BACIO TERRACINA, Laura
Nacque a Napoli nel 1519.
La famiglia di origine bresciana si era trasferita nei primi decenni del sec. XIII a Roma ove partecipò alle contese fra il papa e i Colonna, ottenendo da questi (o dai Corsini) privilegi e giurisdizione su Terracina. Per sfuggire alla politica della Chiesa impegnata a reprimere le ambizioni particolaristiche delle potenti famiglie romane, si stabilì a Napoli e in questa città si distinse per la fedeltà dimostrata al servizio della corona angioina: nell'esercito regio militava sullo scadere del sec. XIV, Musa da Terracina, signore del territorio di Vatio o Batio in Capitanata, onde l'aggiunta del nome Bacio a quello di Terracina. Ma nonostante nobiltà così antica e i meriti conquistati sotto la monarchia, i Terracina non vennero iscritti in nessuno dei cinque seggi in cui era suddivisa Napoli. Alla morte di Ferdinando I d'Aragona, autorità notevole raggiunse Paolo, il padre della B., signore dei castelli di S. Crispano e di S. Demetrio in provincia di Lecce, mentre uno zio della poetessa, Domenico, esercitò per tre volte l'ufficio di eletto del popolo e fu partigiano risoluto del viceré Toledo suscitando, per l'intransigenza dimostrata in una repressione, l'odio popolare e lo sdegno di un poeta anonimo: "Giuda tradì sol Cristo coll'ingegno, / Tu perfido villano annobilito / Me che t'ho fatto Eletto e tutto il regno ... Al quale la B. replicava nella sua prima raccolta di liriche: "Ben puoi, Napoli mia, ciechi e mal accorti / Sempre chiamar i cittadini tuoi / Che fuor d'ogni saper, d'ogni consiglio / Han la fama e l'onor posti in periglio".
Legata alla figura del Toledo e in genere orientata verso la tradizione politica della nobiltà filospagnola, si spiega la formazione intellettuale della B. nutrita di una non perfetta e profonda istruzione classica ma fervida di sollecitazioni culturali, aperta ad esperienze di vita tanto più ricche e comprensive quanto più intransigente diveniva a Napoli il programma di una direzione culturale prima che le libere accademie fossero definitivamente soppresse.
Questa trama di rapporti cordiali che la B. cerca di stabilire con un vasto pubblico di letterati è quanto costituisce l'interesse della prima raccolta di Rime pubblicate a Venezia nel 1548 e dedicate a Vincenzo Belprato conte d'Aversa. Fu concepita come un atto di omaggio verso coloro cui la scrittrice riconosceva il merito di aver influito sul proprio noviziato poetico: Marco Antonio Passero, Ludovico Domenichi, A. F. Doni, e a tale in fondo si riduce il valore di queste liriche, povere di un autentico contenuto affettivo e disperse dietro un ideale inappagato di decoro formale che nella B. si dissolveva all'urgenza di un'ispirazione frammentaria e occasionale. Non va tuttavia sottovalutato il significato di queste esercitazioni stilistiche che pur nella loro superficialità rappresentano un tentativo notevole di stabilire un discorso poetico diretto e spigliato, quasi del tutto estraneo a quell'esigenza di raccoglimento (dettata essenzialmente da ragioni di ordine moralistico) che caratterizzeranno l'ultima stagione dell'attività poetica della Bacio.
Allora si renderanno ancora più evidenti i limiti di una inadeguata mediazione letteraria, ma per adesso la produzione della B. si impone per la varietà dei temi e la spontaneità giovanile dell'ispirazione, in questa fase irripetibile della sua carriera letteraria. Così si spiega il successo notevole di questa raccolta che ebbe cinque ristampe nel Cinquecento (Venezia 1549, 1550, 1554, 1556, 1560) e due nel secolo successivo (Napoli 1692 e 1694): frutto di un'esperienza proficua maturata nell'ambito dell'Accademia degli Incogniti durante il breve periodo (1545-47) in cui l'Accademia svolse un ruolo non secondario nella vita culturale napoletana sotto la guida di Baldassarre Maracco e poi di Giovan Francesco Brancaleone, ma soprattutto da intendersi come il risultato di una collaborazione attiva con alcuni personaggi di primo piano, fossero essi scrittori di rango: Angelo Di Costanzo, Marco Antonio Epicuro, il Minturno, il Tansillo, o mecenati famosi come Isabella Villamarina, principessa di Salerno o il marchese di S. Lucido Ferrante Carafa.
Uguale successo non propiziò la pubblicazione delle Rime seconde (Firenze 1549) che non ebbe ristampe, ma nel corso dello stesso anno la B. terminava il Discorso sopra tutti li primi canti di Orlando Furioso,Venezia 1549, che ristampato ben nove volte fino al 1608 (insieme alle prime rime) consacrò definitivamente la reputazione letteraria della scrittrice nel Parnaso dei poeti contemporanei.
