedaillon, cit., p. 18.
127 V. Maspero, Alla ricerca del Sacro Chiodo. La ricostruzione dell’elmo diademato di Costantino, in Arte Cristiana, 92 (2004), pp. 299-310, alla p. 310.
128 Lact., mort. pers. 44,5.
129 Si veda soprattutto A. Bernardelli, Il medaglione d’argento di Costantino con il cristogramma. Annotazioni sulla cronologia, in Rivista Italiana di Numismatica e scienze affini, 108 (2007), pp. 219-236.
130 B. Overbeck, Das Münchner Medaillon, cit., pp. 1-4.
131 C. Odahl, Christian Symbols in Military Motifs on Constantine’s Coinage, in Society of Ancient Numismatics, 13 (1983), pp. 64-72.
132 Soz. I 8,13.
133 F. Carlà, M. G. Castello, Questioni tardoantiche, cit., pp. 169-206.
134 RIC VII, p. 328, n. 279.
135 A. Alföldi, On the Foundation of Constantinople: A Few Notes, in Journal of Roman Studies, 37 (1947), pp. 10-16, in partic. 15.
136 C. Walter, The Iconography, cit., pp. 31-32.
137 RIC VI, p. 220, n. 794; p. 222, n. 813; p. 223, n. 825, per le prime coniazioni dopo Carnuntum.
138 Il plurale Augustorum fa probabilmente riferimento a Costantino ed Elena: Th. Grünewald, Constantinus, cit., pp. 141-143.
139 F. Kolb, Herrscherideologie in der Spätantike, Berlin 2001, pp. 72-73.
140 F. Kolb, La storia del diadema da Costantino fino all’età protobizantina, in Bizantinistica, 5 (2003), pp. 51-60, in partic. 52-53.
141 Eus., v.C. IV 15,1-2. Questa iconografia è stata intesa in senso cristiano, tra gli altri, da A. Alföldi, The Helmet, cit., p. 17; C. Odahl, Christian Symbols, cit., p. 69.
142 R.R.R. Smith, The Public Image of Licinius I: Portrait Sculpture and Imperial Ideology in the Early Fourth Century, in Journal of Roman Studies, 87 (1997), pp. 170-202, in partic. 187.
143 N. Hannestad, Roman Art, cit., p. 327; H.G. Thümmel, Die Wende, cit., pp. 151-152; N. Hannestad, The Ruler Image, cit., p. 95; C. Walter, The Iconography, cit., p. 14.
144 Anon. Vales., I 6,30.
145 R. Krautheimer, Three Christian Capitals: Topography and Politics, Berkeley 1983, pp. 42-43.
146 RIC VII, p. 578, n. 53. Cfr. F. Ntantalia, Bronzemedaillons, cit., pp. 100-103; D. Castrizio, La personificazione di Costantinopoli sulle monete di Costantino I, in Salvatore Calderone (1915-2000): la personalità scientifica, Messina 2010, pp. 169-173, rifiuta il collegamento di questa iconografia con la battaglia dell’Ellesponto e la connette con un accentramento a Costantinopoli della flotta imperiale, il cui comando sarebbe stato attribuito a Costantino II. Tale interpretazione non spiega però la vicinanza diretta con la Vittoria e perché la prua sarebbe divenuta attributo fondamentale della personificazione di Costantinopoli.
147 M.R. Alföldi, Die constantinische Goldprägung, cit., p. 116.
148 RIC VII, p. 555, n. 99; p. 576, n. 43.
149 RIC VII, p. 752, n. 18.
150 J.M.C. Toynbee, Roman Medaillons, New York 1944, p. 137. Questa interpretazione è seguita, anche per altri pezzi, da F. Ntantalia, Bronzemedaillons, cit., pp. 115-116.
151 M.R. Alföldi, Die constantinische Goldprägung, cit., p. 102.
152 RIC VII, p. 219, nn. 569-570; p. 627, nn. 162-163.
153 RIC VII, p. 612, n. 69.
154 Zos. II 31; Die Fragmente der griechischen Historiker III B, p. 268,20-22; Lyd., Mag. II 10,1. A Costantinopoli erano anche altre statue raffiguranti la città personificata: Zonar. XIV 4,12-19; Patria Const. II 61 e 101. Cfr. G. Bühl, Constantinopolis und Roma. Stadtpersonifikationen der Spätantike, Kilchberg 1995, in partic. 26-27.
