PALLAVICINO, Lazzaro
PALLAVICINO (Pallavicini), Lazzaro. – Nacque a Genova il 13 giugno 1684, secondogenito maschio del marchese Giovan Francesco II e di Aurelia Spinola di Lazzaro.
Benché appartenesse al ramo primogenito della potente famiglia di nobiltà vecchia, e recasse il nome del famoso nonno materno, Lazzaro Spinola Grimaldi Cebà, energico feudatario-padrone di Masone, Pallavicino non fu ascritto alla nobiltà, a differenza del padre (ascritto nel 1661) e del fratello primogenito, Paolo Girolamo II, nato nel 1677 e ascritto nel 1699. Del nucleo familiare facevano parte anche cinque sorelle, due monacate e tre – Maddalena, Livia, Giovanna – sposate rispettivamente a Gian Agostino Centurione di Giulio, a Felice Spinola di Girolamo e a Francesco Grimaldi di Raniero, secondo la abituale solida politica matrimoniale tra grandi patrimoni. La non iscrizione di Pallavicino alla nobiltà può trovare giustificazione sia nella caratteristica della famiglia di privilegiare il prestigio economico su quello politico, ritenuto improduttivo, sia nella precoce destinazione ecclesiastica prevista per il secondogenito.
Del resto, i Pallavicino, oltre a svolgere un intenso impegno a favore dei gesuiti e di sostegno agli istituti ecclesiastici (tra le altre opere, il padre di Lazzaro provvide all’elegante restauro della parrocchia gentilizia di famiglia, la deliziosa S. Pancrazio, che era stata danneggiata dalle bombe francesi nel 1684), cercarono sempre di avere un alto prelato presente a Roma (forse anche favoriti dalla loro prerogativa di monopolisti dell’allume negli Stati pontifici). Particolarmente potenti, tra Sei e Settecento, furono uno zio paterno di Lazzaro, Opizio (referendario di papa Innocenzo X e cardinale nel 1686, con sostanziose ambizioni papali, frustrate dalla morte nel 1700) e l’ancor più famoso nipote, Lazzaro Opizio, figlio di Paolo Gerolamo II, cardinale e segretario di Stato di Clemente XIV. Con quest’ultimo in particolare, quando ne sia tralasciato il secondo nome Opizio, Lazzaro può essere confuso, anche se la sua pur prestigiosa carriera fu improntata a maggiore modestia di intenti e di risultati. Ciò appare confermato anche dalle fonti biografiche principali (Litta, 1819-83 ed Eubel, 1952), al di là di alcune discrepanze che esse presentano, e che non sempre possono essere risolte neppure dalla analisi dei documenti contenuti nel vastissimo archivio della famiglia.
Secondo Eubel, Pallavicino conseguì la laurea in utroque iure presso la Sapienza in Roma il 10 ottobre 1701, e assunse gli ordini minori, suddiaconato, diaconato e presbiterio in rapida successione il 23 e 24 novembre e il 1° e l’ 8 dicembre 1720, dopo che era stato nominato governatore di Città di Castello il 16 gennaio 1710 e di Ancona il 17 aprile 1717. Secondo Litta, invece, sarebbe stato nominato protonotario apostolico nel 1706 da Clemente XI e governatore di Città di Castello nel 1712. L’uno e l’altro indicano, senza data, le successive nomine: prima a governatore di Spoleto e, in occasione di una carestia, a prefetto dell’Annona nel Piceno; poi, nel 1718 l’invio a Malta in qualità di inquisitore.