Si tratta di un volume di rime formato da quarantasei canti di sette ottave ciascuno, i versi finali dei quali la B. trasse dalle prime ottave di ciascun canto dell'Orlando Furioso. Ma l'artificio letterario serve alla poetessa per sperimentare alcuni temi morali: riflessioni sul destino umano, note di rimpianto sulla fugacità della giovinezza, ed è significativo che l'avvio ad una poesia raccolta e meditativa si svolga sulla base di un capovolgimento della materia ariostesca considerata nella misura di una puntuale ritrattazione.
Questo schema sarà ripristinato ne La seconda parte de' Discorsi sopra le seconde stanze de' Canti d'Orlando Furioso, Venezia 1567, improntate a una sincerità dura, dolorosa, quasi virile, mentre nelle Quarte Rime (Venezia 1550, Lucca 1551, Venezia 1560), nelle Quinte (Venezia 1552, 1558) e nelle Seste (Lucca 1558 e Napoli 1560 e 1694) si assiste ancora a una sorta di sdoppiamento tra un'ispirazione occasionale volta al tema dell'elogio, e una vena più sottile e corrosiva di certa moralità aderente superficialmente alle forme della conversazione e del trattenimento, che stenta tuttavia a precisarsi per difetto di sintesi. È il momento dei facili amori per Giovan Alfonso Mantegna di Maida e per Diomede Carafa che si concludono nel matrimonio ripensato e non interamente felice con Polidoro Terracina, dell'amicizia col Tansillo tramite il comune protettore Pietro Antonio Sanseverino principe di Bisignano, della morte del Toledo che la B. compiangerà in una poesia sinceramente commossa. Come sincera e intonata è questa condanna della povertà che rappresenta forse il risultato piùsicuro di tutta la poesia moralistica della B.: "Gran disgrazia ha dal ciel chi pover nasce / Perché è dal mondo odiato e da la sorte. / Di fame e di speranza ognor si pasce, / Né l'infemo lo vuole e né la morte".
Il settimo volume di rime si compone di stanze elegiache dedicate alle donne napoletane vedove (Sovra tutte le donne vedove di questa nostra città di Napoli titolate et non titolate,Napoli 1561).
Ormai il tema della meditazione e del rimpianto si è definitivamente affrancato dal tono d'occasione della prima maniera. È un lungo soliloquio sulla nostalgia della giovinezza perduta, sulle speranze che una vita familiare contraria e ostile al prestigio letterario ha fatto cadere, sulla instabilità della fama, sulla dissoluzione morale e l'ipocrisia che rendono irriconoscibili gli amici di un tempo: una poesia in nuce che tende a effetti sinceri e tuttavia seguita a lasciare perplessi per certa superficialità nella scelta dei motivi e l'indifferenza di fronte a una cifra stilistica per molti aspetti ancora provvisoria.
Fra il 1570 e il 1572 la B. intraprese un viaggio a Roma: "Dunque non è secondo il parer mio - confessava rivolgendosi al cardinal Morone - Senza l'alto voler che mi mantiene / Che volendo lasciar queste sirene / Quì giunta sia ove quietar spero io...". A Roma scrisse probabilmente tutta la raccolta di sonetti che indirizzò ai cardinali convenuti per l'elezione del pontefice Gregorio XIII e attese all'ultimo volume di rime ove l'estrema esaltazione della propria individualità morale e poetica cede all'esigenza del raccoglimento mistico, della rinuncia e del conforto nella religione.
Nel novembre del 1577 firmava al cardinale Ferrante de' Medici l'epistola dedicatoria di quest'ultimo volume che si conserva manoscritto nel codice CCXXIX della Biblioteca Nazionale di Firenze. Forse morì nello stesso anno.
Bibl.: N. Toppi, Biblioteca napoletana,Napoli 1678, pp. 186, 394; G. B. Tafuri, Istoria degli scrittori nati nel Regno di Napoli,III,2, Napoli 752, p. 145; P. L. Ferri, Biblioteca femminile italiana,Padova 1842, pp. 365-367; C. Minieri Riccio, Memorie storiche degli scrittori nati nel Regno di Napoli,Napoli 1844, p. 350; G. Bresciano, Ricerche bibliografiche. I. Di tre rarissime edizioni napoletane del sec. XVI sconosciute ai bibliografi,in Revue des bibliothèques,IX (1899), pp. 21-34; L. Maroi, L. T.Poetessa napoletana del sec. XVI,Napoli 1913 (rec. da E. Percopo, in Rass. critica d. letter. ital.,XX [1915], pp. 131-133); B. Croce, La casa di una Poetessa,in Storie e leggende napoletane,Bari 1923, pp. 275 ss.; A. Borzelli, L. T. Poetessa napoletana del 500, Napoli 1924 (rec. da E. Percopo, in Rass. critica d. letter. ital.,XXIX [1924], pp. 259-263); Id., Luigi Tansillo,Napoli 1937, passim;Id., Giovan Vincenzo del Prato, Dianora Sanseverino, L. T. e Vittoria Capano,Napoli 1937.