LATTANZIO da Rimini
Non è nota la data di nascita di questo pittore riminese, documentato per la prima volta nel marzo del 1492, quando è citato come aiuto di Giovanni Bellini nel ciclo di teleri per la sala del Maggior consiglio in Palazzo ducale a Venezia, perduto nell'incendio del 20 dic. 1577. Gli altri artisti che facevano parte della bottega belliniana in quell'impresa erano C. Caselli, M. Marziale, F. Bissolo e V. Dalle Destre. Nell'ottobre dello stesso 1492 a L. fu concesso un aumento da 40 a 48 ducati del compenso annuo, una cifra inferiore solo a quella percepita da Bellini e da Alvise Vivarini, altro pittore di spicco di quella commissione dogale, ma notevolmente superiore a quella accordata agli altri aiuti (Fiocco, p. 363; Fortini Brown, p. 275, doc. 11).
Databile agli anni Novanta del Quattrocento era una Madonna con il Bambino tra i ss. Giovanni Battista ed Elisabetta - firmata "Aluno Latanzio" e, fino al 1945, quando andò distrutta, conservata nello Schlossmuseum di Berlino (Fiocco, p. 363; Tempestini, p. 147) - conosciuta attraverso due versioni di area belliniana, una a Urbino (Galleria naz. delle Marche) e una, la migliore, eseguita forse in collaborazione con N. Rondinelli, nella pinacoteca dello Städelsches Kunstinstitut di Francoforte sul Meno.
Nel 1495 L. era ancora attivo in Palazzo ducale a Venezia e nel 1499, data attestata dalle fonti, eseguiva una Predica di s. Marco per la cappella della Scuola dei setaioli, nella chiesa di S. Maria dei Crociferi, nel sestiere di Cannaregio, passata ai gesuiti nel 1657 (Sansovino, 1604; Boschini, 1664).
La decorazione della cappella prevedeva una pala d'altare, l'Annunciazione di G.B. Cima da Conegliano, e quattro tavole con scene dalla vita di s. Marco dello stesso Cima, di G. Mansueti, di L. e di un quarto pittore ignoto. Il ciclo, come suggerisce Fortini Brown (p. 68), fu eseguito molto probabilmente sotto la direzione di Cima e collocato nella cappella; ma le tavole, compresa quella dell'Annunciazione, furono rimosse e ridislocate forse già al momento del passaggio della chiesa ai gesuiti. Certamente non erano più nella loro collocazione originaria nel 1674 (Boschini, 1674, p. 11). Di questo ciclo, oltre alle scene dipinte da Cima e da Mansueti, rispettivamente a Berlino (Gemäldegalerie) e Vaduz (collezione del principe di Liechtenstein), rimane un disegno messo in relazione alla tavola di L., la Predica di s. Marco, già a Chatsworth (collezione del duca di Devonshire).
Da questi primi dati si comprende come Bellini e Cima - con l'aggiunta di V. Carpaccio - siano stati punti di riferimento costanti per L., le cui opere certe sono disseminate di prestiti ora dall'uno ora dall'altro artista.
Tuttavia, come per gli altri "belliniani", la ricostruzione del percorso artistico di L. all'interno della bottega del maestro è fortemente ostacolata dalla perdita dei teleri della sala del Maggior consiglio, dalla perdita cioè del "centro" nella storia del percorso dello stesso Giovanni Bellini (Gentili, 1991, p. 28). Si può supporre che tra la fine del Quattrocento e l'inizio del Cinquecento, quando la sua bottega diventò probabilmente la più prestigiosa della città, Bellini avesse cominciato ad affidare ai suoi allievi e aiuti una larga parte di quelle opere a carattere devozionale che con sempre maggiore frequenza gli venivano richieste, riservandosi le commissioni più importanti, quelle pubbliche. La lacunosità della documentazione rende peraltro molto difficile delineare con chiarezza le funzioni di ciascun allievo e il modo in cui esse si organizzavano e frequentemente si sovrapponevano all'interno della bottega. L'esercizio attributivo si complica ulteriormente intorno a quella che è stata definita "la data sintomatica dell'imbarazzo" (Id., 1985, p. 46), il 1500, il momento in cui si registrano le maggiori incertezze e oscillazioni nel catalogo belliniano.
