Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il graduale regresso della peste non è dovuto solo alla ridotta virulenza del bacillo, ma soprattutto ad un miglioramento delle condizioni economiche e al conseguente aumento della natività. Nelle case compaiono i vetri alle finestre ed il pozzo nero per la raccolta dei residui organici. Farsetto e calze policrome col sottopiede rinforzato caratterizzano gli abiti maschili del XV secolo; un’estrema varietà di fogge e colori quelli femminili. L’alimentazione è più ricca e diversificata, è diffuso l’uso delle stoviglie a tavola, ma, spesso, si usano ancora le mani. Fa il suo ingresso un nuovo terribile male: la sifilide.
La vita privata
Il graduale regresso della peste non è dovuto solo alla ridotta virulenza del bacillo, ma soprattutto ad un miglioramento delle condizioni economiche e al conseguente aumento della natività. Le terre e i villaggi, un tempo abbandonati, vengono di nuovo abitati e in tutto l’Occidente si assiste ad una decisa ripresa, anche se non in tutte le regioni al medesimo ritmo.
Le strutture familiari vanno semplificandosi e, sebbene le famiglie aristocratiche continuino a vivere insieme nei grandi palazzi, i ricchi mercanti cominciano a moltiplicare le residenze creando famiglie mononucleari. L’importanza della continuità della stirpe esige, comunque, che i figli contraggano matrimoni convenienti e che a loro volta generino figli maschi. La nascita di una femmina è spesso un grosso dispiacere, anche se, con opportune nozze, e portando congrue doti, dà la possibilità di effettuare ascese sociali. Il matrimonio viene ancora gestito dalle rispettive famiglie, spesso con l’utilizzo di sensali che da questa attività percepiscono un reddito. Resta in piedi il principio canonico che vieta nozze tra consanguinei fino al quarto grado, per cui molte famiglie aristocratiche chiedono la dispensa al papa. I nobili tendono a sposarsi tra loro, così pure i ceti emergenti, sia quelli legati all’esercizio delle libere professioni che quelli legati alla mercatura. Il fatidico “sì” può essere pronunciato senza intervento di terzi, ma spesso è presente un notaio, un giudice o un sacerdote per dare maggiore ufficialità all’atto. La cerimonia ha il suo completamento nello scambio del bacio e con l’apposizione dell’anello alla mano della sposa, retta da un parente o da personaggio autorevole. Dal rito si distingue la cerimonia religiosa della benedizione in chiesa. È ancora in uso l’antica abitudine di stendere un velo bianco sul capo degli sposi e di gettare loro grano, fiori, frutta secca come augurio di prosperità. Queste cerimonie raggiungono spesso un tale eccesso di sfarzo che si interviene per contenerle. Lo scopo del matrimonio è la procreazione, ma il parto è un momento di grande pericolo per cui molte donne fanno testamento. L’occasione del battesimo permette alle famiglie più agiate di mostrare la loro felice condizione. Sulle fasce dei bambini sono spesso collocate le immagini di santi protettori. L’onomastica rinascimentale si adegua alle abitudini familiari, ripetendo i nomi dei padri e degli avi. L’educazione dei figli è compito della madre, ma cominciano a comparire trattati sull’educazione dei bambini per coadiuvarle nel difficile compito.
Come il matrimonio, anche il funerale è un’occasione di riunione per tutti i membri della famiglia. I più agiati hanno una tomba di famiglia in chiesa o in convento. Continua l’attività delle confraternite per l’accompagnamento dei defunti. I poveri vengono calati nelle fosse comuni nelle chiese. Il lutto è indicato anche dall’abbigliamento esteriore: per le donne manti neri e veli bianchi, per gli uomini la barba lunga.
