Le civilta dell'Egeo. L'Egeo orientale: la civilta delle Cicladi
di Christos G. Doumas
Civiltà caratteristica di più di 30 piccole isole al centro dell’Egeo, così denominate dagli antichi a causa della loro disposizione circolare intorno a Delo, l’isola sacra ad Apollo.
La presenza più antica dell’uomo viene fatta risalire al periodo neolitico più recente, vale a dire intorno alla fine del V millennio a.C. La scarsità di suolo coltivabile e il fatto che le isole siano situate in una zona in cui le piogge sono scarse, hanno fatto sì che nelle Cicladi non siano mai esistite grandi possibilità per uno sviluppo adeguato dell’economia agricola. Tali limitazioni, unite alla difficoltà di comunicare con i centri della terraferma, concorsero a far sì che gli abitanti delle Cicladi sviluppassero particolarmente alcuni settori della tecnologia, grazie ai quali giunsero assai per tempo all’avanguardia nello sviluppo della civiltà dell’Egeo. Lo sfruttamento delle materie prime disponibili nelle isole (marmo, ossidiana, smeriglio, minerali di piombo), nonché lo sviluppo dei mezzi di comunicazione marittima, costituirono i fattori che fornirono ai Cicladici i primi stimoli, che li indussero a ricercare soluzioni scientifiche ai loro molteplici problemi; fu così che quando la società cicladica entrò nella prima età del Rame (inizi del III millennio a.C.) era matura per creare una grande, originale civiltà.
Le informazioni che possediamo sulla civiltà cicladica del III millennio a.C. provengono principalmente dalle necropoli e, in misura minore, da insediamenti che a tutt’oggi sono stati studiati in maniera insufficiente. Ciò rende difficile e insoddisfacente delineare con esattezza la società protocicladica. Sembra che nel corso del periodo protocicladico I (3200-2800 a.C. ca.), i Cicladici vivessero in piccole comunità costituite forse da numerosi nuclei familiari che si riparavano in piccoli gruppi di tre, quattro case vicine tra loro. Questo è almeno ciò che si può dedurre dall’estensione delle necropoli, dallo scarso numero di tombe, dalla loro disposizione in piccoli gruppi contigui e dall’esiguo numero di sepolture (una per ogni tomba). I defunti venivano sepolti in posizione raccolta in piccole tombe a forma di cassa.
Piccole suppellettili di terracotta o di marmo, ornamenti fatti di conchiglie, pietre e, più raramente, di metallo, oltre a idoletti antropomorfi di marmo, che rappresentano soltanto la figura umana o che la rappresentano nell’atto di compiere una qualche funzione, accompagnavano il defunto nell’altro mondo. È verosimile che l’assenza di suppellettili e di utensili per le più ampie necessità di tutta la comunità (quali orci per magazzini, pentole, mole, ecc.) significhi che le offerte votive per i morti erano costituite da oggetti personali appartenuti al defunto. Fra le suppellettili rinvenute nelle tombe figurano pissidi sferiche oppure cilindriche e piccoli crateri di terracotta o di marmo; alcune pissidi di marmo hanno anche forma di animale. La consueta decorazione sulle suppellettili di terracotta è costituita da disegni rettilinei incisi, di solito a spina di pesce.
Nel corso del periodo protocicladico II (2800-2300 a.C.) è stato rilevato un significativo mutamento nell’organizzazione delle necropoli.
Innanzitutto esse sono più estese (talvolta arrivano a contenere centinaia di tombe). Le tombe continuano ad avere forma trapezoidale, ma sono di maggiori dimensioni e progettate per contenere più di una sepoltura; forse è dovuta anche a ciò la scomparsa delle tombe raggruppate. Se ogni gruppo di tombe del Protocicladico I era stato progettato per andare incontro alle necessità di sepoltura di un nucleo sociale ristretto (ad es., di un solo nucleo familiare), nel corso del periodo protocicladico II tali necessità venivano soddisfatte da un’unica tomba, progettata per più di una sepoltura. Per questa ragione, le tombe di questo periodo dispongono di due e anche di tre piani, i più bassi dei quali venivano usati come ossari delle sepolture precedenti. Sembra che questa innovazione nella disposizione e nell’organizzazione delle necropoli sia dovuta a un aumento della popolazione delle Cicladi, oppure al fatto che tale popolazione aveva preso a stanziarsi in insediamenti più vasti. Questa interpretazione è corroborata anche dalla recente scoperta, nell’isola di Ios, di un insediamento costituito da case a due piani del Protocicladico II.