Anche se la accurata Storia di Malta di Agostino Savelli (Milano 1943) non fa cenno di questa missione di Pallavicino, o di un motivo specifico che potè motivarla, il passaggio dell’arcipelago militense, insieme con la Sicilia, dalla Spagna a Vittorio Amedeo II di Savoia, decretato dalla pace di Utrecht nel 1713, può costituirne la giustificazione generale. Tanto più che il balì di Malta era allora il genovese Giambattista Spinola (la cui famiglia era tra le più intrecciate con i Pallavicino), che aveva dovuto recarsi a Palermo per prestare giuramento di fedeltà, in nome del gran maestro e della Sacra milizia gerosolomitana, al nuovo sovrano sabaudo, che confermò all’Ordine i precedenti privilegi. Ma l’Ordine riconosceva come suprema autorità proprio il pontefice, da cui nell’isola dipendevano direttamente altre due autorità, inquisitore e vescovo, in un gioco di rivalità di potere a tre con il gran maestro: rivalità di cui la popolazione approfittava, ponendosi sotto la giurisdizione ora dell’uno ora dell’altro, con preferenza per l’inquisitore, i cui ‘patentati’ passavano sotto l’immediata protezione della S. Sede e ottenevano che le cause civili e criminali venissero giudicate, in prima istanza, dal tribunale dell’Inquisizione a Malta e in appello a Roma, sottraendosi all’autorità del gran mastro e dei cavalieri. D’altra parte, Clemente XI, come il suo predecessore Innocenzo XII, era un riconosciuto amico dell’Ordine (anche per l’influenza che in Curia esercitava su di lui il cardinale senese Anton Felice Zondadari, il cui fratello Marcantonio avrebbe rivestito la suprema carica dell’Ordine dal 1720), e quindi l’incarico di Pallavicino potrebbe essere stato di routine o tutt’al più motivato, date le sue competenze giuridiche, da divergenze allora acuitesi attorno al vescovo Cocco Palmieri.
Nel 1721 Pallavicino, insignito anche del nuovo titolo di arcivescovo di Tebe, fu inviato come nunzio apostolico a Firenze. Eubel dà come data della nomina il 5 marzo. Una filza di 122 tra ricevute e documenti giustificativi di cassa delle uscite per la gestione domestica, conservati nell’Archivio Pallavicini a Genova (Gli Archivi Pallavicini di Genova, 1994, p. 115), testimonia che la permanenza a Firenze si protrasse fino a tutto il dicembre 1724. Ma, dal momento che le storie liguri sul periodo, neanche quelle di argomento religioso come i celebri Secoli cristiani di Liguria del padre Giovanni Semeria, menzionano il vescovo Pallavicino, probabilmente solo documenti conservati negli archivi vaticani potrebbero illuminare sugli aspetti importanti ‒ problemi specifici affrontati, ideologia, esiti ‒ delle sue missioni.
Certo la sua condotta dovette incontrare la soddisfazione della parte più moderata delle alte gerarchie ecclesiastiche, se Clemente XII (1730-40), lo volle a Roma come maestro di camera, dopo che nel 1731 Pallavicino ebbe rifiutato la nomina all’arcivescovato di Benevento, temendo forse i primi segnali di quella politica anticuriale che a Napoli, con Bernardo Tanucci e lo stesso Carlo di Borbone, avrebbe aperto un cinquantennio di lotte con la S. Sede. Del resto, Clemente XII non seppe fronteggiare i problemi posti dai governi riformatori, e nel 1738 promulgò la prima condanna della massoneria, di cui erano state scoperte alcune logge, oltre che a Roma e a Napoli, anche in Toscana; e non si può escludere che attorno a queste ultime lo stesso Pallavicino fosse in qualche modo intervenuto proprio durante la nunziatura fiorentina. Invece, la politica concordataria, e moderatamente aperta ai lumi, avviata dal nuovo pontefice Benedetto XIV (1740-58) non dovette trovare la condivisione di Pallavicino, che comunque preferì rifiutare la porpora offertagli dal papa adducendo voto di umiltà.
Rimase tuttavia a Roma, dove morì il 28 gennaio 1744.
I vasti beni che aveva ereditato dalla combattiva madre (che fino alla morte, avvenuta nel 1730, fu in perenne contesa, anche giudiziaria, col primogenito Paolo Gerolamo II), insieme con quelli ereditati in gioventù dallo zio paterno cardinale Opizio, passarono ai figli del fratello, appunto Paolo Gerolamo II; Giovan Francesco, diplomatico e senatore; Lazzaro Opizio, cardinale; Giovanni Carlo, doge nel 1785-87, che rimase l’erede complessivo delle varie successioni.
Fonti e Bibl.: N. Battilana, Genealogie delle famiglie nobili di Genova, III, Genova, 1828, p. 27; P. Litta, Famiglie nobili d’Italia, VI, Milano 1819-83, c. XIII; C. Eubel, Hierarchia catholica, V, Padova 1952, p. 374; Gli Archivi Pallavicini di Genova, inventariati a cura di M. Bologna, in Archivio della Società ligure di storia paria, n.s., XXXIV (1994), pp. 12, 22, 26 s., 78, 87, 115.