La casa
Tra la fine del XIV secolo e gli inizi del XV gli edifici urbani cominciano ad essere costruiti a più piani, alti e stretti, assumendo così l’aspetto di torri. Di solito ogni casa è autonoma nei suoi quattro muri perimetrali. Tra casa e casa vi sono le quintane, che raccolgono escrementi e immondizie. Nel Quattrocento le tettoie, costruite davanti alle porte d’ingresso, si uniscono dando luogo ad ampi e comodi portici. Alle finestre, prima chiuse da ante di legno o di tela cerata, compaiono vetri. Per la prima volta dall’interno delle case è possibile guardare fuori e per la prima volta la luce del sole può inondare gli ambienti. In queste case assume grande rilievo il ballatoio: uno stretto e lungo terrazzo in legno o mattoni. Per accedere dalla strada ai piani superiori si usano scale esterne, ma vi è anche la possibilità di averle interne, facendole precedere da una sorta di corridoio-atrio, chiuso da una porta. Non vi sono condotte che portano l’acqua nelle case, ed è necessario approvvigionarsene al pubblico pozzo. I palazzi più ricchi sono provvisti di un pozzo proprio. Una grande novità è costituita dal diffondersi del pozzo nero che raccoglie i residui organici depositati nelle latrine. Spesso è collocato nell’orto, costituito da un’intercapedine tra due edifici adiacenti, murato da entrambi i lati e scoperto in alto.
La grande diffusione della rappresentazione pittorica della scena dell’Annuncio a Maria o della Natività diventa, nel Quattrocento, occasione per una pittura realistica e ci fornisce un’abbondantissima quantità di immagini delle campagne che attorniano le città (le cui mura compaiono in lontananza), di abiti e costumi dei contadini, di squarci di interni con mobili e suppellettili. Nelle case i pavimenti sono in mattoni, disposti con grande varietà di forme e disegni. Molto usate, nelle dimore più abbienti, sono le piastrelle maiolicate dai ricchi colori. Nella seconda metà del secolo, negli appartamenti nobiliari, compaiono i marmi. Il mobilio continua ad essere molto semplice e non si introducono arredi nuovi; nelle case più ricche si diffondono i tappeti sul tavolo e a terra, mentre sopra al letto, di giorno, si stende il dobletto: un copriletto di saia con le armi di famiglia. Diventa di moda rivestire le parti inferiori delle pareti con legno intarsiato per ripararle dai guasti dell’umidità.
Gli abiti
Uno degli aspetti più interessanti riguardo al problema del lusso negli abiti è legato al problema del contesto. È, infatti, importante sapere per chi si indossano abiti preziosi, chi li può portare e a quale norma estetica si rifanno. Certo la sede primaria di sfoggio è la corte, luogo pieno di simboli di appartenenza, che costituisce la scena sulla quale si muovono tutti i personaggi; essa rappresenta un mondo a parte, nel quale le vesti assumono un ruolo sostanziale.
Le stoffe di lana, anche di fattura pregiata, sono sempre più soppiantate dalle sete più sottili e colorate: bianche, azzurre, cremisi, vermiglie, morello e celeste. Le sete italiane, a tinta unita o operate, si esportano in tutta Europa. Anche i velluti vengono fabbricati in seta. I drappi d’oro o broccati presentano fili di seta e di metallo e possono avere disegni in oro su fondo in seta o disegni in seta su fondo d’oro. Si tentano anche tessiture in argento, ma l’ossidarsi del metallo ne annulla il pregio iniziale. Il popolo usa abiti in fustagno, tessuto di cotone misto a lana con colori spenti. L’uso di foderare gli abiti di casa di pelliccia determina forti importazioni di pelli dall’estero.
Agli inizi del secolo, gli abiti, seguendo la moda trecentesca, sono sempre più affusolati per la lunghezza degli strascichi che permette un forte sperpero di tessuto simbolo di ricchezza. Contro queste abitudini tuona san Bernardino (1380-1444) nel 1424 nelle sue Prediche volgari: “tu, marito, se’ cagione che la donna facci la coda e ‘l sarto vi dà aiuto, e simile chi vende panno, se lo fa a intenzione facci la coda, e la donna che la porta, tutti peccano mortalmente”.