A cavallo tra i due secoli dovrebbe situarsi il Cristo morto sorretto da Maria e Giovanni Apostolo (Berlino, Gemäldegalerie), di cui è stata proposta, con molte cautele, l'attribuzione a L. (ibid., pp. 45 s.), per la vicinanza stilistica con un'altra opera assegnata al pittore riminese, la Madonna con il Bambino e santi (Birmingham, collezione Wall). Del dipinto di Berlino sono note molte varianti, una delle quali, conservata nel collegio Nazareno di Roma e databile tra il 1510 e il 1520, è da ascriversi a un pittore che guarda al prototipo belliniano, la splendida grisaille degli Uffizi, con gli strumenti di un imitatore impiegato per una committenza ultratradizionalista (ibid., pp. 46 s.): difficile dire se si tratti di Lattanzio.
Uno snodo importante nella vicenda artistica di L. è costituito dal contratto, firmato a Venezia il 25 luglio 1500, per un polittico destinato alla chiesa parrocchiale di Piazza Brembana, ancora in situ. L'opera è firmata e datata "Latantio ariminens[is]1503" (I pittori bergamaschi, p. 135; Tempestini, p. 144, secondo il quale soltanto la firma sarebbe autentica, mentre la data andrebbe anticipata al 1501).
La scena centrale, centinata, rappresenta l'episodio di S. Martino a cavallo che offre al povero metà del suo mantello. Nei quattro pannelli laterali, altrettante coppie di santi: in basso a sinistra Pietro e Paolo; a destra Giacomo Maggiore e Giovanni Evangelista; in alto a sinistra Antonio da Padova e Michele Arcangelo; a destra Giovanni Battista e Bernardo. Nel contratto i committenti specificavano che le figure dovevano essere "de beleza de quele che sono sopra la pala grande de S. Zuan Bragola" (Ludwig, p. 32). Lo sforzo di emulare la "beleza" del Battesimo di Cristo di Cima per la chiesa veneziana di S. Giovanni in Bragora, già riconosciuto come un capolavoro dai contemporanei, spiega come il polittico di S. Martino - anche se memore di Cima solo nello sfondo paesistico - sia da considerare una delle opere migliori di L., nonché una delle più aggiornate giunte in Val Brembana a inizio Cinquecento. L. aggira sapientemente la limitazione spaziale, imposta dal formato, unificando le tre scene inferiori in primo piano con la dettagliatissima balza di un pianoro sassoso e, sul fondo, con la linea continua delle montagne del paesaggio. Le figure, disposte in modo rigidamente simmetrico, richiamano iconografie carpaccesche, specie il gruppo di s. Martino e il cavallo.
Nel 1505 "Latantio de Ariminio" firmò e datò una tavola con S. Giovanni Battista tra i ss. Pietro e Giovanni Evangelista per la chiesa parrocchiale di S. Giovanni Battista, situata in un piccolo centro dell'alta Val Brembana, Mezzoldo.
Lo spazio unificato del dipinto rappresentò una novità troppo avanzata e non avrà seguito nelle valli bergamasche, dove si continuerà a richiedere polittici anche più tardi e a pittori di ben altro calibro, come L. Lotto e I. Palma il Vecchio. Entrambe le opere furono eseguite a Venezia e da lì inviate nella valle bergamasca, accompagnate dal pittore e dal corniciaio che avrebbero vegliato sulla corretta messa in opera dei pezzi (Bergamo…, pp. 43 s.). Questi due lavori si collocavano all'interno di un fenomeno di "importazione" di dipinti da Venezia da parte di una committenza costituita di emigrati che si proponevano di accrescere la loro visibilità nei luoghi d'origine, in genere centri piuttosto arretrati e la cui economia dipendeva in gran parte dalle rimesse dei concittadini espatriati.
Firmata da L. è anche un'altra tavola (Museo della Città di Rimini) con la Madonna tra Giovanni Battista e s. Girolamo, che sembrerebbe derivare sia dalla Madonna tra quattro santi e un donatore, di area belliniana (appartenuta alla famiglia Pesaro e ora al Louvre), databile tra l'ultimo decennio del Quattrocento e l'inizio del Cinquecento, sia dalla Sacra Conversazione cosiddetta "Giovanelli di Bellini", collocabile ai primi anni del Cinquecento (Venezia, Gallerie dell'Accademia).