Anche nelle tombe del Protocicladico II le offerte per i morti erano costituite da oggetti personali del defunto, più numerose e di maggior varietà per quanto riguarda la forma dei vasi e la tipologia degli idoletti in marmo. Il tipo più consueto di vaso di marmo è rappresentato dalla phiale (bowl), ma esistono anche pissidi in forma di rocchetto e piccole coppe con piede di sostegno. Un’innovazione nella produzione della ceramica è costituita da suppellettili dalla forma allungata, quali coppe e vasi a forma di pera. Dalla decorazione dei vasi di terracotta non scompaiono le incisioni, ma vengono introdotti disegni a pressione, con una particolare preferenza per le linee curve, quali cerchi concentrici e spirali; simultaneamente fa la sua comparsa la decorazione dipinta con motivi rettilinei neri su fondo chiaro.
Il Protocicladico III è di minore durata (2300-2000 a.C. ca.). Per quanto riguarda la fondazione di centri abitati, sembra che in questo periodo si proceda verso l’urbanizzazione con ritmi più accelerati e infatti soltanto nel periodo in questione è possibile parlare di città vere e proprie nelle Cicladi. Sebbene le informazioni a nostra disposizione siano ancora piuttosto scarse, pare che le città del Protocicladico III siano il risultato di un più intenso sinecismo in siti che offrivano maggior sicurezza per l’ancoraggio delle navi, come nel caso di Phylakopi a Milo, di Haghia Irini a Ceo e di Akrotiri a Thera. È dunque chiaro che l’urbanizzazione nelle Cicladi. fu incoraggiata dallo sviluppo della navigazione e del commercio; infatti le città si svilupparono fino a divenire considerevoli porti commerciali. Soprattutto Akrotiri, come dimostrano i dati ricavati dagli scavi, già all’inizio del II millennio a.C. era divenuto il porto commerciale più attivo del Mediterraneo orientale nel corso della media età del Bronzo. Il carattere urbano degli insediamenti del periodo è palesato anche dalle necropoli costituite di solito da tombe a camera scavate nella roccia e progettate per contenere varie sepolture.
Altri tratti caratteristici del Protocicladico III sono la pressoché totale interruzione della produzione vascolare e di idoletti di marmo, la sensibile diminuzione della produzione ceramica con decorazioni incise e la fioritura di quella dipinta, con introduzione anche di disegni curvilinei, mentre non sono del tutto ignote rappresentazioni dipinte zoomorfe e antropomorfe. Nel corso di questo periodo, inoltre, fecero la loro comparsa piccoli insediamenti sopra colli isolati e fortificati non distanti dal mare e circondati da una cinta muraria munita di torri. Sia gli oggetti di terracotta che quelli di metallo rinvenuti in questi insediamenti, mostrano grande affinità con manufatti della stessa tipologia provenienti dall’Egeo nord-orientale. Poiché l’esistenza di questi insediamenti – essendosi protratta per una sola fase – fu di durata assai breve, ed essendo stata la loro fine provocata da una violenta invasione dall’esterno, si è sostenuto che essi avessero costituito tentativi di stanziamento falliti e avanguardie di profughi che, dopo aver abbandonato le loro sedi in isole dell’Egeo nord-orientale, intendevano stabilirsi nelle isole del Sud.