155 RIC VII, p. 337, n. 343.
156 F. Ntantalia, Bronzemedaillons, cit., p. 184.
157 RIC VII, p. 337, n. 342.
158 RIC VII, p. 332, n. 300; p. 333, n. 307; p. 334, nn. 315-317.
159 Tra le più recenti pubblicazioni si vedano, fra gli altri, A. Berger, Konstantinopel, die erste christliche Metropole?, in Die spätantike Stadt und ihre Christianisierung, hrsg. von G. Brands, H.G. Severin, Wiesbaden 2003, pp. 63-72; J. Engemann, Konstantinopel: Warum gründete Konstantin eine zweite Hauptstadt?, in Konstantin der Große. Kaiser einer Epochenwende, hrsg. von F. Schuller, H. Wolff, Lindenberg 2007, pp. 150-175.
160 Cfr. R. Lizzi Testa, Costantino e il Senato romano, in questo volume.
161 A. Fraschetti, La conversione, cit., pp. 77-81.
162 RIC VII, p. 207, nn. 467-468. M.R. Alföldi, Die constantinische Goldprägung, cit., p. 99.
163 T.D. Barnes, The New Empire of Diocletian and Constantine, Cambridge-London 1982, pp. 76-77.
164 RIC VII, p. 326, n. 272; p. 517, n. 146. Si vedano J.M.C. Toynbee, Roman Medaillons, cit., pp. 116-117; Th. Grünewald, Constantinus, cit., p. 141.
165 RIC VII, p. 517, n. 145; p. 16, nn. 99-100.
166 F. Kolb, Herrscherideologie, cit., pp. 73-74.
167 RIC VII, p. 141, n. 283; p. 278, n. 410; p. 459, n. 259; p. 529, n. 221; p. 588, n. 132; p. 634, n. 197.
168 RIC I2, p. 80, nn. 483-486.
169 J. Engemann, Dich aber, Konstantin, sollen die Feinde hassen! Konstantin und die Barbaren, in Konstantin der Große. Geschichte – Archäologie – Rezeption, cit., pp. 173-187, alle pp. 174-180.
170 RIC VII, p. 331, n. 298.
171 RIC VII, pp. 574-575, nn. 29-38.
172 Si veda in generale H. Chantraine, Die Nachfolgeordnung, cit.
173 RIC VII, p. 577, nn. 44-45.
174 RIC VII, p. 576, n. 42. Cfr. P. Cara, La successione, cit., p. 175; C. Walter, The Iconography, cit., p. 29.
175 J. Lafaurie, Médaillon constantinien, in Revue Numismatique, s. V, 17 (1955), pp. 227-250.
176 RIC VII, p. 327, n. 275.
177 RIC VII, p. 580, n. 67.
178 Contra P. Cara, La successione, cit., p. 178, i cui argomenti però non convincono: si veda F. Carlà, M.G. Castello, Questioni tardoantiche, cit., p. 137.
179 RIC VII, p. 583, n. 89.
180 RIC VII, p. 527, n. 204.
181 Anon. Vales., I 6,35.
182 RIC VII, p. 631, nn. 173-174.
183 Eus., l.C. III 4.
184 H. Chantraine, Die Nachfolgeordnung, cit., pp. 17-18.
185 H.P. L’Orange, Das spätantike, cit., pp. 58-68.
186 RIC VII, p. 584, n. 100.
187 RIC VII, pp. 589-590, nn. 146-148.
188 H. Chantraine, Die Nachfolgeordnung, cit., p. 11.
189 P. Bastien, Les émissions dynastiques, cit., p. 265.
190 J.P. Callu, Pietas Romana. Les monnaies de l’Impératrice Théodora, in Mélanges de philosophie, de littérature et d’histoire ancienne offerts à Pierre Boyancé, Rome 1974, pp. 141-151.
191 J.W. Drijvers, Helena, cit., p. 44, che data però questa produzione monetale ai mesi di ‘interregno’ tra la morte di Costantino e la nomina dei figli ad Augusti.
192 J.E. Lendon, The Face on the Coins and Inflation in Roman Egypt, in Klio, 77 (1990), pp. 106-134, in partic. 126; F. Carlà, M.G. Castello, Questioni tardoantiche, cit., pp. 59-61.