Heinemann (1962, p. 112) data intorno al 1505 una Madonna con il Bambino attribuita a L. e di ubicazione ignota (Fiocco, pp. 368-370). Altre opere, di funzione esplicitamente devozionale, sono attribuite a L., la più nota delle quali è la Madonna con il Bambino appartenente alla collezione Kress e depositata presso la University Art Gallery di Notre Dame, IN, databile a dopo il 1505, replica quasi letterale della cosiddetta Madonna del Prato di Bellini (Londra, National Gallery). Attribuibili a L. sono inoltre una Madonna con il Bambino del Fogg Art Museum di Cambridge, MA (Tempestini, p. 148) e un S. Giovanni Battista nel Museo della Città di Rimini, che riprende lo stesso santo nello scomparto centrale del cosiddetto trittico di S. Cristoforo della Pace di Bellini, chiesa che sorgeva un tempo in un'isola vicina a quella di S. Michele a Venezia. L'opera giunse al Kaiser-Friedrich Museum di Berlino e andò dispersa durante la seconda guerra mondiale.
Tra i ritratti gli viene attribuito ormai saldamente quello virile (nella Nivågårds Malerisamling a Nivå, in Danimarca) e, con formula dubitativa, quello di Giovane con parrucca di feltro della Gemäldegalerie di Berlino (ibid., p. 152). A L. era riferita una pala a Noale, di recente inserita nel catalogo di C. Caselli (ibid., p. 147), con S. Giovanni Battista tra i ss. Pietro e Paolo, opera che deriva dalla pala di Cima per la chiesa veneziana della Madonna dell'Orto. Non sono note opere successive, sebbene sia negli aggiornamenti del fondamentale catalogo di Heinemann sia nel saggio su L. di Tempestini (pp. 148-153) siano discusse vecchie e nuove attribuzioni.
Di ritorno a Rimini, nel 1509 L. è registrato tra i membri del Consiglio comunale. Nel 1511 e nel 1524 assistette a due rogiti; sempre nella città natale dovette avvenire la sua morte, di cui non è nota la data (ibid., p. 143).
Fonti e Bibl.: F. Sansovino, Venetia città nobilissima et singolare…, Venezia 1581, pp. 60b-61; Id., Venetia città nobilissima et singolare…, ibid. 1604, p. 147; Id., Venetia città nobilissima et singolare descritta dal Sansovino con nove e copiose aggiunte di d. Giustinian Martinioni, ibid. 1663, p. 169; M. Boschini, Le miniere della pittura, Venezia 1664, pp. 421 s.; Id., Le ricche miniere della pittura, ibid. 1674, pp. 10 s.; F.M. Tassi, Vite de' pittori, scultori e architetti bergamaschi (1793), a cura di F. Mazzini, II, Milano 1970, p. 49; G. Ludwig, Archivalische Beiträge zur Geschichte der venetianischen Malerei, in Jahrbuch der Königlich Preussischen Kunstsammlungen, XXVI (1905), pp. 26-34; G. Fiocco, Piccoli maestri, I, L. da Rimini, in Bollettino d'arte, II (1922), pp. 363-370; G. Gronau, Le opere tarde di Giovanni Bellini, in Pinacotheca, I (1928-29), pp. 116 s.; B. Berenson, Italian pictures of the Renaissance. Venetian school, I, London 1957, pp. 95 s.; F. Heinemann, Giovanni Bellini e i belliniani, Venezia 1962, pp. 111-114; F. Gibbons, Practices in Giovanni Bellini's workshop, in Pantheon, XXIII (1965), pp. 146-155; T. Pignatti, L'opera completa di Giovanni Bellini, Milano 1969, pp. 102 s. (nn. 140, 141, 143, 151, 152, 154); P. Humfrey, Cima da Conegliano, Cambridge 1983, pp. 82-84; R. Pallucchini - F. Rossi, Giovanni Cariani, Bergamo 1983, pp. 316 s.; A. Gentili, in Laboratorio di restauro (catal.), Roma 1985, pp. 44-49; P. Fortini Brown, Venetian narrative painting in the age of Carpaccio, New Haven-London 1988, pp. 68, 275, 286 s.; F. Heinemann, Giovanni Bellini e i belliniani. Supplemento e ampliamenti, Hildesheim-Zürich-New York 1991, pp. 7, 15, 17, 19, 26, 42; A. Gentili, Giovanni Bellini, la bottega, i quadri di devozione, in Venezia Cinquecento, I (1991), 2, pp. 27-60; I pittori bergamaschi. Il Quattrocento, II, Bergamo 1994, pp. 101-110, 133-135; P.G. Pasini, Museo della Città, Rimini 1995, pp. 34 s.; A. Tempestini, Bellini e belliniani in Romagna, Firenze 1998, pp. 143-167; Bergamo. L'altra Venezia. Il Rinascimento negli anni di Lorenzo Lotto (catal.), a cura di F. Rossi, Milano 2001, pp. 43-47; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXII, p. 427.