La creazione più caratteristica, ma anche quella che colpisce maggiormente, della civiltà del Protocicladico, è la sua arte. Come abbiamo visto, fin da tempi assai remoti i Cicladici iniziarono a lavorare il marmo per la creazione di opere d’arte: già in età neolitica erano apparsi idoletti che rappresentavano soltanto la figura umana, o che la rappresentavano nell’atto di svolgere una qualche funzione. Nel corso del III millennio a.C. si sviluppò una tipologia assai varia degli idoletti in marmo. La tipologia prevalente degli idoletti è quella a figura intera, mentre una varietà sempre maggiore caratterizza la tipologia delle figure in atto di svolgere una qualche funzione. Al tipo plastiràs, che è la forma più vicina all’aspetto naturale mai creata dall’arte cicladica, succedette il cosiddetto “tipo prokanonikòs”, nel quale sono ravvisabili elementi del tipo plastiràs e del tipo successivo con le braccia distese, il cosiddetto kanonikòs. Il tipo kanonikòs, con le sue numerose variazioni, predominò per la maggior parte del III millennio a.C. e diede origine a opere d’arte veramente sublimi. Una variazione, in qualche modo degenere, del tipo kanonikòs, è costituita dal tipo cosiddetto metakanonikòs.
Idoletti rappresentanti musici o altre figure in atto di svolgere determinate mansioni (figura di cacciatore, di combattente, in atto di fare un brindisi) forniscono informazioni su taluni oggetti o attività culturali di cui non ci sono pervenute tracce concrete. I mobili usati dai Cicladici, ad esempio, oppure il tipo di musica eseguita nel III millennio a.C. ci sono noti soltanto grazie agli idoletti.
Il passaggio dalla prima alla media età del Bronzo nelle Cicladi (2000-1650 a.C.) si svolse in maniera regolare, così come regolare fu il passaggio alla tarda età del Bronzo (16501100 a.C.). Gli insediamenti costieri del Protocicladico si svilupparono in grandi centri urbani e in porti commerciali, gli effetti delle cui attività superavano di gran lunga i confini dell’Egeo. Un paradigma assai caratteristico di questi centri di attività navali e commerciali è la città di Akrotiri, a Thera, che, prodigiosamente conservatasi sotto spessi strati di cenere vulcanica, costituisce un’inesauribile fonte di notizie sulla media e tarda età del Bronzo nell’Egeo. I rapporti e gli scambi con i paesi del Mediterraneo orientale, ed eventualmente anche occidentale, si svilupparono in sommo grado e segnalarono i Cicladici quali signori del mare per eccellenza. Le ricchezze accumulate per mezzo del commercio di transito e della navigazione permisero ai Cicladici di acquisire una mentalità completamente urbana e concezioni cosmopolite. Tali concezioni sono ravvisabili nell’architettura, nello sfarzo dei mobili e dell’arredamento delle case, nel tenore di vita e nell’alto livello della loro arte. Tuttavia in questo periodo l’arte scopre nuovi mezzi espressivi e, invece che alla scultura, ci si rivolge alla pittura e soprattutto all’affresco.
Fra gli abitanti di Akrotiri ha luogo una vera competizione per la decorazione delle case e degli edifici pubblici. Motivi astratti o geometrici, temi tratti dalla flora e dalla fauna, scene di vita quotidiana costituiscono la cisterna alla quale attingono gli artisti di Thera. Ma anche soggetti di carattere spirituale e sociale non sembra siano rimasti estranei alle loro tematiche. Scene di iniziazione di giovani individui, scene atletiche, di cerimonie religiose o di feste, ci rivelano aspetti della vita cicladica della media e tarda età del Bronzo che altrimenti ci sarebbero del tutto ignoti. I numerosissimi affreschi rinvenuti negli edifici portati alla luce a tutt’oggi ad Akrotiri, oltre a mettere in evidenza il grande benessere economico, sembrano dimostrare che la loro grande diffusione costituiva anche un mezzo per mettere in luce la personalità e la potenza raggiunta dai loro committenti, una maniera per mettere in risalto e segnalare la loro posizione sociale. Le copiose informazioni che possiamo ottenere dagli affreschi sulle acconciature, gli ornamenti e l’abbigliamento di moda fra le donne in quell’epoca, ma anche sulle molteplici attività economiche svolte dagli abitanti di Akrotiri, non fanno che accentuare il pregio di tali affreschi.