L’abito elegante di fine secolo è più ampio ed è ricamato. Sopra la camicia, le donne portano gonnelle dette pure gamurre o socche ornate di frange e ricami, con maniche quasi sempre ricamate. Cominciano ad usarsi le mutande. Una rivoluzione nell’abbigliamento è costituita dall’introduzione di trine e pizzi. Nella ritrattistica del periodo appare diffusa la moda di portare il seno scoperto, soprattutto a Venezia, dove la predicazione in chiesa e le leggi del Senato non valgono a reprimere l’usanza. Per stringere le vesti in vita si usano molto le cinture di velluto, con fibbie in argento ed ogni sorta di finimento. La lunghezza degli abiti e degli strascichi lascia poca attenzione per le calze e le scarpe. Le prime, di panno scarlatto o di seta, arrivano al ginocchio e sono bloccate da giarrettiere in tessuto. Possono essere ricamate e solate. La calzatura elegante è la pianella in broccato o velluto. Per la strada, per evitare fango e polvere si usano pianelle molto alte. Fanno parte dell’abito elegante i guanti, più leggeri in estate, spessi e ricamati in inverno. Ventagli e ombrelli rientrano nel corredo della donna raffinata.
Da tutto ciò emerge una nuova attenzione alla giovinezza e alla bellezza femminile. La polemica di predicatori e moralisti contro le donne che indossano abiti sontuosi è di vecchia data e in questo periodo si accresce di intensità perché proprio attraverso gli abiti, il trucco e le acconciature si evidenzia un’esteriorizzazione del corpo ed un ruolo da esso svolto in società contrario al percorso della vita composta e pudica auspicata dalla chiesa. Chi privilegia l’aspetto esteriore lo fa a discapito della preziosa interiorità dell’anima.
Incuranti di tali ammonimenti le donne continuano nella ricerca della perfezione estetica: diventa necessario depilarsi con prodotti a base di calcina che brucia i peli e spesso procura ustioni alla pelle; i capelli vanno di moda biondi, e si scoloriscono con liscivia forte, bucce d’arancio, cenere e zolfo. Si usano pure trecce e ciocche posticce per aumentare il volume della capigliatura. Elaborate acconciature coprono la fronte con bande laterali e sono opera di pettinatrici. Le grandi dame si confidano le ultime novità in fatto di tinture, cosmetici e profumi. Sacchetti (1332-1400) elogia le donne definendole “pittrici più di Giotto”.
Farsetto e calze policrome col sottopiede rafforzato caratterizzano gli abiti maschili del XV secolo. Come sopraveste, si indossano guarnacche, pellande, cioppe o sacchi. Anche per gli uomini guanti in cuoio scamosciato fino a mezzo braccio. Al principio del secolo torna di moda il volto sbarbato e la capigliatura a mezzo orecchio. La prima rasatura degli adolescenti è festeggiata come l’ingresso nella virilità. Alla fine del secolo di nuovo si preferiscono le barbe lunghe. Anche per gli uomini la lavatura della testa è un rito impegnativo che li costringe a stare ore con il capo avvolto in un panno. Vi sono donne, che non godono buona fama, specializzate in questa attività.
Le incipienti calvizie spesso costringono a portare cuffiotti o altri copricapi se non si vuole ricorrere alle parrucche maschili che fanno il loro timido ingresso.
Gli uomini, dunque, non sono da meno nel tenersi al passo con le mode più eccentriche e poiché la nuova diffusa ricchezza consente di investire denaro negli abiti questi stessi assumono un valore simbolico. Le leggi suntuarie intervengono a più riprese per regolamentare gli eccessi dell’abbigliamento, ma sono generalmente disattese.
I gioielli pure rivestono una grande importanza per entrambi i sessi. Compaiono gli orecchini, prima portati solo dalle zingare. Gli anelli sono portati a tutte le dita, anche dagli uomini, con l’impronta-sigillo. Diffusissima è la catena d’oro al collo con ampi giri sul petto. I collari da uomo hanno di solito un pendente formato da una medaglia o da un cammeo. Più ricche sono le collane delle donne con perle e pietre preziose. Gli atti notarili del XV secolo sono pieni di descrizioni di capi di vestiario con relative stoffe ornamenti e stime di valore, sia per quanto riguarda i ricchi che i più poveri.
