LANDUCCI, Lando
Nacque a Sansepolcro il 2 giugno 1855, da Pietro e Amelia Camaiti. Svolse gli studi secondari ad Arezzo. Iscritto alla facoltà di giurisprudenza di Pisa, seguì le lezioni di F. Carrara, F. Buonamici, B. Scolari. Fu allievo di F. Serafini, sotto la cui guida conseguì la laurea il 12 luglio 1877, discutendo una tesi su La novazione nelle obbligazioni correali attive, dichiarata degna di stampa (Bologna 1877). Quattro mesi dopo la laurea, fu chiamato a insegnare, come docente di diritto romano, nella Libera Università di Urbino. Si trasferì, poi, a Padova, dove conseguì, nel 1880, l'ordinariato. Gli fu assegnata, in un primo momento, la cattedra di istituzioni di diritto romano. Dal novembre 1885 fino al pensionamento, tenne i corsi di diritto romano, insegnando anche esegesi delle fonti, storia del diritto romano, diritto comune e diritto civile. Fu preside, per due volte, della facoltà di giurisprudenza e svolse la professione di avvocato.
Appartengono a questo periodo una serie di studi caratterizzati dall'esegesi, in chiave diacronica, della giurisprudenza romana e dei glossatori quali: Le obbligazioni in solido secondo il diritto romano (Verona-Padova 1880); Il regresso nelle obbligazioni correali (Padova 1888). In questi lavori il L. intende l'obbligazione in generale come vincolo personale fondato sulla volontà delle parti e presuppone in particolare che la solidarietà sottenda una pluralità di obbligazioni con oggetto eguale. La "correalità" è intesa, anche agli effetti dell'ammissibilità del regresso successivamente all'adempimento, come eccezione alla regola generale della "parziarietà". Il L. distingue inoltre il genus delle obbligazioni in solido nelle species di correali e solidali, a seconda di come si presenti l'elemento caratterizzante dell'eguaglianza della prestazione ("identità" ovvero "eguaglianza semplice"). Si interessò anche al tema dei modi di acquisto della proprietà, avuto riguardo ai profili specifici dell'avulsio, dell'acquisto di res nullius per occupazione, a fronte dello ius prohibendi del proprietario o del possessore del fondo. Si segnalano, in tal senso: Il diritto di proprietà e il diritto di caccia presso i Romani (Bologna 1883), i cui temi sono sviluppati nella voce Caccia, in Enc. giuridica italiana, III, parte 1, sez. 1, Milano 1898, pp. 2-502. Un'analisi organica dei modi di acquisto della proprietà a titolo originario e derivativo è poi sviluppata nelle Lezioni di diritto romano (Padova 1904-05). Sul versante pubblicistico, il L. è autore di un manuale per l'insegnamento della Storia del diritto romano, materia allora nascente (Padova 1886). L'edizione definitiva (Storia del diritto romano dalle origini alla morte di Giustiniano, Padova 1886-98) è divisa in tre volumi e offre un esauriente quadro delle dottrine dell'epoca, con particolare riguardo ai profili della storia delle fonti, della storia del diritto pubblico e della storia del diritto penale. Sempre in questo periodo, il L. collaborò alla traduzione e annotazione del Commentario delle Pandette di F. Gluck (Milano 1890), opera diretta da F. Serafini e P. Cogliolo, di cui il L. curò il libro IV, relativo alla restitutio in integrum e al de receptis. Seguì inoltre, arricchendola della giurisprudenza e delle dottrine civilistiche italiane dell'epoca, la traduzione di C. Aubry - C. Rau - S. Zachariae, Corso di diritto civile (Torino 1890-1908).
Sposato con Adelina Serafini, figlia del suo maestro, divise la sua vita fra carriera universitaria e attività politica. Fu consigliere provinciale ad Arezzo; poi deputato dal 1900 al 1919 nel gruppo della destra liberale. Strenuo interventista di parte nazionalista, fu tra i primi a entrare nel Fascio parlamentare di difesa nazionale, insieme con L. Federzoni. Nel 1924 il L. aderì al fascismo e ottenne l'apertura di un corso di diritto corporativo nell'Università di Padova. Fu nominato senatore del Regno il 6 apr. 1934, quand'era ormai in età avanzata e in cattive condizioni di salute.