Lo studio dello sviluppo della struttura urbana degli insediamenti nelle isole dell’Egeo nel corso dell’età del Bronzo ha reso evidente l’assenza di un edificio che potremmo definire quale sede di un potere centrale, l’anaktoron. Per questo motivo si sostiene che il governo delle comunità isolane, in questo periodo, fosse collegiale. Ciò può essere interpretato considerando l’economia delle isole in contrapposizione a quella della Grecia continentale e di Creta. Le vaste e fertili estensioni di suolo coltivabile in quelle regioni permettevano la creazione di un’eccedenza agricola, costituendo le premesse affinché la ricchezza e di conseguenza il potere si concentrassero nelle mani di pochi. Si spiega così il motivo per cui, in quelle regioni, assistiamo fin da tempi assai remoti alla comparsa di edifici che possono essere definiti come centri di potere e, più tardi, come anaktora. Nelle Cicladi e nelle altre isole minori, invece, dove la ricchezza, prodotta da uno sforzo più collettivo, proveniva dalla navigazione e dal commercio di transito, tali premesse non vi furono. Nelle isole minori si sviluppò maggiormente l’idea dell’individuo quale cellula della società, dal momento che proprio l’individuo doveva affrontare in maniera più diretta gli elementi della natura e misurarsi con essi. Che i vasai delle Cicladi della media età del Bronzo siano stati i primi a permettersi di contrassegnare le loro opere con i marchi noti come σημεῖα τῶν κεραμέων è un dato che dimostra quanto fu precoce il riconoscimento dell’individuo quale figura di primo piano nella creazione di civiltà.
L’antropocentrismo appare un elemento generalmente assai diffuso nella civiltà delle Cicladi. In architettura non vennero creati mai edifici che non fossero a misura d’uomo: né templi imponenti, né tombe monumentali, né anaktora che riguardassero l’autorità del dio o quella del suo rappresentante sulla terra – del dinasta – sui suoi sudditi. Anche nell’ambito dell’arte il tema centrale fu la figura umana, con le occupazioni e i problemi dell’uomo. Le difficoltà incontrate dagli studiosi dell’arte cicladica nel comprendere se gli idoletti cicladici rappresentino figure umane o divine, sono sintomatiche. Infatti, nelle isole Cicladi, creatore e creazione furono plasmati il primo a immagine e somiglianza della seconda. È questo carattere antropocentrico della civiltà delle isole dell’Egeo che, radicatosi profondamente, si manifestò ancor più intensamente nella civiltà greca dei tempi storici. Ed è precisamente tale antropocentrismo che distingue la civiltà dell’Egeo dalle coeve civiltà dell’Oriente, dell’Egitto e della Mesopotamia.
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di Pietro Militello
Chiamata anche Santorini (da Santa Irene di Salonicco, morta nell’isola nel 304 d.C.), l’isola più meridionale delle Cicladi si trova 60 km a nord di Creta e fa parte, con Milo, del cosiddetto “arco vulcanico interno dell’Egeo”.
La sua morfologia è il risultato di diverse eruzioni, alcune delle quali violentissime (la più antica intorno al 100.000 a.C., almeno due in età preistorica, 16.000 e 1600-1500 a.C., diverse in età storica: 197 a.C.; 46 d.C.; 1457, 1570, 1707, 1866-70, 1925-28 d.C.) che ne hanno modificato il profilo originario. In particolare, la grande eruzione della metà del II millennio a.C., preceduta da un terremoto, portò allo sprofondamento del cono vulcanico centrale che fu invaso dal mare, mentre un’onda marina di enormi dimensioni (cd. Tsounami) si abbatté sull’Egeo sud-orientale.
Dell’isola si conservò poco più della metà occidentale del cratere, separato nei due tronconi di Thera e Therasia dall’eruzione avvenuta nel 236 a.C., e la piccola isoletta di Aspronisi. L’attività vulcanica dei secoli successivi ha portato al nascere e allo scomparire di numerose isolette, tra cui quelle di Palaia Kaimeni (196 d.C.) e Nea Kaimeni (1711-12 d.C.).
Il sito preistorico di Akrotiri si trova sul promontorio meridionale di Thera. Interamente ricoperto da uno spesso strato di pomice e detriti vulcanici, esso ha conservato quasi intatta la città con le sue suppellettili. Le strutture visibili sono tutte del Tardo Cicladico I.