193 RIC VIII, p. 143, nn. 37; 44; 68; p. 178, nn. 1-3; 12; 17; pp. 205-206, nn. 17; 32; 40; p. 447, n. 1; pp. 449-450, nn. 37; 39; 52.
194 P. Bruun, The Consecration Coins of Constantine the Great, in Arctos, 1 (1954), pp. 19-31; L. Koep, Die Konsekrationsmünzen Kaiser Konstantins und ihre religionspolitische Bedeutung, in Jahrbuch für Antike und Christentum, 1 (1958), pp. 94-104; S. Calderone, Teologia politica, successione dinastica e consecratio in età costantiniana, in Le culte des souverains dans l’Empire romaine, Genève 1973, pp. 215-269, in partic. 257-261; L. Cracco Ruggini, Apoteosi, cit., pp. 429-430; P.N. Schulten, Die Typologie, cit., pp. 152-157; G. Bonamente, Apoteosi e imperatori cristiani, in I cristiani e l’Impero nel IV secolo, Atti del Colloquio sul cristianesimo nel mondo antico (Macerata 17-18 dicembre 1987), a cura di G. Bonamente, A. Nestori, Macerata 1988, pp. 107-142, in partic. 124-128; P. Siniscalco, Gli Imperatori romani e il cristianesimo nel IV secolo, in Legislazione imperiale e religione nel IV secolo, a cura di J. Gaudemet, P. Siniscalco, G.L. Falchi, Roma 2000, pp. 67-120, in partic. 90-92; C. Walter, The Iconography, cit., pp. 27-28; F. Carlà, M.G. Castello, Questioni tardoantiche, cit., pp. 59-61.
195 Eus., v.C. IV 73. Trad. it. L. Franco.
196 B. Callegher, Da Imperatore a Santo militare: “San Costantino” su monete e sigilli tra XII e XIII secolo, in Quaderni Ticinesi di Numismatica e Antichità Classiche, 38 (2009), pp. 285-309, alle pp. 285-287. In generale sulla fortuna di Costantino, cfr. A. Linder, The Myth of Constantine the Great in the West: Sources and Hagiographic Commemoration, in Studi Medievali, 16 (1975), pp. 43-95; A.P. Kazhdan, ‘Constantin imaginaire’. Byzantine Legends of the Ninth Century about Constantine the Great, in Byzantion, 57 (1987), pp. 196-250.
197 L. Brubaker, To legitimize an Emperor: Constantine and Visual Authority in the Eighth and Ninth Centuries, in New Constantines. The Rhythm of Imperial Renewal in Byzantium, 4th-13th Centuries, ed. by P. Magdalino, Aldershot 1994, pp. 139-158, in partic. 141-143. Sull’importanza della croce nella costruzione della legenda di Costantino, A.P. Kazhdan, Constantin, cit., pp. 218-230.
198 C. Morrisson, Catalogue des monnaies byzantines de la Bibliothèque Nationale, Paris 1970, pp. 329-333, 344-346, 355-356; MIB III, nn. 162-165, 167-172, 191, 195, 200. Più tardi si troverà anche la legenda en touto nikate, accompagnata dai nomi degli Augusti regnanti, ovvero Basilio II e Costantino VIII (C. Morrisson, Catalogue, cit., pp. 609-610); Costantino X ed Eudocia (C. Morrisson, Catalogue, cit., p. 644), e Michele VII e Maria (C. Morrisson, Catalogue, cit., p. 656).
199 C. Morrisson, Catalogue, cit., pp. 753-755; A. Linder, The Myth, cit., pp. 60-61; B. Callegher, Da Imperatore, cit., pp. 298-301.
200 B. Callegher, Da Imperatore, cit., pp. 295-297. Su questa iconografia, C. Walter, The Iconography, cit., pp. 33-52 e 65-76.
201 A. Grabar, Un médaillon en or provenant de Mersine en Cilicie, in Dumbarton Oaks Papers, 6 (1951), pp. 27-49.
202 C. Perassi, Un prodigioso filatterio monetale nella Costantinopoli del XII secolo: l’espistola 33 di Michele Italico, in Aevum, 79 (2005), pp. 363-405.