Il L. morì a Firenze il 7 genn. 1937.
L'interesse per il diritto romano ne caratterizzò anche le scelte politiche. Esiste, infatti, un rapporto di continuità fra il modo di ragionare dello storico del diritto di fine Ottocento e la successiva adesione al fascismo. Fin da giovane il L. concepì il diritto come rappresentazione dello spirito e dell'indole dei diversi popoli, in cui si rivelerebbe tuttavia un elemento costante, specchio della coscienza e delle esigenze universali dell'uomo, cioè della civiltà. Il diritto romano, o meglio, l'opera dei giureconsulti raccolta nelle Pandette di Giustiniano sono intesi come diritto universale in quanto esprimono quei bisogni umani che rimangono costanti nella storia. In questa prospettiva, di là dalle modificazioni del linguaggio riscontrabili in alcuni discorsi tenuti negli anni Trenta, l'adesione al fascismo non incise sulla sua originaria visione del mondo, che rimase ancorata all'idea ottocentesca del parallelo svolgimento del diritto romano e della civiltà.
Fu questo anche il tema della prima prolusione del L., letta a Pisa il 26 nov. 1877. All'epoca aveva ventidue anni e si proponeva di dimostrare la continuità storica del diritto romano, individuando nello ius civile e nello ius honorarium i due elementi necessari al giusto svolgersi della vita giuridica. Sul piano metodologico insisteva sulla necessità di uno studio diretto delle fonti e dei singoli giuristi, con particolare attenzione ai glossatori.
È per altri versi significativo il discorso tenuto a Padova il 27 nov. 1890: L'Università e la libertà (Padova 1890). Qui si richiamano l'esigenza di uno studio diretto delle fonti romane e il ruolo svolto dalle università europee nella diffusione dei valori della Rivoluzione francese: un'idea di libertà connessa alla conoscenza e allo studio del passato, ricostruito al fine di conoscere il presente. Si delinea peraltro nel giovane L., che nella prefazione del suo manuale di Storia del diritto romano dichiarava di credere nella "meravigliosa unità della razza umana" (III, Verona-Padova 1898, p. XVIII), l'idea che al diritto romano si connettessero forme di giustizia e convenienza sociale conformi all'essenza della natura umana, avuto riguardo in primo luogo all'istituto della proprietà privata.
Cinquantatré anni dopo la prolusione pisana, il 15 dic. 1930, il L. presiedette la celebrazione nazionale del centenario de Le Pandette di Giustiniano, tenendo un discorso nella sala dei Dugento a Firenze, su incarico di B. Mussolini (Modena 1933).
Appartengono allo stesso periodo e riguardano il medesimo tema: Un centenario di alto momento nella storia della civiltà, Padova 1930 (estr. da Atti e memorie dell'Acc. di scienze, lettere ed arti di Padova, n.s., XVI [1929-30]); Apoteosi delle Pandette di Giustiniano, Modena 1934 (estr. da Arch. giuridico "Filippo Serafini", s. 4, XXVIII [1934]).
L'idea di fondo del L. era che la romanità, il governo dei migliori e dei più competenti, la preminenza dell'interesse nazionale sugli interessi privati e di classe si mantenessero nella storia con il diritto romano. I suoi principî fondamentali, che nel pensiero del L. continuavano a riflettere "la civiltà", erano in tal modo ancorati all'ideologia del regime. Essa assumeva un ruolo quasi strumentale rispetto alla preoccupazione di affermare l'universalità del Corpus iuris nell'ambito di un sistema giuridico considerato unitario.
Fonti e Bibl.: In memoria di L. L., Firenze 1938; P.S. Leicht, L. L., in Arch. giuridico "Filippo Serafini", s. 4, XXXIII (1937), pp. 97 s.; P.G. Caron, L. L., in Novissimo Digesto italiano, IX, Torino 1963, p. 446.