Un violento terremoto all’inizio di questa fase portò infatti a un radicale rifacimento del precedente abitato del Medio Cicladico. Dopo qualche decennio, il terremoto precedente la grande eruzione provocò il crollo di alcune strutture e l’avvio di lavori di riparazione e sgombero, attestati da cambiamenti di destinazione dei vani, che erano ancora in corso al momento della distruzione finale che sigillò la città. Sono stati portati alla luce otto blocchi di abitazioni indicati con lettere greche (Alfa-Delta), o con nomi legati alla tecnica adoperata (Xestè 3-4 per l’uso dei conci), alla localizzazione (West House), ai rinvenimenti (House of the Ladies). Essi si distribuiscono lungo un sistema viario costituito da strade più larghe (2-3 m) con rete fognaria e da strade minori o semplici vicoli ciechi. La cosiddetta Via dei Telchini si allarga in una piazzetta. Le case sono a più vani, disposti su due o tre piani, spesso conservatisi per intero. L’accesso avviene attraverso una porta quasi regolarmente fiancheggiata da una finestra, che si affaccia su un vestibolo da cui si può accedere al piano superiore tramite una scala o agli ambienti del pianterreno. Gli spazi interni comprendono magazzini, vani di abitazione, di rappresentanza, latrine, spesso illuminate da ampie finestre. La tecnica costruttiva è a piccole pietre, secondo la tradizione locale, o a conci squadrati, con travi lignee in funzione antisismica, di origine minoica. Di origine cretese sono anche alcune soluzioni architettoniche come il polythyron. I corredi, conservatisi intatti, comprendono una infinita quantità di ceramica, sia fine sia grezza, strumenti di bronzo, pietra, terracotta, che gettano luce su tutti gli aspetti della vita privata. Attestati anche l’uso delle cretule e quello della scrittura in lineare A. Le impronte in negativo lasciate dai materiali decomposti all’interno della pomice hanno permesso di recuperare la forma di letti (di legno con rete di fibre vegetali), portantine, contenitori vari. Tra i rinvenimenti più importanti bisogna menzionare gli affreschi splendidamente conservati, che permettono in alcuni casi la ricostruzione della decorazione di interi vani. I temi sono figurativi, con soggetti umani (divinità e fedeli, raccolte del croco, fanciulli lottatori), animali (scimmie, antilopi), vegetali (cd. Affresco della Primavera), dipinti sia su ampie superfici, sia su registri di piccolo formato (affreschi miniaturistici dalla West House). Mentre in alcuni casi nelle pitture più complesse si è voluto vedere la celebrazione delle attività del padrone di casa (West House), in altri casi gli ambienti, di piccole dimensioni, sembrano costituire dei sacelli ed è stata notata la ricorrenza di almeno uno di questo tipo di ambiente in ogni settore (Alfa, Beta 1, Delta 2, West House, House of the Ladies). Un intero settore, infine, Xestè 3, è stato interpretato come un edificio pubblico destinato a riti di iniziazione per fanciulli e fanciulle, in quanto provvisto di polythyron e bacino lustrale e decorato con scene di raccolta e offerta del croco da parte di fanciulle e donne e di offerte da parte di fanciulli e maschi adulti. La fortissima influenza cretese nelle tecniche costruttive, nella decorazione parietale, nelle tecniche della tessitura, nell’uso di sistemi grafici e ponderali hanno portato alcuni studiosi a considerare Thera una colonia cretese per il controllo minoico delle Cicladi, interpretazione a cui si oppone quella che considera Akrotiri un sito autonomo, legato semplicemente da rapporti commerciali con Creta.
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Ch.G. Doumas, Thera. Pompei of the Ancient Aegean, London 1983.
Si vedano anche gli atti dei tre congressi: Thera and the Aegean World I (Thera 1970), London 1978; II (Santorini 1978), London 1980; III (Santorini 1989), London 1990.
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Pitture:
Ch.G. Doumas, The Wall Paintings of Thera, London 1992.
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