L’alimentazione
Il pane continua ad avere primaria importanza sulla mensa quattrocentesca: quello dei ricchi è bianco, quello dei contadini e lavoranti, ottenuto con una mescolanza di due terzi di frumento e di un terzo di orzo o segale, è scuro. Molto usate dai più poveri sono le polente di miglio o di ceci impastate con latte o olio di noci se manca l’olio di oliva. Gli abitanti delle zone montane possono contare sulla castagna, mentre comincia a fare il suo esordio il grano saraceno, proveniente dall’Oriente. Per i marinai che partono per lunghi viaggi vengono infornati gallette e biscotti. Una notevole quantità di grano è utilizzata per la fabbricazione della pasta per la minestra e per gli gnocchi. Fave e fagioli, lenticchie e ceci sono usati anche come contorno ai piatti di carne. Su ogni tavola, povera o ricca, è presente il vino. Bevuto senza limitazioni è considerato un elemento importantissimo della nutrizione, indispensabile per la salute del corpo. Dalle campagne arriva ogni giorno il latte, ma non se ne fa ancora largo uso, e viene adoperato per lo più per confezionare dolci. Si va diffondendo anche l’uso dei formaggi. Il grasso maggiormente usato per cucinare e condire proviene dal maiale. Solo le regioni mediterranee usano l’olio. Poco usato ancora è il burro. Poco diffusa è la carne di vitello, mentre abbondano carni suine e, per i più poveri, di montone. Il pesce è presente sia fresco che salato. Ancora poco diffuso è il riso, che comincia ad essere coltivato in Lombardia nella seconda metà del secolo.
Preparare la tavola e scegliere le pietanze giuste per i ricevimenti diventa un’arte raffinata che genera un’apposita trattatistica. Ancora si pongono i convitati a coppia, una dama e un cavaliere, perché ancora si usa che i due prendano il cibo da un medesimo piatto e bevano dalla stessa coppa. Sebbene vi siano coltelli e cucchiai per i cibi liquidi, ed è molto diffusa la forchetta, la maggior parte delle pietanze viene ancora portata alla bocca con tre dita, cercando di non sporcarsi troppo. Da qui l’uso di lavarsi le mani in catini appositamente distribuiti tra i commensali e del tovagliolo per asciugarsi. Tutti i rifiuti della selvaggina, dei pesci e della frutta si gettano sotto il tavolo.
La situazione sanitaria
Alla fine del secolo comincia a diffondersi la sifilide. Secondo la tradizione questa malattia è portata dall’America dai marinai di Cristoforo Colombo (1451-1506) e si diffonde in Italia con la discesa dell’armata di Carlo VIII (1470-1498) causando un’epidemia che in breve si abbatte su tutta l’Europa, inizialmente in maniera molto virulenta, con numerosi morti, trasformandosi poi in malattia endemica. Si discute ancora sull’origine americana del flagello, contestata da molti medici.
Nel complesso la situazione igienico-sanitaria nel XV secolo è in netto miglioramento ed anche la scienza medica si fortifica nei suoi fondamenti. Nel 1472 esce il Libellus de aegritudinis et remediis infantium, che tratta questioni di puericultura. L’opera è il primo trattato di pediatria e deve la sua fama alla sapiente fusione della ricca tradizione medica araba con quella europea. Pochi anni dopo vengono riproposte le pratiche terapeutiche e chirurgiche della cultura classica con la pubblicazione del De medicina di Celso (25 a.C. ca. - 50 d.C. ca.). La disciplina medica si intende qui suddivisa in tre branche: dietetica, farmaceutica e chirurgia. Con un’originale impostazione metodologica, l’opera riunisce l’approccio empirico con quello tradizionale. Sembrano gettate le basi per leggere nel “gran libro della natura”.